[2] Fumes
Lance
Erano passati più di quindici giorni da quando Allura era finalmente stata dimessa dall'ospedale, al che ognuno di noi si era sentito in diritto di evocare di nuovo Voltron e combattere una di quelle battaglie che come sempre ci facevano sentire più vivi, di quelle che scatenavano l'adrenalina nelle vene e che finivamo quasi sempre per vincere.
Ma forse era proprio quel quasi sempre che ci intrigava, quell'occasione che avevano i nostri avversari di capovolgere la situazione e sopraffarci e che ci avrebbe tenuto sempre sul filo del rasoio.
Per questo persino Pidge si impegnò a convincere Lotor che fosse una buona idea, perché non solo Allura ne aveva bisogno, ma tutti ne avevamo bisogno.
«Bene, mi pare sia tutto pronto» esordì Keith, nella sua tuta mimetica dalla banda rossa sul braccio. «Shiro, ognuno ha le proprie munizioni?»
Il suo fratellone alzò gli occhi al cielo come faceva ogni volta che ci immedesimavamo nella parte come in quel momento, fingendo di non aver assaltato da solo una base Galra gridando Per Voltron! solo due mesi prima.
«Tutti hanno le loro munizioni ed Hunk ha già distribuito i biscotti allo zenzero» rispose inclinando la testa verso il ragazzo dalla tuta mimetica con la banda gialla. «Biscotti che finiranno con lo sbriciolarsi perché le nostre battaglie sono sempre violente».
Hunk strinse il fucile a sé ed alzò un dito verso l'alto come se dovesse dire qualcosa di molto saggio e profondo. «Un biscotto al giorno toglie i Galra di torno».
Pidge inarcò le sopracciglia mentre si legava il nastro verde acceso alla caviglia.
«Mistico, Hunk, davvero».
Allura storse le labbra sistemandosi la banda rosa sul braccio.
«Sono piuttosto sicura che il modo di dire non fosse così» osservò, portando una mano istintivamente alla ricarica del fucile per essere sicura di avere i colpi necessari.
Keith si schiarì la voce e gli occhi di tutti si posarono su di lui (nonostante i miei fossero incollati al suo corpo da un bel po').
Ci trovavamo all'interno di un capanno di legno in mezzo alla boscaglia, ovvero quella che era sempre stata la nostra base nonostante tutto, ed il ragazzo dal taglio di capelli discutibile era in piedi in mezzo a noi altri.
«Lo schema è semplice» esordì, indicando i due con i capelli bianchi con la canna del fucile. «Allura e Shiro oltrepasseranno il fiume e cercheranno di aprire una breccia a sinistra». Si rivolse poi ai miei due migliori amici, i quali stavano apportando alcune modifiche sul momento alle loro armi. «Hunk e Pidge invece faranno la stessa cosa da destra, mantenendosi sempre in modo da avere la nostra base sotto controllo».
Con un gesto fluido mi abbassai la visiera sugli occhi e gli rivolsi un ghigno.
«Mentre noi attaccheremo dal centro» conclusi al posto suo. «Ricevuto, Team Leader».
Lui mi guardò tra il complice ed il divertito, per poi riacquistare uno sguardo serio che lo avrebbe caratterizzato fino alla fine della partita. «Facciamo il culo a quei bastardi Garla».
Allura si esibì in un largo sorriso e caricò il fucile, per poi imbracciarlo in modo che fosse più comodo da trasportare.
«Gli faremo rimpiangere di essere nati» dichiarò con incredibile determinazione.
Shiro si alzò in piedi osservandola divertito. «Non c'è anche il tuo ragazzo nell'altra squadra?»
Lei aggrottò le sopracciglia come se non capisse come questo dovesse importarle qualcosa.
«Immagino di sì, ma questo non gli impedirà di tornare a casa con la vernice persino nelle mutande» ribatté, scrollando le spalle.
Keith le rivolse un sorriso di lato e spalancò la porta del capanno, al che ci riversammo tutti fuori dalla base pronti a sconfiggere i nostri acerrimi nemici all'ennesimo paintball all'ultimo sangue.
Non so se avete mai giocato a paintball o se ne avete sentito parlare: nel nostro caso si trattava di una battaglia senza esclusione di colpi tra due squadre munite di fucili a vernice e un disperato bisogno di vincere ad ogni costo.
Noi avevamo preso il nome del nostro Team da una serie televisiva che Pidge ha costretto tutti quanti a guardare, Voltron, mentre gli altri erano soprannominati Galra poiché era il cognome del loro leader.
Lotor e Allura si erano conosciuti così la prima volta, mentre per noi era un nemico di vecchia data: nessuno dei nostri abituali avversari ci aveva mai dato tanto filo da torcere quanto lui e la sua squadra.
Ci dividemmo tra gli alti alberi che costituivano il nostro terreno di guerra e seguii a ruota Keith, mentre gli altri si allontanavano rapidamente da noi.
Una persona normale avrebbe riso della sua serietà e della sua furtività da ninja, purtroppo però io non ero nelle condizioni di farlo. Il mio unico desiderio era ricoprire di vernice i nostri avversari e nemmeno i capelli color pece di Keith avrebbero potuto distrarmi, anche se sembravano così morbidi al tatto da spingermi a...
«Lance» mi ringhiò seccato, come se avessi fatto qualcosa di stupido.
Sbattei un paio di volte le palpebre e mi accorsi che, stupidamente, avevo finito per andare a sbattere contro un albero senza nemmeno rendermene conto.
Giacevo con la schiena tra le foglie secche cadute sul terreno dal mese precedente, mentre il cielo nuvoloso di inizio novembre si stagliava davanti ai miei occhi incorniciato dai rami degli alberi.
Improvvisamente nel mio campo visivo entrò il viso del ragazzo dagli occhi scuri, che mi scrutava visibilmente irritato e per nulla preoccupato per la mia incolumità.
È così che mi ripaghi per la cotta che ho per te, Kogane?, penso inarcando un sopracciglio.
«Che cazzo è successo?» mi domandò, mentre mi strofinavo la fronte sul punto dell'impatto.
La finezza del modo di parlare suo e di Pidge mi estasiava ogni volta.
Sbuffai sonoramente e cercai a tentoni il mio fucile, ritrovandolo subito al mio fianco.
«Sono talmente attraente che l'albero ha cercato di baciarmi» risposi, arricciando le labbra. «Però ci siamo dati una testata e direi che oramai la nostra relazione non potrà più essere senza imbarazzo».
Keith alzò gli occhi al cielo e potei quasi contare le scaglie color ametista all'interno delle sue iridi, una volta che ebbi deciso di alzarmi e provare a sedermi dignitosamente.
Il nostro leader mi porse la mano perché la afferrassi ed ovviamente esitai poco meno di un secondo prima di stringere le mie dita fredde attorno alle sue.
Ci stai dando eccessiva importanza, Lance, voleva semplicemente che tu non rimanessi a essere inutile in mezzo alle foglie, cercai di dirmi ragionevolmente.
Pochi istanti dopo sentimmo un rumore sospetto poco lontano da noi ed una familiare chioma di capelli rossi scomparve dietro il tronco di un albero.
«Ezor» mormorò, imbracciando il fucile e caricandolo. «E se c'è lei...»
«Acxa!» esclamai, spingendolo via prima che una piccola sfera di vernice viola si schiantasse contro la sua divisa mimetica.
La ragazza dai capelli corti che avevo appena nominato imprecò a mezza voce e si affrettò a nascondersi dietro un albero, contro il quale esplose il mio proiettile verde.
Un verde orribile tra parentesi.
«La prossima volta la vernice la porto io» dichiarai, con una smorfia. «Pidge è ufficialmente sollevata da questo incarico per sempre».
Keith sollevò il fucile verso la mia sinistra e sparò un paio di colpi, fino a quando un leggero splat seguito da un versetto scontento di Ezor gli segnalò che l'aveva colpita.
Mi guardò con i suoi occhi screziati di viola e dipinse sul suo volto uno sguardo omicida. «Io faccio uscire Acxa dal suo nascondiglio» disse. «E tu la fai fuori».
«Cosa aspetti allora?» chiesi, con un ghigno. «Un invito ufficiale?»
Non mi rispose nemmeno e corse verso il nascondiglio della nostra avversaria, così ebbi occasione di appoggiare l'arma alla spalla e trarre un respiro profondo.
Acxa si lanciò contro il ragazzo cercando di colpirlo con il fucile, che lui riuscì a evitare indietreggiando e spingendola ad uscire ancora di più allo scoperto.
Presi quindi un respiro profondo e mi concentrai sui movimenti di entrambi, veloci e fluidi come se avessero passato la vita a combattersi a vicenda. E per quanto ne sapevo, per quanto Keith avesse raccontato del suo passato, lui e la ragazza erano effettivamente cresciuti nella stessa comunità educativa facendosi dispetti e lottando con manici di scope per sottolineare il proprio dominio sulla sedia più vicina al termosifone.
Con un gesto fulmineo presi la mira e colpii in pieno l'arma di Acxa facendole perdere la presa, per poi spararle in pieno petto una volta che si fu girata verso di me per scoccarmi un'occhiataccia.
«Ti copro le spalle, amico» dissi al mio compagno di squadra.
Vidi il volto di Keith, prima incorniciato dalle sopracciglia aggrottate, illuminarsi di un sorriso appena accennato mentre si voltava a guardarmi e ciò ebbe l'effetto di destabilizzato non poco.
Mi piace pensare che fu per questo motivo che non mi accorsi di Ezor, spuntata da dietro il cespuglio e con il fucile puntato contro Keith, rivelandoci che non l'avevamo colpita in zone mortali.
Prima ancora che uno di noi due potesse reagire i nostri walkie-talkie emisero tre suoni brevi a intermittenza, subito seguiti dalla voce di Hunk.
«Abbiamo vinto, Shiro e Allura hanno preso la base dei Galra!» esclamò dall'altro capo, dato che lui era uno dei più fanatici.
«Tecnicamente Shiro ha preso la base» intervienne Shiro. «Perché tecnicamente flirtare con gli avversari non è esattamente lo scopo del gioco».
«Oh andiamo, stavo distraendo Lotor per permettergli di andare avanti. Mi sono sacrificata per voi!» si difese Allura, fingendosi indignata.
Il borbottio di Pidge che udii subito dopo mi fece riconsiderare la mia amicizia con quella sottospecie di Grinch. «Questo non ti conferisce il diritto di comportarti come Lance».
«Obiezione» mi lamentai nel mio walkie-talkie, ovviamente senza aver staccato gli occhi di dosso da Keith, che si stava avvicinando.
Inclinò la testa nella direzione in cui si trovava il parcheggio ed ignorò la linguaccia della ragazza dai capelli rossi, senza aver cancellato il sorrisetto che era comparso qualche istante prima sul suo volto.
«Shiro vuole portarci da KFC prima di andare a casa» mi disse, aggiustandosi i guanti senza dita.
Gli rivolsi anche io un sorriso, appoggiandomi il fucile sulla spalla. «Scommetto che posso mangiare più ali di pollo piccanti di te».
Nei suoi occhi balenò come una scintilla di pura e semplice sfida. «Vorrei proprio vederti provare».
Keith
Keith ha questo problema, un problema che sa di avere da quando i bambini alla comunità educativa non volevano giocare con lui perché li spaventava.
Era solitario, introverso e brusco, quindi per loro era difficile capirlo e capire come approcciarsi con lui, così semplicemente lo evitavano come la peste divertendosi tra di loro nell'ingenua speranza che una coppia di genitori amorevoli li avrebbe portati a casa.
E fondamentalmente il problema di Keith è questo, è che lui vorrebbe farsi capire dalle persone ma non sa come riuscirci. Il ragazzo si comportava in quel modo, da piccolo, perché temeva che non sarebbe arrivato proprio nessuno per lui e perché quell'infantile presunzione degli altri di poter essere un giorno amati da qualcuno lo infastidiva: credeva che se i bambini lo avessero capito forse avrebbero condiviso il suo stato d'animo. Ma non era riuscito a farsi capire.
Perciò adesso, mentre un fastidioso prurito lo spinge a grattarsi il naso con l'impugnatura della chiave inglese, si sta chiedendo se stia riuscendo a farsi capire dai suoi amici, da Lance. E non è che pensi a questo tutte le volte che si trova a fare la manutenzione di una monovolume, solo che ha sfidato Lance a mangiare tutte quelle alette di pollo quando a lui non piacciono le alette di pollo.
Si strofina di nuovo lo strumento di metallo contro il naso scivola via da sotto l'auto, amareggiato.
Il punto è che avrebbe potuto sfidarlo a mangiare delle patatine ma non l'ha fatto solo perché sa che il cubano ama le alette di pollo, e si chiede se Lance a questo ci abbia pensato.
Crede di essere un idiota a farsi questo genere di problemi, quindi cerca Ulaz con lo sguardo mentre infila la chiave inglese nella cintura.
«Ho finito la manutenzione della monovolume che vengono a ritirare domani mattina» dice al paio di gambe che spunta da sotto un SUV di un deplorevole giallo limone. «C'è altro per me?»
Dall'imprecazione soffocata e dalla macchia d'olio che improvvisamente comincia a dilagarsi sul pavimento sospetta che il suo collega non stia esattamente avendo una bella giornata.
«Chiedi a Kolivan, io sono occupato» gli risponde infatti. «Credo che sia in ufficio a firmare i documenti per il divorzio, perciò cerca di non infastidirlo, ragazzino».
Keith si ripete che deve solo inspirare a fondo ed ignorare il commento, così si dirige verso gli uffici strofinando le mani in uno straccio sudicio che ha come unico effetto quello di spalmare uniformemente la sporcizia sulle sue dita.
Si chiede se Lance inorridirebbe nel sapere che lavora senza guanti e che non fa alcun trattamento per preservare la morbidezza delle sue mani, ma è più che certo di sapere già la risposta.
Abbassa la maniglia della porta grigia che lo separa dal suo capo, chiedendosi da quand'è che pensa al ragazzo dagli occhi blu così tante volte al giorno. Non che prima non ci pensasse: non pensare a Lance non è esattamente un'attività che può scegliere di praticare, probabilmente per qualche difetto del suo cervello. Perché è come se il ragazzo fosse sempre... lì. Come se fosse un promemoria.
A Keith non piacciono i promemoria.
«Ah, Keith» dice Kolivan senza nemmeno alzare gli occhi dalla pila di fogli che ha davanti. «Volevo chiederti se potevi passare prima domani, perché Reyes deve consegnare una macchina subito dopo le sette, orario in cui passa l'autobus per il centro».
Il ragazzo osserva la mano dell'uomo torturare con nervosismo un angolo del foglio che sta leggendo malinconicamente, per poi annuire nonostante lo sguardo del suo capo non fosse su di lui.
«Sarò qui prima delle sette» assicura con tono monocorde, perché sta già pensando a qualcos'altro.
Sta pensando al proprietario dell'auto di cui parla Kolivan, un uomo viscido ed approfittatore di nome David Reyes, persona che non sta solamente sui coglioni a Keith in modo incredibile ma lo insospettisce non poco.
«Bene» commenta distrattamente il suo interlocutore, portando una mano alla tempia sinistra come fa ogni volta che sente che c'è qualcosa che gli sfugge.
A Keith piace questo suo gesto, perché spesso anche Shiro si tocca piano l'attaccatura delle sopracciglia per concentrarsi. E dato che ormai ha assunto la figura di Shiro come un emblematico fratello maggiore suppone che sia questo a spingerlo a fidarsi di Kolivan, le loro somiglianze.
«Avevi bisogno di qualcosa?»
«Ho finito con la monovolume dei Miller e sono già le cinque» risponde, anche se non è che l'orario conti molto.
Ulaz dice sempre che fare il meccanico è la tortura peggiore del mondo dato che, non importa che ora del giorno sia, se hai una macchina da finire devi finirla.
Kolivan alza le mani e gli rivolge uno sguardo affettuoso, anche se non è accompagnato da un sorriso. Questo suo modo di fare lo rende leggermente diverso da Shiro, ma a Keith va bene lo stesso. Riesce a capire l'uomo di fronte a lui con più chiarezza dell'insegnante di Astrofisica.
«Allora vattene di qui, ragazzo. Non hai un esame la settimana prossima?» gli fa, sospirando. «Studia e prendi quel dannato pezzo di carta, così non dovrai finire a lavorare qui con me».
Pidge dice che Astrofisica è una materia da nerd e che chi la insegna può essere solo il più galattico dei nerd, tuttavia lo dice sempre con uno strano luccichio di ammirazione negli occhi. È difficile trovare una persona che lei ammiri più di quanto ammiri Shiro.
«Non sarebbe male lavorare qui» replica Keith, con sincerità.
«Stronzate» dice l'altro, con voce morbida. «Vattene a studiare, o a ballare, o qualsiasi cosa facciate voi giovani al giorno d'oggi. Ma non drogarti, eh, quella non è una cosa intelligente da fare».
Keith alza le mani verso l'alto ed esce il più in fretta possibile, perché sa che l'uomo è serissimo ed ogni tanto viene travolto da quel terribile istinto da papà che lo spinge ad avere conversazioni di quel tipo con il suo protetto.
Ed il ragazzo pensa, mentre si lava le mani, che non è che gli dispiaccia poi tanto avere qualcuno che si preoccupa per lui, ma non riuscirebbe ad affrontare di nuovo un discorso come Ragazzo mio, non sai mai quando puoi contrarre una malattia sessualmente trasmissibile. Discorso che è uscito dalle labbra di Kolivan più di una volta.
Dopo aver messo in ordine gli attrezzi (sporcandosi nuovamente le mani) corre in direzione del pick-up rosso parcheggiato all'esterno dell'officina ed una volta dentro spegne definitivamente il cervello.
Umh, no, non è corretto, è solo che permette ai suoi pensieri di trascinarlo in una spirale senza fine mentre come se avesse inserito il pilota automatico guida fino al suo appartamento. È che dentro il pick-up si sente a casa e crede di potersi permettere certi lussi, anche se si sente in colpa a pensarla così. Perché è Shiro la sua casa, è Allura la sua casa (letteralmente, vive con lei da quando si sono conosciuti) e si sente una persona orribile a paragonarli a una macchina.
Però.
Keith si passa una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio e non ha idea che così facendo si sia fatto un segno nero accanto all'occhio, ma tanto ormai è immerso fino al collo nel vortice dei suoi pensieri.
Pensava alla sua auto, alla sua Yorak, ed ora sta pensando a Lance, perché figuriamoci se il cubano non lo prendeva in giro anche per quello.
«Qualche giorno devi portarmi a fare un giro, Cowboy» gli aveva detto facendogli l'occhiolino.
E sì, Keith lo sa che ogni cowboy dell'età moderna possiede un pick-up, ma ciò non implica che solo perché suo padre era del Texas allora lui debba uniformarsi alla massa.
A lui semplicemente piace molto il suo pick-up.
E a lui semplicemente piace molto anche Lance.
Non saprebbe dire quando si è accorto di avere questa spaventosa cotta per il ragazzo dai capelli castani, perché non è che sia uno che iperanalizza le cose. O che le analizza e basta, insomma.
Keith lo sa che se fosse anche solo un minimo più emotivamente miope di quanto già non sia sarebbe come Pidge, però lui ci prova davvero a capire cosa gli succeda.
Ha provato a chiedersi cosa gli piaccia di Lance, cosa lo spinga a sentire tutto quel calore al cuore e al basso ventre al pensiero di Lance che fa qualcosa in particolare, che dice qualcosa in particolare.
E tutte le volte che tenta di cercare dei motivi per cui lo trova lontanamente sopportabile finisce con il proferire a se stesso una sequela di difetti del cubano, che non sono per nulla pochi. Mentre invece, quando cerca motivi per odiarlo, sembra avere una lista interminabile dei suoi pregi davanti a sé.
Ogni volta che lo fa, tuttavia, il pensiero che tantissime persone hanno avuto Lance, che troppe persone che non lo meritavano hanno rovinato la sua vita lo spiazza, interrompendo lo scorrere incessante dei suoi ragionamenti senza capo né coda.
Prima, però, sembrava che per qualche momento finisse la magia, che la sola idea di tutte quelle mani sul cubano riuscissero a tenerlo lontano dalla mente di Keith. Adesso invece fa solo male, e tanto, cazzo.
Il ragazzo non ricorda di essere arrivato al condominio con le sue gambe, eppure eccolo qui, davanti alla sua porta di casa, con le chiavi in mano pronte a essere infilate nella serratura.
Scuote leggermente la testa e poi apre la porta, facendo un passo all'interno dell'appartamento ed appendendo pigramente il giacchetto di pelle all'appendi-abiti.
Non appena il pannello di mogano si chiude alle sue spalle, il moro può osservare che sul divano del salotto due figure sono sedute il più lontano possibile l'una dall'altro, entrambi con un broncio infantile dipinto sul viso.
Keith alza entrambe le sopracciglia e li squadra senza esprimere alcuna particolare emozione. «Ciao».
«Keith» lo salutano contemporaneamente, visibilmente seccati nell'udire la voce dell'altro in simultanea con la propria.
Il ragazzo si guarda attorno e cerca di capire quanto brutto sia stato il loro litigio, rendendosi improvvisamente conto della pila di riviste a terra, evidentemente scaraventate via da qualcuno. E tutti sanno senza alcun dubbio che è stata Allura, dato che Lotor è troppo snob per abbassarsi a lanciare oggetti in un attacco di rabbia.
«Faccio il tè» dichiara, allontanandosi dal salotto ed accendendo la radio posizionata sullo scaffale tra la cucina e la stanza dove i due fidanzatini non sembrano intenzionati a parlarsi.
The morning light shines a lifeline
Escape is what I need
Lascia che le note provenienti dalla radio riempiano il silenzio e si avvicina al lavello, per potersi lavare le mani di nuovo.
Mentre lascia cadere l'acqua bollente nel bollitore tamburella ritmicamente sul metallo di questo, pensoso.
Non è che vada pazzo per il tè o per Lotor in generale, ma ormai è questa la loro abitudine. Quando qualcosa non va Keith ed Allura fanno il tè, dato che il caffè è bandito categoricamente da quell'appartamento, stanno in silenzio e guardano la TV, o si mettono a parlare di qualsiasi cosa li abbia turbati.
E da quando Lotor è entrato nella loro vita, Keith è abituato a lasciare un po' di spazio ai due quando litigano, soprattutto perché sa che la maggior parte delle volte non è affatto colpa del ragazzo. In quelle occasioni, quindi, il moro prepara il tè per tre persone e lascia che Lotor entri a far parte della loro routine.
I should've listened last night, girl
This is beyond belief
That we keep falling for the lure of
Liquid confidence and lies
And we skydive from walls we built
Dying just to feel alive
Guarda il cellulare, aspettando che l'acqua si metta a bollire, e vede che ha quindici messaggi da parte di Pidge e uno da parte, stranamente, di Acxa.
Apre prima il più solitario, più per curiosità che per altro.
On the way down screamin'
"Ho capito quella
cosa degli spaghetti"
Al-acxa
Non appena finisce di leggere il messaggio, Keith sorride. No, non è corretto, Keith sta ridendo soffocandosi con la sua stessa mano perché, Dio, Acxa ha capito la cosa degli spaghetti.
Woah
If all we have is time, then we'll be alright
It's not much, but it's better than nothing
We're running on fumes, but we'll make it through the night
It's not love, but it's better than dreaming
Il ragazzo sente un singhiozzo provenire dall'altra stanza e non deve impegnarsi troppo per immaginare la scena che è negata alla sua vista: probabilmente Allura ha sepolto il viso nel collo di Lotor ed il ragazzo le sta accarezzando la schiena, stringendola per paura che voli via.
Metà delle loro dispute sono a causa della salute di lei e del fatto che, anche se non lo ammette nessuno dei due, sono spaventati da morire.
Cazzo, persino Keith è spaventato da morire, non vuole nemmeno immaginare cosa possa sentire Allura, che lo sta vivendo, o Lotor, che vede la ragazza della sua vita spegnersi tra le sue braccia.
Oh, I'm on fire
There's a burning in my bones and in my eyes
These dreams they're taking hold, I just need time
Time
Spegne il fuoco da sotto il bollitore ed estrae tre tazze, all'interno delle quali mette tre infusi diversi perché, ugh, a forza di abitudini sa anche fin troppo bene che quei due ricconi non hanno idea di quale sia il buon te.
Prima che possa vuotare l'acqua, però, il telefono comincia a squillare ed un numero conosciuto appare sullo schermo.
Perché Lance lo sta chiamando?
Building walls to burn them down
Cannonballs to watch me drown
You've got me lost in here and now
You've got me gone and lost and found
We only hang in evenings
«Lance?» fa il ragazzo, automaticamente.
Certo che è Lance, idiota, ti sta chiamando lui, pensa subito dopo.
And I don't know what I'm thinking
But I know that I won't think it
If I keep up with this thinking
«Keith, io...» prova a rispondere la sua voce ovattata. «Keith».
Il moro aggrotta le sopracciglia perché decisamente questa non è un tono di voce da Lance. È titubante, è spezzato, e soprattutto sembra privo di ogni volta di concludere la frase.
«Lance» scandisce quindi, cercando di andargli in contro. «È successo qualcosa?»
All these dreams and all these plans
We shared under the moonlight
They're dreams and plans that I have
I just don't know if you'll fit right
When I leave in the morning
And I kiss you and say goodnight
Sente un suono dall'altro capo del telefono al posto delle parole, un lamento debole che gli fa accapponare la pelle. «Sì, davvero, sì. Ho bisogno di aiuto».
Keith ora è preoccupato oltre ogni misura, tanto che deve stringere il bordo del tavolo fino a farsi sbiancare le nocche per non mettersi a urlare.
«Stai bene?» domanda, non appena l'altro ha finito la frase. «Qualcuno ti ha fatto del male?»
I kick myself until we kick it
Should've told you goodbye
Perché già odia con tutto se stesso ogni singolo cliente di Lance senza averne mai incontrato uno, ma se hanno osato torcergli anche solo un capello contro la sua volontà Keith crede che potrebbe arrivare a commettere un omicidio.
Li odia non per gelosia, non è così immaturo, ma perché se pensi che con dei soldi tu possa comprare il corpo e la dignità di una persona, allora sei automaticamente sulla lista nera del moro.
«No, no, io sto bene» chiarisce la voce al telefono. «È mia sorella».
Coming home so late at night
With clothes covered in sand
I don't know just what I'm missing
But I'm doing what I can
And if all we have is time then will we find
«Tua sorella...?» ripete confuso, per nulla intenzionato a far trapelare il suo sollievo.
Non sarebbe stato carino.
«Sì, Rachel, la mia gemella. Potresti venire qui... adesso?» domanda, prima di lasciarsi andare in una risata nervosa che spaventa Keith. «Se sei libero, ovviamente. Voglio dire, non è che sei a obbligato a-»
La sua voce trema e lo sentono entrambi, questo è evidente. «Sono da te tra cinque minuti».
Woah
If all we have is time, then we'll be alright
It's not much, but it's better than nothing
«Grazie» sospira Lance, prima di riattaccare.
We're running on fumes, but we'll make it through the night
It's not love, but it's better than dreaming
Keith si appoggia per qualche momento al tavolo, solo per qualche momento, giusto per riordinare le idee. Sa che non è il momento si farsi prendere dalla tensione perché se morisse in un incidente stradale perché distratto non sarebbe di utilità a nessuno.
«Keith, va tutto bene?» domanda Allura, mentre insieme a Lotor si affaccia all'entrata della cucina.
Woah
If all we have is time, then we'll be alright
It's not much, but it's better than nothing
We're running on fumes, but we'll make it through the night
It's not love, but it's better than dreaming
«Devo andare da Lance immediatamente, ti chiamo io più tardi» risponde, infilando in tasca il cellulare ed uscendo a grandi passi dalla cucina. «I falafel nel frigorifero sono di chiunque lo voglia, non toccate i miei spaghetti di soia oppure vi taglio le dita» aggiunge, afferrando frettolosamente la giacca di pelle e le chiavi del pick-up. «Perché lo so, Lotor, che tu mi fotti sempre l'ultima porzione».
Lance
Strofinai pigramente la faccia contro il cuscino, non propriamente sicuro sul come avrei fatto a resistere per altri due clienti dopo una cosa del genere.
«Lance, forza, devi rimanere sveglio» mi prese in giro Aaron, facendomi soffiare con il naso contro il cuscino. «Chi ti pagherà se ti addormenterai prima ancora di spogliarti?»
Mi alzai quanto bastava per guardarlo in faccia, mentre si abbottonava la camicia con un sorrisetto, ed inarcai un solo sopracciglio. «Scusami? Sei stato tu a ridurmi così».
«Quanto la fai lunga» mi liquidò, alzandosi in piedi scrutando il pavimento della stanza alla ricerca dei suoi pantaloni. «Caffè?»
Mugugnai qualcosa che poteva essere interpretato come risposta ed affondai di nuovo la faccia nel cuscino, mentre il ragazzo si dirigeva in cucina per preparare a entrambi quello che aveva proposto.
Se esisteva un Dio, di sicuro Aaron Dray era la sua benedizione per me.
Ormai Aaron era un mio cliente abituale, questo era vero, ma era anche vero che avevamo costruito una strana amicizia nel corso del tempo ed aveva imparato, a mie spese, che avrebbe potuto proteggermi solo continuando a venire nel mio appartamento.
Era stato il mio amico a portarmi all'ospedale dopo che Lui me l'aveva fatta pagare per non aver pagato il debito mensile ed era stato lui il primo a cui avevo spiegato come funzionava veramente il mio lavoro.
Era cominciato tutto all'ultimo anno di liceo, quando un disperato bisogno di soldi mi separava dal poter entrare alla Garrison e alleggerire il carico dei miei genitori: tutte le bocche da sfamare che avevamo in casa non erano una passeggiata da gestire.
Udii Aaron canticchiare stonato nell'altra stanza e mi tirai a sedere, passandomi una mano tra i capelli lasciandomi andare in un sorriso stanco.
«Non hai comprato il latte» mi gridò, credendo che facessi fatica a sentirlo. «Cosa credi, che sia io la tua domestica?»
«Perché, non lo sei?» replicai ad alta voce, individuando i miei boxer sul bordo del letto.
Da quella notte in ospedale, il ragazzo aveva cominciato a trattarmi come se fossi fatto di vetro, come se fossi una persona da accudire ed aiutare. Spesso era solo grazie a lui se avevo il frigorifero pieno e il bucato appena fatto, ma ciò aveva i suoi lati positivi e negativi.
Ignorando il fattore sesso, beh, eravamo veramente amici e questo confortava entrambi: lui mi aiutava a non trasformare il mio appartamento in un cesso ed io lo ascoltavo nei suoi lunghi sproloqui sui meravigliosi occhi di Dosia. Tuttavia, non era come Pidge, come Hunk o come Allura. Il fatto che volesse prendersi cura di me come se fossi un bambino mi infastidiva non poco, però riconoscevo che non ero nelle condizioni di ribellarmi anche a lui.
«Ho scoperto una cosa terribile» mi annunciò, una volta che feci il mio ingresso in cucina. «Dosia non ha mai visto Star Wars, dice che le sembra una stupidaggine».
Mi portai una mano al petto, sconvolto, osservando con avidità la tazza che mi stava porgendo. «Mi sento così profondamente tradito in questo momento».
«Lo so!» esclamò lui, lasciandosi cadere sulla sedia con ancora la cintura dei jeans slacciata. «E io che credevo di aver trovato la donna della mia vita».
Afferrai la tazza di Kingdom Hearts e mi bagnai la lingua con il liquido bollente.
Non avevo mai giocato a Kingdom Heart, tra parentesi, era solo un regalo ironico da parte di Pidge.
«Allora» cominciò Aaron, inclinando la testa imbarazzato. «Hai provato a parlarne con...?»
«No. Categoricamente no» risposi, quando vidi che non aveva nemmeno il coraggio di dire il nome dell'unica persona che forse poteva fare qualcosa per aiutarmi. «Mierda, è suo padre Ronnie. Non potrei mai fare una cosa del genere».
Pacatamente il ragazzo chiuse gli occhi e posò la sua tazza sul tavolo, concentrandosi poi nell'allacciarsi la cintura. «Eppure suo padre non si disturba a fare del male a te».
Gli lanciai un'occhiataccia e presi un lungo sorso di caffè, ignorando il peso al petto.
In breve era così che si diventava una Sua pedina: si chiedeva un prestito più o meno ingente e Lui pretendeva che gli venisse restituito con gli interessi. Non puoi restituirgli i soldi? Semplice, lavori per lui fino a quando non gli avrai ridato la stessa somma che avevi ricevuto in prestito, con l'unico problema che gli ingaggi che ti vengono offerti sono tutt'altro che legali.
O spacci, o fai l'aguzzino, o... Beh, ti prostituisci.
E mi sono accorto la prima volta di quanto fosse costosa la Garrison quando ho cominciato a doverlo ripagare, vendendo letteralmente me stesso.
Di certo non sono i ventimila dollari a essere tanti, grazie alla borsa di studio avevo ottenuto la possibilità di pagare la metà dell'iscrizione, ma il punto è che con i soldi che guadagno ci devo anche vivere: pagare l'affitto, fare la spesa, comprare i testi scolastici...
Per poi non dimenticare gli interessi, ovvero mille dollari in più ogni mese che passa.
Lavoravo per quell'uomo da anni ormai e gli dovevo ancora diciottomila dollari. Gli avrei sempre dovuto attorno ai diciottomila dollari, a meno che io non volessi morire di fame e ricevere clienti a ogni ora del giorno.
«Theodosia è un'ottima legale, lo sai» ripeté per la quinta volta nel giro di tre giorni. «E per quanto mi dispiacerebbe molto non essere più un tuo cliente, l'unica cosa che vorrei è che ti facessi aiutare».
«Aaron, mi servono soldi, non un avvocato» biascicai, con il caffè in bocca. «Sono stato io a invischiarmi in una faccenda illegale, Dosia non fa miracoli».
Il ragazzo sospirò e si accarezzò i capelli corti, scuotendo piano la testa. «Lo so, lo so. Ma se ne parlassi con chi ti ho suggerito, potrebbe aiutarti. Siete amici, no?» domandò alzandosi in piedi dopo aver dato una rapida occhiata all'orologio.
Alzai le sopracciglia. «E cosa dovrebbe fare? Darmi i soldi? Andare contro di Lui senza nessun aiuto?» chiesi, posando con rabbia la tazza sul tavolo. «Vede suo padre come un visionario e non ho intenzione di distruggere anche il suo rapporto con lui mentre è in questa situazione... delicata».
Aaron scrollò le spalle, segno che non aveva intenzione di affliggermi oltre con la sua preoccupazione. Afferrò il cappotto dalla sedia e si diresse verso la porta, conoscendomi abbastanza bene da sapere quando smettere di parlare di cose serie.
«È una tua decisione, in fondo non è la mia vita» dice, rivolgendomi un sorriso felino accompagnato da uno sguardo triste. «Puoi sempre immaginare che tutte quelle persone siano quel bel ragazzo con i capelli neri...»
«Esci da questo appartamento prima che ti faccia vedere quali sono i frutti di aver condiviso la propria infanzia con sette persone sotto lo stesso tetto» dissi, ignorando il calore che aveva improvvisamente scaldato le mie guance.
Il ragazzo non si preoccupò di salutarmi mentre ridacchiava a tra sé e sé, uscendo dalla porta.
Nascosi la faccia tra le mani, emettendo un lungo lamento soffocato.
Con il tempo avevo imparato a controllare le mie reazioni fisico-biologiche, cosa fondamentale se devi avere a che fare con faccende illegali tutti i giorni, ma a quanto pare la mia magia non funzionava per quanto riguardava Keith.
Keith era forse l'unico che mi rendeva umano.
Okay Lance, lascia le frasi da telenovela argentina a tua madre, dissi a me stesso, prima di alzarmi e lanciare tutta la mia persona sul divano del salotto.
Che aveva poi di tanto speciale Keith, uh?
Voglio dire, era solo un ragazzo emo dal passato infelice che mi sopportava a malapena.
Potevo trovare centinaia di altri ragazzi emo, no? Bastava impegnarsi.
Eppure.
Già, eppure.
Eppure non mi piacevano nemmeno i ragazzi emo, non mi piaceva tutto quel rosso che lui metteva sempre ovunque, non mi piaceva l'ananas sulla pizza che per lui era fondamentale, non mi piaceva la sua aria costantemente seccata e il fatto che avesse sempre quei guanti senza dita addosso.
Se avessi dovuto scegliere il mio ragazzo ideale, beh, sarebbe stato uno come Shiro, il tipico bravo ragazzo che ti passa a prendere alle otto e non ti permette di fare stupidaggini.
Invece.
Già, invece.
Invece quel suo fare tanto il cupo e misterioso mi inteneriva, ogni cosa rossa che vedevo in giro mi faceva pensare a lui, vedergli mangiare l'ananas sulla pizza mi spingeva a chiedermi se poi le sue labbra sarebbero state dolci e quei guanti continuavano ad attirare l'attenzione sulle sue mani.
Mani che, tra parentesi, avevano stretto le mie una volta sola, mentre aspettavamo notizie dopo il primo ciclo di chemioterapia di Allura.
E non riuscivo a non pensarci ogni volta che gli vedevo quei guanti addosso, cazzo.
Il telefono squillò e notai con una certa sorpresa che il numero sullo schermo era quello di Veronica.
Non appena risposi alla chiamata la voce agitata di mia sorella mi distrusse quasi permanentemente un timpano. «Lance, ho bisogno di aiuto».
«Bene bene» dissi, con un sorrisino. «Non dirmi che Vera si è dimenticata che domani è l'anniversario di mama e Diego ed ora vuole un consiglio dal suo fratellino preferito».
Un lungo silenzio dall'altra parte della linea mi fece intendere che effettivamente era l'ultima cosa a cui stava pensando.
«Perra de esa perra...» mugugnò a bassa voce, prima di prendere un respiro tremante. «No, si tratta di Rachel».
Mi sedetti a gambe incrociate e mi afferrai la caviglia con una mano. «Che è successo a Rachel?»
Tentai di non suonare preoccupato, ma sarebbe stato utile quanto nascondere il Sole dietro a un fazzoletto di carta. Rachel era sempre stata irrequieta, sempre sul punto di fare cosa che non avrebbe dovuto fare, fino a quando, nel pieno della pubertà, non aveva cominciato a dare problemi.
«È scappata» rispose con un singhiozzo mia sorella, facendomi congelare. «Dios mìo, volevo... Volevo evitare che succedesse un'altra volta» aggiunse, schiarendosi la voce subito dopo. «Puoi tenere gli occhi aperti e stare in appartamento? Lo sai che cerca di venire da te, quando succede».
«Io...» provai a dire. «Okay. Okay, ti chiamo se so qualcosa».
La sentii balbettare un paio di grazie, ma ormai la sua voce era lontana.
Rachel era scappata, Rachel era scappata, Rachel era scappata.
Rachel è scappata, pensai in preda a un terrore che mi impediva quasi di respirare, cazzo.
Mia sorella era imprevedibile, non potevi sapere quale pazzia avrebbe tentato e in quale missione sucida si sarebbe andata a cacciare.
L'ultima volta era quasi morta.
Con le mani che tremavano cercai di darmi un contegno e digitai il primo numero che mi venne in mente.
Hunk
Giustamente tu sai benissimo che è sbagliato, che Pidge non dovrebbe tenere le sue Converse sudice sul tavolo di una biblioteca, perché è maleducato e siete in un luogo pubblico, ma non ti può veramente importare di questo mentre il tuo migliore amico piange dall'altra parte del telefono.
«Lance» lo chiama la ragazza, di nuovo, e tu vorresti sapere cosa dire per poterlo aiutare.
Non credi che la castana abbia una vaga idea di cosa fare in questo momento, tuttavia il suo usare la voce prepotente fa sembrare che abbia tutto sotto controllo.
«Io, io non so cosa fare» sbotta lui, con la voce più acuta del solito. «Non so cosa fare se dovesse essersi messa nei guai, okay, non lo so perché non so nemmeno tirare fuori me stesso dai guai. E se si è fatta del male? E se qualcuno le ha fatto del male?»
Ti massaggi il retro del collo e ti guardi intorno, giusto per essere sicuro che la stanza sia vuota.
Senti Pidge chiamare un altro paio di volte il nome del cubano, in preda allo sfogo, e prendi un momento per mettere in ordine le idee.
Non è che non siate abituati a sentire Lance piangere, al contrario.
Solo che più l'emozione è forte più Lance tende a reprimerla, così se si assiste alla morte del suo personaggio preferito si possono notare fiumi di lacrime sulle sue guance, se invece ci sono state delle complicazioni durante le cure di Allura nulla potrebbe farti capire quanta preoccupazione lo stia tormentando.
È stato Lance a tenere per mano Keith durante uno di questi momenti. Keith-SonoUnDuro-Kogane.
Perciò ora che il problema è enorme ed il tuo migliore amico sta manifestando i suoi sentimenti a riguardo, tu non sei ben sicuro di come comportarti.
«Va bene, amico, va bene» lo interrompi dolcemente, ascoltandolo mentre fa dei respiri profondi. «Passiamo a prenderti e la andiamo a cercare assieme, okay?»
«No, no, dovete andare subito a controllare in ospedale, siete più vicini. L'ultima volta...» si oppone, fermandosi prima di ricominciare a piangere. «Io andrò a controllare alla centrale di polizia».
Pidge emette un verso contrariato e si tocca gli occhiali appoggiati sulla fronte.
«E come pensavi di andarci?» domanda, con una smorfia. «Chiama Keith».
Non c'è nemmeno un momento di esitazione prima che lui replichi. «No».
«Lance».
«Non voglio che mi veda così» ammette lui a bassa voce, qualche secondo dopo.
Respiri profondamente ed ignori il bisogno di abbracciare forte il tuo migliore amico.
«Non è una tragedia se per una volta dovrai dirgli che sei in difficoltà. Sarebbe felice di aiutarti» gli fai notare, senza stare a spiegargli il motivo. «Chiamalo».
C'è qualche secondo di silenzio da questo momento in poi e non sei sicuro di aver detto le parole giuste. Forse dovresti dirglielo.
Ehi Lance, tu a Keith piaci. Capisci che farebbe di tutto per te?, pensi di dirgli, fermandoti appena in tempo.
Non credi che Keith riuscirebbe a perdonarti se lo facessi e francamente ferirlo è l'ultima cosa che vorresti fare.
«Va bene» è la risposta che arriva finalmente. «Lo chiamo».
Keith
Non lo sa cosa stava pensando, quando è uscito di casa senza nemmeno controllare di essere presentabile, ma ora di sicuro non può non notare il segno nero sul naso che gli è rimasto da quando è uscito dall'officina.
Perché non gli importa mai di come appare? Poi si caccia in queste situazioni dove effettivamente un po' gli importa di come appare ed è fregato.
Suona il campanello accanto alla porta e stringe la mano attorno alla manica sinistra della giacca, morsicandoci l'interno della guancia.
Con suo grande stupore compare quasi immediatamente davanti a lui un Lance dagli occhi arrossati, infilato già nel giaccone blu come se non aspettasse altro che uscire di lì.
«Ciao» lo saluta piano, abbassando gli occhi a terra.
«Ciao» risponde Keith, piegando appena la testa di lato. «Che succede?»
«Mia sorella Rachel è scappata e devo andare alla centrale per assicurarmi che non sia lì. Potresti... Accompagnarmi?» fa, sciogliendosi poi in un sorriso imbarazzato e nervoso. «Avrei potuto andarci a piedi, e disturbarti era l'ultima cosa che volevo, però... Beh, hai capito».
Keith non ha capito, ma annuisce comunque mostrando le chiavi della macchina in risposta spingendo Lance ad alzare lo sguardo.
Non appena nota che non si muove dalla sua posizione, lì in piedi alla porta, fa un passo verso di lui anche se va contro ogni suo principio morale.
Non gli piace che le persone invadano il suo spazio personale e non gli piace nemmeno che le persone lo tocchino troppo. Però sa che a volte alle altre persone serve un po' di contatto umano per superare momenti come questi e, beh, in realtà vorrebbe tanto prendere per mano Lance.
Il cubano l'ha preso per mano, una volta, e Keith sente che ora dovrebbe fare lo stesso. Solo che non ci riesce.
«Stai bene?» chiede e, wow, bella domanda Keith, basta guardarlo in faccia.
Lance annuisce vigorosamente, ma non si muove. Sta fermo e lo osserva, come se fosse indeciso su come agire ed avesse bisogno che sia Keith a dirglielo.
Lui quindi, come un idiota, allunga la mano verso la sua ma sbaglia le proporzioni e si trova a stringergli la manica del giaccone.
Keith, ma che cazzo, si dice mentre il cubano abbassa gli occhi sulla sua mano leggermente sorpreso.
Il moro sospira piano, certo che ormai non ci sia molto altro da fare.
Gli tira piano il braccio facendolo avvicinare ed infila le sue attorno alla vita di Lance, stringendolo delicatamente in un abbraccio che spera non sia il peggiore che abbia mai ricevuto.
Per qualche momento il castano rimane rigido per la sorpresa, ma poi si lascia andare in un respiro tremante ed appoggia la testa sulla spalla dell'altro.
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