[3] Little Talks
Lance
Non riuscivo a smettere di attorcigliarmi i capelli attorno alle dita, a volte dimenticandomi di averlo fatto e tirandoli un po' troppo forte.
Ero talmente preoccupato che non sapevo cosa pensare.
Anzi, dovrei essere onesto, ero così tanto preoccupato perché sapevo benissimo cosa pensare.
Rachel quando voleva riusciva a essere veramente idiota, ed il fatto che non percepisse il segnale di pericolo che il nostro cervello dà ogni volta che ci cacciamo in brutte situazioni peggiorava solo le cose.
La mia famiglia abitava fuori città, in mezzo alla campagna dove una casa pregna di persone chiassose non avrebbe dato fastidio a nessuno, però ogni volta che Rachel scappava cercava di raggiungere me, in qualche modo.
E sapevo cosa la spingeva a farlo, perché era lo stesso sentimento che nei giorni più orrendi mi costringeva a prendere il telefono e chiamarla: quando hai un gemello, è come avere una metà di sé stessi che cammina autonomamente in giro per il mondo. Puoi odiare quella metà, puoi amarla o quello che preferisci, ma sarai sempre terrorizzato all'idea che possa succederle qualcosa e soprattutto ne avrai sempre terribilmente bisogno.
«Okay, quindi...» disse piano Keith, schiarendosi la voce. «Vuoi parlare, o simili?»
Girai la testa verso di lui ed il ragazzo mi lanciò un'occhiata veloce, prima di tornare con gli occhi sulla strada.
«Oppure no» aggiunse subito, arricciando il naso. «Non sono bravo a capire quando le persone vogliono parlare».
Sospirai ed appoggiai la testa allo schienale, senza smettere di guardarlo. «Infatti contavo di questo, perché non ho molta voglia di parlarne».
Notai che sulla punta del suo naso c'era un evidente segno nero, probabilmente grasso di una macchina che si era dimenticato di pulire. Repressi l'istinto di toglierglielo con il pollice perché, beh, non ero mica mia madre.
E poi era veramente molto carino quel gesto che faceva con il naso nel tentativo di far cessare il fastidio che gli provocava.
Rimanemmo in silenzio per qualche altro secondo, prima che il corvino aggrottasse le sopracciglia e scuotesse la testa.
«No, va bene, devi almeno spiegarmi che cosa sta succedendo» cambiò idea subito dopo, sembrando improvvisamente irritato. «Perché l'unica volta in cui ho incontrato tua sorella sembrava che si comportasse come la persona migliore del mondo».
Sbuffò e accese la radio, senza nemmeno aspettare la mia risposta, probabilmente pensando che non gliel'avrei data.
I don't like walking around this old and empty house
So hold my hand, I'll walk with you my dear
Nascosi il viso nel palmo della mano, abbassando lo sguardo e smettendo di fissarlo apertamente. Che cosa mi aspettavo quando l'avevo chiamato? Che rimanesse il solito Keith taciturno solo perché così io non ne sarei stato irritato?
Dopotutto sapevo che a lui non piaceva affatto rimanere all'oscuro delle cose.
The stairs creak as I sleep,
It's keeping me awake
It's the house telling you to close your eyes
Inspirai profondamente l'aria all'interno del pick-up, così stranamente familiare nonostante non ci fossi salito sopra così tanto spesso.
Forse perché l'odore di fuliggine, menta forte e benzina era lo stesso che aveva addosso Keith quando mi aveva abbracciato, il quale probabilmente era il suo solito dopo aver passato una giornata in officina.
Però quando avevo appoggiato la fronte sulla sua spalla ero stato abbastanza vicino per sentire il profumo del suo shampoo, che era sorprendentemente dolce.
And some days I can't even trust myself
It's killing me to see you this way
«Rachel è la persona migliore del mondo. Forse la terza, dopo Hunk e Shay» mi decisi a dire, guardando con apprensione la strada davanti a noi. «È solo che è completamente fuori controllo. Non sa quando è il momento di pensare a se stessa e non solo agli altri».
Sapevo di non essere stato esplicativo, insomma, nessuno può pensare che essere altruisti possa portare alla morte.
'Cause though the truth may vary
This ship will carry our bodies safe to shore
Mi portai due dita sulla bocca e le premetti contro le mie labbra, non esattamente a mio agio nel parlare di questo. «L'ultima volta che è scappata di casa è stato perché i nostri genitori non l'avevano lasciata andare volontaria all'Olkarion, il centro di ricerca, dove servivano degli specializzandi per dei bambini affetti da patologie rare che dovevano essere curate».
Keith fece una smorfia confusa, mettendo la freccia e svoltando a sinistra senza nemmeno insultare l'autista davanti a noi, che aveva attraversato con il rosso sfiorandoci di poco. Capii solo in quel momento quanto si stesse trattenendo, per me.
«Quindi lei scappò di casa e ci andò lo stesso» mormorai, stringendomi un ginocchio con la mano libera. «Si è presa il colera da uno di quei bambini, okay? Il colera».
Hey! Hey! Hey!
There's an old voice in my head
That's holding me back
Well tell her that I miss our little talks
Keith continuò a non parlare, rispettosamente. O forse perché non sapeva cosa rispondermi. O forse perché credeva che non volessi ricevere commenti, non lo so, sta di fatto che non disse assolutamente niente.
Ma notai che mi aveva lanciato un paio di sguardi mentre parlavo.
Soon it will all be over, and buried with our past
We used to play outside when we were young
And full of life and full of love
«È quasi morta» dissi, stringendomi nelle spalle ed infilando entrambe le mani sotto le gambe, a testa bassa. «E non è stata nemmeno la prima volta. L'anno scorso stava passando sul ponte con delle sue amiche e si è quasi lanciata da questo pur di impedire il suicidio di uno sconosciuto».
Risi istericamente, chiudendo gli occhi e cercando di dimenticare la scena dei due poliziotti che la portavano al mio appartamento. «Aveva detto all'uomo che se si fosse buttato l'avrebbe fatto anche lei e lui sarebbe stato responsabile della sua morte. Ed è stato lo sconosciuto a bloccarla prima che lo facesse davvero».
Some days I don't know if I am wrong or right.
Your mind is playing tricks on you my dear
'Cause though the truth may vary
This ship will carry our bodies safe to shore
Sentivo la testa ronzare spaventosamente, sconvolto dalla facilità con cui avevo appena esposto uno dei più oscuri segreti della nostra famiglia. C'era chi chiamava Rachel la figlia sbagliata, ma anche chi le attribuiva appellativi peggiori. Ed io avevo appena dato motivo a una delle persone a cui tenessi di più di fare lo stesso.
«Cazzo» fu la prima parola che proferì dopo quello.
Hey!
Don't listen to a word I say
Hey!
The screams all sound the same
Hey!
Though the truth may vary
This ship will carry our bodies safe to shore
«Sono stato un adolescente problematico, so di aver fatto passare agli Shirogane le pene dell'Inferno» proferisce con tono grave, mordendosi appena il labbro inferiore. «Ma Rachel ha bisogno di aiuto. Dobbiamo aiutarla».
Alzai rapidamente la testa e puntai il mio sguardo su di lui, sorpreso. Sapevo che Keith SonoTroppoEmo Kogane poteva essere gentile se voleva, ma non mi aspettavo lo manifestasse così apertamente.
Improvvisamente si rese conto delle sue parole ed arrossì violentemente, concentrandosi sulla guida.
«Anche se, in realtà, io non sono nessuno per dirti cosa fare con la tua famiglia. E non c'è nessun dobbiamo dato che si tratta di tua sorella» si corresse subito, afferrando il cambio per mettere in terza. «A meno che tu non voglia il mio aiuto, certo, in quel caso... hai capito».
Gli sorrisi intenerito ed un pensiero mi fece congelare in quella stessa posizione: volevo baciarlo.
You're gone, gone, gone away,
I watched you disappear
All that's left is a ghost of you
Now we're torn, torn, torn apart,
there's nothing we can do,
Just let me go, we'll meet again soon
Cosa c'era di sbagliato in me?
Un sacco di cose.
Avrei potuto fare un elenco infinito di tutti i problemi che mi affliggevano perché, andiamo, come facevo a non riuscire a mettermi in testa che non avrebbe mai funzionato?
Avevo cercato di convincermi, qualche mese prima, che fossi attratto da lui perché aveva il fascino del proibito, perché non avrei mai potuto averlo.
Però non era così, perché lo volevo anche quando mi era vicino.
Volevo baciarlo per ringraziarlo, volevo baciarlo per rassicurarlo e volevo baciarlo perché, Dio, aveva un'espressione così genuinamente imbarazzata che riusciva a scaldarmi il cuore.
Now wait, wait, wait for me, please hang around
I'll see you when I fall asleep
Prima di cambiare idea allungai una mano verso il cambio e strinsi la sua, rapidamente e senza mantenerla in quella stessa posizione per troppo tempo.
Sapevo bene che non era un fanatico del contatto fisico e l'ultima cosa che volevo era farlo sentire a disagio.
Keith mi guardò sospettoso ed io ricambiai lo sguardo, cercando di non far trapelare veramente le mie emozioni riguardo allo stringergli la mano.
«Grazie, Mullet» gli dissi, con una smorfia.
Hey!
Don't listen to a word I say
Hey!
The screams all sound the same
Hey!
Though the truth may vary
this ship will carry our bodies safe to shore
Lui alzò gli occhi al cielo e con loro un angolo della bocca.
«Siamo arrivati, comunque» mi avvisò, non appena ebbi tolto la mano. «Vuoi che venga con te o che ti aspetti qui?»
«Vieni» risposi subito, prima di poter fermare la mia lingua. «Per favore».
Non riesci a suonare leggermente più disperato, McClain?, pensai.
Hey!
Don't listen to a word I say
Hey!
The screams all sound the same
Hey!
Though the truth may vary
This ship will carry our bodies safe to shore
Keith annuì e parcheggiò il pickup dietro alla centrale.
Keith
Che c'è che non va?, si chiede da un po'.
Sembra un ritornello, continua a ripetere la stessa frase nella sua testa senza riuscire a trovare una risposta. Perché sa che non si sta riferendo alla sorella di Lance, per quanto possa essere preoccupato dopo le ultime informazioni apprese, ma piuttosto alle sue mani. Più precisamente la mano destra, quella che Lance ha toccato poco fa.
Che c'è che non va?, ripete la sua mente mentre l'altro incrocia le gambe e si appoggia allo schienale della sedia.
Non lo sa che cosa c'è che non va, sa solo che non gli piace che le persone invadano troppo il suo spazio personale, sia mentale che fisico.
Però ci sono emozioni di cui solo Allura gli può parlare, silenzi che solo con Pidge può condividere, consigli che solo Hunk gli può dare e confidenze che solo a Shiro può fare.
E se lo chiede ancora e ancora e ancora. Che c'è che non va?
C'è che non gli piace essere toccato, di solito, ma con Lance è diverso. Qualsiasi momento in cui il corpo del cubano sfiora anche per sbaglio il suo è motivo di assurda ed inspiegabile felicità, come se si sentisse nato solo per sentire la sua pelle tiepida a contatto con la sua.
Però ogni volta che succede c'è un folle rimorso che scuote Keith dal profondo ed è questo che lo tormenta.
Che c'è che non va?, si chiede, di nuovo. Perché non dovrei lasciarmi toccare?
E non è che il corvino non lo sappia, in realtà, il vero motivo per cui sente questo forte senso di colpa in tutte quelle situazioni, tuttavia si sentirebbe meno confuso se non lo ammettesse.
Così gira la testa verso Lance, che si preme il pollice sulle labbra continuando a fissare con astio l'addetto alla reception, poliziotto veramente poco simpatico che ha detto loro di sedersi ed aspettare il turno quasi mezz'ora fa.
Mi dispiace, pensa, anche se non sa di preciso a chi sia rivolto.
Forse un po' gli dispiace essere lì, quando il cubano avrebbe evidentemente preferito la compagnia di Hunk o Pidge, e forse un po' gli dispiace non sapere come comportarsi con la cosa che non va.
Perché ora l'ha ammessa per sbaglio nel silenzio della sua testa ed è praticamente come se l'avesse detta ad alta voce, quindi si sente in diritto di pensarci di nuovo.
Keith non crede di avere il diritto di toccare Lance, è questa la verità.
Non lo crederebbe nemmeno se fosse il ragazzo stesso a dirglielo, poiché ha fatto troppe brutte cose per potersi meritare anche un contatto fugace con il cubano.
Come potrebbe pensare di toccarlo ancora quando centinaia di persone ancora più sporche di lui l'hanno fatto, facendogli sempre più male?
Ha veramente tanta paura di fargli del male, ecco. Lo sa che è immotivata, badate bene, solo che non riesce a ignorarla.
«Lance McClain?» chiama il receptionist, alzando lo sguardo annoiato dalla lista davanti a lui.
Vede le gambe lunghe del castano irrigidirsi di stizza prima che quello si alzi con le sopracciglia aggrottate per raggiungere colui che l'ha chiamato.
A rigor di logica Keith sa che alla veneranda età di 21 anni Lance è perfettamente in grado di percorrere quei quattro metri da solo, ma senza nemmeno che se ne accorga si è già messo in piedi per seguirlo.
«Sono io» sbotta il cubano una volta arrivati al bancone. «Può controllare se oggi è stata registrata una certa Rachel McClain?»
Il poliziotto lo squadra annoiato da dietro la montatura dei suoi occhiali da sole, occhiali assolutamente non necessari dato che si trovano al chiuso e fuori è già buio.
«Nessuna Rachel McClain, no» mugugna in risposta, dopo aver lanciato uno sguardo alla schermata del computer.
Keith osserva Lance stringere le ditta attorno alla felpa e borbottare qualcosa in spagnolo, improvvisamente paonazzo.
«E invece Rachel Serrano?» sibila il ragazzo.
L'uomo in divisa sembra avere un moto di interesse per questo nome e prende un post-it attaccato a una cartella, consegnandoglielo. «Rachel Serrano è passata quasi un'ora fa ed ha lasciato questo, per il suo gemello» dice, piegando la testa per osservare il ragazzo che gli ha strappato di mano il foglietto. «In effetti vi somigliate».
«Okay, grazie, addio» borbotta il cubano, prima di afferrare per il polso Keith e trascinarlo via dalla hall, ignorando il versetto infastidito del poliziotto.
Il corvino non è ben sicuro di quello che sta succedendo e soprattutto non è ben sicuro del perché Lance adesso sia così arrabbiato.
Così vorrebbe chiedergli spiegazioni, una volta fuori dalla centrale, ma il cubano si infila le mani tra i capelli lasciando il polso dell'altro e buttando fuori quello che sembra il lamento di una foca incinta.
Keith e Allura guardano un sacco di documentari al sabato sera, sanno perfettamente qual è il lamento di una foca incinta.
«Serrano? Serrano?» chiede al vuoto davanti a sé, mentre un paio di passanti gli lanciano delle strane occhiate. «Ese gilipollas cobarde? Il suo nome?»
L'altro vorrebbe veramente sapere cosa fare in questo momento, però sente ancora la calda cicatrice delle dita del cubano sul suo polso che lo spingono a non pensare lucidamente.
Così molla un pugno sul braccio a Lance, il quale soffoca un'imprecazione e gli lancia un'occhiataccia. «E questo perché?»
«Perché non stavi zitto, cazzo, e siamo in mezzo a un marciapiede» sbuffa Keith, infilandosi le mani nelle tasche e stringendosi nelle spalle. «Che c'è scritto sul post-it?»
Il castano accartoccia il suddetto foglio di carta e lo infila nella tasca della felpa, perché ha improvvisamente freddo ed il giaccone è rimasto sul pickup, per poi rivolgergli un fugace dito medio.
«Dice che mi aspetta al mio appartamento» risponde alzando gli occhi blu mare verso il lampione, la cui luce si infrange nelle sue iridi facendole brillare.
Ma non stanno brillando in modo positivo, luccicano di rabbia e rancore.
Keith decide di non indagare e fa un cenno rapido con la testa al ragazzo, avviandosi verso la sua auto. «Va bene, muovi il culo».
Non sta ad ascoltare gli insulti che gli vengono rivolti, soprattutto perché non sono sinceri. Mentre apre la portiera e si siede al posto di guida però si sente più leggero, perché un po' gli mancavano queste dinamiche astiose tra loro due, in fondo è così che si erano conosciuti.
Lance è silenzioso per tutto il viaggio, anche se riesce comunque a canticchiare a mezza voce il ritornello di Hips don't lie di Shakira, e si preme il pollice contro le labbra fissando un punto indefinito del cruscotto.
Il corvino vorrebbe dire che è concentrato sulla strada, che non lo sta guardando, tuttavia affermare ciò significherebbe mentire.
Una cosa che lo tormenta, oltre alla sensazione che le dita di Lance siano ancora aggrappate al suo polso, è questo suo vizio di premersi le dita contro le labbra come se dovesse trattenere qualcosa.
E Keith si chiede se si tratta di un segreto o di un lamento come quello di prima, perché vorrebbe proprio saperlo dato che odia rimanere all'oscuro delle cose.
Ha questo presentimento, oltretutto, che più conoscerà il cubano e meno penserà di sapere di lui.
Ma, come è stato già detto in precedenza, Keith non è uno che analizza le situazioni: queste elencate qua sopra sono le ragioni per cui il ragazzo si sente turbato, solo che lui ancora non le conosce.
Ciò che occupa la sua mente adesso è l'immagine delle dita di Lance che lasciano finalmente andare le sue labbra, labbra che porca puttana Keith, guarda la strada, la strada.
Non sarà un amante del contatto fisico, questo è vero, ma ha pur sempre ventidue anni e una serie di esperienze passate che lo spingono a desiderare certe cose.
Per esempio Lance.
Per esempio le sue labbra che sembrano così morbide, mentre le sue sono leggermente screpolate a causa del suo costante mordersi quello inferiore.
Basterebbe così poco, adesso, per fermare il pickup ed allungarsi verso l'altro ragazzo, posandogli le dita sulla guancia e facendolo girare nella sua direzione in modo che solo sporgendosi...
Sfoga la tensione rivolgendo tre colpi di clacson all'auto davanti, scuotendo poi la testa.
Non se lo perdonerebbe mai, Lance non glielo perdonerebbe mai. Lui e il resto del team di Voltron sono come l'ultimo posto sicuro del cubano, dove non deve preoccuparsi di persone che vogliono solamente il suo corpo.
Ma Keith non vuole solo il suo corpo.
Vuole le sue battute orribili, vuole il suo essere così irritante, vuole i suoi commenti intelligenti e la sua assurda emotività. Vuole il suo talento per far sorridere le persone, vuole il modo in cui riesce a farle sentire amate, vuole il modo in cui lui riesce ad amarle.
È questa gran parte delle cose di Lance che vorrebbe nella sua vita.
Il problema è che vuole anche il suo corpo. Ma non solo in quel senso, lui vuole...
Vuole che quegli occhi color mare lo giardino, che quelle mani tiepide lo sfiorino e che quel naso lentigginoso si strofini contro il suo. E che quelle labbra piene, morbide si posino sulle sue, solo per qualche secondo.
Ed è già troppo, Keith sente che volere Lance in questo modo supera qualche limite della decenza.
Perché vorrebbe tanto toccarlo ma tutti lo toccano. E se questo fa del male al cubano, allora il corvino vuole essere diverso.
Arrivano davanti al condominio di Lance, scendendo dal pickup senza dire una parola. Il cubano sembra improvvisamente calmo, infatti alza il mento verso l'alto ed infila le mani nelle tasche del giaccone che ha provveduto a rimettersi.
Si ferma alla porta e la apre con un gesto fluido, piegando appena la testa di lato e rivolgendogli un sorriso sornione. «Prima le signore».
Keith alza gli occhi al cielo e sbuffa.
«Molto maturo, McClain, davvero» commenta aspramente. «Volevi approfittarti di questa battuta per dire qualcosa di brillante sui miei capelli, per caso?»
Lance si porta una mano al cuore e si finge sconvolto.
«È incredibile come tu abbia una così povera opinione di me» dice con un luccichio negli occhi. «Ovviamente volevo farti i complimenti per la tua abilità nel mettere l'eyeliner».
Il corvino arrossisce di colpo e gli molla una gomitata nello stomaco, superandolo e nascondendosi nella giacca di pelle.
È successo una volta, okay, una volta sola che il castano l'abbia visto con l'eyeliner prima che andasse con Acxa a un concerto, ma non crede che smetterà mai di stuzzicarlo per questo.
Si blocca davanti alle porte dell'ascensore ed aspetta che la risatina soffocata si faccia più vicina prima di schiacciare il pulsante sul muro. Keith scuote piano la testa perché sa che infastidirlo è come un antistress per il cubano, come rifilargli un poderoso colpo tra le costole allenta la tensione per lui.
Oh ma certo, usami come ti pare, pensa guardando l'espressione improvvisamente serena dell'altro mentre entrano all'interno dell'ascensore.
Non appena la cabina si muove verso l'alto il più basso si porta una mano davanti al naso, strofinandoselo appena per far passare il prurito che gli sta provocando una macchia di fuliggine.
Sa di essersela finalmente tolta perché ora è tutta spalmata sulle sue dita, eppure lo sguardo disapprovatorio del ragazzo accanto gli fa sospettare che ancora qualcosa non vada.
«Che c'è?» domanda Keith, aggrottando le sopracciglia.
Lance sospira esasperato e si volta con tutto il suo corpo nella sua direzione, costringendolo poi prepotentemente a fare lo stesso.
«Mi ero promesso di non farlo, okay, ma sei incredibile» borbotta portandosi il pollice alle labbra.
Il corvino sente la sua mano tiepida sulla pelle fredda della sua guancia ed alza lo sguardo su quegli occhi blu che lo squadrano perplessi.
Che cosa sta succedendo? Che cosa cazzo sta succedendo?, pensa mentre il suo corpo si trasforma in un blocco di marmo.
Poi Lance gli fa inclinare il capo e strofina il pollice vicino al suo orecchio con un'espressione incredibilmente concentrata.
«Sei incredibile. Con che coraggio te ne sei andato in giro sporco di grasso e fuliggine?» mugugna arricciando le labbra.
Il viso del corvino prende letteralmente fuoco, al che deve stringere i denti per un secondo pur di non lasciarsi scappare una serie di appellativi che effettivamente il cubano non merita.
«Forse non ho avuto il tempo di darmi una ripulita, dato che una certa persona mi ha supplicato di correre da lei il più in fretta possibile» replica afferrandogli la mano che quello ancora tiene sulla sua guancia, ma senza spostargliela.
Non è così tanto più basso di Lance da doverlo per forza farlo inchinare per dargli una testata sul naso, infatti studia l'agglomerato di lentiggini per prendere bene la mira.
«No, okay, non ti permetto di usare la mia emergenza come scusa» ribatte il cubano indignato.
Prima che Keith possa colpirlo dritto in faccia come pianificava di fare le porte dell'ascensore si aprono, mostrando la scena a un nuovo spettatore.
Una ragazza dalla pelle color cappuccino ed i lunghi ricci stretti in una coda di cavallo alza gli occhi dal suo cellulare quanto basta per poter essere stupita da ciò che vede.
Il sorriso felino che le compare sul volto, più che qualsiasi altra caratteristica fisica, indica al corvino che si tratta della gemella di Lance.
«Avete bisogno dell'appartamento, voi due?» domanda Rachel, infilando il telefono nella borsa. «Perché non c'è nessun problema, posso tornare più tardi e lasciarvi da soli».
Ma l'improvvisa rabbia sulla faccia del ragazzo fa capire a Keith che qualcun altro ha già tutta l'attenzione del castano.
Pidge
Se avesse saputo anche solo per sbaglio che il professor Takashi Shirogane stava uscendo dalla stessa porta che lei avrebbe dovuto attraversare, la nostra eroina Katie Holt avrebbe gloriosamente rinunciato alla ricerca della sorella del suo migliore amico e se ne sarebbe tornata immediatamente a casa.
Ma il bello della vita è l'imprevedibilità, no? Quindi anche se ci fosse stato un modo per evitare Shiro, lei non ne sarebbe stata a conoscenza.
Non appena l'imponente figura del loro amico si stagliò davanti a loro, Pidge decise che c'era un motivo se non credeva in Dio. Un Dio misericordioso non avrebbe fatto in modo che quello accadesse.
«Shiro» lo salutarono i due ragazzi, l'uno con più entusiasmo dell'altra.
Quello alzò una mano nella loro direzione e concesse loro il bagliore di un sorriso, così sincero e puro che fece venire i crampi allo stomaco della ragazza per il senso di colpa.
«Siete qui per Rachel, vero? Lance mi aveva chiamato e gli avevo detto che sarei andato io a controllare» disse, rivolgendo loro i suoi preoccupati occhi scuri. «Keith mi ha appena scritto che l'hanno trovata comunque, è tutto sotto controllo».
Hunk si lasciò andare in un lungo sospiro di sollievo appoggiandosi alla spalla del loro amico, palesemente rasserenato nell'udire quelle parole.
«Lance sarebbe impazzito se non si fossero risolte le cose. Ma chi prendo in giro, io sarei impazzito se non si fossero risolte le cose» ammette con voce acuta in modo drammaticamente sincero, il che spiega per quale motivo lui ed il cubano si trovino così bene insieme.
Pidge però si aggiustò gli occhiali da sole sul naso perché c'è qualcosa che non le tornava in tutta quella faccenda, ma voleva provare a credere che non fosse come pensava.
Lance che chiama Shiro per farlo andare esattamente dove alla fine si sarebbe trovata lei, senza avvertire nessuna delle due parti? Sospetto.
Anche se, in realtà, non era proprio sicura che il suo migliore amico fosse nelle condizioni psicologiche per tenderle una delle sue imboscate, quindi preferiva dargli il beneficio del dubbio.
Hunk le afferrò la manica del parka e le diede un paio di strattoni leggeri, perché per quanto il ragazzo potesse essere grosso e imponente trattava tutti come se fossero fatti di vetro.
«Allora possiamo andare, Pidge, devo tornare a casa prima che mia madre torni con la cena o potrebbe cucinare...» provò a dire, rabbrividendo al solo pensiero. «...il pasticcio di broccoli».
La castana stava per saltare in braccio al suo amico dalla gratitudine, vedendo una speranza per andarsene il più lontano possibile dal moro di fronte a loro, quando il suddetto moro aprì di nuovo la bocca.
«Vai pure, Hunk, porterò io Pidge a casa» propose Shiro, mostrando le chiavi della macchina. «Sarei dovuto passare dagli Holt in ogni caso».
La ragazza scosse le mani davanti a sé. «Oh no, no, no, non devi disturbarti, Hunk-».
Ma il ragazzo aveva già abbracciato il più grande ed era corso verso la sua auto.
Me ne ricorderò, Hunk Garret, disse tra sé e sé la ragazza, Quando ti lascerò solo nella gabbia dei leoni allo zoo per andare a prendermi un churro, ripenserai a questo momento.
Ora però non poteva permettersi di perdersi nei suoi pensieri, perché tutta l'attenzione di Shiro era su di lei, la stessa a cui rivolgeva quel sorriso afflitto. Ed entrambi sapevamo benissimo che quel sorriso era destinato a farla sentire nel torto.
«Andiamo?» domandò con un cenno della testa, indicando la macchina nera parcheggiata poco distante.
La precedette verso il mezzo non appena lei ebbe annuito, lasciandola un tantino in sospeso.
C'era questa cosa, tra loro due, ovvero che non appena rimanevano soli Shiro le dava una leggera spintarella alla spalla con il suo gomito, affettuosamente.
Tuttavia quella volta non ci fu alcun contatto fisico, nemmeno per sbaglio. Takashi dopotutto era cresciuto con Keith Kogane, sapeva bene quando lasciare alle persone più spazio, soprattutto quando l'atmosfera era tesa.
Pidge aprì la portiera e si sedette al posto passeggero, facendola richiudere con poca delicatezza ed incrociando le braccia al petto. Ormai la sua unica speranza era fingersi offesa o simili, così Shiro avrebbe pensato di aver fatto qualcosa di male e l'avrebbe lasciata in pace.
Quando però anche lui si fu messo comodo chiuse la macchina con le chiavi, tappandosi dentro con la ragazza.
Quella si voltò di scatto verso di lui e si strinse ancora di più nelle spalle.
«Mi metterò a urlare, ti giuro che mi metterò a urlare» lo avvertì, scrutandolo da dietro gli occhiali scuri.
«Katie» la chiamò lui, dolcemente.
«Credi che non mi daranno ragione? Tu che faresti se un omone grande e grosso facesse il prepotente con una minorenne?»
«Non sei nemmeno più minorenne».
«Sono bassa e magrolina, sarà facile ingannarli».
Disse di nuovo il suo nome, stavolta accompagnato da un sospiro di stanchezza ed esasperazione. «Katie».
La ragazza strinse le labbra e si rannicchiò sul sedile, con la schiena contro la portiera.
Shiro la guardò con occhi improvvisamente tristi e preoccupati, occhi che riservava sempre ai suoi cinque fratellini adottivi a dispetto delle circostanze.
«Che cosa c'è che non va? Perché ti nascondi da me?» chiese, torcendosi le mani. «Ho sbagliato qualcosa?»
E Pidge avrebbe voluto urlargli di sì, che era solo colpa sua se si nascondeva, se non poteva permettersi nemmeno di togliersi gli occhiali da sole in sua presenza. Era colpa sua perché se lui non l'avesse conosciuta così bene allora lei non avrebbe dovuto temere che le leggesse tutti i problemi che tentava di chiudere dentro.
Avrebbe tanto voluto, ma non poteva, davvero. Così scrollò le spalle.
«Non direi, no» fu la sua risposta.
D'un tratto l'espressione del moro si fece meno remissiva e venne sostituita da una decisamente più seccata. «E vorrei ben vedere. Comunque adesso facciamo un bel discorsetto, Peanut».
Pidge si aggrappò con le dita al sedile e teatralmente picchiò un paio di volte sul finestrino, per nascondere quanto in realtà temesse il discorsetto. Ogni volta che il ragazzo la chiamava Peanut si sentiva nello stesso modo di quando sua madre la chiamava signorina: pronta a dire le sue ultime parole prima di essere sepolta sotto una valanga di rimorso.
«Aiuto, vi prego, aiutatemi! Shiro ha attivato gli istinti paterni!» esclamò, anche per alleggerire la tensione.
Il ragazzo le diede una rapida occhiata decisa e lei ammutolì, ovviamente contro la sua volontà. Era un po' il superpotere di chi era cresciuto in casa Shirogane quello di riuscire a zittirla, infatti anche Keith sembrava aver imparato il metodo negli ultimi tempi.
«Quando Allura è stata male la prima volta abbiamo deciso che noi sei ci saremmo sempre detti tutto, perché abbiamo bisogno di esserci gli uni per gli altri» le ricordò, raddrizzandosi e sembrando incredibilmente più autoritario. «E per fare questo è necessaria una base di fiducia, Katie».
La ragazza alzò gli occhi al cielo e piegò le labbra in una smorfia, perché decisamente tutta quella situazione la irritava e la metteva a disagio.
«Lance ci ha parlato del suo lavoro, capisci? Cosa ci può essere di più personale di quello?» aggiunse, cercando il suo sguardo. «Tutto solo perché noi potessimo affidarci anche a lui, perché potessimo fidarci di lui».
«Quindi cosa vuoi che faccia, che non abbia più un minimo di privacy avvertendoti anche quando mi viene il ciclo?» domandò la ragazza, sistemandosi una ciocca dietro all'orecchio sbuffando.
«Lo sai che non si tratta di questo, non saresti ricorsa agli occhiali se non fosse qualcosa di grosso. Qualcosa che vuoi nascondere a me» precisò il più grande.
Pidge sapeva che non avrebbe dovuto lasciarsi tentare e che incrociare lo sguardo dell'astrofisico sarebbe stato un terribile errore, eppure non riuscì a impedirlo.
Fece una smorfia disgustata al sentore di quella sensazione strana, quella che gli faceva scaldare il cuore di tenerezza ogni qualvolta Shiro le rivolgesse quello sguardo. Era un suo superpotere, immaginava, dopotutto lui riusciva a convincere chiunque a fare quello che chiedeva.
La ragazza diede un calcio leggero alla portiera della macchina.
«Okay Shiro, mi hai scoperto, sto nascondendo qualcosa. Ma non voglio parlarne» disse, prendendo una gomma da masticare dalla tasca ed appoggiandosela sulla lingua. «Potresti portarmi a casa ora?»
Takashi le rivolse un'occhiata preoccupata e sospirò, infilando una mano sotto al sedile ed estraendo una busta di carta.
Gliela consegnò senza guardarla negli occhi ed avviò la macchina, schiarendosi la voce.
La castana afferrò ciò che le veniva offerto e non appena la aprì si colpì la fronte con una mano, un sorrisetto che le spuntava sul viso.
«Davvero?» gli chiese in tono giocoso. «Come l'hai convinto? L'hai pagato?»
«Credimi, non ho idea di come sia successo» ammise il moro, lasciandosi andare in una risatina nervosa. «Ti prego, uccidimi prima del quattordici gennaio».
«Non esiterò, capitano» replicò Pidge allargando il sorrisetto.
D'un tratto una terribile consapevolezza le balenò alla mente. «L'hai già detto a Keith, vero?»
Shiro piegò la faccia nella stessa smorfia disperata che aveva ogni volta in cui cercava di chiederle aiuto e silenziosamente uscì dal parcheggio.
La ragazza sapeva di essere la più emotivamente miope del gruppo, eppure una cosa era decisamente chiara ai suoi occhi: una volta venuto a sapere di cosa stava succedendo, Keith Kogane avrebbe fatto un macello.
Keith
Non è sicuro di come sia finito in questo bar ad intrattenere una specializzanda con istinti suicidi, ma quel che è certo è che non si è rivelata una cosa inutile.
Nelle ultime due ore ha appreso una serie di informazioni che gli piacerebbe veramente cancellare dalla sua mente, mentre altre gli potrebbero decisamente tornare comode.
Innanzitutto, ha potuto notare che la quantità di cibo che i due gemelli possono ingerire è la stessa, dato che a quanto pare essere un pozzo senza fondo è questione di genetica.
Rachel prende un secondo sorso di quella che è la sua terza cioccolata calda prima di parlare di nuovo. «Continuo a pensare che mi stiate nascondendo qualcosa».
Keith piega per un secondo un lato della bocca, arricciando il naso. «Non sapevo che la paranoia fosse di famiglia».
La ragazza appoggia la tazza sul tavolo e con uno sguardo di sfida colpisce la fetta di torta con la forchetta, staccandone un pezzo.
«Ah ah, non provarci Kogane. In molti hanno cercato di vincere una discussione contro di me, fallendo» gli dice indicandolo con la posata prima di mettere il dolce in bocca. «So quando ho ragione, e ce l'ho spesso».
A questo punto gli viene da pensare che è veramente difficile vincere una discussione anche con Lance, ma non lo ammetterà mai ad alta voce.
«Come quella volta in cui Vera e mamà bisticciavano riguardo a quale ragazza Lance avrebbe portato a casa per Natale. Io ero lì, bella tranquilla, e ho semplicemente detto Porterà un ragazzo secondo me. Indovina un po' chi aveva ragione» bofonchia con una goccia di marmellata calda accanto alle labbra. «Anche se alla fine il ragazzo era Hunk, ma comunque vale lo stesso».
«Quindi a quest'ora dell'anno scorso il vostro più grande dilemma era chi sarebbe stato presente il giorno in cui Lance vi avrebbe fatto morire di imbarazzo?» domanda senza variare la sua espressione, perché è veramente terapeutico stuzzicare il cubano anche mentre non c'è.
Rachel gli rivolge un sorriso di complicità, come se finalmente avesse trovato qualcuno disposto a capirla.
«Veronica sosteneva che la sua cotta del momento, Allura, non avrebbe potuto rifiutargli una richiesta simile» gli rivela, prendendo un altro pezzo di torta mentre Keith si porta alle labbra il suo tè. «Mentre mamà programmava già il suo matrimonio con Katie».
Non passa nemmeno un istante dalla fine della sua frase ed il momento in a Keith va di traverso la bevanda, costringendolo in un eccesso di tosse che gli fa mancare il respiro ed andare a fuoco la faccia.
La castana rimane pazientemente a guardarlo mentre quello si aggrappa al tavolino e si tiene una mano sul cuore, perché decisamente sta per avere un infarto.
Dopo qualche secondo riesce a riprendere a respirare normalmente, asciugandosi gli occhi lucidi.
«Pidge? Davvero?» chiede e finalmente Rachel vede un sorriso balenare sul volto del ragazzo.
«Lo sai come sono fatte le mamme» spiega lei, prendendo un altro sorso di cioccolata. «Pidge è la sua migliore amica, perciò nostra madre crede che sia quella di cui lui si potrà sempre fidare. Da quello che ho capito, per lei è questa la base del matrimonio». Senza curarsi di ciò che potrebbero pensare le altre persone sedute all'interno del bar prende la torta e la poccia con un sorriso felino nella bevanda calda.
«Mi sarebbe piaciuto vedere la reazione di entrambi nel sentirtelo dire» sogghigna Keith, osservando divertito la sua tazza vuota prima di spingerla verso il centro del tavolino.
La ragazza ha la bocca piena quando dice l'ennesima cosa che farà arrossire il corvino. «A proposito, mi dispiace se ti fa strano sentir parlare dei complotti della mia famiglia quando in realtà siete tu e Lance a stare insieme».
Il colore che assumono le guance di Keith in questo momento è molto simile a quello della sua t-shirt rossa, anche se sfortunatamente non ha la capacità di far comparire anche il logo dei My Chemical Romance sulla sua pelle.
«No, no, io- noi non siamo... L'ascensore» cerca di dire, anche se ciò che esce dalla sua bocca sembra non avere senso. «Quando ci hai visti in ascensore stava pulendo il grasso di un'auto dalla mia faccia».
Quando Rachel allunga una mano verso il tovagliolo di cui necessita per togliere le tracce di cioccolata dal suo viso si lascia scappare un lieve suono nasale. «Mh, romantico».
Il ragazzo vorrebbe replicare quando finalmente sul suo telefono compare la notifica di un messaggio.
"Puoi riportarla qui,
ho un bel discorsetto
da farle".
Annoying Shark
Non credeva di essere mai stato infastidito e grato allo stesso momento prima di leggere le parole inviate da Lance, per cui il cubano aveva appena dimostrato di essere in grado di far provare al corvino emozioni inaspettate.
«Non è romantico. È fastidioso perché non riesce a farsi gli affari suoi, ecco cos'è» borbotta, rivolgendole un'occhiataccia. «È ora di tornare all'appartamento».
"Ti sto riportando
la sorellina".
"Mi devi così tanti
favori, McClain".
"E se ti dicessi che
ti sarò sempre grato
per quello che hai
fatto basterebbe?"
Annoying Shark
«Veramente?» domanda la ragazza, alzando un sopracciglio mentre Keith lascia i soldi sul tavolo. «Wow, qualsiasi cosa mio fratello stia tenendo segreta gli ha portato via un bel po' di tempo».
Il corvino alza gli occhi al cielo e le rivolge il trattamento del silenzio, che è quello che ricevono i suoi amici quando lui non sa come rispondere.
"Non so cosa fare
della tua gratitudine.
Voglio un compenso
materiale".
E mentre escono dal bar Keith si accorge di aver fatto un terribile errore, perché lui parlava di soldi, parlava solamente di soldi, ma ha già capito che risposta arriverà.
"Sono al tuo servizio,
hermoso ;)".
Annoying Shark
Il ragazzo pensa che probabilmente Rachel vorrebbe capire perché dalle sue labbra sia uscito un lamento indignato terribilmente acuto, o anche solo perché le sue gote si siano nuovamente tinte di scarlatto, però è decisamente meglio lasciarla all'oscuro.
Il corvino corre in direzione del pick-up e vi ci si fionda dentro, senza dire un'altra parola.
"Ti giuro che
faccio leggere
questo messaggio
a Rachel".
"NON OSERESTI".
Annoying Shark
"Mettimi alla prova".
"Okay, senti, quando
questo weekend
andremo al parco
divertimenti
vincerò un
ippopotamo di
peluche per te".
Annoying Shark
"Affare fatto".
Lo sbattere della portiera dell'auto fa capire a Keith che la ragazza l'ha raggiunto, così getta il cellulare sulle sue gambe ed avvia il motore, gli occhi già sulla strada.
Sente Rachel maneggiare con la radio del pick-up e si chiede per quale motivo sia lei che suo fratello debbano costantemente toccare qualsiasi cosa.
Quando però si ferma su una stazione che sta facendo sentire Emperor's new clothes dei Panic! At The Disco deve affrontare lo sguardo sorpreso del corvino.
«Che c'è?» domanda sistemandosi più comoda sul sedile.
«Stiamo ascoltando veramente questa canzone?» chiede lui, tornando a guardare dove sta andando. «E non ironicamente?»
Lei solleva un sopracciglio e sbuffa con il naso. «Ehi, da quello che diceva Lance dovevi essere tu il ragazzo emo con cui sarei andata d'accordo».
Keith scuote la testa prima di mettere la freccia e svoltare a sinistra. «No, è solo che tuo fratello odia questo genere di musica».
Rachel si lascia andare in una risata di scherno, decisamente poco aggraziata e femminile. Si sarebbe trovata molto bene con Pidge.
«Stai scherzando?» sbuffa. «Lancito sa a memoria metà degli album dei Panic! At the Disco o dei Depeche Mode, giusto per farti capire».
Sul viso di Keith si dipinge un ghigno di pura e semplice crudeltà, perché non ha intenzione di passare sopra a questa informazione.
Rimangono in silenzio per quasi un minuto, uno dei tempi migliori mai fatti da entrambi i fratelli McClain, quando la ragazza decide di approfondire l'argomento lasciato in sospeso poco prima.
«Ma sei assolutamente convinto che tu e Lance non stiate insieme?» gli chiede, con genuinità.
«Dio, Rachel, ti prego» replica esasperato.
«Non c'è bisogno che mi chiami Dio».
«Sto per buttarti fuori dalla macchina».
«Sono solo curiosa! È mio fratello».
Keith emise quello che poteva sembrare un ringhio e premette il piede più forte sull'acceleratore. «Lance ha dato di matto quando ha letto il cognome Serrano. Dimmi perché e io risponderò alla tua domanda».
La ragazza ammutolisce improvvisamente, distogliendo lo sguardo come se fosse profondamente ferita. O come se si sentisse in colpa.
Il corvino è vagamente dispiaciuto di aver provocato quel silenzio innaturale, ma questo è quello che succede a parlare di argomenti che per lui sono spinosi. Non lo fa con cattiveria, però tende comunque a far del male alle persone pur di non parlare.
Tuttavia Rachel prende un respiro profondo ed infila le mani sotto le gambe, tra i suoi jeans e il sedile. «Serrano è il cognome di nostro padre».
Keith aggrotta le sopracciglia confuso.
«Non è McClain il vostro cognome?» domanda.
«Nostra madre è Rose McClain, abbiamo preso il suo cognome quando lei e nostro padre hanno divorziato» spiega, a voce bassa, come se fosse qualcosa che non dovrebbe dire. «Veronica e Marco sono quelli che hanno sempre odiato di più papà, ma Lance... piangeva quando le maestre si sbagliavano e per abitudine lo chiamavano Serrano».
La verità è che la ragazza a tutti gli effetti non gli ha dato una vera motivazione per cui il suo amico detesta quella parola, ma Keith non se la sente di indagare oltre, non se la sta facendo soffrire quando immagina.
Si morde il labbro inferiore e stringe la presa sul volante della macchina. «Io e tuo fratello non stiamo insieme».
Non la sta guardando, però sente comunque che gli rivolge uno sguardo di profonda tristezza. Non è sicuro di voler sapere cosa gliel'ha provocata.
Sono arrivati davanti al condominio di Lance e quindi parcheggia, senza aspettare un commento di Rachel prima di scendere dal pick-up.
Si sta dirigendo verso la porta d'ingresso quando sente la sua voce, dietro di lui.
«Un po' lo immaginavo» gli sta dicendo, mentre lui le tiene aperta la porta. «Non è il tuo tipo».
Keith alza le sopracciglia senza dire nulla lasciandola entrare e raggiungere l'ascensore.
Allora spiegami perché non riesco a farlo uscire dalla mia testa, pensa.
La ragazza attraversa le porte metalliche e gli fa cenno di seguirla, nonostante in realtà lui avesse una mezza idea di scappare via prima che potesse vedere il cubano dopo quello che sapeva aveva fatto.
«Tienila lontana da qui per due ore» gli aveva chiesto, visibilmente in imbarazzo. «Cercherò di liberarmene il prima possibile».
Keith rabbrividisce di rabbia al pensiero delle tre persone -tre, capite?- che mentre lui non poteva fare nulla erano entrati nell'appartamento del castano.
«D'altro canto tu sei esattamente il suo tipo, ma non credo se ne sia reso conto» gli dice la ragazza.
L'ascensore va verso l'alto ed il corvino si sente sprofondare. «Okay, non mi va di sentire le tue congetture sul ragazzo ideale di tuo fratello».
Rachel ride e piega la testa.
«Non sto dicendo che sei il tipo di ragazzo che Lance vuole, sto dicendo che sei il tipo di ragazzo di cui Lance ha bisogno. Quello che lo sfida a tirare fuori il meglio di sé e che lo spinge a non arrendersi davanti a nulla» precisa, stringendosi nella giacca. «Nostro padre eclissava completamente nostra madre nella loro relazione, tra le altre cose terribili che ha fatto, la faceva annullare. Mentre ora lei sta con Diego e, beh, non credo di averla mai vista farsi valere così tanto come adesso. Sono diversi, praticamente opposti in realtà, ma hanno questa adorabile rivalità che fa sì che si migliorino a vicenda».
Keith sbuffa ed alza gli occhi al cielo, decidendo che non gli piace stare chiuso in ascensore con i McClain, proprio no.
Una volta che le porte si aprono vede il ragazzo in piedi sulla soglia di casa, indossando una maglietta larga e dei pantaloni di flanella appoggiato alla parete come se fosse esausto. E probabilmente lo è.
Non appena quello si accorge della loro presenza si mette in posizione eretta, con un'evidente smorfia di fastidio nel farlo, rivolgendo tutta la sua attenzione non alla sorella scomparsa per cui si era tanto preoccupato, ma al ragazzo che l'accompagna.
La gratitudine negli occhi di Lance mentre lo guarda lo fanno sentire stranamente a disagio, come se non credesse di meritarla per aver nascosto una cosa simile a Rachel.
La ragazza, nel frattempo, gli sta rivolgendo un sorriso largo.
«Lancito, mi sei mancato così tanto» tenta di dire.
Lo sguardo di fuoco che lui le rivolge però la fa zittire improvvisamente. «Entra, idiota que no eres otra cosa, o te juro que llamaré a Vera».
Il sorriso scompare dal suo volto e borbottando entra nell'appartamento, lasciando i due ragazzi fuori da soli.
Lance si lascia andare in un sospiro esasperato ed alza gli angoli della bocca, debolmente.
«Vincerò non uno, ma due ippopotami di peluche» gli promise, suscitandogli un sorrisino. «Grazie Keith».
Il corvino scrolla le spalle e si passa una mano tra i capelli. «Figurati. Per una ricompensa del genere questo e altro».
È una cosa di meno di un secondo e Keith si irrigidisce improvvisamente, perché ha visto che Lance sta allungando un braccio nella sua direzione. Non ha idea di cosa voglia fare, non può saperlo, ma sa che lo toccherà e questo non va bene.
Tre persone.
Tre.
Fa un passo indietro, distogliendo lo sguardo.
Non può toccarlo, non ci riesce.
«Devo andare» dice piano.
Poi gli volta le spalle e se ne va.
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