[10] In
Hunk
Non appena arrivati alla casa vacanze invernale, il caos si scatena nel momento stesso in cui Allura apre la porta.
Tutti i piani organizzativi fatti per la gestione delle camere, del tempo per mettersi comodi e disfare le borse, tutto va in fumo mentre una mandria di ventenni appena usciti dalla pubertà invade la casa.
Tu sei in prima linea per assicurarti la camera con il balcone che hai visto dall'esterno, ma vieni scavalcato da Pidge che si infila nello spazio tra te e la ringhiera delle scale, lasciandosi sfuggire una risatina crudele mentre si dirige proprio verso il tuo obbiettivo.
Senti le grida di Lance e Matt che si lanciano verso il meraviglioso Xbox accanto al televisore e vedi distrattamente che Rachel salta addosso a Keith, mentre questo cercava di arrivare in bagno prima di lei.
Tu e Pidge vorreste continuare a combattere per arrivare alla camera prescelta, ma venite spinti brutalmente da parte da una Romelle in fuga con un Lotor imprecante alle spalle.
«La vasca a idromassaggio è mia» strilla il ragazzo.
La tua migliore amica si approfitta della tua disattenzione e schizza verso il tuo obbiettivo, rubandoti ciò che agognavi.
E così ti siedi sui gradini avvilito, notando che nel frattempo Allura e Shiro si stanno versando con aria esausta due bicchieri di vino nella cucina a open space, come due genitori che dopo una stressante giornata di lavoro lasciano bisticciare i figli pur di avere un momento di respiro.
Dopo due ore, la situazione è pacifica.
Le camere sono state divise in modo promiscuo e senza che nessuno ci pensasse troppo.
Nella camera con te dormono Lance e Rachel, mentre Keith e Pidge si trovano in quella di fronte alla vostra, Matt e Shiro condividono la loro, ovviamente, accanto a quella di Lotor, Allura e Romelle.
In men che non si dica siete finiti tutti in pigiama e sul divano, poiché avete aspettato mesi il momento in cui vi sareste ritrovati tutti insieme per poter concludere un magnifico paragrafo della vostra gioventù.
È novembre più che inoltrato e state guardando l'ottava, nonché ultima, stagione di Voltron: Legendary Defender.
La data di uscita iniziale era stata programmata per metà dicembre, ma la DreamWorks aveva finanziato anche un film conclusivo della serie, dando la possibilità a Lauren Montgomery di respirare e mandare in onda la stagione con un finale aperto.
Sei seduto sull'angolo del divano a mangiarti con eccitazione le unghie mentre guardate tutti insieme il primo episodio, con il fiato sospeso.
Lotor vi raggiunge dal bagno dopo dieci minuti, perché ovviamente doveva essere impeccabile anche in pigiama.
«Cosa mi sono perso?» chiede, costringendo Allura a mettere in pausa.
«Seriamente? Eravamo sul più bello» sbotta Romelle con il linguaggio dei segni, che tutti hanno scoperto essere incredibilmente espressivo.
«Allora smettila di far perdere tempo, Elle, e aggiornatemi» le dice, infilandosi in ciò che rimane dello spazio tra lei ed Allura. «Sono andato via quando quel bisessuale represso di Leandro è stato confortato dalle parole di Kyle sul Leone Nero».
Senza che nessuno dica niente, Lance comincia subito a raccontare.
«In breve, la principessa Alissa va da Leandro e la sua famiglia per la cena, dove viene evidenziato di nuovo che l'unica cosa che lei vuole è non rimanere da sola, infatti Leo sembra un ripiego al posto del principe Larion» borbotta, senza staccare gli occhi dallo schermo. «Nel frattempo però Leo continua a sclerare pensando a Kyle e sua sorella ha evidenti sospetti. La coppia che meno si desidera a vicenda di tutto lo show si è diretta in un parco dove c'è un grandissimo albero deceduto e Alissa usa i suoi poterucci da dea per dargli di nuovo vita, ma ora stanno per dirsi qualcosa di importante quindi zitto».
Allura preme distrattamente sul computer e tutti rimanete in un silenzio religioso, mentre i sottotitoli e l'audio accompagnano le immagini che tanto vi tengono con il fiato sospeso.
Forse sembra stupido che alla vostra età siate così apprensivamente legati a una serie animata, ma la verità è che avete paura di ciò che può accadere. Se i personaggi avessero una brusca interruzione del proprio sviluppo, se finissero in relazioni tossiche eteronormative come il contratto con la DreamWorks aveva richiesto, se la trama non fosse avvincente e ben elaborata probabilmente dareste di matto.
Questa serie simboleggia molto di più di ciò che appare, è qualcosa che all'inzio vi ha uniti quasi per gioco e che poi è diventata parte integrante delle vostre vite.
L'avete presa troppo a cuore per poter sopportare di vederla rovinata per sempre.
Ed è per questo motivo che, quando Alissa e Leandro dichiarano di non voler intraprendere una relazione romantica, gridate tutti di gioia (credi di aver persino sentito Romelle, che cerca di non parlare affatto).
È per questo che rimanete cinque ore incollati a quel divano, perché il vostro viaggio sta volgendo al termine.
Certo, ognuno di voi ha una coppia preferita e un personaggio speciale, ma tutti pretendete uguaglianza e un buon sviluppo per ognuno di questi.
Per esempio, il tuo personaggio preferito è sicuramente Hugo, il paladino del Leone Giallo, infatti l'episodio in cui riesce a salvare i suoi compagni grazie alle sue doti ingegneristiche è forse uno dei tuoi preferiti, ma hai apprezzato anche il tanto atteso arco narrativo di Leandro, il paladino blu.
Sono tante piccole cose che rendono speciale e perfetta l'ottava stagione che vi rendono felici, come l'approfondimento di alcuni personaggi che erano stati accantonati, Kyle e Leo che finalmente si accorgono dei loro sentimenti l'uno per l'altro, Paris, la paladina verde, che aiuta Alissa, la principessa, a venire a patti con il suo passato e con ciò che vuole fare in futuro-
Quando l'ultima puntata finisce, siete tutti in lacrime.
C'è chi, come te, Lance e Romelle, piange a dirotto senza pudore. E c'è chi, come gli altri, che ad occhi lucidi osserva qualcosa di cui sono orgogliosi.
Un capitolo della vostra vita è concluso per sempre e siete comunque tutti insieme, con qualche persona in più rispetto a quando avevate iniziato.
Lance prende Keith per le guance e lo bacia, sorprendendo lui e ricevendo da Pidge e Matt dei versi di disgusto.
Improvvisamente ti senti davvero tanto, ma tanto solo.
«Che ne dici Hunk, prepariamo da cena anche se è letteralmente notte?» ti chiede Allura con complicità, mentre si asciuga il mascara colato.
Le sorridi, felice di questo vostro riavvicinamento che sta avvenendo ultimamente. «Il cibo notturno ha sempre un sapore migliore».
Pidge
Avevano un piano, davvero, lo avevano.
Dovevano guardare tutti insieme Voltron e concludere la loro grande avventura con quello show televisivo che non li ha mai delusi, mangiare e poi fare una serie di attività diversificate delle quali avevano parlato durante il viaggio.
Invece, non si sa bene come, era comparso Monopoli.
Alle tre e mezza di notte, dopo sette ore di gioco, Pidge e Lotor stavano regnando incontrastati sull'economia della città, mentre Matt cercava di convincere Rachel a vendergli i suoi possedimenti e ad allenarsi con lui, il tutto sotto lo sguardo attento e silenzioso di Allura che picchiettava le dita sul tavolo osservandoli.
«Matt, è il tuo turno» gli ricordò la ragazza dai capelli bianchi, senza fare nemmeno una piega alle minacce di morte che si stavano rivolgendo il suo ragazzo e la sua amica.
Il giovane Holt sospirò e lanciò i dadi, che sotto ai suoi occhi pieni di dolore e rassegnazione mostrarono il numero di caselle necessarie per finire davanti a uno degli alberghi di sua sorella.
La castana sorrise, porgendogli la mano ed afferrando gli ultimi 500 bigliettoni da gioco che il fratello possedeva. «Molto gentile».
«Sei crudele, come puoi fare una cosa del genere al sangue del tuo sangue?» domandò il ragazzo, risentito.
«È il capitalismo, Matthew» rispose, contando i soldi e mettendoli sul picchetto davanti a lei. «Dovevi pensarci prima di diventare povero».
Era così che anche tutti gli altri erano stati mano a mano cacciati dalla partita, spogliati dei loro beni da quei cinque finalisti, dei quali, purtroppo, uno di loro non ce l'aveva fatta.
Il ragazzo non si allontanò dal tavolo fino a che anche Rachel non ebbe perso tutto, decidendo poi di andare insieme a farsi confortare da Hunk, incuranti del fatto che forse, ma solo forse, il ragazzo stava dormendo.
Rimasero in tre davanti alla tavola da gioco, anche se Allura sembrava una presenza circostanziale, e l'atmosfera era infernale.
«Ti sei preso la stazione che volevo e finalmente mi vendicherò» sibilò Pidge, raccogliendo i dadi dal centro del Monopoli.
Lotor, inarcò una delle sue sopracciglia curate e la giudicò con lo sguardo. «È la vita, Katie, tutti perdiamo qualcosa prima o poi».
La ragazza assottigliò gli occhi e si rese conto di non aver bisogno di avere gli occhiali da sole per affrontarlo, così li tolse e li appoggiò accanto alle banconote da cento.
Lotor era forse l'unica persona che non avrebbe mai temuto di guardare negli occhi.
«A te non serviva quella stazione, avevi già tutte le compagnie elettriche e idrauliche» gli ringhiò contro la castana. «Perché hai dovuto portarmela via?»
Il ragazzo strinse i pugni, stizzito.
«Perché la volevo, okay?» replicò seccamente. «A volte le persone vogliono stazioni che a loro non servono e poi, magari, scoprono che una stazione era l'unica cosa di cui avessero mai avuto bisogno».
La castana percepì qualcosa, dentro di lei, che le comunicò che non stavano affatto parlando di stazioni.
Nessuno dei due guardò Allura, ma era palese che anche lei avesse capito.
Tra quei due c'era così tanta tensione mai espressa apertamente che li aveva portati a questo, a confrontarsi nel momento più assurdo e all'orario meno sensato della giornata.
«Ma io avevo solo tre stazioni!» esclamò indignata, senza nemmeno preoccuparsi del significato che potesse avere quella sua affermazione.
«Io non avevo stazioni!» sbottò, praticamente sbattendo una mano sul tavolo. «Non ho mai avuto una sola stazione in tutta la partita e quando ne ho avuto l'occasione, l'ho colta. La volevi anche tu, lo so, ma ciò non toglie che ne avessi bisogno anche io!».
«Ragazzi» li interruppe Allura.
Lotor e Pidge continuarono a fissarsi con astio per qualche istante e poi le diedero tutta la loro attenzione.
La ragazza si sistemò i capelli bianchi e bevve un sorso del suo terzo margarita della nottata, accavallando le gambe. «Pidge deve tirare i dadi».
Katie deglutì il risentimento e tirò con stizza i dadi, nel silenzio tombale che si era creato.
Mosse la sua pedina e finì nell'ultima casella prima del via, dove Allura aveva posto ben tre alberghi.
La più piccola guardò incredula l'altra ragazza, che le rivolse un sorriso. «Tutto ciò che era tuo ora è mio».
Lotor si lasciò andare in un verso di soddisfazione, per poi fare la sua mossa e finire, per un qualche sadico gioco del destino, sulla stessa casella di Pidge.
La sua bocca si spalancò mentre Alluda si alzava con il bicchiere vuoto in mano e sbadigliava.
«Ho vinto io, mi sono presa tutto e quindi tocca a Lotor mettere a posto tutto» decretò, con noncuranza, per poi aggiungere una frase che aveva un tono di gran lunga più deciso. «E quella stazione che vi litigavate tanto è mia».
La giovane capitalista quindi se ne andò in cucina, mentre il suo ragazzo prese a ordinare le carte con uno sbuffo, ignorando Katie come se nulla di ciò che si erano detti prima fosse mai stato nemmeno pensato.
La ragazza afferrò i suoi occhiali ed uscì dalla stanza irritata e confusa, comprendendo perfettamente di non avere alcuna ragione per esserlo.
Le stazioni erano i suoi amici e all'inizio, quando Lotor era entrato nella loro vita, ne aveva solo tre.
Pensava a Lance, Hunk e Keith come persone che le appartenevano e alle quali a sua volta apparteneva lei, una cosa che non aveva mai provato prima nella sua vita.
E poi si erano avvicinati ad Allura. E Pidge voleva davvero davvero davvero tanto che diventasse una delle sue stazioni.
Solo che Lotor gliel'aveva portata via.
Si sfregò le palpebre con le dita, stancamente.
Lo sapeva che erano amiche comunque, questo era certo, ma non nel modo in cui lo era con gli altri tre.
Sapeva che non si appartenevano a vicenda e questo la faceva sentire derubata di qualcosa.
Avrebbe dovuto provare pena per Lotor, che non aveva nemmeno una stazione prima di Allura? Forse.
Ma non ci riusciva perché lui, al contrario, aveva sempre avuto molte cose che lei avrebbe potuto solo sognarsi.
Si affacciò in soggiorno, dove Rachel e Matt sedevano sul divano.
Appoggiatasi allo stipite della porta rimase a osservare il volto del fratello mentre parlava con lei, illuminato dalla stessa luce che aveva quando era davanti a una scoperta sensazionale.
I due stavano ridendo, vicini l'uno all'altra, e Rachel giocava con le dita di Matt senza nemmeno accorgersene, così completamente a suo agio con lui da poterselo permettere.
Fece per allontanarsi, leggermente rincuorata.
Forse Rachel poteva essere la stazione di suo fratello, anche se lui non aveva idea di averne bisogno.
Forse semplicemente non era destino che Allura fosse la sua.
Prima che lei potesse andarsene, i due la videro, e Rachel disse qualcosa al ragazzo, prima di salutare la più piccola e dirigersi verso le camere.
Matt si alzò dal divano e si avvicinò alla sorella, con un sorriso confortante.
«Allora? Hai vinto?» le domandò.
«Non ha vinto nessuno. O meglio, ha vinto Allura, ma credo che la battaglia vera non la vedesse come sfidante» rispose lei, stringendosi nelle spalle.
Il fratello non poteva capire a cosa si riferisse, ma le diede la sensazione che avesse una vaga idea di cosa stesse parlando.
«Forse dovremmo andare a dormire entrambi, allora. Shiro probabilmente mi starà aspettando a occhi spalancati per potermi fare la ramanzina» sospirò.
«Hai spostato le sue cose per metterle in ordine di colore?» chiese Pidge, con l'abbozzo di un sorriso.
Matt si sporse verso di lei con complicità.
«Certo che ho messo le sue cose in ordine di colore» rispose. «Perché cosa siamo noi, animali?»
La sorella lo guardò nei grandi occhi color nocciola e capì che era il momento.
«Matt, so dove tu, Shiro e papà avete passato l'anno in cui siete spariti» confessò, cancellando il proprio sorriso dalla faccia e anche quello di suo fratello. «E so chi è stato a farvi andare via. Quello che mi serve è che tu mi dica il perché».
Il castano si passò una mano in mezzo ai capelli, chiudendo gli occhi e sollevando il capo verso l'alto.
Rimase così per qualche secondo, prima di fare una smorfia e stringere i denti con disappunto.
«Sapevo che eri troppo intelligente perché non capissi cosa fosse successo, ma forse speravo che non ti ponessi la domanda» ammise, portandosi una mano al collo e guardandola in volto con aria pensosa. «È il caso che tu venga da Shiro».
Keith
Keith non sa che ore siano ma, di sicuro, non riuscirà a chiudere occhio fino a che Pidge non tornerà.
Dove diavolo può essersi cacciata?
Si gira per l'ennesima volta nel comodo letto che sta occupando, con gli occhi che non accennano a volersi chiudere.
L'unico luogo dove è mai riuscito ad addormentarsi in una stanza da solo è stato nel suo appartamento, perché si era abituato alla presenza di Allura nella stanza a fianco. Ora, invece, in cuor suo sa che gli altri dormono sotto il suo stesso tetto, ma non essendo nel suo habitat questa consapevolezza non serve a niente.
La dottoressa Skye dice che dovrebbe esplorare la causa del suo terrore dell'abbandono e Keith è anche convinto che lei abbia ragione, però è quasi più facile farsi notti e notti insonni che rivangare il suo passato.
In sintesi, un orfano che ha paura di dormire da solo sta fissando un punto imprecisato nel buio, senza nemmeno cercare di convincersi a dormire.
Sa che non servirebbe.
Poi qualcuno bussa alla porta e capisce che non dormirà affatto, perché se fosse stata Pidge sarebbe entrata chiassosamente e con noncuranza per il suo compagno di stanza.
Che sia Lotor, venuto a dirgli che la castana proseguirà la partita a Monopoli fino alla mattina?
Accende la lampada sul comodino e si alza dal piumone sul quale era coricato per andare ad aprire.
Avendo solo un matrimoniale nella stanza, avevano deciso che Keith avrebbe dormito sopra le coperte. O meglio, Pidge glielo aveva imposto.
Quando il corvino apre la porta, la sua nottata improvvisamente si illumina di più stelle di quante ne avesse mai viste.
«Hey, Samurai» lo saluta timidamente il suo ragazzo, con un sorriso.
Keith sente che potrebbe morire, sì sì, potrebbe morire perché il sorriso di Lance è bellissimo e lui vorrebbe tanto saltargli addosso e baciarlo tutto.
Si appoggia allo stipite della porta nel tentativo di assumere un atteggiamento rilassato.
«Hai bisogno di qualcuno che ti spalmi la maschera per il viso prima di dormire?» gli chiede.
Lance mette il broncio e, niente, come non detto, non è solo il sorriso di Lance a essere bellissimo, anche il suo broncio è bellissimo.
«Ho visto Pidge che andava nella camera di Matt e Shiro, per cui ho immaginato che tu fossi solo, mentre nella mia, Rachel russa e Hunk parla nel sonno» dice. «Volevo chiederti se potevo dormire qui, ma se do fastidio posso andare sul divano».
Keith sospira e gli prende una mano, segretamente sollevato dalla sua presenza.
«Vieni dentro, su, drama queen» replica trascinandolo dentro alla stanza. «Ma se devi impiastricciare i cuscini con la tua maschera notturna, te ne vai».
Il castano chiude la porta con il piede ed il corvino giura di avergli visto fare un piccolo balzo.
Non è mai stato bravo a capire le persone, più che altro perché non è mai stato bravo con le persone in generale, per cui molti dei comportamenti di Lance sono ancora un grande mistero per lui.
Ad esempio, il modo in cui le sue sopracciglia sono piegate ed il tipo di sorrisetto sghembo che è appena spuntato sul volto del più alto è qualcosa di assolutamente indecifrabile. Per convenienza decide di dargli un'interpretazione positiva.
«Posso avere il lato vicino alla finestra?» domanda, al che sembra non abbia notato le coperte spiegazzate nel punto in cui era coricato il corvino.
L'altro si stringe nelle spalle ed allenta la presa sulla sua mano, di modo che se volesse andare a dormire non sarebbe di certo lui a fermarlo. Ma Lance non gli lascia la mano.
Keith non è mai stato bravo con le persone e nemmeno con se stesso, a essere onesti, ma conosce abbastanza il ragazzo da poter intuire che per lui sia improponibile vivere lontano da una diretta via d'uscita per il mondo esterno.
Invece Keith sta bene al chiuso, negli spazi stretti e magari anche un po' bui, perché si sente in qualche modo protetto da una condizione simile.
«Avrei dormito dall'altra parte comunque» lo informa, chiedendosi come effettivamente abbia fatto Lance a non vedere l'impronta della propria presenza che il più basso aveva lasciato sul letto.
Ed è quando il castano stringe gli occhi che capisce. «Tu porti le lenti a conta-».
Non riesce nemmeno a finire la frase perché la mano fredda e morbida del cubano gli è stata premuta sulla bocca dallo stesso, che ora si sta guardando attorno con sospetto come se fosse preoccupato che qualcuno li senta.
Poi si gira di nuovo verso di lui ed aggrotta le sopracciglia e niente, la sua pelle color caramello è molto vicina alla faccia di Keith.
«Non dirlo mai più, ne va della mia reputazione» lo ammonisce, portandosi un dito davanti alle labbra.
Quelle del corvino si piegano impercettibilmente verso l'alto e si stringe un poco tra le spalle, come se la situazione lo stesse coccolando.
Si sente sempre coccolato dalla presenza di Lance.
Il ragazzo non promette nulla al castano e si lancia sulla sua porzione di letto con le labbra piegate nella stessa piccola smorfia, mentre l'altro sospira e si infila sotto le coperte in modo più delicato.
Ora che ci pensa, Lance è sempre stato più delicato di lui. Cioè, se è sovrappensiero rischia di camminare con la stessa grazia di un elefante in una cristalleria e se è irritato sa diventare estremamente infantile, ma c'è sempre qualcosa di delicato nei suoi gesti e nel suo modo di fare.
Come adesso, che si volta verso Keith per guardarlo ed allunga lentamente una mano fino al suo volto, come a chiedergli il permesso di toccarlo. Non è una cosa che di solito le persone fanno, di solito chi ti vuole abbracciare ti abbraccia, chi ti vuole tirare una pacca sulla spalla te la tira, non si fermano a chiedersi se, magari, questo contatto può far sentire a disagio.
Lance, invece, anche se non ad alta voce, gli sta chiedendo il permesso di sfiorarlo e c'è una delicatezza in questo che gli fa battere forte il cuore.
È un cretino.
Visto che non si oppone e ricambia il suo sguardo, il cubano accarezza la guancia di Keith con un sorriso.
«Ti ammalalerai se dormi così, anche se c'è nulla da rimproverare al riscaldamento di questo posto» dice, sbattendo le palpebre. «Prometto che non ti soffocherò con le lenzuola se vieni sotto le coperte».
Il corvino arrossisce un po', imbarazzato per non si sa bene che cosa. «Sì, okay, è solo che ero d'accordo con Pidge che avremmo dormito così».
Lance sorride ancora di più. «Per tua fortuna io non sono Pidge».
Keith sbuffa piano e fa del suo meglio per infilarsi sotto le coperte, ma solo perché si è autoconvinto che il ragazzo non possa aver visto le sue guance diventare scarlatte. Ha appena scoperto che è l'incarnazione di una talpa, non è uno scenario del tutto inverosimile.
Una volta che la flanella lo avvolge e tutto quello che vede è il volto del cubano si fa scappare un pensiero.
Pensa che si sente al sicuro.
Pensa che è grazie a Lance che si sente al sicuro.
E pensa anche che vuole che Lance lo faccia sentire al sicuro per tutta la vita.
«Quindi, dicevamo, gli occhiali» dice, per cambiare argomento più velocemente possibile e per riprendere il controllo su se stesso.
Il castano stringe gli occhi e Keith è piuttosto sicuro che non sia perché non ci vede bene. «Spezzo la promessa, ora ti soffoco con le lenzuola».
Senza nemmeno dargli il tempo di metabolizzare la cosa, il ragazzo gli salta addosso armato delle coperte con cui si riparava dal freddo fino a qualche istante prima, facendo scoppiare a ridere il corvino mentre tenta di lottare per la sua vita.
Anche se sta ridendo, Keith è comunque più forte di Lance e riesce a sostenere il suo peso e la sua furia. Il più alto si sta pure impegnando per poterlo sopraffare, con l'unico risultato di incastrarsi nel piumone verde.
A un certo punto si mette a ridere anche lui e si accascia contro l'altro, che smette di respingerlo e lascia ricadere le braccia lungo i fianchi.
Rimangono così per qualche secondo, prima che Lance sollevi la faccia dalle coperte e lo guardi con quegli occhi azzurri che si vedono anche nella penombra della stanza.
Keith lo guarda con aria interrogativa ed il cubano sospira, come se stesse conservando il più grande segreto dell'umanità.
«Ti infastidisce che sia venuto qui?» gli domanda, distogliendo lo sguardo. Nessuno ha mai capito chi di loro due fosse il più codardo nei confronti di quello che provavano. «Avresti preferito stare da solo?»
Il corvino deglutisce e si sente davvero in una brutta situazione, perché sta per dire delle cose che avrebbe preferito non dire.
«No, io... io non riesco a dormire da solo. Di solito. E, sì, dividere la stanza con Pidge è di sicuro poco impegnativo, ma-». Non capisce se sta balbettando o se sta solo inciampando nelle parole. «Non mi dispiace dormire con te. Anzi. Prima volevo chiederti se potevi... Non lo so, magari non vuoi, lo rispetto, non voglio forzarti. Volevo solo sapere se potevi, ecco, abbracciarmi».
Un'altra cosa che vorrebbe, ora, è sprofondare in una fossa profonda fino al centro della Terra e non riemergere mai più.
Lance torna a guardarlo e sorride, in modo così genuinamente entusiasta che fa gonfiare il cuore di Keith in maniera smisurata.
«Posso» gli risponde, stringendo le mani sulle coperte. «Prima posso anche baciarti?».
Il corvino non parla perché ha la consapevolezza che se lo facesse uscirebbe dalla sua gola un suono terribilmente stridulo. Così annuisce con forza e in pochi istanti si ritrova con le labbra di Lance sulle proprie.
Hunk una volta gli ha detto una cosa, riguardo al voler bene alle persone.
Gli ha detto che pensare di perderle fa perdere il fiato, perché è qualcosa di spaventoso e terrificante. Ma che anche pensare di poterle avere per sempre fa perdere il fiato, perché è qualcosa di straordinario ed incredibile.
E adesso sente che gli manca il fiato a pensare a quello che sta succedendo, ma non capisce per quale delle due ragioni.
Così decide di smettere di pensare e di limitarsi a sentire ogni tocco di Lance, ogni suo respiro e ogni suo palpito.
Sente come si mette a cavalcioni su di lui e come gli infila le mani nei capelli, come spinge il mento contro il suo per approfondire il bacio ancora, e ancora, e ancora di più.
Quindi Keith si aggrappa alla maglia del ragazzo per averlo più vicino, per percepire il battito forte del suo cuore e per convincersi di non doverlo mai lasciare andare.
La bocca di Lance sa di dentifricio oltre al sapore che ha sempre avuto e gli viene un po' da ridere perché è uno di quei dentifrici alla fragola sintetizzata che di solito usano i bambini.
Poi improvvisamente smette di voler ridere per trattenere un gemito che stava per uscire con prepotenza dalle sue labbra, visto che Lance gli ha afferrato le cosce e si è spinto forte contro di lui, provocandogli una fitta di calore al bassoventre che è sicuro di non poter ignorare.
Il castano separa le labbra dalle sue per respirare come si deve, guardandolo dall'alto con quell'aria famelica che gli ha già visto negli occhi e che gli fa venire voglia di arrendersi a qualsiasi cosa il ragazzo brami di fargli. Poi la luce nei suoi occhi cambia, è più dolce e più tenera, ha tutta la delicatezza di Lance.
«Mi fido di te» decreta il corvino, con sincerità, prima di potersi fermare. «Me ne sono accorto adesso e volevo dirtelo».
Il castano allarga gli occhi e rimane in silenzio per sei lunghi, interminabili secondi.
Poi affonda la faccia nell'incavo del collo di Keith e fa un verso assurdo, soffocato dalla maglietta di lui e dalle coperte.
Scuote la testa contro la spalla del più basso e continua a fare rumori privi di senso, facendo ridere il corvino perché, splendido, ha fuso il cervello di Lance.
«Anche io» risponde, finalmente, lasciando la presa sulle sue gambe e stringendogli le braccia attorno alla vita.
Il ragazzo gli accarezza piano i capelli corti con una forte sensazione nel petto, che però non riesce a descrivere.
Quando il castano allenta sufficientemente la presa su di lui, Keith si gira su un fianco e aspetta che l'altro si sistemi nuovamente sotto le coperte.
Le braccia di Lance lo avvolgono di nuovo ed il cubano preme la fronte contro la nuca del ragazzo, senza dire niente.
E anche il corvino rimane in silenzio, sorridendo, perché non c'è davvero niente da aggiungere.
ACXA
Non è che lei sia mai stata una persona mattiniera, ma oggi, in particolare, non era assolutamente nelle condizioni di svegliarsi presto.
Per prima cosa, perché ieri sera è uscita con Veronica e, finalmente oserebbe dire, la ragazza le ha chiesto di fermarsi da lei. Quindi non pensa di aver chiuso occhio prima delle tre del mattino.
In secondo luogo, oggi pomeriggio ha un colloquio con il rappresentante di un'importante testata giornalistica e ci teneva a riposare la mattina per fare buona impressione.
Accende il telefono solo per controllare di non avere chiamate o messaggi di parte di Lotor. Sperava che il fratellastro, almeno, avesse delle informazioni su qualsiasi cosa Zarkon volesse dirle.
Invece l'unica cosa di utile che vede è l'orologio sullo schermo che le comunica che sono le otto e quaranta.
È in anticipo di cinque minuti, il patrigno non ha di che lamentarsi.
Proprio ora che l'ha nominato nei suoi pensieri, Haggar esce dall'ufficio spingendo le porte di vetro opaco e le fa cenno di entrare.
La ragazza prende un respiro profondo e pianta gli anfibi sul pavimento, stringendosi nelle spalle. Non ha un buon presentimento.
Entra nell'enorme stanza in cui è stata invitata e l'uomo seduto all'imponente scrivania di mogano le fa segno di accomodarsi.
Acxa raggiunge le poltroncine di velluto e ne occupa una, appoggiando sull'altra il casco della moto.
Zarkon non storce nemmeno le labbra.
«Allora, ragazza mia» esordisce. «Dormito bene?»
La ragazza annuisce e poi decide di aggiungere anche una risposta verbale, giusto per non inimicarsi il patrigno.
«Non male» dice. «Come mai mi hai fatta chiamare? Ci sono dei problemi?».
L'uomo sospira e chiude gli occhi per un secondo, come per prendere forza.
«In realtà, sì, e preferirei risolverli subito» risponde, facendole gelare il sangue nelle vene. «Mi è stato detto che stai frequentando una ragazza da tempo, ormai».
Ecco, una delle sue più grandi paure prende vita e lei è congelata su una costosa poltroncina rivestita di rosso.
Vorrebbe difendersi, vorrebbe riuscire a proferire anche solo una piccola parola, ma non sa come farlo.
Sa solo che la sua vita sta per essere distrutta e lei non riuscirà a impedirlo.
«Perché non me ne hai parlato?» domanda l'uomo, con aria mortificata.
Aspetta.
Cosa?
Zarkon punta gli occhi sul planner adagiato sulla scrivania.
«So che il fatto che io non sia veramente tuo padre potrebbe averti spinto a prendere una certa distanza, come so che deve essere difficile essere stata adottata da una famiglia senza una figura materna di riferimento» dice, tenendo le mani ferme ai bordi del planner. «Ma pensavo che sapessi di poter contare su di me. Forse ho dato troppe cose per scontato, sbagliando tutto. Mi dispiace».
Anche rischiando di essere ripetitiva, Acxa lo pensa di nuovo.
Cosa?
Erano quelli, i pensieri del patrigno? Era solamente preoccupato che lei non si fidasse abbastanza di lui da parlargli della sua vita privata?
«No, no, non è colpa tua!» lo smentisce istintivamente.
Però in realtà lo è, accidenti. Era colpa della sua austerità, delle aspettative con cui aveva cresciuto lei e Lotor e della freddezza con cui aveva sempre affrontato tutto.
Ma.
Già, ma.
Improvvisamente, Acxa comincia a credere a quelle parole che si è sempre ripetuta, che il patrigno lo avesse fatto esclusivamente per il loro bene.
Forse, così facendo, aveva sempre pensato di proteggerli e di prepararli al meglio ad affrontare il mondo che li aspettava.
«Non sono mai stata molto aperta, con te come con chiunque altro. Di certe cose trovo difficile parlare» dice, afferrandosi il polso. «E per quanto riguarda Veronica, beh, temevo di essere giudicata».
Zarkon punta di nuovo lo sguardo su di lei.
«Non avrei mai potuto giudicarti per questo» le assicura. «Effettivamente non proviene dalla famiglia più benestante che ci sia, questo è un po' fastidioso, ma di sicuro non ti avrei impedito di frequentarla».
Acxa sbatte piano le palpebre.
«E non ti crea problemi il fatto che sia una ragazza?» chiede, sorpresa.
L'uomo allarga le braccia.
«Le persone sono tutte uguali, ma anche tutte diverse. Se non accettassi la tua piccola diversità rispetto a me, come potrei vedere tutte le cose che ci accomunano?» replica. «Siamo più simili di quanto credi, Acxa, ed anche io faccio fatica ad aprirmi, quando è il momento. Ma, se ti va, potrei chiedere ad Haggar di portarci la colazione per poter parlare un po'».
Dire che non ha parole sufficienti per descrivere la sua incredulità e il suo sollievo sarebbe come utilizzare un eufemismo.
Non aveva mai odiato il patrigno, ma di sicuro non si era mai fidata di lui. E questa sua mancanza di fiducia le aveva impedito di imparare ad amarlo.
Ma ora, ora sentiva che qualcosa stava per cambiare e non sapeva se sarebbe stato un bene o un male.
«Mi piacerebbe, ma non hai altri appuntamenti stamattina?» domanda.
Zarkon le sorride, forse per la prima volta. «Questo è più importante».
Mentre quello parla all'interfono posizionato sulla scrivania, Acxa si sente stordita ma felice. E sente anche che finalmente ricomincerà a fidarsi di qualcuno, dopo anni in cui si era sentita impossibilitata a farlo.
Se la se stessa del futuro potesse darle un consiglio, però, probabilmente le direbbe di scappare da quell'ufficio e non tornare mai più.
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