[5] Don't you dare forget the sun
/1 anno prima/
«Non dovremmo nemmeno stare qui a discuterne» borbottò Pidge, nascondendo gli occhi dietro al palmo di una mano.
«Invece dobbiamo, dato che non sappiamo cosa fare» fu la risposta di Hunk, mentre si mordeva l'interno della guancia.
Alzò lo sguardo verso il ragazzo appoggiato con la schiena al muro davanti a loro, che batteva a terra il piede. «Grazie Aaron».
Quello parve sorpreso nel sentire la sua voce rivolta a lui e con un attimo di esitazione gli sorrise di rimando.
«Figurati, immaginavo foste voi due quelli da chiamare» replicò, toccandosi con una mano i capelli biondi. «Lance almeno ha sempre detto che avrebbe voluto che chiamassi voi, in una situazione come questa».
«Perché».
La voce della castana era irritata, palesemente, ma era anche leggermente spezzata. «Perché non ce l'ha detto?»
Si sentiva spaesata e troppo esposta, così tornò a coprirsi gli occhi con le dita in modo da non dover guardare nessuno.
Hunk lo notò e le posò una mano sulla spalla, poiché era da un po' di giorni che si comportava così e lui voleva essere d'aiuto, in qualche modo.
«Voleva proteggervi... Pidge?» rispose il ragazzo dai capelli biondi, un biondo palesemente tinto ma pur sempre biondo.
«Katie» specificò la ragazza e ad Aaron andò bene così. «Comunque sono tutte stronzate».
«Lui si preoccupava per noi, ma alla fine chi è che è andato all'ospedale?» domandò il ragazzo dalla larga felpa gialla.
C'è qualche istante di silenzio in cui i tre non si rivolsero la parola e pensarono di aver fallito.
Pidge si diceva che avrebbe dovuto capirlo, che quel suo cervello enorme avrebbe dovuto servire a qualcosa di più dell'immagazzinare informazioni ed applicare le sue conoscenze in esami su esami. Avrebbe dovuto conoscere il suo migliore amico e avrebbe dovuto essere abbastanza intelligente da riconoscere i segnali.
Hunk pensava a quanto avesse dovuto soffrire Lance, da solo in quello schifo mentre lui, il suo migliore, non aveva idea di cosa stesse passando. Era convinto che passasse le notti con persone ogni volta diverse per sopperire alla mancanza di qualcosa, è vero, ma non immaginava che...
Aaron, invece, avrebbe voluto urlare.
Avrebbe voluto urlare che era colpa sua, che era lui che sapeva in che situazione si trovava il cubano ed era una sua responsabilità proteggerlo.
Invece era andato via, credendo di fare il suo bene per poi farlo finire quasi ammazzato.
Non si sarebbe mai più allontanato dal suo amico, mai, che si fottesse Dosia e l'etica comune.
«Mi dispiace» disse Aaron, stringendosi nel giubbino.
Hunk gli rivolse uno sguardo comprensivo e un debole sorriso, perché era nella sua natura perdonare le persone.
Pidge, d'altro canto, non poteva essere arrabbiata con un'altra persona ancora, non quella settimana. Così alzò le spalle togliendo per qualche secondo la mano davanti agli occhi per guardarlo. «Lo sappiamo».
Così il ragazzo si lasciò cadere sulla poltroncina della sala d'aspetto, sospirando.
Si frugò nella tasca destra del giubbotto da aviatore (giubbotto che era un regalo di Lance, oltretutto) ed estrasse un paio di occhiali da sole, lì dall'inizio di ottobre.
Allungò l'oggetto alla ragazza, che lo soppesò accuratamente e con sospetto prima di afferrarlo e ringraziarlo con una rapida occhiata.
Lance
«Vera-» cercai di calmarla, mentre Rachel mi rivolgeva uno sguardo di puro terrore.
«Non osare interrompermi, Lance» mi fulminò, sollevando per un secondo gli occhi da nostra sorella.
Indietreggiai con le mani in alto e mi diressi verso Keith, visibilmente in imbarazzo sul divano.
«¿En qué estabas pensando?» sibilò Veronica in direzione di Rachel, cominciando a gesticolare freneticamente.
Cautamente feci segno al mio amico di seguirmi in camera, dove non avrebbe dovuto assistere alla scenetta.
Che Veronica si comportasse con noi un po' da seconda mamma era vero, soprattutto perché non appena papà era stato cacciato di casa tutti avevamo avuto bisogno di aiuto, ma a volte faceva più paura dell'originale.
Nostra madre era una donna di media statura e dall'aspetto morbido e rotondo, sul viso sempre quel sorriso materno che segnalava orgoglio per ogni cosa che facevamo. Tuttavia, quando si arrabbiava sembrava che Dio in persona avesse deciso di punirci con il peggior flagello che gli fosse venuto in mente, secondo solo alla furia omicida della secondogenita.
«Acxa mi ha scritto che è arrivata, mi aspetta fuori» disse Keith, sedendosi sul letto per mettersi le scarpe.
Chiusi la porta alle nostre spalle per non dover sentire le imprecazioni in spagnolo delle mie sorelle, le quali non avevano esattamente il linguaggio più pulito della famiglia.
«Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere» dissi, premendomi il pollice sulle labbra. «Vera sa essere un po' brutale».
In risposta alle mie parole alzò un angolo della bocca, dolcemente. «Non dispiacerti, anche Shiro faceva così con me».
Abbassò lo sguardo quasi subito, come se avesse pronunciato il nome di un fantasma.
Mi grattai delicatamente dietro alla nuca, solo per il gesto. «Non avercela con lui, cowboy, okay?»
Lui finì di allacciarsi le scarpe e si strinse nelle spalle, alzandosi in piedi.
Sospirando aprii la porta ed uscimmo dalla mia stanza, per poter notare che le mie sorelle in procinto di andarsene erano bloccate in un abbraccio a piovra.
Mi scappò un sorriso quando Vera diede un bacio sulla fronte a Rachel. «Mi farai morire, razza di incubo ambulante».
Non appena mi videro stare in piedi davanti a loro mi invitarono silenziosamente nell'abbraccio, scostandosi per farmi un po' di spazio.
La mia gemella affondò la testa nella mia spalla e mi strinse la mano di nascosto. «Grazie, Lance».
Ci scostammo sotto lo sguardo confuso e imbarazzato di Keith, al che le due mi salutarono con un pugno sul braccio -delicate, le fanciulle- ed uscirono dalla porta, lasciandola aperta per il ragazzo che teneva già il giubbino in mano.
«È stato...» tentò, bloccandosi come se cercasse le parole giuste. «Strano».
Allargai le braccia, come a sottolineare l'ovvio. Non che avessi mai avuto dubbi a riguardo.
Mi spostai di lato aggrappandomi allo stipite della porta per permettere al ragazzo di passare e uscire, cosa che fece per poi fermarsi davanti a me.
Si grattò la testa ancora più in imbarazzo, per nulla abituato a questo genere di dinamiche.
«Grazie per oggi, davvero» disse, piano. «E mi dispiace per aver litigato».
Gli rivolsi un sorriso largo, stupidamente. «Come se non avessimo mai litigato prima d'ora».
Specchiò la mia espressione quasi automaticamente, facendomi a stento sopravvivere.
Perché a nessun essere umano dovrebbe essere permesso vederlo in questi momenti di estrema dolcezza, dove mi viene quasi da ringraziare il cielo per aver assistito al miracolo che era il suo sorriso.
Stavo reagendo troppo drammaticamente? Può darsi, ma era così che stavano le cose.
Lo osservai rivolgermi un cenno di saluto prima di potersi girare, così presi una decisione.
No, detta così mi fa sembrare una persona determinata e senza timore. La verità è che la mia coscienza, che per qualche motivo ha la voce della dottoressa Skye, cominciò a gridarmi contro cose più o meno carine su quanto mi stessi comportando da vigliacco. La nostra terapista aveva ragione e lo sapevo: anche se si trattava solo di una cotta dovevo comunque affrontarla.
Allungai una mano in avanti, senza sfiorarlo neppure e chiamai il suo nome prima di potermi fermare. «Keith».
Quello si voltò verso di me leggermente confuso ed io mi trovai a dover ritrarre il braccio, per poi portare il pollice al mio labbro inferiore.
Lo squadrai in tutta la sua figura, partendo dagli anfibi che si stringevano attorno ai pantaloni strappati, proseguendo verso l'alto e scivolando sulla sua maglietta rossa un po' troppo stretta.
Quando arrivai alla pelle chiara del suo viso dovetti trattenermi dal lasciarmi sfuggire un sospiro, mentre quello stringeva le labbra in attesa.
«Mi chiedevo se...» cominciai, schiarendomi la voce. «Se domani dopo la sessione ti andasse di accompagnarmi a mangiare qualcosa. Senza Pidge e Hunk».
Una delle cose belle di Keith era che lui aveva queste ciglia lunghe e scure, così tutte le volte che sbatteva le palpebre stranito come in quel momento riusciva a farmi perdere un battito.
Lance, per l'amor di Dio, riprenditi.
«Noi due?» domandò, dando l'impressione di non essere sicuro di aver sentito bene. «Senza Pidge e Hunk?»
Mi aggrappai con più forza allo stipite della porta, perché le mie gambe stavano decisamente per cedere. «Già. Ma capisco se non vuoi, eh, non è che sei obbligato a-»
«No, io- non dicevo questo» si affrettò a chiarire, le guance che cominciavano a tendere a un colorito scarlatto.
Si infilò le mani in tasca ed abbassò lo sguardo imbarazzato, con le gote talmente rosse che si potrebbe pensare stesse cercando di confondersi con la sua maglietta. E stavo morendo di imbarazzo anche io, questo è vero, ma non potei trattenere il sorriso che si disegnò sul mio volto nel guardarlo così.
«Per me è okay» rispose quindi, mordendosi il labbro inferiore. «È molto più che okay».
Non riuscii a impedire che il mio sorriso si allargasse, quando decise di guardarmi di nuovo. «Davvero? Ne sei assolutamente sicuro?»
Dio santo, Lance, piantala.
Il corvino annuì e rimanemmo a guardarci senza dire niente per qualche secondo, non perché eravamo in imbarazzo quanto piuttosto perché... Non lo so. Non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, non potevo.
Si schiarì la voce e fece un passo indietro, indicando l'ascensore con il pollice. «Io- okay. Io vado».
Nel muovere un secondo passo finì per urtare il portaombrelli di ceramica del signor Carter, dell'appartamento di fronte, e dopo avergli lanciato un'occhiata piena di panico lo afferrò con entrambe le mani prima che cadesse rovinosamente.
Più continuavo a guardarlo più il sorriso sulla mia faccia sfuggiva al mio controllo e probabilmente in quel momento sembravo un idiota, nonostante fosse lui che si allontanava camminando all'indietro tenendo le mani in avanti come per sostenere l'oggetto a distanza.
Alla fine raggiunse le porte metalliche dell'ascensore e ci si fiondò dentro, premendo il pulsante immediatamente prima di fare altri danni.
Ci scambiammo un ultimo sguardo prima che i pannelli a specchio si chiudessero davanti a lui e fui benedetto con la visione delle sue guance ancora arrossate che accompagnavano un sorriso morbido.
Rimasi immobile ancora per qualche secondo dopo che se ne fu andato, prima di realizzare quello che avevo appena fatto.
Ho appena chiesto a Keith Kogane di uscire.
Mi coprii la bocca con una mano e cominciai a ridere istericamente, con il cuore che batteva all'impazzata come un adolescente in preda alla sua prima cotta.
Le mie gambe quasi tremavano dal nervosismo, così mi aggrappai alla maniglia e chiusi la porta alle mie spalle, lasciandomi cadere seduto sul pavimento mentre continuavo a ridere come un idiota.
Sapevo di essere un idiota.
Ma avevo anche un appuntamento con Keith Kogane.
/1 anno prima/
Lotor si sentiva poco al sicuro in quella stanza, come se chiunque potesse attentare alla sua vita da un momento all'altro.
A essere precisi era solo una persona di cui si preoccupava, ovvero il ventunenne dai capelli neri che se ne stava appoggiato con la schiena al muro lanciandogli occhiate di fuoco ogni tanto. All'inizio era stato infastidito all'idea che da più di un anno Allura vivesse nello stesso appartamento con un ragazzo, ma una volta capito che lei non era esattamente il suo tipo, aveva fatto cessare ogni ostilità.
Tuttavia la cosa non valeva di certo anche per Keith.
«Lotor, sto bene» gli disse la ragazza. «Non sei costretto a stare qui se hai altro da fare».
Il ragazzo si sedette nello spazio accanto a lei che la castana aveva lasciato sul divano. «Posso andarmene se non mi vuoi».
Allura arrossì ed arricciò le labbra.
«No, non sto dicendo questo» si decise a dire, piano. «Ma magari avevi qualcosa di più importante a cui pensare...»
Lotor le prese entrambe le mani con le sue, che tremavano un po', ma pazienza.
«Cosa può esserci di più importante di te?» domandò, rivolgendole un sorriso morbido.
Aveva quasi sussurrato in modo da non essere udito, ma Keith alzò gli occhi al cielo dall'altra parte della stanza, ovviamente senza essere notato dai due innamorati.
Stavano insieme da poco più di due mesi ormai, non si erano ancora detti il fatidico 'ti amo' (passo fondamentale, a detta di Hunk e Shiro) eppure quando erano tornati dall'ospedale con la brutta notizia il ragazzo non era scappato.
Avrebbe potuto tirarsene fuori, lo sapevano tutti e tre, non erano mica sposati. Invece aveva scelto di restare e per quanto il corvino lo trovasse confortante per Allura, gli faceva venire un leggero senso di nausea il loro amoreggiare.
Controllò il cellulare ancora una volta, in attesa di una risposta da Pidge, Hunk e Lance. Dove diavolo si erano cacciati?
Avevano promesso che sarebbero stati vicino alla loro amica, soprattutto dopo lo stordimento iniziale nell'apprendere la notizia, e invece...
Lo schermo si illuminò e vide apparire il messaggio da parte dell'amico.
"Scusa amico, siamo
bloccati e non
possiamo venire".
That-sweet-one
Leggere parole simili da Hunk infastidì Keith fuori misura.
Cosa aveva potuto trattenerli da non poter stare accanto ad Allura?
"Okay, bloccati,
ma qui c'è Allura
sul divano e nella
stessa stanza ci
siamo solo io e
Lotor".
"Che cosa vi
trattiene di così
importante?"
"Lance".
That-sweet-one
Oh, ma certo, pensò, Lance non sa mai quando cazzo è il momento di non mettersi al centro dell'attenzione.
Se all'inizio i due avevano accettato di starsi attorno a vicenda era solo per i loro amici in comune, poiché dire che non si sopportavano era poco. La loro rivalità infantile (Keith sapeva che lo era, ma non era stato lui a cominciare, per cui) li spingeva a litigare per ogni minimo particolare, tuttavia nel corso del tempo avevano cominciato ad accettarsi di propria spontanea volontà. Eppure, anche se ormai poteva chiamare Lance 'amico', alcuni suoi comportamenti lo facevano uscire di testa.
"Siamo in ospedale".
That-sweet-one
Aspetta, cosa?!
"Dove?"
"Non ti preoccupare
Keith, se preferisci
stare con Allura
puoi passare più tardi".
That-sweet-one
"HUNK, DOVE?".
Perché gli importava? Perché mentre la sua migliore amica sedeva a pochi metri da lui il suo cuore sembrava volersi frantumare sotto questa nuova preoccupazione?
Strinse forte i denti, sorprendendosi dei propri pensieri.
Fa che stia bene, pensava trattenendo il fiato, Ti prego, fa che quel coglione non si sia fatto nulla di grave.
“Lo hanno spostato dal pronto soccorso e ora è in traumatologia”.
That-sweet-one
Leggere il messaggio di Hunk fu come ricevere il permesso di cominciare a respirare.
Ma se Keith avesse saputo che da quel giorno non avrebbe potuto smettere un secondo di pensare al cubano, forse non sarebbe scappato via senza spiegazioni per raggiungere l'ospedale il prima possibile.
Shiro
Non ricordavi che potesse essere così imbarazzante fare terapia con uno psicologo, ma forse è solo la tua terapista che è fuori dal comune.
Allison ti guardava in attesa che rispondessi alla sua domanda, cosa che avresti preferito mille volte non fare.
«Non bene» ammettesti e l'uomo accanto a te fece un suono strano con la bocca, come se fosse divertito dalle tue parole.
Ed effettivamente avresti dovuto ammettere anche che era un eufemismo, perché dire che Keith non aveva reagito bene alla notizia era come dire che l'oceano era solo una pozzanghera di acqua salata.
Allison storse la bocca, in disappunto. «Immagino. Quel ragazzo è veramente tanto arrabbiato in generale, figuriamoci se arrivate a dargli un motivo per esserlo».
«Una volta ha picchiato il tostapane con una chiave inglese solo perché bruciacchiava troppo i toast» ricordò distrattamente il castano, al che tu ti dovesti trattenere dal reagire in qualsiasi modo.
Perché avevi bisogno di quella riabilitazione, di quel maledetto pezzo di carta, perché non potevi permettere che Curtis si prendesse il peso di una persona nelle tue condizioni.
«In più, Takashi, devi veramente smetterla di forzare la terapia. Se lasci che succeda quello che deve succedere potrai andare avanti, e se andrai avanti tu sono sicura che anche per tuo fratello sarà più facile» aggiunse la donna, restituendoti quel foglio che avevi tanto temuto di riempire fino a qualche minuto prima.
«Non sto forzando la terapia» mentisti, forse perché sapevi che ne avevi bisogno, forse perché volevi convincere anche te stesso.
Ti arrivò una gomitata nelle costole e senza riuscire a impedirlo alzasti gli occhi al cielo, anche se poteva sembrare che fossi rivolto alla donna davanti a te.
«Smettila di dire stronzate, Takashi, se così fosse non sarei qui» sibilò l'uomo. «Una volta sono comparso mentre tu e Curtis stavate per-».
«Adam» lo richiamò Allison, lanciandogli un'occhiataccia.
Quello le rivolse un sorriso di lato, accavallando le gambe. «Ti dà fastidio non sentire quello che dico, Ally?»
«Lo sai che detesto quando dici cose imbarazzanti che io non posso sentire» disse appunto, sorridendoti calorosamente. «Anche a me piacerebbe prendere in giro Takashi, ma la mia figura professionale mi impedisce di farlo».
Ti lasciasti andare in un sospiro e ti strofinasti la faccia con la mano buona, consapevole che la donna poteva capire cosa diceva Adam solo dalle tue reazioni. E non era difficile intuire che il tuo ragazzo morto ti stesse prendendo in giro quando le tue guance erano diventate bordeaux.
«Vi detesto» dicesti, piano, sotto lo sguardo affettuoso di lei e quello malinconico di lui. «Anzi, no, detesto solo lei, dottoressa Skye, e detesto me stesso. Perché lui non è reale».
«Per te lo è, Takashi. Prima impari a convivere con questa parte di te, prima potrai lasciarlo andare» replicò con semplicità, nel tentativo di rendere il concetto il più chiaro possibile.
Ma tu ne avevi abbastanza di aspettare che se ne andasse, ne avevi abbastanza di stare fermo e guardare impotente il primo amore della tua vita continuare ad esistere solo nella tua testa. Ne avevi abbastanza perché c'era un secondo amore, finalmente, ed era tutto fuorché giusto stare con lui quando il tuo ex era ventiquattr'ore su ventiquattro nei tuoi pensieri.
«Io ci ho già provato a lasciarlo andare! L'ho dovuto lasciar andare, Skye, perché è morto sei anni fa» sbottasti. «Curtis non merita di avere qualcuno nella sua vita che pensa a tutta un'altra persona. E soprattutto io merito quella riabilitazione, perché non posso tornare in laboratorio senza!»
Percepisti Adam emettere un lieve rumore nasale, come faceva ogni volta che stava per giudicare qualcuno. E Dio solo sa quanto a quel suo fondoschiena snob piacesse criticare chiunque gli stesse intorno.
«Ma certo, è ovvio che si tratta di te, Takashi. Dopotutto non finisci sempre per fare solo quello che fa comodo a te?» sibilò, con astio. «Adesso anche Curtis è solo una scusa? Hai intenzione di usarlo come hai usato Keith? Come hai usato me?»
E fu in quel momento che perdesti il controllo, lasciando vincere lui e tutta quella parte di te che voleva costringerti a non andare avanti.
Ti voltasti verso di lui, verso quella sedia che razionalmente sapevi essere vuota ma che dentro di te credevi che non lo fosse.
«Io non ho mai usato Keith o i suoi problemi per nascondere i miei, non puoi nemmeno provare ad accusarmi di questo! È mio fratello» gridasti, perché dei due eri sempre stato tu la testa calda. «E non ho mai usato te, Adam. Avrei fatto di tutto per renderti felice».
Il fantasma si era alzato di scatto, sdegnoso come non lo era mai stato nemmeno in vita.
«Mi hai lasciato!» ti sputò in faccia con una tale rabbia e un tale rancore da fare paura. «Mi hai abbandonato subito dopo che avevamo deciso di sposarci. È questo il tuo concetto di rendere felice una persona?»
«Io non volevo lasciarvi, te o tantomeno Keith, ma ho dovuto. Se non l'avessi fatto...»
Ti bloccasti soffocando un singhiozzo con il palmo della mano, rendendoti conto di quello che stavi per fare, delle vite che stavi per mettere in pericolo una seconda volta.
Lentamente ti girasti verso Allison, la quale ti guardava ad occhi spalancati, come se avesse improvvisamente capito qualcosa.
«Takashi» ti chiamò infatti, mentre tu già cominciavi a sentire freddo. «Hai capito cosa sta succedendo, vero?»
Deglutisti pesantemente ed evitasti di risponderle, sperando che qualsiasi cosa stesse per dire fosse una completa assurdità.
Si aggiustò la crocchia scompigliata quasi per abitudine, prima di introdurre le sue parole con un gesto delle dita.
«Credevo che Adam fosse la proiezione del tuo inconscio che ti incolpava per la sua morte e per aver lasciato lui e tuo fratello. Ma ora...» si sporse verso di te, con quanta più dolcezza e maternità ti avesse mai concesso, anche se aveva solo una decina d'anni in più. «...Shiro, quella parte di te vuole costringerti ad ammettere il motivo per cui eri scappato, e a sentirla non mi pare si trattasse di semplice paura del matrimonio».
Il tuo respiro tremò e non capisti esattamente cosa sarebbe stato giusto fare in un momento simile, perché non credevi che ci saresti arrivato a un momento simile: una via di fuga, un'uscita di sicurezza, un salvagente che ti veniva caritatevolmente gettato da chissà chi o che cosa.
Ma avevi paura, la stessa paura che ti aveva spinto a tornare quando avresti dovuto lasciarti tutto alle spalle, e sapevi che gestirla sarebbe stato difficile.
«Skye» dicesti, il tono di voce sensibilmente più calmo nonostante la pelle d'oca. «Se glielo dicessi potrei salvare delle vite, come quella di tutti gli Holt e di Lance. Ma facendolo metterei in pericolo la sua».
La terapista boccheggiò per qualche secondo in preda alla sorpresa, emozione che non si riusciva a suscitare spesso in lei. Tentò di riprendere il controllo di sé ed unì le mani sulla scrivania, osservandoti con apprensione e determinazione.
«Forse è un rischio necessario» rispose, mettendosi in ascolto.
Prendesti un respiro profondo, non ben sicuro di come cominciare: dopotutto non credevi che avresti raccontato questa storia a qualcuno.
«Sette anni fa, Adam mi fece l'importante proposta: avevamo appena venticinque anni, eravamo freschi di laurea e decisi a prenderci cura di Keith insieme, per togliere un pensiero ai nostri genitori. Era diventato un insopportabile ribelle all'epoca». Dovesti reprimere un sorriso per non lasciarti distrarre da certi ricordi nostalgici. «Ma in quello stesso periodo io e Sam Holt, con l'aiuto di suo figlio, facemmo una scoperta che ci avrebbe costretto ad andarcene e lasciare le nostre famiglie. Non credo lo sappia, ma durante il mio anno di sparizione Matt e Sam Holt partirono per un “viaggio di ricerca” della stessa durata».
«Katie non l'aveva mai accennato durante le sedute...» osservò piano la donna, mordendosi un labbro.
Tu sorridesti di lato, comprensivo. La ragazzina sapeva essere egregiamente evasiva quando voleva.
«Sospetto che non ne abbia parlato perché aveva deciso di scoprire la verità e credo anche sia per questo che da un po' di tempo non riusciva a rivolgermi lo sguardo: ha scoperto qualcosa di grosso e questo l'ha spaventata» le rivelasti, prima di spiegarti meglio per non lasciarla nell'ombra. «Le attrezzature della Garrison erano sempre state sponsorizzate dalle Altea Industries, ma quell'anno avevamo cambiato fornitore per questioni di convenienza. La Galra Enterprise offriva materiali della stessa qualità a un prezzo notevolmente ridotto, perciò il risparmio dell'università sarebbe stato notevole se ci fossimo convertiti alla cosiddetta tecnologia Daibazaal».
Facesti una smorfia prima di proseguire. «I miei genitori sono del Giappone e mi avevano sempre raccontato che i miei nonni li spaventavano con minacce della serie, se non ti comporterai adeguatamente ti manderò a lavorare in fabbrica per sempre. E quando venni a sapere che queste minacce non erano reali in un luogo lontanissimo, ma qui, mi venne letteralmente da vomitare» raccontasti con una leggera esitazione. «Eravamo insospettiti da alcune attrezzature del mio nuovo laboratorio di astrofisica, dato che sembravano progetti realizzati da alcuni vecchi amici di Sam che erano scomparsi da tempo. Non le racconterò come ci introducemmo nella sede centrale della Galra Industries, non sarebbe utile se saltasse fuori con le autorità, ma le assicuro che erano tutti lì: scienziati ed ingegneri rapiti e tenuti nei piani sotterranei del palazzo. Seguimmo alcuni camion che si occupavano di ritirare le merci dalle fabbriche e-»
Ti fermasti, perché improvvisamente il ricordo aveva deciso di farsi più vivido di quanto non lo fosse mai stato in quegli anni.
«Bambini» disse solo Allison, inorridita.
Annuisti, cercando un briciolo di coraggio per proseguire. «Non solo. Tutte le persone scomparse degli ultimi mesi si trovavano in quelle fabbriche, da studiosi a semplici operai, e se a un paio di insegnanti universitari e al loro studente migliore era bastata una giornata per scovarli, significava che a loro non importava di fare le cose in segreto. Che sapevano che nessuno avrebbe avuto il coraggio o il potere di smascherarli».
La donna ti rivolse un secondo sorriso materno, con una certa malinconia nello sguardo. «Ma voi tre avete deciso che avreste avuto il coraggio».
Non ricambiasti il sorriso, ma solo perché la tua faccia ormai sembrava calcificata.
«Indagammo sulla Galra Enterprise e scoprimmo tra le cose più indicibili: Zarkon, il magnate proprietario, gestiva un solido mercato illegale in qualsiasi ambito, e probabilmente lo gestisce ancora. Poteva andare dagli oggetti o le invenzioni rubate a delle persone in carne ed ossa. E quando ci scoprirono, beh, ci venne detto di andarcene e non tornare mai più, di non dire nulla o le nostre famiglie sarebbero state fatte a pezzi».
Allison rimase in silenzio, tra il disgusto e la tristezza, mentre quel gigantesco vuoto che ti tormentava da anni e che ti corrodeva il petto si faceva sentire di nuovo, più forte di prima.
Non avevi di certo pensato che sarebbe stato piacevole, come liberarsi di un peso o stronzate simili, ma sapevi anche che dovevi confessare, dovevi denunciare questa cosa a qualcuno. Per Lance. Dovevi riuscire a salvare Lance.
«Perché...» chiese piano la voce di Adam, accanto a te. «Perché sei tornato, allora?»
E allora tu gli rivolgesti uno sguardo carico di rimpianto e senso di colpa, mentre osservavi la sua figura vivida come mai avrebbe dovuto essere. Ma Dio, avevi veramente bisogno che lui fosse lì.
«Soni tornato, però, perché avevo paura. Paura di come la mia vita sarebbe stata senza Keith, senza di te. Ma se non fossi tornato almeno tu saresti vivo» mormorasti a fatica.
La donna davanti a te piegò la testa con partecipazione. «Takashi, è stato un incidente, non è colpa tua».
E tu scuotesti con vigore il capo perché, no, non era vero, non sapevano la verità.
«Quel giorno, l'incidente coinvolse due auto. Quella di Adam e quella di Alfor e Melenor Altea, i genitori di Allura» ammettesti, per la prima volta da quando ne avevi parlato con Sam e Matt. «Quando tornai a casa, c'era un biglietto nella cassetta delle lettere. Più o meno diceva che non avevo rispettato una metà del patto tornando a casa, e che se avessi aperto bocca avrebbero tagliato i freni della moto di Keith, che aveva allora, come quelli degli Altea».
La donna si morse il labbro inferiore, perplessa e pensosa.
«Dimmi, perché allora credi che il tuo inconscio ti abbia costretto a rivelarmelo?» domandò, sfilando la matita dai capelli. «Non vuoi nascondere cose simili a Curtis, che è un agente di polizia?»
Piegasti anche tu la testa come aveva fatto lei poco prima, serrando la mascella in un moto di rabbia prima di poter rispondere.
«Perché lo so che è Zarkon ad avere in pugno Lance, ho già visto alcune delle sue prostitute in giro. So riconoscere l'appartamento carino ma non troppo pretenzioso che viene fornito, ogni porzione di pelle visibile completamente priva di segni come se i suoi clienti fossero stati ammoniti a riguardo. Lui non vuole che per colpa di una distrazione le sue pedine vengano smascherate» dicesti, sfregandoti il viso con le mani. «E Lance è uno dei pochi che vorrebbe veramente uscire dal giro, ma ho paura che per farlo possa arrivare persino a confessare alle persone che Zarkon ritiene pericolose».
«Come chi, la polizia?» domandò scettica la terapista.
«No, intendevo a suo figlio, Lotor. Se Lance arrivasse a dirglielo, quell'uomo... Potrebbe anche ucciderlo, capisce?» esalasti, disperato. «Devo salvarlo, è per questo che sono qui».
/1 anno prima/
Nessuno sembrava sapere cosa fosse successo al cubano steso sul lettino, anche se Keith sospettava solo che non volessero dirglielo.
Era perché non si fidavano di lui? O era perché credevano che Lance non si sarebbe fidato di lui?
Se ne stava seduto sulla poltroncina da parecchio tempo e teneva la luce spenta per non avvisare le infermiere della sua presenza, dato che sospettava che l'orario di visita fosse finito da un pezzo.
Appoggiò la guancia sulla mano chiusa a pugno e rivolse al ragazzo con gli occhi chiusi un'occhiataccia astiosa, una di quelle che gli avrebbe rivolto anche se fosse stato sveglio.
All'inizio si odiavano, nel vero senso della parola, perché il cubano era un ragazzo infantile e insopportabile che si divertiva a passare le notti ogni volta con ragazze e ragazzi diversi, ed anche se la vita sessuale di Lance non lo riguardava lo irritava comunque. Quello era il genere di comportamento superficiale che odiava.
Keith però sapeva di essere una persona difficile, se non impossibile. Era brusco e scontroso, non si lasciava toccare da nessuno che non fosse Allura o Shiro e piuttosto che parlare a qualcuno dei suoi incubi notturni girava con occhiaie spaventose, lasciando che la deprivazione di sonno lo rendesse ancora più insofferente.
Ma nonostante i loro trascorsi, ormai quei due avevano un legame molto forte, era innegabile. E dato che Keith si sarebbe fidato ciecamente di Lance, allora perché...?
Perché credono che lui non si fiderebbe di me?, pensò.
Si sporse in avanti ed osservò il volto rilassato del ragazzo, decorato con un occhio nero, un labbro rotto e uno zigomo gonfio.
Pidge aveva detto che quando erano arrivati loro era irriconoscibile.
Si chiese chi mai potesse desiderare di fargli tanto male, perché lo sa che un bel ceffone ogni tanto se lo merita, ma quello...
Quello non era odio o rabbia, quelli erano colpi dati con la precisa intenzione di non provocargli danni gravi: con quella forza avrebbero potuto benissimo rompergli una costola per sbaglio, invece sono stati attenti a non farlo.
Allungò una mano in avanti, scostando il lenzuolo dal suo collo e potendo ammirare altri ematomi sulla carnagione olivastra del suo amico.
Si sentiva così arrabbiato, così- U G H.
Ma quando sfiorò per sbaglio la pelle del ragazzo venne percorso da un brivido lungo tutta la spina dorsale.
Fece per guardarsi confuso la mano, cercando di capire cosa fosse successo, quando i movimenti di Lance lo allertarono.
«Mh... Keith» mugugnò raggiungendo le sue dita con le proprie ed impedendogli di girarle via.
Un secondo brivido lo colse alla sprovvista e questa volta fu accompagnato da una netta accelerazione del suo battito cardiaco.
Cosa mi sta succedendo?, si chiese quasi disperato, mentre più guardava il viso di Lance e più il suo sembrava voler andare a fuoco.
Non capiva un sacco di cose in quel momento, ma quella che più di tutte non riusciva a spiegarsi era la ragione per cui il cubano aveva detto il suo nome.
Era sveglio e l'aveva visto?
O dormiva e lo stava sognando?
Chissà perché, ma l'idea del castano che lo sognava lo fece arrossire ancora di più.
Devo andarmene da qui, prima che muoia di combustione spontanea, si disse, facendo scivolare via la mano dalla stretta di Lance.
Si alzò in piedi e diede le spalle al ragazzo per prendere il suo piumino rosso, piumino che non era propriamente suo ma che doveva rubare a Shiro se non voleva morire di freddo.
Si diresse verso la porta silenziosamente per non attirare l'attenzione dei medici, ma quando mise una mano sulla maniglia qualcosa lo bloccò.
La sua voce.
«Keith?» lo chiamò, facendolo irrigidire.
Il corvino si voltò di scatto sia nervoso che sollevato, per vedere il castano che si alzava in piedi traballante, sfregandosi assonnato l'occhio buono.
«Lance, torna a dormire» gli disse, ammorbidendo notevolmente il tono rispetto a quello che gli rivolgeva di solito. «Non devi sforzarti troppo».
Il ragazzo si lasciò scappare una risatina puerile, di quelle che fanno gli adolescenti dopo aver bevuto uno shot di troppo.
«Ma dai, ti preoccupi per me» rise. «Allora ne è valsa la pena farsi pestare a sangue».
Your a mess tangled with your confidence
You think you haven't sinned
Well you're unstoppable,
Your walls are impassible oh!
«Che cosa?» domandò il più lontano dal lettino, aggrappandosi alla maniglia per usarla come sostegno.
Lance gli rivolse un sorriso assente e sollevò il dito verso l'alto, come se stesse cercando di afferrare qualcosa.
«Sai che mi sento ubriaco? Non è che mi hanno ubriacato mentre dormivo, vero?» chiese, guardandosi attorno confuso.
Improvvisamente sembrò avere un attacco di vertigine e barcollò prima che le gambe gli cedessero, costringendolo ad aggrapparsi al materasso dietro di lui per non cadere.
Keith si precipitò al suo fianco, soffocando un'imprecazione preoccupata e passandogli un braccio attorno alla vita, per sostenerlo.
«Sono i medicinali, nessuno ti ha ubriacato» gli rispose, mentre quello annuiva come se in realtà non ci credesse molto.
I think your better off looking alone,
The boys that chase your hips can just go find their way home
And at the end of the day you think to yourself
«Vuoi dirmi cosa è successo?» gli domandò, facendolo sedere ma senza lasciarlo. «Perché sei finito in una rissa?»
Aveva questa sensazione che se l'avesse mollato anche solo per un secondo, l'avrebbe perso.
Lance gli rivolse un sorriso luminoso e piegò la testa in avanti, verso la sua. «Per te, scemo».
“My body isn't proud of me and so are the shells”
Tell that I can change
Tell that I can change
Keith sbiancò, perché non era esattamente la risposta che pensava di ottenere.
«Per me?» ripeté, per essere sicuro di aver capito bene.
Il cubano sbadigliò, annuendo.
«È che, sai, tu mi piaci da impazzire e non riuscivo a smettere di pensare a te» rispose, con un'ammirevole naturalezza. «Ma il problema è che poi mi sentivo in colpa, per via di tutti i miei clienti che non erano mai te, e vabbe', a questo punto mi sono detto 'smettila di fare la prostituta e non dovrai più sentirti in colpa'».
Il corvino boccheggiò un paio di volte per lo sconvolgimento, perché mai in un milione di anni avrebbe anche solo immaginato quella situazione.
Immaginò che la sua voce non fosse mai stata tanto stridula. «Tu che cosa?!»
Well I know your laying back,
Contemplating your own death
Well just look at what you've done
Don't you dare forget the sun, Love!
(Don't forget!)
Lance sbuffò con il naso. «Perché credevi che avessi a casa sempre una persona diversa? Pensavi lo facessi come sport?»
Ed il più grande ce la mise tutta a non dire di sì, tuttavia la sua unica fortuna era che il cervello del ragazzo fosse addormentato, altrimenti avrebbe potuto leggergli la verità in faccia.
«Così non ho pagato il mio capo e lui mi ha mandato a cercare» concluse, prima di prendere il volto del corvino tra le mani. «Ma tu sei qui!»
Cold white walls keep you from your pad and pen
You wanna stab again,
I can't believe its half this hard,
You never knew your mind was dark no!
Il ragazzo avrebbe voluto rispondere qualcosa di sensato, avrebbe voluto davvero, solo che il cubano si lanciò in avanti ed le loro labbra collisero teatralmente, cosa che fece accelerare ulteriormente il battito cardiaco di Keith.
Non sapeva cosa stesse succedendo, non lo sapeva affatto.
Sentiva solo le labbra calde e screpolate di Lance sulle sue e lasciò che le palpebre si chiudessero, accogliendo quella strana sensazione che sentiva nel petto.
I think your better off looking alone
The boys that chase your hips can just go find their way home
You can dig so deep for scars
You never knew your mind was dark
Ora sapeva che voleva baciarlo, voleva farlo con tutto se stesso, ma non poté fare a meno di chiedersi da quanto volesse farlo.
Perché non se n'era mai accorto?
La bocca del castano sapeva di cannella e sangue, ma in un modo così dolce che spinse il più grande a ricambiare il bacio e ad avvolgere le sue braccia attorno al collo di Lance.
Come on and breathe with me oh!
Breathe with oh!
Le mani del cubano, che erano completamente bollenti come tutto il resto di lui, sembravano volergli bruciare le guance mentre quello gli accarezzava gli zigomi e gli mordeva piano il labbro inferiore.
Il corvino credette di star per morire, perché non erano solo le sue guance ad andare a fuoco, ma tutto il suo corpo, perché sentiva solo Lance, Lance, Lance.
Ditemi che questo è l'Inferno, pensò, perché voglio che questa sia la mia condanna eterna.
Well I know your laying back,
Contemplating your own death
Well just look at what you've done
Don't you dare forget the sun, Love!
You look down on me so casually, in everything I know
You look down on me, but not right on me
Did I wreak this broken home?
Il castano si separò piano da lui e gli sorrise sulle labbra, con semplicità.
«Sai di menta e tè» ridacchiò piano, soffiandogli il fiato caldo contro la pelle.
Dear Diary,
Life is trying me
Can I get a sign?
Or a two of mind, a piece of mind
Can I get a sign (a sign), can I get a sign (I know)
«Perché io?» domandò in risposta l'altro, alzando gli occhi sulle iridi color mare del ragazzo.
D'altra parte, Lance stava facendo la stessa cosa, nella confusione creata dagli anestetici: era caduto tra le scaglie di ametista affilate in mezzo a quelle pozze grigie, ma non aveva nemmeno paura di tagliarsi.
Gli sorrise ancora di più. «Perché ce l'abbiamo fatta, siamo una bella squadra».
Well I know your laying back,
Contemplating your own death
Well just look at what you've done
Don't you dare forget the sun, Love!
You look down on me so casually, in everything I know
You look down on me, but not right on me
Is it plain to see that life trying me?
Keith permise al castano di appoggiarsi stancamente sulla sua spalla e prima che si addormentasse cercò di farlo infilare sotto le lenzuola, mentre le sue mani tremavano nel sfiorarlo.
Che cosa cazzo era successo?
A Lance piaceva Keith?
A Keith piaceva Lance??
Avrebbe potuto domandarsi quando il suo cuore avesse cominciato a tramare in segreto a questo proposito, invece rimase in silenzio e accarezzò piano la fronte del ragazzo.
Life is trying me!
Life is trying
Can I think of something, gotta think of something!
Sorrise, morbidamente.
Forse non era un male, dopotutto.
Acxa
È appoggiata alla moto da un po', rispondendo ai messaggi di un iperprotettivo e maniaco del controllo Lotor, che è preoccupato che lei non venga stuprata da uno sconosciuto, come sempre, ma la sta anche usando per capire se Keith stia bene.
È tentata di rispondergli che il corvino ha lasciato la città per andare ad allevare mucche in Texas, tuttavia non crede che il fratello adottivo sia dell'umore per battute del genere.
Lei e Keith erano arrivati alla comunità educativa quasi contemporaneamente da bambini, ma il ragazzo era stato accolto dagli Shirogane quattro anni prima che Acxa fosse adottata dai Galra.
Quei tre anni della loro infanzia che avevano condiviso li aveva reso incredibilmente uniti, e quando si erano ritrovati anni dopo grazie alla relazione tra Lotor e Allura, sembrava non fosse passato nemmeno un giorno da allora.
Per questo quando il suo amico esce dal condominio lei percepisce chiaramente che ha fatto un enorme casino: questa espressione è la stessa che aveva quando a nove anni aveva rotto la finestra dello studio della direttrice.
«Ehi, Kee-fu» lo chiama, più per impedirgli di sbattere la faccia contro un palo della luce che per utilizzare il suo vecchio soprannome. «Che hai combinato?»
Il ragazzo cerca di metterla a fuoco e scuote piano la testa. «Sono fottuto».
La ragazza dai capelli tinti di viola aggrotta le sopracciglia scure, perché non era esattamente quella la risposta che si aspettava.
Prende una sigaretta dalla tasca del giacchetto di pelle e fa per portarsela alla bocca, conscia che qualsiasi cosa turbi il ragazzo non uscirà dalle sue labbra. Tra di loro funziona così, possono utilizzare i soprannomi affibbiati l'uno all'altra da bambini e capirsi con uno sguardo, ma di sicuro non sono il tipo di persone che parlano esplicitamente dei loro sentimenti.
Tuttavia l'apparizione di qualcosa, o meglio, qualcuno fa quasi cadere di mano l'accendino alla ragazza, mentre nasconde il piccolo cilindro di nuovo in tasca.
La stessa ragazza che aveva incontrato al bar un paio di sere prima sta uscendo dal condominio, tirandosi dietro una versione femminile di Lance che si stringe tra le spalle, quasi colpevole.
Acxa sta per scappare via e Keith sta per chiederle cosa ci sia che non va, quando la ragazza la nota e le rivolge un sorriso luminoso.
«Ehi, ma guarda un po'» esordisce, facendo voltare verso di lei anche il corvino. «Sei Acxa, giusto?»
Quella si morde nervosamente il labbro inferiore impedendosi di arrossire. «A quanto pare».
La castana fa qualche passo, verso di loro e oh no, oh no, sistema in surriscaldamento.
«Grazie ancora per l'altra sera» le dice, con voce morbida, prima di rivolgersi a Keith. «Non credevo vi conosceste».
Il ragazzo si sfiora la cicatrice sulla mandibola e guarda Acxa negli occhi, la quale si sente improvvisamente in minoranza.
E così il suo amico conosce la ragazza più bella che abbia mai incontrato meglio di lei stessa, perfetto. Quando aveva intenzione di presentargliela?
«Già ci conosciamo da un po'» minimizza, godendosi esplicitamente l'imbarazzo che si fa strada sul volto della sua conoscente da poco. «Lei è Veronica, la sorella maggiore di Lance».
Acxa sgrana gli occhi e le scappa un suono mezzo soffocato che assomiglia a uno starnuto, prima che si copra la bocca con le mani e continui a fissare la castana.
Veronica inarca un sopracciglio e inclina il suo sorriso, confusa. «So che non è estremamente un vanto essere sua sorella, ma non dobbiamo farlo capire a tutti».
La ragazza dai capelli viola scuote la testa e scosta la mano dalla bocca, mostrando che, contro ogni sua abitudine e volontà, sta sorridendo.
«No è che avrei dovuto capirlo» spiegò. «Vi comportate allo stesso modo».
La giovane McClain sembra profondamente indignata da questa affermazione e le punta un dito contro prima di riuscire a capire quale insulto rivolgerle, mentre la Galra incrocia le braccia al petto come segno di sfida.
Nel frattempo Keith e l'altra ragazza si scambiano un'occhiata pregna di significato, alla quale ovviamente le altre due non fanno caso.
Le labbra di Veronica si piegano in una smorfia e poi assottiglia gli occhi celesti, come per soppesarla.
«No, okay, non è così. Lance è terrorizzato dai sentimenti mentre io sono perfettamente in pace con i miei. Sono matura e responsabile, io» si difende.
Acxa fa schioccare la lingua sul palato, prima di rivolgerle piano un verso di scherno.
«Responsabile, già» osserva. «Sono stata io a salvarti dal barista, però».
La castana si passa una ciocca dei capelli corti dietro all'orecchio, alzando gli occhi al cielo.
La ragazza dai capelli viola è convinta di aver appena vinto qualcosa, eppure non riesce a capire perché si senta così soddisfatta. Keith le aveva parlato dell'emozione che si prova nel far zittire un McClain ma non aveva mai capito cosa intendesse fino a questo momento. Momento che, tra l'altro, dura molto poco.
«E va bene, ragazza emo» le dice con un sorriso sornione, mentre la sorella e il corvino allargano gli occhi. «Se vuoi essere ringraziata, ti ringrazierò. Vieni a bere un caffè con me, più tardi?»
La sicurezza con cui le ha rivolto la domanda la fa quasi vacillare, costringendola a non scollare lo sguardo dal suo pur di non farle capire quanto questo la stia destabilizzando.
Non è mai stata molto brava con la gente in generale, ma con le ragazze carine è ancora più a disagio, soprattutto perché erano il genere di persona che la prendeva in giro al liceo e per colpa delle quali finiva spesso in presidenza.
«Okay» risponde solo, perché non potrebbe aggiungere altro nemmeno se volesse.
Acxa, no, si dice, Sai come la pensa Zarkon e sai che Lotor non ti può coprire per sempre.
Ma l'espressione che ha Veronica in questo momento le sta facendo provare una sensazione terribilmente illogica proprio al petto, al che si chiede se non stia per avere un infarto o simili.
La ragazza estrae una penna dalla borsa e le prende la mano, mano che ovviamente Acxa non ritrae perché facci quello che vuoi, portatela via se preferisci, ma non smettere di guardarmi così.
Ci scribacchia sopra rapidamente e poi si sistema la borsa sulla spalla, facendo cenno alla sorella di dirigersi verso un'utilitaria azzurra.
«Dimmi dove e quando, così potrò offrirti qualcosa per ripagarti» dice la castana, rivolgendo alla ragazza dai capelli viola un ultimo sorriso morbido.
Dopo aver salutato anche Keith si accinse a seguire l'altra McClain, lasciando Acxa a fissarsi il palmo della mano con sguardo perso.
Perché c'è una serie di numeri sulla mia mano?, si domandò, fingendo di non capire per non dover prendere una decisione a riguardo.
Il ragazzo che aveva assistito a tutta la scena si avvicinò di un passo, piegando la testa di lato con la sua solita espressione neutrale.
«Quindi sono quelli i tuoi spaghetti?» domanda, con una voce che invece è tutt'altro che neutrale. «Devo informare io Lotor dell'imminente matrimonio oppure...?»
La ragazza gli tira il casco nero dritto sullo stomaco ed avvampa violentemente, girandosi verso la moto e tirando fuori la sigaretta che prima aveva nascosto.
È troppo nervosa anche solo per poter pensare lucidamente, figuriamoci per guidare.
«Chiudi la bocca e salta su» gli ringhia, infilandosi il piccolo oggetto cilindrico tra le labbra.
/1 anno prima/
Shiro non sapeva cosa fare a riguardo, non lo sapeva proprio.
Sapeva solo che Katie era terrorizzata, Hunk era disperato e Keith era molto, molto arrabbiato.
Shiro non sapeva cosa fare ma aveva la sensazione che avrebbe dovuto, perché temeva di conoscere bene chi aveva ordinato di fare questo a Lance, lo stesso Lance che a quanto pare doveva aver rotto suo fratello.
«Scommetto che i topolini di Allura sono stati più coinvolti di te» gli aveva detto il castano, sotto il suo sguardo tradito.
Il corvino allargò le braccia, esasperato. «Abbiamo avuto un momento di legame. Ti ho cullato tra le mie braccia!»
Lance arricciò le labbra e si voltò dalla parte opposta. «No, non lo ricordo, non è successo».
Keith allargò gli occhi e lo fissò come se stesse attentamente valutando la possibilità di ucciderlo, tuttavia Shiro lo conosceva abbastanza bene da capire che era perché si sentiva estremamente ferito dal suo comportamento. Avrebbe indagato a riguardo più tardi, ma ora doveva assicurarsi che tutti comprendessero com'era giusto agire.
«Okay, da quello che ci hai spiegato non puoi... Sottrarti a questo» disse al cubano, attirando l'attenzione di tutti e quattro.
Non poteva fingere di non capire che tipo di persone erano quelle a capo di giri illeciti come quello in cui si trovava il ragazzo dagli occhi blu, conosceva anche troppo bene i loro mezzi.«Ma hai provato a parlarne con la Skye?»
Lance incrociò le braccia al petto e sollevò un sopracciglio.
«Allison Skye dovevamo frequentarla tutti e cinque, per Allura» osservò. «E non mi pare che qualcuno di voi abbia fatto anche solo una seduta».
I quattro ammutolirono, consapevoli di non avere scuse. È solo che... Nessuno di loro si sentiva a suo agio con l'idea di avere a che fare con una terapista.
Hunk si schiarì la voce e si grattò la nuca distrattamente.
«Se noi frequentassimo le sue sedute» disse, osservando il suo migliore amico. «Lo faresti anche tu, senza opporti?»
Gli altri tre rimasero in attesa della risposta, mentre il cubano ricambiava lo sguardo del ragazzo.
Schiuse la bocca per negare il consenso o per esprimere un parere negativo nei confronti di quell'idea, poi però la richiuse, abbassando gli occhi e lasciandosi cadere contro il cuscino.
«D'accordo» borbottò, lasciandoli tutti visibilmente più sollevati.
Però Katie era ancora terrorizzata, Hunk era ancora disperato, Keith era ancora molto arrabbiato e Shiro continuava a non avere la minima idea di cosa fare.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro