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[12] Halo

Lance

Ho poco da dire a riguardo.
Se è appena sorto il sole e durante la mattina so di non avere lezioni, beh, tendo a dormire. A meno che il giorno prima non abbia programmato qualche appuntamento per un cliente che paga il doppio o che Aaron non mi abbia invitato a fare colazione, non mi muovo dal mio letto a costo della mia stessa vita.
Per cui, quella mattina, quando sentii il campanello suonare mi venne voglia di commettere un omicidio.
Tormentato da dolori su ogni parte del mio corpo, dalla chiamata con mia madre e dal fatto che Keith non rispondeva ai messaggi di nessuno, avevo vissuto la giornata precedente non nel migliore dei modi.
Sapendo da Shiro che avevano cenato con i loro genitori non avevo avuto motivo di cui preoccuparmi, ma ero comunque irritato.
E ora lo dirò, lo dirò perché ero irritato. Perché sapevo di non avere il diritto di fare alcuna pretesa, con lui. Perché non ero nemmeno il suo ragazzo, voglio dire, nessuno dei due si era azzardato ad accennare a un titolo del genere.
Quindi sì, in breve ero irritato per il fatto di non avere il diritto di essere irritato.

Con un grugnito, al secondo suonare del campanello, aprii gli occhi e cercai di alzarmi quanto più velocemente possibile, stringendo i denti nel sentire le fitte in tutto il mio corpo.
Era un dolore piuttosto ridotto, rispetto ai giorni precedenti, ma era comunque difficile da ignorare.
Una volta in piedi raccolsi dall'attaccapanni la vestaglia che mi aveva regalato Marco per il mio compleanno e lanciai un'occhiata all'orologio sul comodino.
Le sei del mattino.
Qualche psicopatico suonava alla mia porta alle sei del mattino.
Allacciata la vestaglia trascinai i piedi nelle pantofole per uscire dalla mia camera da letto e stancamente raggiunsi la porta d'ingresso, sbirciando dallo spioncino la figura che si appostava lì fuori.
Rimasi fermo a fissarla privo di espressione per qualche secondo, poi mi diressi in cucina senza dire una parola.
Incredibile, pensai, Non ci posso veramente credere.
Afferrai una padella dal ripiano e tornai ad aprire la porta, il tutto senza modificare la mia espressione vuota.

Non appena l'aprii, venni investito da una sensazione fastidiosissima di pura e semplice gioia mentre i miei occhi incontravano quelle iridi screziate di viola.
«Ho una grande notizia per te, a volte le persone dormono a quest'ora» gli dissi subito, stringendo la presa sul manico dell'utensile da cucina.
Ignorando completamente le mie parole il volto di Keith si distese in un sorriso a bocca aperta, mentre mi guardava come se fossi la cosa più straordinaria che avesse mai visto.
«Hai...» disse, indicandosi vagamente la faccia, alludendo probabilmente alla maschera notturna che si era asciugata sulla mia pelle. «È stupendo».
«Anche la padella che ho in mano è stupenda» replicai, appoggiando la mano che non la stringeva al mio fianco. «Cosa ci fai qui?».
Il corvino sollevò una borsina di carta colma di oggetti che i miei occhi senza lenti non potevano definire.
«Mia madre ti ha preparato la colazione» rispose, senza smettere di guardarmi con quel sorriso.

Mi morsi l'interno della guancia perché stavo provando una lunga serie di sentimenti contrastanti, al momento.
Se sua madre mi aveva preparato la colazione significava che sapeva che lui sarebbe venuto qui. Questo significava anche che aveva parlato di me ai suoi genitori. Si sentiva già di parlare di me ai suoi genitori?
Feci un passo di lato, aprendo di più la porta, e gli feci cenno di entrare.
Lo guardai varcare la soglia e giurai di avergli visto fare un saltello, al che non potei non inarcare un sopracciglio divertito.
Chiudendo la porta mi lasciai andare in un sospiro rassegnato perché non era possibile che non riuscissi a rimanere arrabbiato con lui, davvero inconcepibile. Aveva questa capacità, con quel suo bel faccino, di eliminare ogni principio di rabbia.
Era davvero, davvero carino. E non solo carino del tipo che gli avrei schiacciato le guance tra le mani per ore, ma anche carino del tipo che mi sarebbe venuto da sbatterlo contro a un muro.
Mi metteva in difficoltà, ecco.

Feci il giro della penisola della cucina per appoggiare la padella sul suo ripiano apposito e sentii che mi avvolgeva la vita con le braccia da dietro, per poi appoggiare il mento sulla mia spalla.
Abbassai lo sguardo su di lui e vidi che mi stava guardando con gli occhi che brillavano.
«Che c'è adesso?» domandai.
Mi fece di nuovo un sorriso morbido e, Dio, quant'era più facile la mia vita quando sorrideva estremamente di rado. «Mi fai vedere come ti stanno gli occhiali?»
Alzai gli occhi al cielo e gli tirai una schicchera sulla fronte, facendogli abbandonare la sua posizione e liberandomi dall'abbraccio.
«Non se ne parla, nessuno mi vedrà mai con gli occhiali» risposi. «Ora vado a lavarmi la faccia e a mettere le lenti, tu usa pure il forno a microonde se devi scaldare qualcosa».
Così dicendo mi allontanai in direzione della mia camera, cominciando a togliermi la vestaglia blu.
«Lance, andiamo» si lamentò il corvino. «Per favore».

Mi bloccai mentre camminavo, trattenendo il respiro.
Oh, ma insomma.
Sapevo che Keith non era stupido e che prima o poi avrebbe capito che con un semplice per favore mi avrebbe convinto a fare qualsiasi cosa, ma non mi aspettavo che lo sfruttasse così presto, il bastardo.
Gettai la testa all'indietro, odiandomi, perché ero così debole per lui da essere quasi imbarazzante.
«Va bene» cedetti, senza girarmi per vedere la sua faccetta trionfante. «Tu pensa alla colazione, io torno con gli occhiali».
Non riuscivo a crederci, davvero.
Aveva questo enorme potere su di me e io non sapevo nemmeno di averglielo concesso.
Quando, oltretutto, gliel'avevo concesso?
Una volta in bagno, stronfinai via con acqua e sapone la maschera granulosa, cercando di non pensare al ragazzo nella mia cucina, a come fosse sembrato avvilito nel corridoio fuori dal mio appartamento e a come si era illuminato solo vedendomi.

Perché era avvilito, poi? Era successo qualcosa di cui non voleva parlare? C'entrava con il fatto che il giorno prima non aveva risposto a nessuno per ore?
Mi sciacquai il viso e premetti l'asciugamano contro la faccia per qualche secondo, riprendendo il controllo sul treno dei miei pensieri.
Non avevo il diritto di voler sapere tutto, non ero il suo ragazzo.
Volevo esserlo?
Non ne ero sicuro. Sì. Probabilmente.
Asciugatomi la faccia, tornai in camera mia e presi gli occhiali a montatura rotonda dal primo cassetto del comodino, per poi indossarli e vedere finalmente il mondo in alta definizione.
Nessuno oltre alla mia famiglia e il mio oculista mi aveva mai visto con gli occhiali, per cui ero decisamente nervoso. Non sapevo bene per cosa, non era nulla di importante, solo che era un'altra parte di me che avevo tenuto nascosta e che Keith sarebbe venuto a conoscere.

Il fatto che lui sapesse così tante cose di me che nessun altro sapeva, ecco, quello mi spaventava un po'.
Uscii dalla mia camera una volta per tutte e lo guardai per qualche istante da dietro, mentre si prodigava a infilare delle frittelle di riso nel microonde.
Questa era la visione che avrei tanto voluto rendere una realtà eterna.
«Hai del tè in casa, vero?» chiese, voltandosi verso di me. «Perché credo che Allura mi abbia fatto sviluppare una dipendenza- oh».
Una volta che i suoi occhi si furono posati su di me rimase a bocca aperta, senza dire una parola.
Oh.
Distolsi rapidamente lo sguardo, sentendo il calore pizzicarmi la base del collo.
«Capisci perché mi sento a disagio a farmi vedere così?» dissi, sentendomi veramente tanto ridicolo. «Ora- Ora vado a toglierli e dimenticheremo che questo sia mai successo».
«No!» esclamò immediatamente lui.

Tornai a rivolgere lo sguardo nella sua direzione e vidi che il suo viso era completamente scarlatto.
Non appena si accorse di aver alzato la voce si coprì la faccia con le mani e si piegò su se stesso, in quello che sembrava un tentativo di soffocarsi.
Poi, improvvisamente, abbassò le braccia lungo ai fianchi e mi guardò con quello sguardo, quello da Keith-Arrabbiato che non vedevo da un po'.
Si avvicinò a me a grandi passi senza smettere di guardarmi negli occhi e notai che le sue mani tremavano un po', anche se tentò di fermarle una volta che si fu fermato davanti a me.
«Io non... Ti prego, non toglierteli. Sei- È che sei davvero molto bello così e io non me lo aspettavo, ecco» disse, sommessamente, stringendo i pugni come se si stesse veramente infuriando. «Okay, ora però dovresti davvero baciarmi perché ne ho bisogno e io non ci riesco, davvero, sei così- Puoi baciarmi? Lance? Adesso?».

Non l'avevo mai visto così, così vulnerabile e così determinato allo stesso tempo, con l'atteggiamento di chi ha talmente bisogno di quel contatto ma che se glielo avessi negato non mi avrebbe costretto ad accontentarlo.
Forse avrei dovuto stupirmi di meno, avrei dovuto dare per scontato che Keith non volesse solamente usarmi come tutti gli altri.
Ma Keith era buono, era buono davvero, e questo non avrebbe mai di stupirmi.
Così mi chinai in avanti e gli presi il volto tra le mani, baciandolo.

Keith

A Keith è sempre piaciuto l'inverno. Da piccolo, in Texas, non aveva mai visto la neve, così quando aveva vissuto il primo inverno fuori da quel mondo secco e arido, si era innamorato della neve.
Gli Shirogane lo chiamavano Yuki, a volte, perché si ricorda che per anni ed anni ha passato giornate intere con il naso appiccicato alla finestra di camera sua, guardando la neve cadere con quei suoi movimenti soffici e leggeri.
Ora è già dicembre inoltrato, si può dire che l'inverno sia alle porte, eppure non si è visto nemmeno il più piccolo accenno di neve. All'inizio Keith era preoccupato, deve ammetterlo, perché non credeva che l'inverno avrebbe avuto qualche significato senza di essa.
Ma adesso, chissà perché, non è più preoccupato.
Sarà che Lance lo sta baciando, già, forse è quello.
Sarà che le mani del castano sono ancora sulle sue guance e che ha appena visto il ragazzo con gli occhiali, visione paradisiaca, se gli è permesso di esprimere il suo parere.

Mentre si scioglie contro la bocca di Lance, tra le sue mani morbide e gentili, Keith è felice.
Allunga le mani in avanti e le fa scivolare appena sul torace dell'altro, che si stacca improvvisamente e stringe i denti in una smorfia di dolore.
Il corvino si osserva le mani confuso e poi guarda di nuovo il ragazzo, al quale ora sono diventate le orecchie rosse.
«Lance?» domanda, per paura di domandare.
Perché non è come se la cosa che l'aveva sempre spaventato di più fosse ferirlo, no, assolutamente.
Il ragazzo dagli occhi blu alza lo sguardo su di lui, mortificato.
«Non è nulla, mi dispiace» risponde rapidamente. «È che ho un livido».
Ora, lui lo sa che Lance è un ottimo bugiardo, se si impegnasse abbastanza potrebbe convincere chiunque della più grande delle assurdità, ma sa anche che, per qualche ragione, il cubano è più in difficoltà quando si tratta di Keith. Per cui non gli viene difficile capire che c'è qualcos altro, che il ragazzo non gli sta mentendo ma vuole comunque nascondergli la verità.

«Fammi dare un'occhiata» gli dice, quindi, interrompendo poi non appena vede che cerca di replicare. «Se non vedo dove si trova e com'è messo rischio di farti ancora male, no?»
Lance lo guarda negli occhi con aria sofferta e si preme il pollice contro le labbra, come se stesse meditando su una possibile via di fuga da quella situazione.
Ma alla fine sembra arrendersi e sospira, afferrando i lembi della maglia del pigiama e sfilandosela lentamente.
Non è un segreto che Keith sia completamente perso per il corpo di Lance, okay, questo non si è mai riusciti a nasconderlo. Ma questa volta, quando il ragazzo vede le condizioni in cui è sente una tristezza profonda aggrapparsi alla bocca del suo stomaco e una rabbia cieca impossessarsi di lui.
Come può una persona permettersi di ridurre qualcun altro in quello stato? Come può una persona permettere a qualcuno di ridurla in quello stato?
Sta per esplodere, lo sente, poi però alza lo sguardo sul volto del ragazzo e si blocca. Perché vede tanta di quella vergogna e tanta di quella mortificazione, come se Lance si sentisse pienamente responsabile della serie di lividi sul suo torace.

«Mi dispiace, Keith» dice, stringendo la presa sulla maglia che tiene tra le mani. «Io non volevo che-».
Si ferma, senza finire la frase, perché è evidente che non sappia cosa non voleva.
Il corvino lo studia ancora un attimo e poi allunga la mano verso la maglia azzurra, la prende delicatamente dalle sue mani e l'appoggia sulla prima sedia che vede lì vicino.
Poi torna a concentrarsi su Lance e gli prende la mano, così, senza indugiare troppo, per poi portarselo dietro mentre si appresta a raggiungere il divano.
Non sa a cosa sta pensando, davvero, non si ha tutta questa padronanza di sé quando si scopre che qualcun altro ha ferito così brutalmente una persona a cui si tiene. Non sa nemmeno cosa potrebbe fare per aiutarlo veramente, perché si sente un estraneo in questo momento, un agente esterno alla vera vita del cubano che non potrà mai capire cosa possa essergli utile per essere felice.
Però vuole provarci lo stesso.

Fa sedere il ragazzo sul divano e sente che rimane in attesa, sorpreso dalle azioni del corvino.
Anche Keith è sorpreso dalle sue stesse azioni, per cui.
Il ragazzo dagli occhi grigi cerca di mettere in ordine il turbinio dei suoi pensieri e di trovare le parole giuste, ma, ultime notizie, lui è davvero pessimo con le parole.
Così fa qualcosa di diverso.
Si allunga verso la spalla di Lance e lascia un bacio appena accennato a un livido bluastro che gli decora quella porzione di pelle.
Solleva il capo e cerca una sorta di approvazione nel volto del ragazzo, una conferma che gli dica che sta facendo qualcosa di buono.
«Ha fatto male?» domanda, cercando di nascondere il proprio timore.
Il castano lo sta guardando come se fosse la cosa più spettacolare che abbia visto in tutta la sua vita. «No».
Keith annuisce e prende un respiro tremante, perché, bene, okay, forse ha trovato qualcosa.

Si sporge di nuovo verso il cubano e lascia che le sue labbra sfiorino un livido sotto la clavicola, poi uno nel bel mezzo del petto e uno nell'area delle costole.
Continuerebbe all'infinito senza fermarsi, ma questo solo se Lance glielo permettesse, perché il suo unico scopo, ora, è alleviare di poco il suo dolore. Per quanto possa riuscirci.
Il castano scivola sulla superficie del divano e si stende, come per permettere a Keith di raggiungere più facilmente ogni parte di lui che vuole sfiorare. E questa cosa fa perdere un battito al cuore del corvino, che si morde il labbro inferiore guardando il viso dell'altro.
Gli occhi color oceano che lo stanno osservando gli stanno chiedendo scusa, lo sa, ma non solo. Gli stanno chiedendo di continuare e, nel farlo, brillano anche un po'.
Il ragazzo si gira e si mette a cavalcioni sulle gambe di Lance, per poter arrivare meglio al livido sullo stomaco aggiunto alla vistosa decorazione sulla carnagione del cubano.

Mentre fa scivolare le mani sulla pelle morbida dei suoi fianchi, prestando la massima attenzione a non fare troppa pressione, il più grande sente che all'altro si spezza il respiro e quando alza lo sguardo su di lui vede che c'è del rossore sulle sue guance.
Al che Keith sgrana gli occhi. È stato lui? È stato lui a far arrossire Lance? Ha davvero così tanto potere su quel ragazzo, senza essersene mai accorto?
E questo, amici, è il momento in cui di solito sarebbe scappato via. L'idea di influenzare qualcuno così tanto lo terrorizzava e sapeva che sarebbe stata una pessima idea dare proprio a lui in mano i sentimenti di qualcun altro.
Ma si tratta di Lance.
E non riesce a scappare sapendo che si tratta di Lance.
Così lo bacia ancora, e ancora, e ancora, bacia ogni livido individuato dai suoi occhi attenti e meticolosi nella speranza di contare qualcosa, nella speranza di poter guarire almeno qualcuna delle sue ferite.

«Non voglio che le persone ti facciano del male» dice, piano, accarezzando con la punta delle dita la pelle vicino all'ombelico del ragazzo. «Non sopporto di non poterlo impedire, di vederti in questo stato e sapere che non avrei potuto fare nulla che non peggiorasse le cose. È che... io mi sento al sicuro con te. Ma non voglio essere io l'unico al sicuro, vorrei riuscire a evitare anche a te di soffrire. E mi dispiace davvero tanto di non riuscire a farlo».
Perché io-
Perché lui, cosa?
Lance non sorride alle sue parole, si alza semplicemente quanto basta per allungare le mani verso il volto di Keith e attirarlo un po' più vicino a sé, chinandosi anche lui in avanti.
«Con te mi sento al sicuro. Sei l'unica persona alla quale voglio permettere di starmi così vicino, di toccarmi e di baciarmi. E ti sceglierei ancora. Anche se sei ingestibile e anche se io sono un disastro. Ti sceglierei ancora» gli confessa, con il volto abbastanza vicino da permettere al corvino di contare le sue lentiggini. «Perché tu riesci a guarire qualcosa dentro di me e questo mi rende estremamente felice».

Un giorno, promette Keith, un giorno riuscirò a baciarti per primo, Lance McClain.
Per ora si limita a rispondere al gesto quando il castano fa collidere le loro labbra, sentendo le sue dita affusolate fare presa nei suoi capelli. Lance ha un'insana ossessione per i capelli di Keith, questo lo sanno tutti. Ma Keith ha un'insana ossessione per Lance in generale, quindi.
Nel momento in cui le sente le proprie labbra schiudersi, il corvino si aggrappa alla nuca dell'altro e lascia che la lingua del cubano si insinui nella sua bocca.
Per un momento sembra quasi che non sarà costretto a separarsi mai più da quel ragazzo, che il modo in cui ora il castano gli morde il labbro inferiore lo accompagnerà per tutta la sua vita e che il fatto che poi risponda prendendogli entrambe le labbra con le sue voglia essere una conferma di questo.
Perché in questo istante sente di appartenere a Lance e soltanto a Lance.

A un certo punto il ragazzo si separa da lui con una lieve imprecazione in spagnolo e Keith vede che le lenti degli occhiali sono completamente appannate.
Si lascia scappare una risatina mentre il ragazzo dagli occhi blu se li toglie tenendoli per una delle stanghette, quasi lo disgustassero un po', e lo osserva in silenzio fino a quando gli è concesso.
«Lance» lo chiama, perché ci ha pensato davvero tanto e ora deve dirlo. «Vuoi essere il mio ragazzo?»
Il castano lo guarda decisamente sorpreso, ma non riesce a impedire a un grandissimo sorriso di disegnarsi sul suo volto.
«Assolutamente sì» risponde, subito.
Rimane immobile un secondo e poi gli getta le braccia al collo e lo stringe, lo stringe e basta perché ci tiene, Keith lo sa. Ci tiene da morire anche lui.
E non hanno ancora fatto colazione, ma alla fine che importa.

Rachel

«ANDREMO A SBATTERE CONTRO IL MURO, PAZZOIDE».
«SIAMO INSEGUITI DA UNA VOLANTE, NON POSSO FERMARMI».
«RAGAZZI NON DISTRAETEVI E GUARDATE LA STRADA, VI PREGO».
«VOI TRE NON MORIRETE COSÌ, È FUORI DISCUSSIONE».

Ciao, il mio nome è Rachel Elvira Serrano-McClain e probabilmente vi starete domandando come sono finita in questa situazione.
O forse, più specificatamente, di descrivere con più accuratezza la situazione in cui mi trovo.
È cominciato tutto con un singolo compito, una missione affidata a due valorosi eroi: Takashi Shirogane aveva mandato Hunk Garrett e Katherine Holt a recuperare lo smoking per il matrimonio, cosa che lui non poteva fare in quanto bloccato a casa ad organizzare l'evento aiutato dai genitori.
I nostri Paladini, fiduciosi della riuscita della loro impresa, hanno deciso di offrire un passaggio a un terzo indimenticabile personaggio, che poi sarei io, il quale li avrebbe accompagnati nella loro avventura per poi essere scaricato davanti all'ospedale. Solo che, volendo essere sinceri, non era in questo modo che programmavo di andare in ospedale.

Insomma, dopo essere saliti a bordo del loro mezzo di trasporto, i tre eroi si avviarono in direzione della sartoria rispettando la segnaletica ed i limiti di velocità. Hunk era al volante, Pidge sceglieva la musica dal sedile passeggero e la splendida Rachel, sempre io, si rilassava sui sedili posteriori. Non sarebbe il mio turno in ospedale, in realtà, essendo all'inizio dei miei studi non sono nemmeno una specializzanda, ma il nuovo programma ci permette di avere un pass per l'entrata libera ad assistere agli interventi più interessanti. In disparte e da dietro una vetrata, tuttavia è comunque un'esperienza imperdibile.
Il recupero dello smoking fu un trionfo, nessun intoppo e nessun contrattempo trattennero i valorosi esploratori dall'appropriarsi del completo dopo aver lasciato il pagamento e il corretto nominativo, per cui si allontanarono con soddisfazione e un senso di vittoria.
In quel momento Hunk ricevette un'importante chiamata: era Shay, la sua ragazza, con la quale aveva una relazione a distanza e che cercava di contattarlo quanto più potesse.

Incapace di rispondere con le proprie mani, incaricò Pidge di farlo, al che la castana rispondette con un grugnito.
Non le andava molto a genio la fidanzata del suo amico, principalmente perché la riteneva troppo gentile per essere vera.
Andava tutto bene, la ragazza dal caschetto scuro mi venne finalmente presentata e procedevamo in sicurezza lungo la strada.
Solo che, si sa, l'amore annichilisce le capacità cerebrali.
Distratto dalla risata di Shay, Hunk spostò lo sguardo verso il telefono per poter osservare il suo viso e si lasciò andare in un sorriso genuino, come se lei fosse la cosa più bella che avesse mai visto.
Tutto molto romantico, sì, ma questo gli impedì di vedere il semaforo rosso, gli fece attraversare l'incrocio senza rispettare la precedenza degli altri, rischiando di causare un tamponamento, dato che fortunatamente i due autisti che stavano per scontrarsi sterzarono in tempo.

Quasi istantaneamente ci ritrovammo con una volante alle calcagna e Hunk fu colto da un terribile senso di colpa, infatti si sarebbe fermato per prendersi la responsabilità delle sue azioni, se Pidge non avesse afferrato il suo braccio con occhi spalancati.
«C'è Curtis al volante» gli fece notare.
Ora, lo smoking era appeso a una gruccia e attaccato al tettuccio apribile della macchina perché non si spiegazzasse, quindi se ci fossimo fermati il nostro amato detective, che non aveva il compito di fare i controlli stradali, l'avrebbe sicuramente visto.
«Che facciamo? Shiro ha detto espressamente che Curtis non doveva vederlo nemmeno per sbaglio» ricordai loro, affacciandomi al finestrino.
Hunk rimase in silenzio fissando la strada davanti a lui per qualche secondo, per poi aggrottare le sopracciglia con decisione e stringere le mani sul volante.
Con un gesto rapido del braccio cambiò marcia ed accelerò improvvisamente.
Shay, vedendomi sbalzata dall'altra parte dell'auto, si allarmò. «Hunk, che stai facendo?».

«Abbiamo fatto una promessa a Shiro e io ho intenzione di mantenerla» dichiarò, senza guardarci ma chiaramente rivolto a noi. «Siete con me oppure no?».
La ragazza con gli occhiali da sole si voltò verso di lui interdetta, per poi disegnare un ghigno che prometteva guai sul proprio volto.
«Tu hai veramente delle priorità assurde» osservò, lanciandomi il telefono ed estraendo il suo. «Pensa a guidare, io mi occupo del resto».
E questa è la storia di come io sia arrivata, ora, a rivalutare attentamente tutte le mie scelte di vita.
Mentre sfrecciamo a tutta velocità a bordo dell'utilitaria di Mandalai e la giovane Holt dava direttive sulle direzioni da prendere, cambiando il colore dei semafori inserita nel sistema generale, Shay smette di cercare di farci rinsavire e si alza per andare a fare il tè, rassegnata.
«Rachel, qual è la situazione con Curtis?» domanda la ragazza attraverso il telefono.
Mi volto e vedo la volante dietro di noi che non solo ha acceso le sirene, ma non accenna a volersi distanziare.
«Non cede terreno» rispondo, pensando con rammarico al trapianto di polmoni a cui non assisterò.

«Non bene, ma possiamo lavorarci» decreta, accompagnata dal rumore delle tazzine in sottofondo. «Katie, metti tutti i semafori sul giallo e trova la strada più breve per arrivare a un senso unico».
Il nostro hacker digita rapidamente sul suo smartphone e getta uno sguardo al mio, con il quale sta esaminando la mappa della città. «Ce n'è uno a un isolato da qui, se svoltiamo a destra al prossimo incrocio- hUNK LA VECCHIETTA SULLE STRISCE, LA VECCHIETTA SULLE STRISCE».
«LA VEDO, LA VEDO» le urla di rimando il ragazzo, evitando l'ostacolo con abilità, per poi sterzare nella direzione indicata dalla sua amica.
Accelera ulteriormente e vedo che, attraverso il vetro, Curtis ha la stessa espressione che ha mamà quando sta per fare a Luis una delle sue tremende sfuriate.
Io sono un acquisto recente del loro bizzarro gruppo di amici, per cui ho un terrore relativo, ma è ovvio che Curtis e Shiro siano le figure genitoriali di riferimento della squadra e di fatto l'espressione di Hunk e Pidge conferma questa cosa.

Non sembrano avere tanta paura delle conseguenze penali, infatti hanno più l'aria di chi teme di essere messo in castigo dal proprio padre.
Cosa che presumo accadrà tra poco, visto che il piano di Shay ci sta portando in un vicolo cieco.
«Okay Hunk, pronto a fare quel gioco di frizione che abbiamo provato?» chiede la nostra leader.
«Non che abbia altra scelta» risponde lui, stringendo le labbra e afferrando il freno a mano.
Non riesco a vedere cosa fa con i piedi e con le mani, ma i copertoni fanno presa sul terreno e ci giriamo, invertendo bruscamente la rotta e partendo nella direzione opposta a quella in cui eravamo venuti, sfrecciando accanto alla macchina di Curtis.
«È fatta-» comincio a dire, quando una seconda volante compare dal nulla e ci blocca la strada, costringendoci a frenare con violenza.
Attraverso lo specchietto vediamo il detective Evans scendere dalla vettura e il suo collega fare lo stesso, dirigendosi verso di noi.

A questo non rimane molto da fare, così afferro lo smoking e lo arrotolo rapidamente, per poi nasconderlo sotto al sedile.
«Rach, sei impazzita, così si rovinerà» sibila Pidge, chiudendo la chiamata con Shay e spegnando tutti i dispositivi.
«Se ho imparato qualcosa dalla vita è che non esiste nulla che mia madre non sappia far tornare come nuovo» rispondo, drizzandomi a sedere proprio quando Curtis e il secondo agente arrivano alla portiera di Hunk.
«Grazie dell'aiuto, Kevin» dice l'uomo dai sgargianti occhi azzurri, prima di rivolgerli a noi con severità. «Ora posso vedermela da solo».
Il suo collega, che ha un paio di baffi ammirevole e che detengono il possesso di tutta la mia attenzione, ci osserva di sbieco e fa una smorfia.
«Sono questi i ragazzini di cui ti prendi cura con Shirogane?» domanda.
Per una qualche ragione il nostro detective alza gli occhi al cielo e arrossisce, portandosi le mani sui fianchi e facendomi notare che non è in divisa.

«Kevin» ringhia, facendolo ridere.
«E va bene, farò finta che quella di avere dei bambini con lui sia solo una tua fantasia segreta» dice, congedandosi con un gesto della mano dopo averci rivolto una seconda occhiata. «Li lascio a te, non farti intenerire dai loro occhioni».
Curtis si copre la faccia con le mani e non guarda il collega andarsene, impegnato con i suoi conflitti interni.
Purtroppo per lui, quando ci rivolge lo sguardo siamo pronti a saltargli addosso.
«Vuoi avere dei bambini con Shiro?» domanda Hunk, aggrappandosi al finestrino.
«Ne avete già parlato?» lo segue a ruota Pidge, sporgendosi quanto più possibile.
«Lui cosa ne pensa?» chiedo io, alla fine.
Gli occhi dell'agente di polizia si fanno d'un tratto estremamente severi e noi tre ammutoliamo, leggermente in soggezione, devo ammettere.
Incrocia le braccia davanti a sé e si volta completamente nella nostra direzione, con una faccia che dice "non sono arrabbiato, sono deluso e arrabbiato".
«Voi tre siete in un mare di guai» scandisce.

La ragazza dai capelli corti fa schioccare la lingua contro il palato infastidita e distoglie lo sguardo, mentre le sopracciglia del ragazzone alla guida si incurvano colpevoli insieme agli angoli delle sue labbra.
In quanto a me, io mi ritrovo a deglutire forzatamente.
La storia mia e di Curtis ha avuto inizio da prima che conoscessi gli assurdi amici di mio fratello, ha dovuto occuparsi, indirettamente o no, diverse volte di situazioni in cui mi ero messa nei casini. Non avevamo formato chissà quale legame, questo no, ma ci conoscevamo ormai, e vedere quell'aria di disapprovazione sul suo volto non mi era mai piaciuto.
«Mi sarei aspettato una bravata simile da Katie e Rachel, lo confesso, ma tu Hunk mi hai proprio colto di sorpresa» aggiunge, per poi sospirare e strofinarsi la fronte con la mano destra. «Oggi era il mio giorno libero, tra parentesi, e visto che vi interessa tanto di quello che io e Shiro programmiamo per il futuro, sappiate che stavo andando a discutere con il wedding planner perché è saltato fuori che il posto affittato per il matrimonio non è più disponibile».

Sento fisicamente il peso del senso di colpa di Hunk che straborda e si appoggia sopra me e Pidge, schiacciandoci.
«Non è una giornata particolarmente piacevole, per cui non vi farò passare troppi guai» decreta, dedicandosi poi al nostro pilota. «Tu Hunk, però, verrai in centrale con me e dovrai consegnarmi la patente, senza contare che dovrò farti una multa per eccesso di velocità».
Il ragazzo annuisce e Curtis sospira di nuovo, come se fosse veramente molto stanco.
Esita un secondo e poi alza gli occhi al cielo come ha fatto poco fa rivolto a Kevin, per poi dare una pacca di conforto ad Hunk sulla spalla.
«Forza, vieni con me, ci penseranno le ragazze a riportare la macchina a tua madre» gli dice, esortandolo a scendere, rivolgendo poi a noi due uno sguardo perentorio. «Guidate con prudenza e non mettetevi in pericolo. Mi sono spiegato?».
«Sì» rispondo.
«Come vuoi» borbotta Pidge.
L'uomo si allontana quindi dall'auto seguito dal nostro amico, avvilito come non mai, ed io mi prodigo a tirare fuori lo smoking per poterlo stendere come meglio posso.

La ragazza davanti si sposta sul sedile del guidatore e chiude la portiera che Hunk ha lasciato aperta, raccogliendo gli occhiali da sole che erano caduti a terra e infilandoseli.
«Temo che Kevin abbia ragione» osserva, stringendo una mano sul volante. «Curtis e Shiro si stanno davvero prendendo cura di noi».
Appendo il completo alla gruccia, notando con una smorfia che purtroppo ora è un po' spiegazzato e leggermente sgualcito.
«E questo non è un bene?» domando, prendendo il cellulare e componendo il numero di mia madre, per chiederle se sarebbe disponibile a sistemare lo smoking.
«Non è un bene per niente» risponde, accendendo l'auto senza guardarmi ed avvicinando il sedile al volante. «Continueremo a deluderli e loro non potranno farci nulla».

Nyma

Sono al parco quando lo vedo.
Ha quell'espressione che indossa solo quando pensa che nessuno gli presti attenzione, quello sguardo che lo fa sembrare perso nel mondo.
Mastico il bastoncino di plastica che ho in bocca e stendo le gambe, senza alzarmi dalla panchina.
Sinceramente credo proprio che lui sia davvero perso nel mondo.
A un certo punto si gira abbastanza e mi vede, quindi fa una faccia strana perché si accorge che lo sto osservando da un po'.
Allora io piego la testa e ghigno, perché vederlo mi fa ghignare. So che si è offeso perché il suo viso si incupisce e abbandona lo sguardo da bambino che ha perso la mamma al supermercato.
Stendo anche le braccia ora ma continuo a non alzarmi, infatti sono in bilico sulla panchina.
Si avvicina a me a grandi passi e io lo guardo continuando a ghignare, perché ho sempre pensato che fosse abbastanza bello da essere destinato al lavoro che fa. Non lo dico mai ad alta voce, perché non sarebbe gentile.

Lance si ferma davanti a me ed io abbasso braccia e gambe, masticando ancora una volta il bastoncino di plastica.
«Ho sentito dire che hai un fidanzatino» affermo, perché so benissimo per quale motivo è venuto qui.
Lui mi rivolge i suoi occhioni blu con aria estremamente seccata e preoccupata, al che alzo un sopracciglio. Pare che questo ragazzo sia di una qualche rilevanza per lui.
«In quanti ci hanno messo gli occhi sopra?» domanda, senza scomporsi troppo.
«James è già venuto a chiedermi di non agire di mia iniziativa e di non darvi la mia protezione» gli rispondo, prendendo il bastoncino di plastica tra le dita. «E io gli ho detto Lo sai che sto sempre dalla parte di Lance».
Il ragazzo tiene le mani in tasca, mentre parliamo. «Finché pago».
Ghigno di nuovo e alzo la mano come se stessi brindando a lui, perché conosce le regole e non cerca di imbrogliare.

Sollevo lo sguardo verso il cielo plumbeo, coperto da nuvole che ancora non promettono neve.
Arriccio le labbra, anche se non è che ne soffra. Non ho mai amato particolarmente la neve, anzi, l'ho sempre trovata un po' fastidiosa.
Ma tra poco è Natale e non è veramente Natale se non c'è la neve.
«E ti dirò di più, non me l'ha chiesto solo per precauzione, ha ricevuto ordini dall'alto a riguardo» aggiungo, torturando il bastoncino di plastica con il canino. «O almeno, questa è la mia supposizione».
Lance fa una cosa con le gambe e si volta frustrato, ma senza darmi le spalle. Mi intenerisce, quasi, il modo in cui non si fidi abbastanza del mondo da dare la schiena a qualcuno.
Non per essere crudele, però nemmeno io gli darei la schiena.
«Lo sapevo che la vicinanza con Lotor non avrebbe portato a nulla di buono. Hai una vaga idea se sia stato Zarkon stesso a mettersi in contatto con loro o se sia stato un sottoposto?» domanda, prendendosi il pollice contro le labbra.

Scrollo le spalle e tolgo il bastoncino di plastica dalla mia bocca, per poi infilarmelo in tasca e cercare un lecca lecca alla ciliegia.
Una volta trovato lo scarto sotto gli occhi impazienti del ragazzo e me lo appoggio sulla lingua, rimettendo la carta in tasca.
«A giudicare dall'espressione sulla faccia di Griffin direi che era un ordine proveniente da piuttosto in alto, ma non direttamente da Zarkon» rispondo, sapendo che anche se non ci sono prove lui prenderà le mie parole per oro colato. «Ci avviciniamo al periodo di ferie, ovvero quello che per noi significa più lavoro possibile, quindi non ho molti uomini disponibili, ma se vuoi posso chiedere a Rolo di tenere d'occhio il tuo ragazzo».
Lance non vorrebbe, lo so, glielo leggo in faccia. E io vorrei dirgli che non faranno del male al suo ragazzo, ma non posso farlo.
James, Ina, Ryan e Nadia ci vogliono bene, questo lo sappiamo, e odiano doverci ferire. Tuttavia, non facendo come dovrebbero il lavoro rischiano di perdersi tra di loro e questa è una cosa che non permetterebbero mai.

È per questo che dico di essere sempre dalla parte di Lance. Perché per quanto possa essere veritiero l'affetto di James per noi due, sappiamo che non esiterebbe a prendersela con noi se questo potesse giovare alla sua piccola famiglia.
«Te ne sarei grato» dice infine. «Come ti pago?».
Butto indietro la testa e sospiro, perché voglio davvero bene a Lance e mi dispiace minare la stabilità della sua vita amorosa. «Stasera passo da te, ho bisogno di svagarmi».
Il castano non fa nemmeno una smorfia in risposta, non mi giudica, non mi rimprovera, non fa altro che annuire una volta sola.
Mi è sempre piaciuto il contegno di Lance, il modo in cui sa capire il momento in cui deve smettere di essere genuino e cominciare a trattenersi, come un riflesso istintivo. È qualcosa di lui che mi ha sempre rassicurata.
Dire che mi fido di lui sarebbe un'esagerazione, ma di sicuro è la persona nella quale riesco a riporre qualcosa di vagamente simile alla fiducia.

«Stai aspettando qualcuno? Vuoi che ti tenga compagnia?» mi domanda.
Gli sorrido e scuoto la testa.
«Devo lavorare, tra poco passano di qui i ragazzi delle superiori e so che odi quando cerco di vendere loro qualcosa» gli rivelo, sapendo che se gliel'avessi chiesto sarebbe rimasto. «Ma non ti preoccupare per Keith, Rolo sarà i miei occhi».
Non mi chiede come faccio a sapere il suo nome, perché sa che so anche il suo cognome e il suo indirizzo. Sapere quanto più possibile delle persone con cui ho a che fare è l'unico modo che ho per tenermi al sicuro.
Esita per qualche secondo guardandomi con quegli occhioni color oceano alla ricerca della domanda giusta da pormi, quella domanda che sa di avere ma che non riesce a identificare. Si arrende e mi saluta, allontanandosi con gli stessi passi lunghi che lo hanno portato da me.
Io sto sempre dalla parte di Lance, anche quando non paga.
Se fossi una persona onesta gli direi tutto quello che so. Come il fatto che suo padre sia tornato in zona o che sia stata Allison Skye a mettere in allerta James.
Stendo le gambe e guardo il cielo plumbeo.
Sfortunatamente per lui, non sono mai stata una persona onesta.

Allison

Nel momento stesso in cui chiudo le porte dell'appartamento alle mie spalle comincio a canticchiare tra me e me, rivestendomi di una nuova aura allegra che non è il caso mi porti al lavoro. Mi tolgo le scarpe continuando a intonare piano quella melodia, mentre il suono della televisione in salotto si arresta non appena appoggio le  chiavi sul tavolino all'ingresso.
Il primo a raggiungermi è ovviamente Hamlet, con il suo passo pigro e felpato, muovendo appena la coda mentre si affaccia dall'angolo per spiarmi, perché non sia mai che quel gatto dimostri un pochino più di interesse per me.
Mi saluta con un miagolio disinvolto, come se volesse illudermi di non avermi aspettato tutto il giorno, e si siede cominciando a leccarsi la zampa sinistra.
Dopo di lui, però, un rumore di piedini sul parquet mi scalda il cuore mentre una testolina di ricci capelli neri spunta dallo stesso angolo da dove è uscito il felino ingrato.

Remember those walls I built
Well, baby, they're tumbling down
And they didn't even put up a fight
They didn't even make a sound

Gli occhi di Karim brillano come due gemme quando mi vede ed istintivamente allargo le braccia, inchinandomi in modo da poterlo accogliere e stringere forte.
Prende una piccola rincorsa e mi si lancia contro, al che io gli permetto di aggrapparsi con le sue manine al mio cappotto e gli lascio un bacio sul collo, dove so che soffre il solletico.
Il piccolo ride e si allontana di un passo per guardarmi in faccia.
«Ciao Ally!» esclama, come se il mio ritorno fosse il più grande miracolo a cui sperava di assistere.
Vorrei rispondergli con altrettanto entusiasmo, ma vedo che gli manca un dente quando mi sorride con gioia.
«Che è successo al tuo incisivo?» domando, aggrottando le sopracciglia.
Il bambino esita un secondo e poi scappa via, colto da chissà quale illuminazione.
Traggo un sospiro e sorrido, alzando un solo angolo della bocca, mentre mi tolgo il cappotto e lo appendo all'attaccapanni vicino al piccolo tavolo.

I found a way to let you win
But I never really had a doubt
Standing in the light of your halo
I got my angel now

Per un momento mi lascio avvolgere dal tepore all'interno dell'appartamento, che mi abbraccia insieme all'odore del detersivo per i pavimenti, a quello del bastoncino d'incenso che brucia sul davanzale della finestra chiusa e a quello delle spezie proveniente dalla cucina.
Attraverso il primo tratto di corridoio affacciandomi alla prima porta sulla destra, aperta come sempre, e busso sullo stipite di legno scuro per annunciare la mia presenza.
«Sei in ritardo» mi saluta la donna dai capelli grigi, dandomi le spalle mentre lavorava a qualcosa, appoggiandosi nello spazio tra il lavello e i forbelli. «Ho dovuto arrangiarmi con quello che avevo in casa visto che non sembrava ti saresti fatta vedere».
«Lei ha tutte le ragioni di avercela con me, signora Ahmed, ma purtroppo un paziente si è trattenuto più del previsto» tento di giustificarmi, sollevando la borsa che mi aveva affidato. «In compenso metà del reparto latticini era in sconto, le ho fatto risparmiare non poco».

It's like I've been awakened
Every rule I had you break it
It's the risk that I'm taking
I ain't never gonna shut you out

La donna si gira puntandomi contro una pallina grande come un pugno, al che mi chiedo se abbia intenzione di lapidarmi con dei falafel crudi.
«Quante volte te lo devo dire che non puoi sempre sacrificarti per i tuoi pazienti, bihaqi alsama'*. Hai degli orari da far rispettare, smettila di farti mettere i piedi in testa» mi rimprovera, appoggiando poi la piccola sfera di legumi sul piano di lavoro e poggiando le mani sui fianchi coperti dal grembiule. «Ora vatti a lavare le mani e aiutami ad apparecchiare la tavola».
Senza osare controbattere a quegli ordini appoggio la borsa di stoffa accanto alla porta, dirigendomi verso il bagno in fondo al corridoio. Perché se c'è una persona che mi spaventa più di Zarkon Galra, quella è Samar Ahmed.
Sulla parete sinistra, esattamente prima della mia destinazione, si trova l'entrata per la stanza di Karim, che fa sbucare la sua testolina ricciuta e mi fa segno di entrare, emozionato.
Controllando alle mie spalle di non essere seguita dallo sguardo severo della donna, sgattaiolo nella cameretta più furtivamente possibile.

Everywhere I'm looking now
I'm surrounded by your embrace
Baby, I can see your halo
You know you're my saving grace

«Oggi abbiamo giocato in giardino e io sono andato sull'altalena, non subito però, perché ci va sempre Oscar per primo. Oscar non è cattivo con me, però lo è con Tabitha, perché le tira sempre i codini quando giochiamo ad acchiapparella, quindi sì, Oscar mi fa paura lo stesso perché Tabitha è la più forte di tutti e si fa lo stesso prendere in giro da lui» comincia a raccontarmi con la sua vocina squillante, mentre apre lo zainetto arancione e ci fruga dentro.
Mi siedo sul tappeto a gambe incrociate ed ascolto il fluire delle sue parole, perché è una proprietà dei bambini fare discorsi del genere ed è qualcosa che mi ha sempre affascinata. Il modo in cui mi parla dei bambini che vanno all'asilo con lui come se li conoscessi, la rapidità con cui va avanti nella sua orazione fiducioso del fatto che io lo stia seguendo, sono tutte cose che riescono a riempirmi il cuore.
«Mentre ero sull'altalena andavo velocissimo sai- e non mi sono nemmeno fatto spingere, andavo da solo! Però poi volevo scendere perché avevo un po' di paura e sono saltato in avanti. Ho perso un dente, vedi?» mi dice indicandosi il buco che avevo già visto in precedenza. «E guarda cosa mi ha regalato la maestra dopo che sono caduto».

You're everything I need and more
It's written all over your face
Baby, I can feel your halo
Pray it won't fade away

Karim toglie le mani da dentro il suo zaino e le solleva verso di me, facendomi vedere che con estrema delicatezza mi sta porgendo un'esuvia perfettamente intatta.
Guardo il piccolo esoscheletro trasparente per un secondo e poi guardo i suoi brillanti occhioni neri, che lo osservano come se fosse un grande tesoro.
«Oh, ma è bellissimo» commento, immaginando l'insegnante che ripone in quel piccolo dono la sua ultima speranza di far smettere di piangere un suo alunno ferito. «Sai già di che insetto si tratta?».
«No, ma la nonna ha detto che mi presterà un libro di papà per farmi cercare il suo nome» risponde, contento.
Prima che possa rispondergli qualsiasi cosa, la signora Ahmed ci sbraita di andarci a lavare le mani e che gli scansafatiche non hanno diritto alla cena.

I can feel your halo (halo) halo
I can see your halo (halo) halo
I can feel your halo (halo) halo
I can see your halo (halo) halo

Rapidi ci apprestiamo a fare quanto ci è stato richiesto, per poi volare in cucina dove ci accoglie il dolce sfrigolio dei falafel che friggono nella padella.
Formando una perfetta catena di montaggio, io e il piccolo apparecchiamo la tavola e mettiamo a posto la spesa, ascoltando la melodia che Samar canticchia tra sé e sé come ogni volta che cucina.
Mi ha raccontato, diverso tempo fa, che era su quelle note che avevano ballato i genitori di Karim il giorno del loro matrimonio e che ricordare quel momento la rasserena ogni volta.
Una volta che le polpette sono pronte e sono state messe in un grande piatto che viene appoggiato sulla tavola, io ricevo l'incarico di prendere una terrina all'interno del forno contenente quello che io presumo sia pesce.
Dopo aver ricevuto un panno un testa per aver appoggiato la terrina bollente sulla tovaglia, aspetto che ci metta sotto un disco di ceramica che non saprei nemmeno come chiamare prima di adagiarla sul tavolo.

Hit me like a ray of sun
Burning through my darkest night
You're the only one that I want
Think I'm addicted to your light

Non appena ci viene dato il permesso cominciamo a servirci e vedo che Samar tende come al solito a farlo con lentezza. Mi ha rivelato che è da quando i genitori di Karim sono scomparsi che ha smesso di pregare prima di mangiare e che ha smesso di utilizzare il piatto centrale comune per servire le pietanze, senza dirmi la ragione precisa.
Personalmente penso sia perché non si sente in diritto di vivere la serenità di un pasto in famiglia quando sa che suo figlio e sua nuora non possono farlo.
Per quanto sia brusca e sbrigativa, la signora Ahmed non ha di certo difficoltà a intrattenere una conversazione e presto comincia a lamentarsi del loro vicino di casa che non solo tardi la sera, ma fa anche parecchio rumore facendolo.
Karim ha senz'altro ereditato la sua loquacità.
Mentre ascolto entrambi parlare, perché entrambi hanno la sensazione di avere cose troppo importanti da dire perché si possa aspettare, assaporo il cibo migliore che abbia mangiato in tutta la mia vita.

I swore I'd never fall again
But this don't even feel like falling
Gravity can't forget
To pull me back to the ground again

E non è che io sia necessariamente una fan di questo tipo di cucina.
Non ricorderò come io abbia conosciuto la signora Ahmed e suo nipote, non è rilevante, tuttavia spesso mi piace ricordare che io ho avuto la possibilità di scegliere di entrare a far parte della loro quotidianità e che mi sta venendo offerta la possibilità di continuare a esserne felice.
Rispetto al resto della mia vita questo aspetto può sembrare noioso. Grazie al mio lavoro incontro le persone più bizzarre e assurde che potrei mai aspirare di conoscere, grazie al mio passato le mie notti sono tormentate da incubi e grazie a chi dice di proteggermi la mia coscienza è quasi completamente fatta a pezzi.
Non ho mai avuto questo.
Starei ore ad ascoltare Karim che mi parla di insetti e dei giochi fatti con i suoi amici, altrettanto tempo lo passerei ad aiutare Samar in cucina o a fare le parole crociate. Sono andata nel miglior college in cui Zarkon potesse spedirmi e sono uscita con il massimo dei voti, eppure questa donna riesce a fare le parole crociate con più facilità di me.

Feels like I've been awakened
Every rule I had you break it
The risk that I'm taking
I'm never gonna shut you out

Con loro mi sembra di avere una famiglia.
Il tempo passa rapidamente e mi trovo sul divano con Karim a guardare Steven Universe, programma che secondo me sta intrattenendo più me che lui.
Il piccolo appoggia la testa contro il mio braccio e si stringe di più nella coperta che ci avvolge.
«Ally?» mi chiama, piano, con gli occhi mezzi chiusi a causa del sonno.
«Dimmi» rispondo, passando una mano tra i ricci corvini.
«Quando torneranno la mamma e il papà?» chiede, con naturalezza ma anche con timore.
Se dico che i genitori di Karim sono scomparsi, è perché lo intendo nel vero senso della parola. Se fossero morti sarebbe più semplice spiegarglielo, poiché si tratterebbe di un fatto irreversibile con cui deve scendere a patti.
Ma il punto è che, fastidiosamente, non si sa dove siano. Sono solo spariti.
E nessuno ha una vaga idea di cosa possa essere successo.

Everywhere I'm looking now
I'm surrounded by your embrace
Baby, I can see your halo
You know you're my saving grace

«La polizia li troverà, si stanno impegnando tutti davvero molto» mento. «Torneranno da te molto presto, ne sono sicura. Ora vai a dormire, domani c'è scuola».
Il piccolo si lamenta distratto dall'improvviso pensiero di doversi andare a lavare i denti e mettersi sotto le coperte, così lo lascio andare e spengo la televisione.
So che anche se non dice nulla questa cosa lo sta turbando, dovrei più emotivamente miope di Katherine Holt per non notarlo, però so anche che oltre a confortarlo e rassicurarlo quando è il momento non posso fare molto. Non posso convincerlo che i suoi genitori stanno bene, o meglio, posso farlo ma non sarebbe giusto nei suoi confronti.
Mi appoggio allo stipite della porta e osservo Samar che finisce di mettere i piatti ad asciugare dopo averli lavati.

You're everything I need and more
It's written all over your face
Baby, I can feel your halo
Pray it won't fade away

«È sicura che non possa aiutarla con niente?» le domando, pur conoscendo la risposta.
Mi zittisce con un gesto della mano.
«Smettila di farmi sentire anziana e prendi gli avanzi che ti ho incartato, non voglio sentire di nuovo che hai saltato il pranzo durante una giornata di lavoro» mi ordina, indicando con il capo la busta sul tavolo. «E ricordati che mi accorgo se menti».
Sorrido intenerita evitando di dire che se mi impegnassi un minimo non sarebbe mai in grado di capire quando dico una bugia. «Va bene, va bene. Domani ho alcuni dei casi più tranquilli, in ogni caso».
La donna sospira ed appoggia il panno con cui ha asciugato l'ultimo piatto.
«Dici sempre così e ho come la sensazione che non ti accorga di quanto fatichi» dice. «Sei proprio tale e quale a Delilah».
Al sentire questa frase il mio cuore si gonfia e sorrido ancora di più, perché Samar ama la nuora come una figlia e l'ha sempre stimata.

I can feel your halo (halo) halo
I can see your halo (halo) halo
I can feel your halo (halo) halo
I can see your halo (halo) halo
I can feel your halo (halo) halo
I can see your halo (halo) halo

La donna si gira verso di me con gli occhi che brillano e mi scaccia con un gesto della mano.
«Forza, vattene a casa e dormi come si deve» mi intima.
«Agli ordini, signora» le rispondo, prima di darle la buonanotte.
Raccolgo rapidamente le mie cose e mi affretto ad uscire, dato che lo so che più tempo passo qui, più è probabile che chi mi sta aspettando fuori da almeno venti minuti si spazientisca e decida di mettermi nei guai.
Ricordo alla signora Ahmed di chiudere a chiave non appena me ne sarò andata, ma non faccio in tempo a dirigermi verso l'uscita dell'edificio che una figura maschile che armeggia con la porta dell'appartamento a fronte attira la mia attenzione.
Osservo che deve essere vicino ai trent'anni ormai e quel minimo di occhiaie che si intravedono sotto i suoi occhi verdi mi fanno intuire che non dorme molto bene da almeno qualche mese.

A giudicare dalla sua postura e dal modo in cui veste non ha di sicuro problemi di insicurezza o tensione, al che si aggiunge il leggero odore di alcool e diversi profumi che mi fanno intuire che abbia degli amici con cui uscire la sera, tra i quali anche qualche ragazza che si è dimostrata particolarmente affettuosa.
Non appena apre la porta dell'appartamento mi basta buttare l'occhio al suo interno per capire molto di più sul suo conto.
Uno studente universitario di legge, tanto per cambiare.
Gli picchietto sulla spalla prima che possa sfuggirmi. «Scusami, potrei sapere il tuo nome?»
Il ragazzo si gira, mi guarda, e fa la faccia che fanno tutti quando cercano di capire quanti anni io abbia. Ormai sto abbandonando il periodo dei trenta, ma sono sempre sembrata più giovane di quanto effettivamente fossi per cui non mi stupirei se pensasse di avere a che fare con una persona di appena qualche anno in più di lui.

«Aaron» risponde, girandosi completamente verso di me e facendomi vedere che ha cercato di pulirsi il rossetto sul colletto della camicia prima di tornare a casa.
Dal modo in cui ci si è impegnato all'inizio ma con cui ha poi rinunciato mi fa intuire che non abbia una vera e propria relazione, ma che piuttosto sia invaghito di qualcuno che non lo considera tanto quanto lo considera il ragazzo davanti a me.
«Aaron, ciao, molto piacere di conoscerti. So che l'università è una lunga tortura e che legge è una di quelle più dolorose, ma voglio ricordarti che abiti di fronte a un'anziana e a un bambino» gli dico, con un sorriso, perché so che è abbastanza sobrio per capire quello che dico. «Per cui se torni tardi dopo una serata di meritato svago, non fare troppa confusione. Grazie».
Il ragazzo si massaggia la fronte con un'espressione stranita e mortificata sul volto, il che mi fa capire che non ci aveva mai veramente pensato e che si sta sentendo una merda. Molto bene.

«Farò più attenzione» risponde, infilandosi le mani nella tasca della giacca. «Mi dispiace...».
Sta evidentemente aspettando di sapere il mio nome, il che mi fa inarcare le sopracciglia. Non sembra allarmato dal mio sapere con eccessiva sicurezza cosa faccia lui nella vita, anzi, ne sembra quasi affascinato. Spero per lui che sia colpa di quello che ha bevuto, perché altrimenti scommetto che ha un pessimo gusto in fatto di donne.
Sbircio di nuovo nel suo appartamento e mi correggo.
Ha un pessimo gusto in fatto di donne e uomini.
«Allison» gli rivelo, perché so che lo ritroverò davanti alla sua porta molto più spesso d'ora in avanti. «Buonanotte».
Sento che replica qualcosa, ma me ne sto già andando e non ci presto molta attenzione.
Scendo le scale e spingo la porta a vetri che conduce all'esterno, sotto lo sguardo di disapprovazione dell'uomo in giaccone nero appoggiato alla BMW grigia.

Faccio schioccare la lingua contro al palato perché Sendak è un idiota, non si parcheggiano macchine del genere in un quartiere come questo.
L'uomo si sfila la sigaretta consumata dalle labbra e la getta a terra, schiacciandola con la suola delle sue scarpe costose. «Sei in ritardo».
«Lo so, lo so, mi dispiace. Ci sono state novità nelle ultime due ore?» domando sbrigativamente, fermandomi a braccia incrociate davanti a lui, rabbrividendo per il freddo.
Sendak vede il modo in cui lo sto fissando e ignora il messaggio, sapendo che se fosse per me quella cicca gliela farei ingoiare. Non sopporto quest'usanza incivile di buttare le sigarette ovunque.
«Griffin chiede se vuoi il lavoro fatto prima o dopo Natale, in più Nyma Nikos ti ha procurato nuove informazioni su Omar e Delilah Ahmed» riassume, tirando fuori dalla tasca del giaccone le chiavi dell'auto. «E poi avevi detto di tenere in sospeso la faccenda Rachel McClain».

«Non serve occuparci di Rachel, Acxa è nelle mani di Zarkon e nelle mani di Acxa c'è Veronica McClain. Oltretutto, so come tenerla sotto controllo fino al momento opportuno. È già stato preso contatto con Serrano?» gli domando, lanciandomi un'occhiata attorno e proseguendo una volta che vedo suo cenno di assenso. «Bene. Non ci resta che vedere come procede con Matthew Holt e Curtis Evans. Più tardi chiamerò James per dirgli che voglio che agisca subito dopo Natale».
Mi fermo un secondo nel mio farneticare e sospiro, guardandolo.
«Grazie per avermi aspettato qua fuori».
L'uomo fa una smorfia ed apre la portiera del guidatore, facendo per entrare all'interno della vettura.
«Non c'è problema» risponde, lanciandomi un'occhiata. «E poi tra pochi mesi, se tutto va secondo i nostri piani, non sarà di questo che dovremo preoccuparci».
Mi lascio scappare una risata amara.
«Se tutto va secondo i nostri piani tra pochi mesi saremo già morti da un pezzo».
Anche lui ride con la stessa amarezza e rassegnazione, così non mi resta altro da fare che fare il giro della macchina e salire a bordo.

* بحق السماء

Per amor del cielo

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