[7] Grip
Allura
Sta piovendo e tengo fisso lo sguardo sugli appunti di astrofisica da un po', senza riuscire a leggerli veramente.
Coran mi ha chiamato un paio di volte durante il giorno, mentre Lotor è passato per prepararmi semplicemente il tè ma non se ne è più andato.
Ora è seduto accanto a me con un braccio attorno alle mie spalle, mentre schiaccia con irritazione il telefono con il pollice.
Qualunque altra persona penserebbe stia inviando una furiosa email di lavoro, ma la verità è che il ragazzo sta tentando lo stesso livello di Candy Crush per la terza volta ed è più che spazientito.
Non gli piace per nulla perdere.
Non piace nemmeno a me perdere, per questo non chiederei mai scusa una volta di più al mio coinquilino che non vedo da ieri.
Non al mio coinquilino, certo, ma forse al mio migliore amico sì.
So benissimo di non avere nulla di cui scusarmi, dopotutto è lui che è incapace di avere a che fare con le sue emozioni. D'altronde si è innamorato di un ragazzo con i suoi stessi complessi emotivi, per cui forse il karma lo sta già punendo abbastanza a riguardo.
Ho pensato molto ai miei amici, ultimamente, cosa che non mi capita così di frequente come mi piacerebbe far credere.
Ho realizzato che Shiro ha bisogno di aiuto, perché senza volerlo non è più solo il fratello maggiore di Keith, ma quello di tutti noi. Avrebbe dovuto essere un semplice professore forse, avrebbe di sicuro avuto meno problemi di quelli che si trova ad affrontare con noi.
Invece ci ha preso a cuore in modo imbarazzante, perché ha questo bisogno patologico di proteggere tutti.
Ho scoperto di non dare abbastanza attenzioni ad Hunk, perché è probabilmente la persona migliore e più equilibrata che potrò mai incontrare nella mia vita e nessuno gli dà i riconoscimenti che merita. Nessuno oltre a Lance, forse, che ha questo amore incondizionato per il suo migliore amico che sfiora il limite dell'immaginario umano.
La prossima volta che avrò bisogno di un consiglio, chiederò a lui prima di spingere un ragazzo introverso e impulsivo ad andarsene di casa.
Ho pensato che è veramente molto strano che Pidge riesca a togliere gli occhiali da sole, ogni tanto, e che sono stata cieca a non accorgermene prima. Credo che se parlassi con lei di più e più spesso potrei capire l'origine della sua insicurezza. E capire anche il motivo dei suoi rapporti così tesi con Lotor, per i quali il ragazzo invece non ha una spiegazione.
Avrei dovuto darle retta quando mi suggeriva di farmi gli affari miei, ogni qualvolta volessi intervenire in faccende che non mi riguardavano pur di aiutare chi credevo ne avesse bisogno.
Riguardo Lance e Keith, invece, ci ho pensato esattamente quanto ci penso di solito. Troppo, decisamente.
Sono sempre preoccupata per loro, per la vita pericolosa di uno e per l'impulsività e la mancanza di buonsenso dell'altro.
Insieme sembrano quasi il più banale dei cliché romantici, il tipo di coppia che passa dal fingere di odiarsi ad accettare finalmente i sentimenti che provano l'uno per l'altro, ma in realtà non è così.
Loro si detestavano veramente, veramente tanto all'inizio, e con un'intensità quasi spaventosa.
Quando entravano nella stessa stanza c'era sempre il timore costante che uno dei due cominciasse un litigio che sarebbe finito molto male, cosa che era successa più di un volta.
Ma l'evoluzione che ha fatto il loro rapporto è qualcosa che a volte riesce a farmi rimanere interdetta quando ci penso.
Sono entrambi talmente imprevedibili che non credo qualcuno riuscirà mai a stare tranquillo vicino a loro, per questo non riesco a smettere di chiedermi che fine possa aver fatto Keith in queste lunghe ore.
Per come è fatto lui, la possibilità che abbia fatto il giro di ogni bar fino a stare male e farsi ricoverare è grande esattamente quanto quella che si sia imbarcato per la Svezia per allevare renne.
Non sapere dove si trova e se sta bene mi sta uccidendo, per questo mi abbasserei anche a chiedere scusa di nuovo, se servisse.
Una tocco gentile sulla mia guancia mi fa risvegliare dal mio torpore.
«'Lura» mi chiama piano Lotor, al che mi accorgo che non ha più il telefono in mano e che forse non è nemmeno la prima volta che mi chiama. «Stai bene?»
Annuisco con convinzione, appoggiando la testa sulla sua spalla e lasciando che mi avvolga tra le braccia. Non che ne abbia bisogno, è solo che amo questa sensazione che riesce a darmi solo la sua vicinanza.
«Voglio solo che quel ragazzino testardo torni a casa» mormoro a mezza voce, perché non mi importa da quanti anni sia maggiorenne, io sono comunque più grande di lui.
Lotor ridacchia quasi in un borbottio, come per prendermi in giro.
«Keith tornerà, 'Lura, è solo scosso. E poi era con Lance, l'ultima volta che ne hai avuto notizia, no?» mi dice afferrando il laptop dal tavolino da caffè per poi piazzarmelo sulle gambe. «Starà bene. Ora come ora, tu dovresti avere una relazione e una tesina da terminare».
Mi lascio andare in un lamento nascondendo il volto nella sua camicia, disgustata all'idea di concludere il master di Fisica e Astronomia che tanto avevo sognato di frequentare, i cui unici corsi erano in un'università di Amsterdam e alla Garrison.
Sto vedendo terminare due anni della mia vita che so essere breve, che si esauriranno una volta che avrò esposto la mia tesi su Graviation, Astro e fisica delle particelle.
«Se Keith tornasse a casa ora avrei una scusa per non dover studiare» mugugnai, spostando il computer portatile sulla porzione di divano libera accanto a me.
Il mio ragazzo sorride di lato e mi posa una mano sull'altra guancia, con delicatezza. «Ci sarebbe un'altra opzione».
Così si avvicina e mi bacia, facendomi sorridere contro le sue labbra morbide improvvisamente sollevata.
Infilo le mani tra i suoi capelli tinti di bianco e mi avvicino di più, cercando in tutti i modi di approfondire il contatto.
Io amo questo ragazzo.
Lo amo, lo amo, lo amo troppo.
Di tutte le cose che lascerei, andandomene, probabilmente lui sarebbe quella che mi mancherebbe di più.
Proprio mentre mi stava facendo sedere sulle sue gambe qualcuno bussa alla porta ed entrambi scattiamo in allerta, provocando una perdita di equilibrio sia dell'uno che dell'altra.
Miracolosamente evitiamo il tavolino quando cadiamo a terra, al che mi devo coprire la bocca con la mano mentre rido sommessamente.
Lotor lancia un'occhiataccia alla porta. «Mi dispiace, la signorina ha scelto l'altra opzione!».
Scuoto la testa e gli tiro piano una manica della camicia, indicando l'entrata dell'appartamento.
«Probabilmente è Shiro che viene a chiedere di Keith» gli dico. «Vai ad aprire, forza».
«E tu mettiti in una posizione consona, non vorrai scandalizzare il vostro fratello maggiore» mi schernisce, prima di lasciarmi un bacio rapido sulle labbra.
Si alza in piedi aiutandomi a fare lo stesso e si dirige alla porta, mentre io mi volto per spostare il laptop dal divano, nel caso Shiro voglia sedersi.
Sento il rumore della porta che si apre, ma la voce titubante che saluta il mio ragazzo non è quella del professore di Astrofisica.
«Ciao» dice piano Keith, accompagnato dall'inconfondibile suono delle sue dita che tamburellano sulla giacca di pelle.
Mi sono irrigidita e non riuscirei a voltarmi, ora come ora, ma immagino perfettamente il modo in cui Lotor deve essersi appoggiato allo stipite della porta mentre lo squadra da capo a piedi disapprovatorio.
Il giovane Galra sa incutere timore, quando si mette d'impegno.
«Bene bene, sei tornato al nido?» domanda. «Spero tu ti sia dato una calmata».
Un sospiro tremante del mio coinquilino precede la sua risposta. «Sì, io... Mi dispiace».
A questo punto riesco perfettamente a girarmi, dopo aver afferrato la prima cosa che mi capita sottomano.
«Ti dispiace?» chiedo, con voce più alta del solito.
Il ragazzo dai capelli corvini sta in piedi sulla soglia e tiene lo sguardo puntato su di me, perché non sia mai che il suo senso di colpa gli faccia abbassare anche di poco la cresta.
Lui e il suo maledetto orgoglio, il suo brutto carattere ed i suoi ragionamenti impossibili da capire.
Mi avvicino a grandi passi fissandolo negli occhi grigi e una volta davanti a lui lo colpisco forte con il quaderno che stringo tra le dita, cogliendolo di sorpresa.
«Sei un'idiota» lo accuso, colpendolo sulla spalla una seconda volta.
Sono consapevole di non stargli facendo nulla, poiché non sono esattamente al meglio delle mie forze, ma traggo una così grande soddisfazione dal vedere come sussulta che quasi vorrei continuare per sempre.
«Hai idea di quanto fossi preoccupata? Quando perdi la testa sei fuori controllo, potevi metterti in pericolo!» sbotto, puntandogli contro gli appunti. «Poteva succederti qualsiasi cosa e poi sarebbe stata tutta colpa della nostra discussione! Capisci?»
Keith sbatte le palpebre frastornato per qualche secondo per poi stringersi nella giacca, guardandomi negli occhi mortificato.
«Mi dispiace» ripete, stavolta a me.
Un aspetto positivo del suo guardare negli occhi la gente, come per sfidarla, è che almeno posso capire quando è sincero. E so che in questo momento è veramente dispiaciuto per quello che è successo.
Stringo le labbra qualche istante ed annuisco. «Stasera me lo prendo io il tuo ramen, comunque».
E giusto per sottolineare il concetto lo colpisco sulla spalla una terza volta, ma a dispetto di ciò vedo Lotor scuotere la testa divertito mentre Keith abbozza un sorriso.
Pidge
Allungò la mano in direzione di Matt, aspettandosi che le passasse direttamente sul palmo ciò che il loro amico aveva appena chiesto.
Rimase in quella posizione per più di dieci secondi, ma quando si voltò verso il fratello vide che quello non era più nella posizione in cui l'aveva lasciato, ma bensì incollato allo schermo del computer sulla scrivania.
«Matt, che stai facendo?» domandò visibilmente seccata, perché ciò significava che avrebbe dovuto allungarsi e prendere il cacciavite da sola.
Il ragazzo si sfregò un sopracciglio pensoso, completamente immerso nel suo lavoro. «Niente».
Se Pidge avesse avuto le antenne probabilmente le si sarebbero rizzate in modo allarmante, poiché quella era decisamente una risposta inusuale.
Di solito riceveva uno scherzoso sto salvando il mondo o un dimostro all'umanità che è composta da idioti, ma mai un semplice niente.
Udì la voce di Hunk che le chiedeva nuovamente di passargli il cacciavite, tuttavia lo ignorò lasciandolo sotto il peso di un mobiletto ancora mezzo smontato dell'Ikea, raggiungendo il fratello con un balzo.
«Non abbandonarmi qui, non posso muovermi senza distruggere tutto» si lamentò il ragazzone, continuando a non essere ascoltato.
La ragazza fece sporgere la testa sopra alla spalla di Matt e quello che vide la fece congelare.
Il nome Lance McClain era scritto nella barra di ricerca di Google ed il castano stava facendo scorrere il mouse rapidamente su ciò che la prima pagina gli suggeriva.
«Matt, perché stai cercando informazioni su Lance?» chiese, calcando particolarmente sul nome del cubano per attirare l'attenzione del suo migliore amico.
Hunk smise di allungarsi verso il cacciavite lasciato a terra pietrificandosi all'improvviso, come se la sua vita dipendesse dalla risposta di Matt.
«Rachel ha detto che in casa hanno gravi problemi economici e che se non fosse stato per un professore facoltoso che l'aveva presa sotto la sua ala, non sarebbe mai riuscita a studiare medicina» spiegò, senza degnarla di uno sguardo mentre assottigliava gli occhi. «Capisco che Lance sia riuscito a ottenere la migliore borsa di studio, ma come è possibile che sia riuscito a pagare la retta della Garrison?»
Sinceramente, Pidge sapeva che il fratello era abbastanza intelligente da farsi venire un dubbio del genere, quello che non sapeva era che gli sarebbe importato abbastanza del suo migliore amico da indagare a riguardo.
Si tirò forte la manica della felpa verde, mentre sentiva Hunk sgusciare poco aggraziatamente da sotto il mobile. «Ha lavorato part-time per tutti gli anni di liceo, ha messo via un po' di soldi».
Improvvisamente la luce era troppo, troppo forte e la ragazza dovette schermarsi gli occhi con una mano.
Socchiuse le palpebre nel guardare lo schermo del computer, cercando mentalmente di ricordare dove fossero i suoi occhiali da sole. O meglio, gli occhiali da sole che Aaron le aveva regalato un anno prima.
«Ah-ha! È qui che ti sbagli, Rach ha detto che quei soldi li ha dati a loro fratello Marco quando quello ha dovuto sposarsi» rispose subito, arrivando alla fine della pagina internet senza aver ottenuto alcun risultato.
Si fermò un secondo stranito e poi rivolse uno sguardo alla sorella, storcendo le labbra. «Tu non mi avresti mai aiutato a pagare un matrimonio».
«Beh, perché i matrimoni sono stupidi» borbottò di rimando, percependo la presenza di Hunk accanto a lei, con i nervi a fior di pelle nello stesso modo in cui li aveva la castana. «Comunque, che te ne importa di Lance?»
Pidge si sarebbe presa a schiaffi da sola non appena le parole lasciarono la sua bocca, uscite senza che lei potesse riflettere sul loro vero effetto.
Era andata nel panico quando aveva visto Matt allungare la mano verso la sua chiavetta USB, con la quale avrebbe potuto hackerare qualsiasi cosa, ed il suo cervello, per la seconda volta in tutta la sua vita, l'aveva tradita brutalmente.
Il ragazzo occhialuto si bloccò nell'atto di infilare la chiavetta nell'apposito spazio e osservò i due amici con estremo sospetto.
«A me importa perché sua sorella è molto carina e perché Lance vuole far parte della Rebellion terminata l'università, che non è esattamente una struttura governativa in cui puoi entrare con facilità» osservò con voce piatta, spostando lo sguardo dalla sorella al più alto. «Mentre a voi dovrebbe importare perché è il vostro migliore amico, ma sembra che invece la cosa non vi incuriosisca. Mi state nascondendo qualcosa, vero?»
La verità era questa: Pidge era molto brava a dire le bugie, così brava che se non si teneva monitorata rischiava di ricadere in episodi cronici di continue menzogne senza alcuno scopo.
Non era una persona disonesta, semplicemente si trovava incredibilmente affascinata e a suo agio con l'idea di manipolare la realtà.
Ma quando si trattava di mentire per proteggere le persone era Hunk quello più bravo.
«Sì, sì è così. Ma lo facciamo perché feriresti Lance se cercassi informazioni su di lui» si apprestò a intervenire quest'ultimo, strofinandosi mortificato le dita contro i capelli corti. «Sarebbe stato meglio se fosse stato lui a parlarti del suo rapporto con il padre».
Matt piegò la testa in ascolto, pronto a ricevere una spiegazione. La sorella sapeva bene che avrebbe cercato conferma non appena i due se ne fossero andati, ma per allora lei sarebbe riuscita a rendere la USB inservibile.
«Il padre biologico che Lance e Rachel è odiato da tutte la loro famiglia, tranne forse dal fratello più piccolo di questi perché non l'ha mai incontrato» raccontò brevemente. «Ed è stato lui a pagare la sua retta universitaria, per questo Lance odia parlarne».
Pidge sollevò lo sguardo verso il suo amico, trattenendo l'ammirazione.
Sapeva che i dubbi sull'etica di ciò che aveva appena fatto avrebbero torturato il buono e onesto Hunk, ma ciò non toglieva che la naturalezza con cui parlava la sconvolgeva.
Sapeva anche che sarebbe toccato a lei informare il cubano della loro improvvisata e nonostante questo, non riusciva a sentirsi in colpa per aver mentito al fratello.
Ho dovuto scoprire da sola dove si trovassero lui e papà, quando sono spariti, pensò con un moto di fastidio, Adesso starà a lui rimanere all'oscuro di tutto ciò che gli accade attorno.
Lance
As the night time bleeds into the day
Tomorrow spills across the sky
And the sun's a harsh reminder why
We are feeling barely human
Avevo questa vaga sensazione di star facendo qualcosa di incredibilmente stupido, ma era anche vero che avevo riflettuto a lungo prima di prendere quella decisione.
Ero in piedi nel piazzale davanti all'officina da quasi dieci minuti, per nulla convinto sul dover entrare nell'edificio basso che emanava un'energia terribilmente ostile.
L'energia ostile me la stavo più che probabilmente immaginando, tuttavia non era questo il punto.
We don't know what's good for us
'Cause if we did, we might not do it
Who knows where our limits lie?
We won't discover 'til we push it
Feci un passo in avanti, gonfiando le guance e ripetendomi che stavo prendendo una pessima decisione.
La cotta che avevo per Keith era destabilizzante ai limiti del ridicolo, mi sentivo come se fossi di nuovo al liceo e tutta la mia persona si accendesse di luce propria non appena vedeva il suo primo amore.
Solo che di anni ormai ne avevo più di venti e la mia vita non era l'ideale per accogliere questo tipo di relazione.
I should just walk away, walk away
But it grips me, it grips me
But I should call it a day and make my way
Oh, it grips me
Quando avevo preso quella sbandata per Allura, non appena ci eravamo incontrati, era diverso. Inconsciamente sapevo alla perfezione che eravamo su due pianeti totalmente diversi, tra di noi non avrebbe mai funzionato nemmeno se avesse ricambiato i miei sentimenti. Era anche per questo che non mi preoccupavo di nascondermi, perché anche se avesse capito ciò che provavo non sarebbe mai entrata a far parte della mia vita in quel modo.
Con Keith, invece, era completamente diverso.
'Cause the devil's got my arms
('Cause the devil's got my arms)
And it pulls me back into the night
But I should just walk away, away
Oh, it grips me
Ed era incredibilmente egoista da parte mia continuare a camminare verso l'entrata dell'officina, lo sapevo, ma non riuscivo a smettere di andare avanti.
Keith era migliore di me sotto quasi ogni punto di vista, non serviva che lo dicessi ad alta voce per far capire che lo pensassi, tuttavia nonostante questo riuscivo a sentirmi un suo pari.
Non era come guardare le stelle, amare il cielo da lontano senza poterlo raggiungere, era qualcosa di molto più reale di così. E questo mi spaventava.
'Cause the devil's got my arms
'Cause the devil's got my arms
And it pulls me back into the night
Quando appoggiai la mano sulla porta che permetteva di entrare nel corridoio che dava sull'ufficio di Kolivan, una forte fitta mi colpì violentemente la spina dorsale facendomi trattenere a stento un'imprecazione.
Avevo fatto un passo più lungo degli altri ed il movimento brusco era andato a risvegliare i dolori tutt'altro che datati: quel giorno avevo dovuto fare gli straordinari, ma se non altro avevo raggiunto la quota mensile che avrei dovuto consegnare agli inviati del capo.
We got drunk on this unholy wine
To deliver us from our old minds
The promise of a better time
'Til we're feeling barely human
Ingoiai l'orrenda sensazione, lanciando una rapida occhiata all'interno dell'ufficio, dove il datore di lavoro di Keith sedeva alla scrivania discutendo animatamente con una donna in tailleur.
Con quanta più calma possibile percorsi il breve corridoio, affacciandomi alla zona di lavoro dove erano parcheggiate tre automobili, dalla cui ultima spuntavano un paio di scarpe familiari.
We don't know what's good for us
'Cause if we did, we might not do it
Who knows where our limits lie?
We won't discover 'til we push it
Mi guardai attorno con attenzione e poi raggiunsi l'auto in silenzio, più che intenzionato a non attirare l'attenzione di Ulaz, il collaboratore del ragazzo dai capelli corvini, il quale non aveva una particolare simpatia per me.
L'unica consolazione era che non mi avrebbe mai detestato tanto quanto detestava Pidge.
Mi appoggiai al mezzo con un fianco, ignorando la fitta al fondoschiena, e diedi un delicato calcetto al piede che sporgeva da sotto di esso attendendo una reazione.
Keith scivolò fuori con le sopracciglia aggrottate ed il volto sporco di grasso, ma quando mi vide gli occhi gli si illuminarono.
«Lance» osservò, sorpreso.
'Cause the devil's got my arms
('Cause the devil's got my arms)
And it pulls me back into the night
Well, I should just walk away, away
Oh, it grips me
Piegai la testa e chiusi gli occhi per un secondo, per imprimere quell'immagine nella mia mente.
Era un completo disastro, infilato nella tuta da lavoro, i capelli legati dietro alla testa in modo disordinato ed il corpo ricoperto da ogni tipo di sporcizia.
Ma gli occhi gli brillavano ed era semplicemente stupendo.
«Ehi, Samurai» lo salutai di rimando, rivolgendogli un sorriso. «Disturbo?»
'Cause the devil's got my arms
And it pulls me back into the night
The devil's got my arms
And it pulls me back into the night
Il corvino si passò il pollice sotto il labbro inferiore, lanciando un'occhiata all'ufficio e facendo una smorfia con la bocca. «Non finché Ulaz non sa che sei qui».
Si tolse i guanti da lavoro sporchi e li appoggiò a terra, stiracchiandosi come se fosse un gatto.
Gli porsi la mano e lui la strinse, aiutandosi ad alzarsi in piedi e rivolgendomi uno sguardo confuso.
«Stai bene?» domandò, senza lasciarmi la mano.
Aggrottai le sopracciglia, poiché anche se avevo appena avvertito un dolore incredibilmente acuto nel compiere lo sforzo non mi sembrava di aver fatto trapelare nulla.
Il fatto che lui capisse al volo tutto quello che provavo era irritante a livelli straordinari.
«Sì, sto bene» mentii minimizzando la sua preoccupazione con un gesto della mano libera. «Sono venuto qui per chiedere a te se stai bene, da quando sei tornato a casa».
Il ragazzo si strinse nelle spalle, dimenticando qualsiasi cosa gli avesse fatto credere che qualcosa non andasse.
«Allura ha dato di matto quando ha scoperto che Lotor sapeva dov'ero, ma credo che vada tutto bene. I suoi topini hanno smesso di squittirmi contro ogni volta che passo per il corridoio» rispose, visibilmente sollevato.
Sapevamo tutti quanto potevano essere suscettibili quelle piccole creaturine, una volta avevano morso la mano di Hunk perché aveva portato loro del cibo del discount.
Questi bambini ricchi, viziano troppo i loro animaletti.
«Quindi tra te ed Allura è tutto a posto. Questo è un bene» sospirai, mordendomi l'interno della guancia. «È un bene perché questo weekend dovrà esporre la tesina e devo organizzare un rapimento a sorpresa».
I would rather forget and wash my memory clean
Oh, I would rather forget and wash my memory clean
Keith abbozzò un sorriso morbido che abbe un effetto incredibilmente benefico su ogni parte del mio corpo che accennava a manifestare dolore.
Tra l'altro, mentre parlavamo il ragazzo aveva mosso piano le dita e le aveva delicatamente intrecciate con le mie. Inutile dire che era lui il più coraggioso dei due, sebbene il suo essere impacciato a livello relazionale lo inibisse non poco.
«Un rapimento a sorpresa?» chiese, vagamente divertito.
Alzai gli occhi al cielo, rivolto non a lui ma a un'insopportabile Gremlin che qualche giorno prima aveva avuto l'idea.
«Tecnicamente è Pidge che lo sta organizzando, ma dice che non può farlo sapere in giro, altrimenti pensiamo che lei ci voglia bene e ci montiamo la testa» ammisi, arricciando le labbra. «Fatto sta quindi che ora devo fare io tutto il lavoro e che devo ancora chiedere a Coran le chiavi della casa vacanze della famiglia Altea».
I would rather forget (I would rather forget)
Wash my memory clean (wash my memory clean)
«Quale delle case vacanza, esattamente?» domandò, quasi per prendere in giro la sua coinquilina. «Perché in quella di Malibu forse ci sarà molto spazio, ma quella in Minnesota non l'ho mai vista».
Scossi sconsolato la testa.
«Sembra quasi un film, il titolo è Tutti hanno più soldi di Lance» mi lamentai. «Comunque il Gremlin ha insistito per chiamare anche suo fratello e Rachel, per vendicarsi su Matt in non so quale modo».
Keith sorrise di più, il che andava più che bene, certo, perché lo rendeva bellissimo, ma non prometteva nulla di buono.
«Perfetto, tanto Rachel è la McClain che preferisco» dichiarò, con semplicità.
Ecco, appunto.
Strinsi la presa sulla sua mano mettendo il broncio, non tanto perché volessi essere infantile ma perché non riuscii ad impedirlo a me stesso.
«Ciel non ti ha vinto un ippopotamo di peluches alle giostre» replicai alludendo al weekend precedente, subito dopo l'ultimo esame.
Il corvino rise piano, tirandomi la mano e facendomi avvicinare di un passo. «Non essere permaloso, tu sei il secondo preferito».
I would rather forget (I would rather forget)
Wash my memory clean
La verità era che stargli vicino era inebriante, per questo gli posai la mano libera sul fianco destro e non pensai nemmeno per un secondo di allontanarmi.
Qualcosa dentro di me mi urlava di abbracciarlo, non perché avessi un motivo per farlo ma solo perché ne sentivo la terribile urgenza.
Però sapevo che faceva ancora fatica a lasciarsi toccare e a permettere alle altre persone di invadere il suo spazio personale, in più non avevo ancora parlato della ragione che mi aveva spinto a raggiungerlo.
«Ci saremo io, te, il Gremlin, Hunk, Allura, Rachel, Matt, Lotor e Romelle, che domani arriva da Londra come tutti gli anni in questo periodo» dissi, senza sfuggire al contatto visivo. «E ovviamente Shiro».
Keith rimase impassibile nell'udire l'ultimo nome, scoraggiandomi non poco. «Dovresti davvero smettere di chiamare Pidge Gremlin, prima che lei lo venga a sapere».
'Cause the devil's got my arms
And it pulls me back into the night
«Keith, hai risolto le cose con tuo fratello? Perché da qui al Minnesota ci saranno tre ore di auto e dovrete affrontare un viaggio insieme» gli feci notare.
«Basterà non parlargli per tutto il tragitto e lasciare il posto davanti a Pidge» replicò, senza battere ciglio. «Se poi fosse un problema la divisione delle camere, io andrei con Lotor. Come vedi è tutto sotto controllo».
Feci un versetto di sofferenza, perché in effetti non c'era nessun problema a livello organizzativo.
Avrei davvero voluto che i due fratelli risolvessero la questione tra di loro, ma non stava a me interferire.
«Okay, come preferisci» mi arresi, cambiando radicalmente espressione e rivolgendogli un largo sorriso. «Domani sera usciresti con me?»
Gli occhi screziati di viola gli si illuminarono e inclinò leggermente la testa di lato. «Ma abbiamo le prove di volo tutto il giorno».
The devil's got my arms
Cause the devil's got my arms
«Alle dieci c'è l'ultima proiezione del giorno de I Crimini di Grindelwald» mormorai, attirando tutta la sua attenzione. «E poi è il terzo appuntamento, il manuale dice che ti devo portare dei fiori».
Keith rise coprendosi il volto con la mano libera.
Non l'avevo mai visto ridere e sorridere tanto come in questi giorni, al che mi chiesi se ero stato così distante da lui per tutto quel tempo.
«Va bene, voglio vedere dove ti porterà seguire le indicazioni di tua madre» acconsentì, spostando la mano sulla mia schiena e tenendo lo sguardo basso.
Mi venne da trattenere il respiro al contatto, ma cercai di convincermi che non mi avrebbe fatto del male.
«Bene, allora passerò a prenderti con il mio splendido autobus pubblico» gli dissi, non riuscendo a impedire a me stesso di portare la mano che tenevo sul suo fianco alla guancia del ragazzo. «Che fiori vuoi che ti porti?»
Il corvino fece scorrere un paio di dita lungo la mia spina dorsale, sollevando lo sguardo per incontrare il mio.
Arrivò a sfiorarmi il punto che più mi aveva fatto male per le ultime due ore e fu come se, con quel brivido che mi attraversò sotto il suo tocco, mi avesse curato da ogni dolore.
«Sorprendimi» rispose.
And it pulls me back into the night
And it pulls me back into the night
Non l'avevo ancora baciato, da quella volta in ospedale, nemmeno dopo i recenti sviluppi.
Non credevo fosse il momento e, soprattutto, avrei voluto farlo quando lui si fosse sentito a suo agio ma in quel momento mi accorsi di quanto fossimo vicini.
Sarebbe bastato sporgermi appena un po'.
Sarebbe bastato...
«Ma guarda se quello non è Lance McClain!» esordì una voce familiare per nulla amichevole.
Mi voltai di scatto verso la sua origine mentre Keith sopprimeva un sorrisino divertito e no, Keith, non è così che si tradisce il proprio braccio destro.
Ulaz mi puntò contro una chiave inglese mentre aveva un'espressione tutt'altro che allegra sul volto. «Se ti metto le mani addosso ti renderai conto di ciò che tu e la tua amichetta avete fatto alla mia auto».
E fu così che schizzai via più veloce della luce.
Hunk
Non ti ricordi il momento preciso in cui la tua cucina è stata invasa senza pietà, ma è anche vero che non senti di potertene lamentare.
Tua madre è andata a prendere i tuoi fratelli dalla lezione di danza circa mezz'ora fa e ora è tornata, tirandosi su le maniche mentre si dirige al lavello per aiutarti.
«Posso darti una mano, tesoro?» ti chiede lavandosi le mani.
Finisci di affettare la carota che avevi davanti e le rivolgi un sorriso, capovolgendo il coltello e passandoglielo dalla parte del manico.
«Certo» le rispondi, facendole posto e dedicandoti a controllare gli involtini in forno.
Il suono ritmico dello strumento contro l'asse da cucina è qualcosa che riesce a rilassarti in modo indicibile, infatti senti scivolare via tutta la tensione della giornata.
«Hunk, hanno pubblicato sul sito della scuola i voti dell'ultimo esame» ti avvisa, con tono morbido. «Sei stato davvero bravo, tu e Katie siete coloro che hanno preso il secondo punteggio più alto».
Ti viene quasi da ridere istericamente e lo fai, perché temi la reazione della tua migliore amica, quando scoprirà di essere stata battuta.
«E quanto abbiamo preso?» domandi, chiedendoti anche se questa sarebbe stata la scena in casa Holt.
Se Colleen avesse detto a sua figlia di aver visto le valutazioni prima di lei, per poi aggiungere che non era stata la migliore, probabilmente sarebbe scoppiata l'ennesima discussione quotidiana, alla quale Sam e Matt avrebbero assistito in silenzio per non essere coinvolti.
«Novantanove centesimi» ti illumina tua madre, prima di depositare tutte le carote tagliate in una zuppiera. «Ma non ti preoccupare, solo uno è riuscito a prendere il cento percento».
Non devi nemmeno chiederglielo, perché lei ti afferra il polso e ti guarda con gli occhi che brillano di orgoglio, al che capisci.
«Lance?» chiedi e, non sai assolutamente perché, un largo sorriso di dipinge sul tuo volto.
Mandalai cerca di ricomporsi, invano, e ti stringe leggermente più forte il polso prima di annuire.
Tua madre ha sempre straveduto per i tutti e cinque i tuoi amici più cari, ma in particolare ha preso sotto la sua ala i due che ti sono più vicini come se fossero figli suoi.
È una donna dall'animo buono e comprensivo, non ha mai avuto nemmeno la più minima difficoltà a farsi strada attraverso le corazze di Pidge e Lance, esattamente come sei riuscito a fare tu.
È il superpotere di famiglia, forse.
«Sono così orgogliosa di tutti e due, tesoro. So che gli hai passato i tuoi appunti per aiutarlo a studiare e so quanto sia difficile per lui trovare il tempo e la forza» sospira, passandosi una ciocca di capelli disordinati dietro all'orecchio, dove non rimarranno. «Voi ragazzi state affrontando cose veramente astiose».
Tua madre era forse l'unica tra tutti i genitori del gruppo a sapere delle attività lavorative di Lance, non perché gliel'avesse detto qualcuno ma perché l'aveva capito da sola. Mandalai non era una donna dall'intelligenza fuori dalla norma, tuttavia capiva bene le persone e riusciva a intravedere l'origine di ciò che provavano senza difficoltà.
«Io e Aaron continuiamo a suggerirgli di chiedere aiuto a Lotor ma non ci dà retta» le dici, arricciando le labbra e spegnendo il forno.
La donna aggrotta le sopracciglia e scuote la testa.
«Quel ragazzo è testardo come pochi, se decide che non vuole coinvolgere nessuno nei suoi problemi, allora non lo farà» commenta, prima di rivolgerti uno sguardo affettuoso. «D'altronde siete tutti molto testardi».
Sollevi il mento infastidito ed estrai la teglia dal forno, chiudendo lo sportello con la mano libera.
«Io non sono testardo» borbotti, camminando in direzione del tavolo della cucina.
Tua madre ride di cuore, prendendo la zuppiera di carote e quella d'insalata posata a fianco.
«Oh, tesoro mio, è inutile negarlo» ti dice, avvicinandosi le lasciandoti un bacio sulla spalla. «Se decidi di aiutare qualcuno in difficoltà, nulla riuscirà a fermarti».
Così poggiate la cena sulla tovaglia e tua madre chiama a gran voce i tuoi fratelli.
Ti gratti distrattamente la nuca, leggermente avvilito perché sai che ha ragione. D'altronde anche la dottoressa Skye ha espresso lo stesso tipo di parere, anche se il suo è stato decisamente meno gratificante.
«Se non imparerai a pensare anche a te stesso, oltre agli altri, arriverà un momento in cui non riuscirai ad aiutare più nessuno. E a quel punto sarai ferito in modo irreparabile, così come tutte le persone a cui tieni».
Allison Skye avrebbe dovuto veramente imparare a essere più rassicurante.
Keith
Keith è imbarazzato da se stesso in modo indicibile.
La dottoressa Skye lo osserva con il suo tipico sguardo indecifrabile, che oggi sembra un po' incrinato rispetto al solito. Il ragazzo sente che se si impegnasse potrebbe scorgere un minimo di umanità dietro a quella crepa, ma non ha le capacità di farlo.
«Per cui adesso uscite insieme» dice con tono ponderato, come se si stesse sforzando di farsene fregare qualcosa.
Keith sa che ad Allison Skye non importa della loro vita sentimentale in quanto la donna stessa ha ammesso ciò più di una volta, ma sa anche che è necessario per il suo lavoro conoscere questi particolari.
Oltretutto ha il timore che la psicologa sia arrabbiata con lui, dato che ha saltato due sedute di fila.
«Tuttavia mi pare ovvio che tu abbia ancora delle remore, dovute comprensibilmente alla sua occupazione. Ma non è solo questo» continuò, spostando con un dito la spillatrice verso il computer. «C'è anche il tuo trauma da abbandono che ti spaventa, hai paura che lui se ne vada o che ti ferisca come tutti gli altri. E c'è il matrimonio di tuo fratello che ti ha scosso, poiché sei ancora arrabbiato con lui per ciò che ti ha fatto e per la morte di Adam. È tutto corretto fin'ora?»
Keith si morde il labbro inferiore, perché Allison è forse l'unica persona sulla Terra che riesca a metterlo in soggezione.
«Una cosa è sbagliata» dice. «Ho paura che Lance vada via ma non che mi faccia del male».
Tutto questo parlare di Lance lo sta destabilizzando non poco, perché non riesce a smettere di pensare a quanto fossero vicini in officina.
Ha visto tutto del suo volto, ogni lentiggine sbiadita, ogni pagliuzza verde nelle sue iridi oceano, ogni singolo cenno delle sue labbra morbide quando le sollevava verso l'alto per sorridergli.
Avrebbe potuto baciarlo o almeno provarci, perché era l'unica cosa che voleva.
Ma sa che non farà mai il primo passo, dato che quando si tratta di Lance lui riesce solo a pietrificarsi o a indietreggiare.
«Più che altro, ho paura di essere io a fargli del male» ammette, torcendosi le dita sotto la scrivania.
Allison si appoggia con i gomiti al mobile di compensato ed intreccia le mani davanti a sé, guardandolo con la testa piegata di lato.
«Sai cosa, Keith?» gli dice. «Ora ti svelerò un mistero che agli altri pensavo di svelare la prossima seduta».
Il ragazzo sbatte piano le palpebre sorpreso, mentre osserva la donna chinarsi per aprire un cassetto ed estrarne un taccuino pieno di post-it.
Allison lo sfoglia rapidamente sotto i suoi occhi incuriositi e quando sembra trovare la pagina che cercava, si ferma e solleva lo sguardo sul suo paziente.
«Come sapete tutti, vi faccio scrivere a ogni seduta una cosa qualsiasi, dicendovi che questo mi è da indicatore per capire se siete pronti psicologicamente a superare l'eventuale dipartita della signorina Altea. Ora ti dirò come faccio a dirlo, perché da questo momento non mi servirà più» comincia, abbassando di nuovo gli occhi sul taccuino. «Uno di voi scrive alla terza persona e al passato, uno alla seconda persona e al presente, uno alla seconda persona e al passato, uno alla prima persona e al passato, uno alla prima persona e al presente. Mentre tu, Keith, scrivi alla terza persona e al presente».
«Posso sapere che significa o vuoi tenerti l'informazione per te?» domanda il ragazzo, confuso.
La donna si massaggia l'attaccatura del naso e chiude il quadernino, prima di rivolgergli tutta la sua attenzione.
«È quello che mi è risultato difficile capire. In breve, sarete pronti quando scriverete di voi stessi in prima persona e al presente senza doverci pensare nemmeno. Ma non è questo quello di cui ti volevo parlare» spiega, rapidamente. «Ognuno dei vostri modi di scrivere dice qualcosa di importante. Il tuo, per esempio, dovrebbe stare a significare che vivi nel presente, ma non riesci a identificarti con te stesso o non sei fiero di quello che sei, per cui scegli di esternarti dal tuo io» continua, facendo un gesto circolare con le dita che chissà cosa vuol dire. «Ma questa è la cosa meno vera che potesse saltare fuori dal test. Tu non ti esterni a te stesso perché riconosci i tuoi sbagli in modo corretto e sai di poterti migliorare, per cui ti accetti, alla fin fine. Ma sei radicato drasticamente nel passato, per cui ti è difficile affrontare i cambiamenti della tua vita, soprattutto quelli su cui non hai alcun controllo».
Ciò che mette Keith in soggezione, di Allison, è come possa entrare così in profondità nella sua testa senza nemmeno sforzarsi eccessivamente. E soprattutto il fatto che potrebbe ascoltarla parlare per ore senza stancarsi, quasi come incantato dal suo potere.
Tuttavia è anche per i modo in cui parla che riesce a catturare la sua attenzione, perché sembra che stia raccontando una storia qualsiasi, con pause di suspense che lo tengono con il fiato sospeso.
È per questo che non è arrivata subito al punto ma ha fatto quel lungo preambolo, perché sa come attirare l'attenzione del suo paziente.
«La tua scrittura parla di te, è vero, ma indirettamente. Perché il tuo punto di vista descrive Lance» conclude, con un che di vittorioso quando vede Keith schiudere la bocca confuso e sorpreso. «Inconsciamente mi parli di Lance dalla prima seduta che abbiamo fatto, Keith, e sai cosa vuol dire? Che lui ti ha segnato molto più di quelli che credi. È una parte di te, ormai, e l'unica cosa che puoi fare, per non fargli del male, è accettarlo».
Il corvino rimane in silenzio per qualche secondo e la dottoressa ne approfitta per lanciare uno sguardo all'orologio.
Il ragazzo non riesce a capacitarsi di quello che ha appena sentito: il suo inconscio parla di Lance da un anno senza che lui se ne fosse accorto? Allison Skye sapeva della sua cotta colossale per il cubano mesi prima che lui la rendesse partecipe?
A questo punto, in realtà, si sta chiedendo se si tratta davvero di una semplice cotta. Le semplici cotte non ti segnano a tal punto che tutta la tua psiche parla solo di loro, no?
«È stato... Okay. Wow» dice finalmente il ragazzo, suscitando un sorriso sincero alla donna.
Keith capisce che deve essere davvero molto stanca se si lascia andare in espressioni non controllate.
«Credo che tu e Rachel McClain siate i miei più grandi fan» osserva, divertita. «A volte questo lavoro riesce persino a gratificarmi».
Shiro
"Sei sicuro che ci
abbia messo sopra
le mani Katie?"
"Beh, probabilmente
sarà stato un altro
dei miei miliardi di
fratelli genio, hai
ragione"
Mattttttttthew
"Oh wow, sarcasmo,
molto maturo"
"La tua faccia è
poco matura"
Mattttttttthew
"Non mi stai facendo
sembrare nel torto,
sai?"
"Solo perché sei
più maturo di me
non significa
affatto che tu sia
più maturo di me"
Mattttttttthew
"Io-
Sì
Hai ragione
Non fa una piega"
"In ogni caso, se
Katie è riuscita a
disattivare la tua
USB, allora è
riuscita anche a
entrare nel sistema
del tuo computer"
"Credi che sappia di
Zarkon e dell'anno
sabbatico?"
Mattttttttthew
"Tuo padre non ti
aveva detto di non
chiamarlo 'anno
sabbatico'?"
"Beh, ma tu non sei
mio padre"
Mattttttttthew
"..."
"Ma Matt"
"Io /sono/ tuo padre"
" :0 "
Mattttttttthew
"Non ci credo che tu
l'abbia detto davvero"
Mattttttttthew
"Non sottovalutare il
mio potere"
"E nemmeno quello
di tua sorella perché,
per rispondere alla tua
domanda, sono piuttosto
sicuro che lei sappia
già o che sia molto vicina
a scoprire tutto"
"Maledizione al genio
ereditario degli Holt"
Mattttttttthew
"A parte gli scherzi, la
terresti d'occhio?
L'ultima cosa che voglio
è che si cacci in situazioni
troppo pericolose per
lei"
"Credi che io lo voglia?
Non la perderò di vista
un secondo"
Mattttttttthew
"..."
Mattttttttthew
"A partire dal momento
in cui l'avrò trovata,
perché in questo istante
non so dove sia"
Mattttttttthew
"Moriremo tutti"
Percepisti il peso di un corpo familiare gettarsi nella zona di letto accanto alla tua, con un sospiro esausto.
Ti lasciasti scappare un sorriso ed appoggiasti il telefono sul comodino voltandoti verso il tuo fidanzato, che aveva affondato la faccia tra il tuo cuscino e la tua maglietta.
«Brutta giornata?» chiedesti, accarezzandogli i capelli corti.
Curtis si lasciò andare in un lamento sconfortato, annuendo.
«Un contrabbandiere che inseguo da otto mesi era in città, ma non siamo riusciti a catturarlo. Hanno sparato a uno dei miei, Kevin, che ora non fa che fare battute orribili sul suo buco nella gamba» mugugnò, la sua voce attutita dalla stoffa che copriva il suo volto. «E prima che tornassi a casa la macchinetta del caffè mi ha vomitato sulla divisa».
Rimanesti in silenzio, ovviamente dispiaciuto e preoccupato come sempre, ma sorridendogli anche se non ti stava guardando.
Era sempre qualcosa di stupendo quando tornava a casa e riuscivi a sentirlo vicino a te.
Curtis sollevò improvvisamente il volto verso di te e potesti vedere una scintilla nei suoi occhi azzurri, anche se la sua espressione era seria.
«Takashi» ti chiamò, la voce leggermente impastata di stanchezza. «Posso prendere il tuo cognome?»
Sbattesti rapidamente le palpebre stupito, poiché nessuno dei due aveva ancora parlato dell'argomento.
«Cosa?» domandasti, prima di riprenderti e formulare pensieri sensati. «Perché?»
Il castano ti prese dolcemente le mani tra le sue, abbassando lo sguardo su di esse e mordendosi le labbra.
«Non lo so, so solo che Detective Shirogane suona molto meglio di Detective Evans» mormorò, cominciando a giocherellare con le tue dita.
Gli sorridesti anche se non poteva vederti, intenerito. «Curtis?»
L'uomo nascose la faccia tra le tue mani, impedendoti di guardarlo.
«Se te lo dicessi tu mi risponderesti che non è necessario e che non fai nulla di importante» borbottò, scaldandoti le mani con il suo respiro. «Ma io vorrei davvero tanto questa cosa, sul serio».
«Okay, sai cosa ti dico? Ti prometto che potrai prendere il mio orribile cognome» gli dicesti, sfilando una mano dalla sua presa e puntellandogli un dito contro la fronte. «Però devi dirmi il motivo».
Il tuo fidanzato sollevò la testa e studiò attentamente la tua espressione per qualche secondo, come se stesse cercando di capire se avresti mantenuto la parola oppure no. Diciamo pure che era davvero bravo a capire quando la gente mentiva, anche per questo era uno dei migliori detective del suo dipartimento.
Improvvisamente si tirò su a sedere a gambe incrociate, proprio davanti a te.
Anche tu lo imitasti, sfilandoti da sotto le coperte e sedendoti sul cuscino, più che incuriosito dalla situazione.
«Oggi la moglie di Kevin ci ha raggiunto in ospedale, non appena ha saputo cosa era successo» ti confidò, senza lasciare la mano che ancora ti stringeva. «Non ti spiegherò tutti i particolari, insomma, era un agglomerato di lacrime, strilli e risentimento. Ha minacciato Kevin di lasciarlo, se lui non avesse smesso di mettersi in pericolo, e quando lui le ha risposto che quello era il nostro lavoro lei ha replicato che allora avrebbe dovuto cercarsene un altro» proseguì, continuando a guardarti con i suoi occhi color del ghiaccio. «Probabilmente ne parleranno a casa e risolveranno la faccenda per il meglio, ma non è questo il punto. Il punto è che tu sei la persona migliore che potessi trovare, sai? Mi hai sempre sostenuto in qualsiasi cosa scegliessi di fare e mi hai sempre consigliato, senza cedere a crisi di nervi nonostante ti ho spaventato più di una volta. Se ripensiamo a quello che è successo a luglio...»
Sentivi di avere il cuore gonfio fino a scoppiare e facevi fatica a pensare di parlare, ma sollevasti comunque la mano per fermarlo. «Non ho nessuna intenzione di parlare di quello che è successo a luglio, ho perso tutti gli anni di vita che mi restavano».
Curtis ridacchiò quasi nervosamente, scuotendo la testa.
«Sì, lo so, me lo merito. Quello che voglio dire è che ti amo, Takashi» dichiarò, rivolgendoti uno dei più luminosi sorrisi che abbia mai fatto. «Ti amo in modo imbarazzante, lo sai? Sono davvero orgoglioso di stare con te e che tu abbia acconsentito a sposarmi, sentirmi chiamare con il tuo cognome sarebbe probabilmente la cosa più bella che potrebbe succedermi».
Per qualche secondo rimanesti a bocca aperta, con gli occhi che leggermente pizzicavano, come se dovessi metterti a piangere.
Deglutisti a fatica.
«Tecnicamente mi sono proposto io» fu tutto quello che riuscisti a dire.
L'uomo davanti a te sbatté le palpebre allibito, prima di fare una smorfia disgustata e fare il gesto di alzarsi e andare via.
«Sai che ti dico, tieniti pure il tuo cognome, io vado a sposare Kevin» disse. «Almeno lui non ucciderebbe tutti i miei tentativi di essere vagamente romantico».
Ti mettesti a ridere e lo tirasti per il braccio verso di te, godendoti il cipiglio offeso che decorava il suo viso.
«No, ti prego, sai che non potrei mai competere con Kevin» gli dicesti quando fu a pochi centimetri da te. «Puoi prendere il mio cognome se ti fa felice, ma io prenderò il tuo».
«Non credo funzioni così, Takashi» sussurrò, addolcendo visibilmente la sua espressione.
Gli rivolgesti un sorriso ancora più grande di quello che ti aveva fatto lui. «Lo so, ma non importa. Sei la cosa più importante della mia vita».
L'uomo trasalì portandosi una mano al petto. «Non farti sentire da Matt».
Ridesti di nuovo ed annullasti la distanza tra di voi, appoggiando le tue labbra su quelle di lui, che rispose immediatamente al gesto.
Si allungò sempre di più verso di te fino a finirti sopra, mentre tu giacevi sulle morbide coperte e tenevi le mani sulle sue guance.
Si staccò da te con una luce negli occhi che riusciva a illuminare anche te, sollevandosi sugli avambracci.
«Ora vado a farmi una doccia, perché credo di avere ancora del sangue di Kevin addosso, ma sappia che stanotte lei non dormirà, professore» ti avvisò, facendo collidere ancora una volta le vostre labbra.
Si alzò dal letto e tu lo guardasti andare via, sospirando di... non sapevi nemmeno tu bene cosa.
D'un tratto percepisti una presenza sulla soglia e ti voltasti, vedendo la figura di Adam appoggiata allo stipite della porta.
«Molto bello, davvero» commentò con una smorfia di fastidio.
Ti alzasti a sedere e facesti per dire qualcosa, ma le parole non uscirono dalla tua bocca.
Adam ti liquidò un gesto della mano e sollevò gli occhi al cielo, storcendo le labbra.
«Non dire niente, ti prego» ti ordinò, dandoti le spalle. «Farebbe solo più male».
E scomparve, lasciandoti con un macigno al posto del cuore.
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