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[1] Mr. Blue Sky

Keith

Vorrebbe davvero che la ragazza dagli spessi occhiali scuri non la facesse tanto lunga, ma a quanto pare è una priorità di Pidge irritare le persone in ogni istante della sua esistenza. Keith sta tamburellando nervosamente sul volante le dita leggermente callose fissando alternativamente l'orologio digitale dell'auto e l'uscita del centro commerciale davanti alla quale è parcheggiato da qualcosa come mezz'ora.

Sarà meglio che si sia fatta pelata, pensa tra sé e sé aggiustando lo specchietto per la decima volta nel tentativo di trovare qualcosa da fare.
Perché ovviamente Pidge riesce a essere completamente calma in queste occasioni, ma solo dopo essersi drasticamente tagliata i capelli (che lascia crescere apposta in attesa di questo momento). Però almeno la ragazza ha trovato un modo per calmarsi e non andare fuori di testa, mentre il corvino al volante dell'automobile arancione vivo non sa nemmeno come abbia fatto a non esplodere nell'attesa della sua amica; inoltre il fatto di dover consegnare a un cliente la copia sputata del Generale Lee*, una Dodge Charger del 1969 decisamente appariscente presa da una serie tv degli anni '80, non migliorava di certo la situazione, tant'è che si è sentito come se stesse girando con un semaforo in testa da quando è uscito dall'officina.

Ad un tratto la vede, la ragazza che vorrebbe tanto investire con la macchina ma per la quale ha in serbo qualcosa di molto più subdolo, e lei non sembra subito capire che deve dirigersi verso l'ammasso di metallo arancione, quindi continua a sfoggiare il suo sorrisetto da persona rinata mentre il nuovo taglio di capelli le conferisce una sorta di aura splendente.
Sotto lo sguardo diabolico di Keith, che l'ha osservata mettere un piede davanti all'altro ed osservarsi intorno ignara di quello che le sarebbe aspettato, estrae il cellulare dalla borsa senza nemmeno aggrottare le sopracciglia, come se nulla ormai potesse scalfire la sua armatura dell'invulnerabilità.

Il telefono del ragazzo squilla e sul suo volto nasce un ghigno malvagio tanto quanto il suo sguardo mentre osserva il nome Miss Holt comparire sullo schermo dell'oggetto. Schiarendosi la voce allunga una mano verso questo e risponde alla chiamata.

«Katie» dice.
«Hey, Stronzetto Emo» fa di rimando lei, con un sorriso genuino sul suo volto che non farebbe sospettare a nessuna delle persone che le passano vicino il genere di linguaggio da lei usato. «Credevo mi venissi a prendere tu».

«Infatti sono qui, non mi vedi?» domanda lasciando che la smorfia disegnata sulla sua faccia si allarghi. «È difficile non notarmi».

Finalmente il campo visivo della ragazza si restringe drasticamente alla Dodge Charger e Keith può ammirare la sua aura di sicurezza incrinarsi improvvisamente, accompagnata da un'espressione di puro disgusto.
«Dimmi che non sei quell'idiota a bordo del Generale Lee» ordina, anche se il ragazzo sa che è una supplica.

«Oh sì, sono proprio io» confessa, passando un pollice sul volante lucidato da lui stesso un'ora prima. «E questo è per avermi fatto aspettare mezz'ora in più».
«Ascoltami bene Kogane, azzardati a-»

La mano libera del corvino si abbatte sul clacson e lui la lascia lì per un po', premendo forte e scaricando la sua frustrazione attirando l'attenzione di tutto il parcheggio con le prime note dell'inno degli Stati Confederati d'America.
Pidge impreca tra i denti e la chiamata termina quasi istantaneamente, così Keith può godersi la vista della sua amica che si copre la faccia con la borsa e corre verso la macchina come se volesse sfondarla. Fortunatamente per lui e il suo lavoro la giovane Holt si arrampica sulla portiera dell'auto e si infila al suo interno dal finestrino, altro dettaglio del cimelio di cui il ragazzo era al volante che lei non avrebbe notare se non per merito di un loro terzo amico, che li aveva costretti a guardare tutta la serie tv Hazzard.

«Io ti odio, Kogane» borbotta lanciandogli un'occhiataccia di sbieco. «Sei fortunato che oggi devi rimanere vivo per compiacere Allura, altrimenti ti ucciderei».

Il ghigno che poco fa era stampato sul volto del giovane uomo era già scomparso, infatti Keith si appresta ad accendere l'auto guardando la strada come se non fosse successo nulla.
«Tu eri in ritardo» ribadisce, immettendosi nella corsia di uscita prima che un'anziana signora a bordo di un probabilmente altrettanto anziano maggiolino possa avere l'idea di fare lo stesso, rallentandoli ulteriormente. «E non mi lamenterei al tuo posto. Pensa se fossi stato Lance».
Alla castana scappa una risatina isterica e si massaggia le palpebre da sotto gli occhiali, come se si fosse improvvisamente resa conto della sua fortuna. «Avrebbe urlato il mio nome in mezzo al parcheggio, il mio indirizzo universitario e il numero di stanza del mio dormitorio».

Mentre quella si toglie gli occhiali da sole per pulirli Keith preme sull'acceleratore con il piede non solo per assicurarsi che il motore non strappi come prima, ma anche perché segretamente anche lui avrebbe tanto voluto andare alla massima velocità a bordo del Generale Lee.
Sono entrambi silenziosi durante il viaggio, ma non è un silenzio imbarazzante, anzi, è forse questo loro modo speciale di sentirsi a proprio agio l'uno con l'altra che li ha fatti avvicinare sin dall'inizio.

Katie Holt ha solo diciannove anni ma frequenta l'università già da due, in quanto bambina prodigio alla quale gli insegnanti hanno garantito le migliori raccomandazioni per la Garrison, e lì ha conosciuto quasi immediatamente Hunk e Lance, i quali erano diventati i suoi migliori amici. Ovviamente era incredibile come i tre avessero finito per andare d'accordo quando la prima era una ragazzina sarcastica ed asociale, il secondo un angelo troppo buono per questo mondo ed il terzo un ragazzo irritante ed iperattivo che sembrava divertirsi a prendere in giro chiunque; ma era stata forse la loro diversità persino da tutti gli altri a farli avvicinare a tal punto.
E grazie a Shiro, il loro insegnante, loro avevano incontrato Keith.
Il ragazzo non l'ha ancora ammesso apertamente nemmeno a se stesso, ma senza di loro non sa se sarebbe stato in grado di sopravvivere a quei due anni appena trascorsi.

Pidge piega la mano aperta verso di lui mentre legge qualcosa sul cellulare che le fa fare una smorfia, segno che vuole attirare la sua attenzione. «Lance ha detto che c'è anche Lotor in ospedale».
E che cazzo, pensa Keith.
«E che cazzo» dice apertamente, perché non può lasciarsi perdere l'occasione di esprimere chiaramente le sue emozioni per qualcosa, quando riesce a capire come fare.

La castana comincia a torturarsi il labbro inferiore, meditando sul da farsi mentre digita rapidamente una risposta al suo amico.
Non è che non siano felici per Allura, insomma, se con tutto quello che le sta succedendo ha ancora un ragazzo talmente devoto a lei da starle accanto nulla potrebbe andare storto. Ma non sono obbligati a farsi piacere Lotor, il quale ricorda tanto a Keith la simpatia che gli provoca pestare il ricordino di un cane.
«Voglio dire, il giorno di visita non è solo oggi e può benissimo venirla a trovare mentre noi non ci siamo» aggiunge la ragazza, al che il corvino deve lanciarle una rapida occhiata di lato per capire se sta parlando con lui o se sta registrando un vocale per il ragazzo cubano. «Perché cazzo deve mettersi sempre in mezzo?»
Ora, Keith sa benissimo che il ragazzo da lei nominato e la stessa Holt sono in rapporti tesi per motivi personali dei quali probabilmente nemmeno Lotor è a conoscenza, ma non può dare torto alla frustrazione della sua amica.

Non esprime un commento personale a riguardo e tiene gli occhi sull'asfalto bagnato mentre mette la freccia per girare a sinistra, così entra nel parcheggio dell'ospedale e cerca di infilarsi nel primo posto libero che trova in modo da potersi allontanarsi il più velocemente possibile dalla vettura poco sobria che non potrebbe trovarsi più fuori posto di così.
Una volta suonato il clacson contro un idiota che non sapeva nemmeno dove si trovasse il suo culo -parole di Pidge, non sue- riuscì a sistemare il Generale Lee dietro un minivan così da riuscire a nasconderlo ad occhi indiscreti almeno fino a quando non sarebbero tornati.
A partire da quando entrambi riescono a uscire dall'auto fino a quando arriveranno alla porta della stanza B1-27 il silenzio tra di loro sarà diverso da quello che regnava durante il viaggio, sarà un silenzio di tensione e paura che divorerà Keith da dentro piano piano, come ogni volta. I due ragazzi non si sono illusi di poter affrontare quella giornata come se nulla fosse, anche se ogni sei mesi si trovano a quello stesso punto ed anche se ogni sei mesi superano quel momento terribile tutti assieme. Non si sono illusi di essere pronti a vedere Allura in faccia perché sarebbe stato da stupidi, perché per quanto la bellezza della loro amica lo offuscasse il suo volto emaciato faceva sempre un po' di terrore in quei giorni.

Attraversando i corridoi troppo puliti Keith deve sfregarsi le palpebre con le dita più volte per non rimanere accecato dal bianco dei camici, delle pareti e dei pavimenti, così segue distrattamente Pidge sperando che lei sappia dove sta andando e che non si trovino per sbaglio nella stanza della signora Rosamund di nuovo.
Il ragazzo ha la sensazione che la sua amica si sia fermata davanti a una porta di metallo colorato di azzurro e la imita, trattenendo il respiro mentre quella bussa con mano leggermente tremante.
La porta si apre e da questa sporge l'amichevole volto di Hunk, che non appena li vede si illumina di sollievo. «Siete arrivati, finalmente! Venite, Allura è sveglia».

Il ragazzone si sposta ed i due possono avere la chiara visione della loro amica seduta sulla branda al centro della stanza che scoppia a ridere di cuore, mentre Lance seduto sulla poltroncina al suo fianco sta allargando le braccia di scatto come se volesse simulare un attacco.
«-è uscito dalla stanza nudo come mamma l'ha fatto e mi è saltato addosso davanti all'agente immobiliare» sta dicendo il castano, con un accento un po' più marcato come gli succede tutte le volte che parla troppo concitatamente. «Quel tipo ha detto che non tornerà mai più a casa nostra, nemmeno se insegnassimo ai nostri parenti a stare vestiti».

Keith nota che sia lui che Allura indossano una bandana da pirata sulla testa, probabilmente un regalo del cubano per coprire il capo pulito della ragazza, ancora indebolita dalle cure.
Lance gira lo sguardo verso la porta e non appena i suoi occhi color del mare incontrano quelli del corvino la preoccupazione celata dietro di essi scompare quasi all'istante, tanto rapidamente che Keith si trova a domandarsi se per caso non si sia immaginato tutto.
«Era ora che faceste vedere la vostra brutta faccia, voi due» dice quindi, ma sta ancora sorridendo. «Pensavo che Kogane guidasse più velocemente».

«E' colpa di Pidge se abbiamo fatto tardi, a quanto pare ha ritrovato la gioia di vivere all'interno di un centro commerciale» replica Keith avvicinandosi al ragazzo, che è anche dove si trova una seconda poltroncina libera.
La castana ora sta boccheggiando come se si fosse sentita tradita nel profondo dalle sue parole ed ha attirato su di sé gli sguardi di tutti i presenti all'interno della stanza.
Hunk piega la testa fingendosi sconvolto e la scuote ripetutamente. «Non ci posso credere Pidge, non mi hai informato di questo tuo radicale cambiamento. Credevo fossimo migliori amici».
La giovane Holt ora ha preso a discutere animatamente con ogni essere vivente che abbia osato insinuare qualcosa solamente con lo sguardo, ma Keith ha smesso di ascoltare quando si è lasciato cadere sulla sedia ed ha appoggiato il capo allo schienale, troppo stanco per aggiungere alcunché.

Sa benissimo che per tutti l'importante è che lui mostri di essere interessato alle condizioni di Allura, alle quali è interessato effettivamente più che alla sua stessa vita, e che non è necessario che dica qualcosa, non se non se la sente.
Ormai dopo tutto quel tempo che si conoscono hanno capito tutti che non è la sua specialità fare conversazione ed a lui sta bene che lo sappiano, davvero, anche se certe volte non si sente abbastanza per loro. Vuole dire, è ovvio che loro non ci guadagnino nulla dalla sua amicizia, che solo lui trae vantaggio dalla loro presenza e dal loro affetto, che lo fanno sentire sempre meno solo di quanto non lo fosse fino a due anni prima. Si sente come se stesse rubando qualcosa, ecco.
Attraverso le palpebre chiuse riesce a filtrare la luce del neon appeso al soffitto, ma non è questo che disturba il ragazzo, come non è l'odore di disinfettante che gli punge leggermente il naso. Si sente quasi osservato, così apre gli occhi e lancia un'occhiata al suo fianco, dove Lance lo sta fissando pensoso.

«Che c'è?» domanda, piano, per non interrompere la conversazione che gli altri tre stanno avendo.
Lance è imbarazzato dal fatto che lui lo abbia scoperto, ma lo capisce solo dal fatto che ha distolto lo sguardo quasi subito e non da un rossore acceso che sarebbe comparso sulle guance di chiunque altro. Lance ha dovuto imparare a non arrossire e questo fa irritare incredibilmente Keith. «Niente. Stai da schifo».
Il ragazzo si strofina la faccia con il palmo della mano stancamente, perché non può non essere d'accordo con quello che è appena stato detto, però non può nemmeno dargliela vinta così.
«Senti chi parla, Mr. Occhiaie Viola» ribatte, gustandosi l'espressione indignata del suo amico mentre gesticola ancora prima di parlare.
«Sì, certo, come se io potessi-» Si blocca all'istante ed afferra il braccio di Allura, attirando teatralmente la sua attenzione come se fosse una questione di vita o di morte. «Allura, ho le occhiaie?»

La ragazza lo squadra per qualche secondo con le sopracciglia aggrottate e poi sorride scuotendo la testa.
«Stai benissimo, Lance» risponde, con quella sua intonazione leggermente britannica che rende molto più credibile la sua affermazione e che ha il potere di rassicurare Lance.
Il ragazzo dagli occhi blu quindi si gira di scatto verso Keith e gli molla un pugno sul braccio, gesto che fa scappare una risatina al corvino.

Allura

Quando Shiro entra dalla porta azzurra è già passata più di un'ora da quando ho aperto gli occhi e devo ammettere che non mi ero resa conto di quanto fossi stanca.
Brevemente ordina a tutti quelli che sono nella stanza di levarsi di torno per lasciarmi dormire ed io sospiro perché vorrei davvero non averne bisogno, ma la mano di Pidge che stringe con più forza la mia mi impedisce di ribellarmi alle sue parole.
«Matt mi passerà a prendere tra dieci minuti, quindi Keith può portare via quella trappola mortale del Generale Lee sulla quale ti assicuro che non salirò mai più» dichiara la ragazza coricata al mio fianco, sorridendo di nascosto nel vedere l'espressione omicida del corvino e quella sconvolta di Lance.

Il ragazzo dai capelli castani si volta verso di lui con gli occhi spalancati per la sorpresa e penso che se i suoi freni inibitori non glielo impedissero gli chiederebbe di sposarlo in questo momento preciso, senza troppe cerimonie.
«Mi stai dicendo che hai guidato il Generale Lee senza rendermene partecipe» osserva.

«Io non stavo dicendo proprio niente» mugugna Keith, rivolgendo alla ragazza occhialuta una muta minaccia.
La sento sobbalzare un poco al mio fianco, cosa che mi fa voltare e capire che sta ridacchiando coprendosi la bocca con le mani. Inclino la testa leggermente verso di lei per scrutarla e mi chiedo perché improvvisamente si sia rimessa gli occhiali da sole, contando che fino a pochi secondi fa non sembrava farsi problemi a rivolgerci suoi furbeschi occhi color nocciola.
E' da quasi un anno ormai che la ragazza porta ovunque quegli accessori dalle lenti oscurate, ma di solito quando siamo tra di noi si sente abbastanza a suo agio da poterli togliere, come aveva ammesso lei stessa. Ma allora perché dal momento esatto in cui Shiro ha fatto il suo ingresso Pidge ha sentito il dovere di doversi nascondere?

Quello finge di non aver visto il gesto della castana, tuttavia posso sentire chiaramente che è ferito dal suo comportamento, anche se è costretto a rimanere in piedi accanto alla porta per capire se Lance avrà o meno bisogno di un passaggio.
«Ti prego, Keith, ti supplico di accompagnarmi a casa» sta chiedendo il ragazzo dagli occhi blu al corvino, il quale lo scruta con finta indifferenza. «Lo sai quanto ho sempre desiderato salire su quella macchina».

Il ragazzo si passa una mano tra i capelli pensoso, al che anche a me scappa un sorriso. Nessuno negherebbe mai una cosa simile a Lance, dato che è ovvio quanto sia importante per lui, ma Keith più di tutti non riuscirebbe mai a rifiutargli qualcosa. Soprattutto in questo momento che ha i sentimenti ingarbugliati a causa mia.
Non ci posso credere, allora il mio tumore almeno serve a far avvicinare quei due idioti.
«Potrei effettivamente darti un passaggio, la casa del proprietario dell'auto è da quelle parti» dice, tamburellandosi le dita sulle labbra. «Ma solo se prometti che non ascolteremo Demi Lovato o Nicky Minaj nemmeno una volta durante il viaggio».

Il ragazzo trasale e Hunk ne approfitta per afferrare il telefono che stava per cadere dalla tasca del suo migliore amico, in modo da poter controllare l'orario.
«Tu non hai assolutamente gusto musicale, però d'accordo» acconsente a fatica.
Dall'espressione sul viso di Keith intuisco che non ha intenzione di rendere le cose facili e cogliere l'occasione di stare un po' da solo con Lance senza litigare. «E nemmeno Beyoncè».
«Non puoi chiedermi questo!»

I due cominciano a bisticciare e probabilmente non si stanno nemmeno urlando contro, ma alle mie orecchie arriva forse la più dolorosa distorsione delle loro voci, aumentando il loro crescente mal di testa.
Mi lascio scappare una smorfia di fastidio e Pidge la nota, per poi posare la sua mano fredda sulla mia fronte e lanciare un'occhiataccia ai due ragazzi.
«Lance» scandisce, attirando la sua attenzione.
Hunk osserva rapidamente le sue dita sulla mia pelle e coglie il significato del nome da lei pronunciato, alzandosi dalla poltroncina e posando una mano sulla spalla del cubano.

«E' un prezzo onesto da pagare, soprattutto considerando che sarai salito a bordo del Generale Lee» gli fa notare, pacatamente. «Riuscirai a resistere dieci minuti senza Beyoncè».
Lance lo fissa come se si sentisse tradito e poi arriccia le labbra in un piccolo broncio, broncio che attira improvvisamente tutto l'interesse di Keith. Mi verrebbe da alzarmi ed abbracciarli per quanto sono terribilmente ciechi, purtroppo però sono bloccata in questa posizione da giorni forse, posizione che comincia a diventare scomoda.
«Va bene» dice infine, sospirando e distogliendo lo sguardo dal suo amico.

Si gira quindi verso di me con un sorriso raggiante e si avvicina a grandi passi al lettino, per poi sporgersi nella mia direzione schiacciando la castana contro il cuscino ed ignorando le sue imprecazioni soffocate.
Mi lascia un bacio sulla fronte e mi aggiusta la bandana da pirata, regalo da parte dei suoi nipotini, gesto che mi fa ridacchiare.
«Ci vediamo domani, Principessa» mi saluta ignorando il mio alzare gli occhi al cielo per lo storico soprannome.

Data la mia provenienza britannica il cubano è solito dire che mi atteggio da nobile, quando in realtà a parer mio se fossi veramente appartenuta alla famiglia reale mi avrebbero tenuta nascosta per non essere messi in imbarazzo.
«A domani» lo saluto, ricambiando il cenno della mano che anche gli altri due mi fanno.
Dopo che tutti e tre sono usciti dalla porta Shiro mi lancia uno sguardo lungo e pregno d'affetto, forse più per non guardare Pidge che per essermi di conforto. «Faccio chiamare Lotor?»

Al mio stanco annuire risponde lasciando anche lui la stanza, azione che mi fa sospirare ed accasciare contro i cuscini dietro di me, esausta.
Guardo di sottecchi la ragazza accanto a me, la quale si è tolta gli occhiali e si sta massaggiando lentamente le palpebre come se condividesse la mia stessa stanchezza.
«Pidge» la chiamo, non sforzandomi di parlare troppo forte.
Quella volta la testa verso di me e ci mette qualche secondo a dissimulare la disapprovazione per il nome che è appena stato pronunciato.
«Dimmi tutto Allura» risponde addolcendo la sua voce.

«Che succede con Shiro?» domando, ignorando la smorfia che le deforma il viso subito dopo avermi sentito.
«Nulla» mente, senza nemmeno sforzarsi di inventarsi qualcosa.
Le spingo con le dita il gomito, per nulla intenzionata ad arrendermi.
«Ci siamo promesse che ci saremmo dette tutto, siamo le uniche due ragazze nella squadra di Voltron e dobbiamo sostenerci a vicenda» le ricordo, con un sorriso conciliante. «Ed io ti racconterò ciò che mi hanno riferito i medici stamattina, quindi anche tu devi vuotare il sacco».

La sua espressione si fa decisamente più disponibile e si schiarisce la gola, nemmeno fingendo di non aver aspettato queste mie parole da tutto il giorno.
Si passa nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi viene la malinconica nostalgia della mia capigliatura, l'orgoglio di tutta la mia adolescenza.
«Non c'è molto da dire, ho tante cose per la testa. Se Shiro mi guardasse lo capirebbe e si preoccuperebbe per nulla» ammette, mordendosi il labbro inferiore. «Invece a te che hanno detto i dottori?»

Annuisco lentamente e mi sistemo meglio contro il cuscino, riflettendo senza fretta sulle parole che dovrei dire se fossi una persona onesta.
Tuttavia preferisco essere una buona amica piuttosto che una brava persona, perciò rivolgo al vuoto un sorriso felino e chiudo gli occhi rilassandomi.
«Mi hanno detto che non ci sono novità e che l'unica cosa da fare è procedere con le cure» mento, percependola trasalire al mio fianco.
«Non ci credo, hai imbrogliato» mi accusa, indignata. «Ed io che stavo per proporti di richiamare Voltron al completo per dare inizio a una guerra, quando ti sarai ripresa».

Ridacchio e le rivolgo gli occhi celesti. «Sono certa che troverai qualcosa da fare anche senza di me».
Lei scrolla le spalle mentre il suo telefono emette una breve vibrazione dalla sua tasca.
«Avrei chiesto agli altri di fare una partita online a Monsters & Mana questa sera ma Hunk è fuori con Shay, Shiro da lezioni serali, il computer di Keith è deceduto e...» si blocca, esitando prima di concludere. «Lance deve lavorare».
Cerco di non fare una smorfia disgustata al sentire le sue parole, fallendo miseramente.
Abbiamo fatto tutti la promessa di non giudicare il nostro amico per il modo in cui si guadagna da vivere, nonostante il cercare disperatamente un'alternativa alla sua occupazione corrente è diventata ormai la missione di ognuno noi.
Ho promesso a Lance che avrei capito le ragioni che lo spingono a farlo, però non posso non odiare l'idea che tutte quelle persone si approfittino di lui. Non è giusto, non dovrebbe essere permesso.

«Hai chiesto a tuo fratello se potrebbe esserci un posto per Lance alla Rebellionchiedo, speranzosa.
Pidge scende dal letto rimettendo il cellulare nella tasca della felpa e punta al giubbino che ha appoggiato sulla sedia, soppesando la mia domanda.
«Sì, ma non possono accettarlo finché non avrà preso la laurea» sospira, infilandosi il parka regalatole appunto dal cubano per il suo compleanno. «Per quanto possa essere un pilota promettente, Lance non ha praticamente certezze da offrire all'aviazione. E parlando di Matt, è giù ad aspettarmi» mi annuncia, per poi rimanere a guardarmi per qualche secondo. «Sicura che ti vada bene essere lasciata da sola?»
Sollevo solo la spalla destra per sminuire la faccenda. «Non sarò sola per molto, tra poco arriverà Lotor».

Questa volta è il suo turno di non riuscire a trattenersi dal fare una smorfia disgustata e ciò mi costringe a sospirare, esausta.
«Vorrei davvero che andaste d'accordo» le dico, inducendola a distogliere lo sguardo.
«Sono libera di non avere a che fare con le persone che non mi piacciono» borbotta, raccogliendo da terra anche la borsa che si mette a tracolla.
Mi mordo l'interno della guancia e mi massaggio l'attaccatura del naso con due dita. «Ne abbiamo parlato, Pidge, so perché non ti piace Lotor. Devi solo accettare che si è trattata solo di una serie di coincidenze...»

«E poi cosa?» sbotta, senza alzare lo sguardo ma stringendo vigorosamente i pugni attorno alla tracolla. «Che cosa ti aspetti che faccia poi?»
Ammutolisco non tanto per il tono con cui mi sta parlando, quanto più perché non so come risponderle. Non so cosa voglio che lei faccia, davvero non ne ho idea. Per ora mi basterebbe solo che credesse davvero in quello che dice, quando ammette che non è solo perché l'arrivo del mio attuale ragazzo nella mia vita coincideva con il periodo in cui mi stavano diagnosticando il tumore allora bisognava incolpare lui delle mie disgrazie.
«Dovrei tenerlo per mano e fare in modo che ci sosteniamo a vicenda mentre muori?» sbraita, sempre senza guardarmi. «Dovrei stargli vicino dopo che ti ha portata via da me mentre eri ancora in vita?»

Sto per chiederle di cosa sta parlando quando osservo con stupore che sta tremando, di poco ma lo sta facendo.
La castana non è mai stata molto socievole e forse senza accorgermene mi sono allontanata da Voltron iniziando la relazione con Lotor, facendola sentire messa da parte ancora una volta.
All'improvviso alza la testa nella mia direzione e vedo chiaramente che sta piangendo.
«Dovrei cominciare a odiare delle stupide cellule tumorali, esseri che non posso punire per quello che ti stanno facendo?» singhiozza, cercando poi gli occhiali e ritrovandoli appesi alla borsa. «Sarai anche tu quella che si sta consumando, ma io dovrò rimanere indietro con il cuore a pezzi. Perciò se prendermela con Lotor Galra mi farà sentire meglio, allora odierò Lotor Galra quanto cazzo mi pare».

Si infila bruscamente gli occhiali dandomi le spalle, avviandosi velocemente verso la porta.
«Pidge...» la chiamo.
Sto provando troppe emozioni diverse in una volta sola e in un momento in cui lo stress è la cosa peggiore che mi possa succedere. Mi sento in colpa, sono arrabbiata per il suo comportamento e sono ferita, ferita dalle sue parole così pregne di dolore.
Come se io non soffra all'idea che potrei lasciarli tra anni, mesi o addirittura anche tra qualche ora.
«Ci vediamo domani, Allura» si preoccupa di dire prima di uscire dalla stanza.

Non si sbatte la porta alle spalle, ma il silenzio che segue è lo stesso che ci sarebbe stato se l'avesse fatto.
A questo punto chiudo gli occhi percependo un fastidioso mal di testa annidarsi attorno alla zona tumorale, quasi da promemoria. Sono troppo stanca persino per piangere.

Lance

È illegale essere così belli pur avendo quei capelli, giusto?, pensai sbirciando colui che era alla guida dell'auto attraverso il riflesso sulla cassetta che tenevo in mano.
«Questo tizio è proprio fissato con gli anni '80» commentai leggendo i titoli delle canzoni sulle cassette, sistemate meticolosamente in ordine alfabetico.
Keith si strinse nelle spalle mentre guidava. «Sempre meglio di quella signora amante dei gatti».

Risi al ricordo, senza smettere di stringere l'oggetto trovato sotto il sedile. «Non ti aveva chiesto di fare le fusa vicino alla sua auto per entrare in sintonia con lei?»
«Mi aveva chiesto di fare le fusa vicino alla sua auto per entrare in sintonia con lei» confermò il ragazzo dai capelli neri, sollevando un angolo delle labbra verso l'alto. «Credo avesse modificato anche il clacson perché la facesse miagolare».
Rimasi in silenzio per qualche secondo osservandolo e poi gli diedi una leggera gomitata solo per attirare la sua attenzione.

Quando mi lanciò un'occhiata gli rivolsi un sorriso malizioso, il quale avrebbe probabilmente provocato più danni a me che a lui ma ero disposto ad affrontare le conseguenze delle mie azioni.
«Faresti le fusa per me?» gli domandai, muovendo allusivamente le sopracciglia.
Si lasciò scappare un'imprecazione soffocata prima di impedire a se stesso di frenare di colpo.
«Andiamo Kitty Keith, l'hai fatto per una sconosciuta e non per il tuo caro vecchio cecchino di fiducia?» mi lamentai, guardandolo mentre le sue guance prendevano un colorito scarlatto.
«Lance, ti giuro che se non la pianti immediatamente tiro il freno a mano e ti faccio volare fuori dal parabrezza» mi minacciò, stringendo forte la mano sul volante.

Risi di nuovo, acconsentendo a non riprendere in mano l'argomento pur di poterlo osservare di nuovo rilassato come era solo mentre guidava. Avrei accarezzato anche in quel preciso momento i lineamenti del suo viso di cui vedevo il profilo, disegnando con le dita la fronte corrucciata, il naso all'insù e le sue labbra semichiuse...
Morsi le mie, di labbra, per ricordarmi che quella era una delle cose che non avrei mai potuto fare nella vita. Perché per quanto mi piacesse Keith dovevo riuscire a reprimere i miei sentimenti, cosa che avrebbe dovuto riuscirmi facile ormai, con tutti gli anni di allenamento.
Avvicinai la cassetta che tenevo in mano al registratore e la infilai nell'apposita fessura, respirando a fondo prima di recuperare repentinamente il sorriso.

L'inconfondibile ritmo di quella canzone che mi ricordava così tanto il me delle superiori, quello che ancora non aveva cominciato a vendere la propria dignità per pagarsi l'università, arrivò sia alle mie orecchie che a quelle del ragazzo dai capelli neri.
Keith fece una smorfia divertita.
«Mr. Blue Sky? Ti ho permesso di scegliere una canzone e tu tiri fuori quella?» domandò, per prendermi in giro.
Mi finsi meravigliato mentre battevo a terra il tempo con il piede. «Strano che tu la conosca, credevo che ascoltassi solo musica emo».
Prima ancora che lui cercasse di replicare io mi esibii nel breve assolo di batteria invisibile che dava inizio al testo da me cantabile, e che ovviamente avrei urlato nelle sue orecchie senza pietà.

«Sun is shinin' in the sky» cantai, muovendo ritmicamente le spalle. «There ain't a cloud in sight
Il ragazzo alzò teatralmente gli occhi al cielo, ma lo vidi l'angolo destro delle sue labbra che non accennava a volersi abbassare.

It's stopped rainin' everybody's in a play
And don't you know
It's a beautiful new day, hey hey

Mi inumidii le labbra e non distolsi lo sguardo, più perché preferivo guardarlo e soffrire piuttosto che non guardarlo affatto.
Credo che ormai provare dolore fosse l'unico modo in cui riuscivo effettivamente a permettermi di sentire qualcosa, perciò se doveva essere Keith la persona per cui soffrire ne valeva la pena.

Runnin' down the avenue

Notai che il ragazzo scelse di percorrere la strada principale, quella che tagliava in mezzo alla città, tuttavia non cercai di avvisarlo che così facendo avremmo allungato il tragitto a causa del traffico indescrivibile a quell'ora del giorno.
Rimasi in silenzio muovendomi piano a ritmo della canzone, poiché se avessimo allungato il tragitto sarei rimasto più tempo con Keith.

See how the sun shines brightly in the city
On the streets where once was pity
Mister blue sky is living here today, hey hey

Sapevo perfettamente il motivo principale per cui il ragazzo aveva cominciato a piacermi.
O meglio, l'unico motivo, dato che credo ancora che sia la persona più indisponente e fastidiosa del pianeta.
È che quando ero con lui, quando litigavamo come una coppia di anziani permalosi o ci sfidavamo a fare le cose più impensabili come se fossimo dei bambini, mi sentivo di nuovo come il Lance che valeva qualcosa, il Lance che voleva qualcosa e faceva di tutto per ottenerlo.

Mister blue sky please tell us why
You had to hide away for so long (so long)
Where did we go wrong?

Quella canzone invece mi piaceva perché pensavo che sarebbe stata l'unica che non mi avrebbe mai dedicato, al contrario degli altri miei amici. Non che io e Keith Kogane parlassimo granché a meno che non si trattasse di criticarci o stuzzicarci a vicenda, tuttavia avevo la certezza che lui capisse perfettamente che quelle parole non avrei mai voluto sentirle rivolte a me.
Perché sentirmi responsabile di aver abbandonato qualcuno mi avrebbe semplicemente spezzato, da brava mezza sega quale ero.

Hey you with the pretty face
Welcome to the human race
A celebration, mister blue sky's up there waitin'
And today is the day we've waited for

Mi sarebbe piaciuto però che lui aspettasse solamente di vedere me, come il protagonista della canzone che chiamava quello stronzo di Mr Blue Sky. Voglio dire, lasciare delle persone che hanno bisogno di te indietro per andartene chissà dove? Fottiti Mr Blue Sky, onestamente.

La canzone proseguì, ormai come rumore di sottofondo dopo che io riuscii a smettere di sbirciare Keith mentre guidava.
Non riuscivo a togliermi dalla testa le sue sopracciglia scure che non erano più aggrottate, ma distese, come se fosse finalmente a suo agio.
E sapere che fosse a suo agio con me, proprio con me, mi confondeva non poco.
Inoltre non riuscivo a non pensare ai suoi occhi grigi, screziati di viola come se qualcuno avesse fatto cadere delle scaglie di ametista nelle sue iridi. (Sì, ho passato molto tempo a osservare i suoi occhi).
Si rendeva conto dell'effetto che mi faceva?

Hey there mister blue
We're so pleased to be with you
Look around see what you do
Everybody smiles at you

«Vaffanculo» sbottò improvvisamente.
Inutile dire che ero abituato a lui e Pidge che si esprimevano a suon di imprecazioni, tuttavia non ero psicologicamente pronto a sentire questa sua affermazione seguita dal meraviglioso suono del clacson del Generale Lee.
Cominciai ad emettere un versetto acuto sfiorando con devozione e bramosia il volante della Dodge Charger, quando un'occhiataccia del ragazzo alla guida mi costrinse a togliere la mano da una delle poche cose che avrei voluto possedere anche a costo di donare un rene.
«Avresti dovuto dirmi che c'era così confusione a quest'incrocio» mi ringhiò, accusandomi di avergli fatto fare una strada poco pratica.
Cosa che effettivamente avevo fatto.
Umh.

«E tu avresti dovuto ricordartene, mi hai già portato a casa altre volte» replicai, incrociando le braccia al petto. «Non è colpa mia se non hai idea di dove tu stia andando».
Mentre l'autista del pick-up al quale Keith ha suonato ci indirizzava un adorabile dito medio, il ragazzo dai capelli neri mi appellava con diversi nomignoli poco raffinati, ai quali ovviamente risposi con altrettanto garbo.
Discutemmo per qualche istante, finché la macchina dietro di noi non suonò il clacson cogliendoci alla sprovvista e facendoci sussultare. Notammo che era aumentato lo spazio disponibile davanti a noi e Kogane accelerò, lasciandosi andare in un sospiro di sollievo.

Mister blue, you did it right
But soon comes mister night creepin' over
Now his hand is on your shoulder
Never mind I'll remember you this
I'll remember you this way

Ed eccoci al vero punto della canzone, dove ogni volta che l'ascoltavo ammettevo di essere io Mr Night, una presenza oscura che caccia via il meglio per prenderne il posto, l'ombra di me stesso che non aveva lasciato spazio a nulla che non fosse inutile, patetico o senza valore.
«Voglio solo andare a dormire» biascicò Keith.
Lo vidi massaggiarsi le palpebre stancamente e mi pentii di avergli teso quell'inganno insignificante, riconoscendo che se non l'avessi fatto probabilmente sarei già stato a casa e lui sarebbe potuto andarsene a letto.
Mi passai distrattamente il pollice sul labbro inferiore e poi gli diedi una gomitatina, ricevendo uno sguardo obliquo.
«Come stai?» chiesi.
I suoi occhi screziati di viola mi scrutarono confusi per qualche istante, come se il concetto che qualcuno si preoccupasse per lui fosse alquanto estraneo alla normalità.
Normalmente dovrebbe essere difficile individuare particolari simili nelle iridi di qualcuno quando queste sono in toni di colore tanto scuri, tuttavia una caratteristica degli occhi di Keith era che erano incredibilmente limpidi. Questo aveva l'effetto di lasciar trasparire ogni emozione che il ragazzo provava, ma mentre di solito si percepiva rabbia e fastidio in quel momento vi era un miscuglio di sentimenti difficile da definire.

«Seduto».
Spalancai le labbra e boccheggiai esterrefatto, mentre la sottile linea della sua bocca rimaneva inespressiva. Notai un luccichio divertito negli occhi, tra tutte le altre cose.
«No, allora, non puoi ritorcermi contro questo genere di battute orribili. Insomma, sono passati due anni da quel giorno» osservai, ricordando con poco orgoglio il genere di freddure che raccontavo all'epoca. «In più ero veramente interessato alle tue condizioni, ma evidentemente hai deciso che fare l'idiota ha la precedenza sul notare i tentativi di Lance di fare buone azioni».
Incrociai le braccia al petto e lui tornò a guardare la strada, avanzando di un metro prima che la Porsche bianca davanti a noi di fermasse di nuovo.
Per un po' rimanemmo in silenzio, il tempo che la canzone finisse, e mi convinsi che semplicemente non avesse voglia di parlare. Non che fosse rinomato per la sua loquacità.

«Sono preoccupato per Allura e per quello che potrebbe succedere se... lo sai» rispose quindi, tamburellando con le dita sul volante.
Era una cosa che faceva spesso, muoveva le dita ritmicamente sulla prima superficie che aveva sottomano ogni volta che pensava attentamente a qualcosa. Mi chiesi se non stesse facendo di nuovo un monologo interiore invece di rispondere più dettagliatamente alla domanda.
«Amico, ad Allura non succederà... Allura starà bene. Coran sta spendendo praticamente tutto quello che Alfor le ha lasciato in eredità per quelle maledette cure» cercai di rassicurarlo, grattandomi distrattamente dietro al collo. «E nel caso in cui anche questa certezza dovesse essere smontata... beh, c'è sempre Voltron. Ci saremo sempre gli uni per gli altri».
Strinse per un attimo le mani sul volante ed inclinò la testa in avanti.
«È esattamente questo il problema» disse, passandosi il labbro inferiore sotto i denti e poi tirando le labbra. «Se staremo vicini senza di lei potreste accorgervene».
Aggrottai le sopracciglia confuso, inclinando la testa. «Accorgerci di cosa?»

Lui si morse forte il labbro inferiore tenendo gli occhi fissi sulla strada, come se si pentisse amaramente di quello che aveva appena detto.
Scosse la testa in segno di dissenso e si trattenne dal trarre un sospiro tremante. «Non fa niente, dimentica quello che ho appena detto».
E quello che successe dopo fu abbastanza veloce, però penso che nessuno avrebbe potuto crederci se non l'avesse visto con i propri occhi.
Conoscevamo tutti molto bene Keith e sapevamo quanto rapidamente si potesse mettere sulla difensiva se si andava a toccare un argomento spinoso: spesso diventava freddo e scostante, ma nei peggiori dei casi finiva per aggredirti verbalmente prima che qualsiasi cosa potesse essergli cavata fuori.

Solo che con me non era mai stato così, non come si fidasse ciecamente ma piuttosto come se non volesse nascondermi certe cose. Come se certe volte potessi essere in grado di capirlo quando gli altri non lo facevano.
Quindi allungai una mano verso il suo braccio ignorando le norme di buona educazione, le quali stabiliscono che se qualcuno non ama il contatto fisico non lo si deve toccare, e la poggiai sulla stoffa della sua felpa scura.
Keith provò istintivamente a ritrarsi dal contatto, come se ne fosse sinceramente spaventato, tuttavia non glielo permisi e gli tirai leggermente la manica per farlo voltare nella mia direzione.
«Di cosa dovremmo accorgerci?» domandai, fissandolo dritto nelle iridi che tanto desideravo.
Rimanemmo a guardarci per secondi interminabili, finché non percepimmo che il traffico era diminuito e lui non fu costretto a riprendere la guida. Avrei giurato di vedere del rossore sulle sue guance, ma probabilmente era solo quello che io pensavo di voler vedere.
Non è solo perché mi piaceva che volevo che si confidasse con me, non era solo perché avevo bisogno di sapere ogni secondo quale fossero i suoi pensieri, era semplicemente perché in un certo senso glielo dovevo.
Il lavoro che facevo era forse uno dei peggiori esistenti sulla Terra e rendeva me una delle persone peggiori esistenti sulla Terra. Però, al contrario di chiunque altro, Keith non mi ha mai guardato come se lo fossi. Certo, litigavamo e ci urlavamo le cose peggiori, ma dalla sua bocca non era mai uscito il termine puttana riferito a me.
Eppure era il minimo che mi meritassi, perché era quello che ero.

Picchiettò le dita sul volante, svoltando a destra ed entrando nella mia strada.
«Se non ci fosse Allura a distrarvi da me potreste accorgervi che... che sono rotto. Spezzato» rispose quindi, con un filo di voce. «Potreste accorgervi che sono una perdita di tempo e che non ho nessun valore, ma non potreste allontanarvi senza sentirvi in colpa. E allora diventerei un peso...»
«Hijo de puta madre, ma dici davvero?» lo interruppi prima che potesse proseguire con un discorso di quelli che di solito io facevo a me stesso.

Parcheggiò davanti al mio condominio e spense l'auto, sempre senza rivolgermi lo sguardo e picchiettando le dita sui pantaloni.
Pantaloni veramente molto stretti, assolutamente troppo stretti se aveva intenzione di stare nel mio stesso spazio vitale senza subìre molestie sessuali.
«Davvero Lance, fa lo stesso» minimizzò, sperando ovviamente che lasciassi cadere l'argomento.
Però stava ancora tamburellando con le dita, quindi non potevo lasciar semplicemente perdere.
«Keith, credo che tu sia una delle persone che mi irrita di più in questo mondo» sbottai, girando completamente il busto verso di lui. «Sei sempre convinto di potertela cavare da solo, sei testardo, impulsivo e hai quel maledetto taglio di capelli che probabilmente influisce sul tuo temperamento discutibile».
Riuscii come pianificato a farlo guardare verso di me, con un sopracciglio alzato. «Cazzo Lance, che discorso ispirato».

Gli poggiai un dito sulle labbra per qualche secondo zittendolo, consapevole che una volta al sicuro nel mio appartamento avrei baciato quel dito come se fosse stato benedetto dal Papa.
«Quello che voglio dire è che non mi sei quasi mai simpatico. Però sei gentile, sei rispettoso e sei leale, qualsiasi cosa accada. Sei protettivo e coraggioso, chiunque può fare affidamento su di te» proseguii, lisciandomi i jeans con il palmo della mano. «E questo ti fa valere così tanto, Keith, perché noi abbiamo bisogno di te. Ti vogliamo bene, indipendentemente dalla tua infanzia dalla felicità discutibile» precisai, osservando mentre il suo volto si distendeva in un'espressione vagamente sorpresa. «Non potresti mai essere privo di valore, soprattutto per noi».
Soprattutto per me, pensai, ma non lo dissi ad alta voce.

Keith

È veramente molto bello, questo Keith lo sa, ma ciò continua a sorprenderlo ogni giorno che passa come se fosse il primo.
Lance è veramente molto bello e lui dovrebbe smetterla di pendere dalle sue labbra come se anche la più grande cazzata che possa dire sarebbe comunque da trattare come oro puro.
Il cubano si gratta nervosamente dietro al collo, sorridendo di lato. «L'ho resa cringe, eh?»
Keith scuote la testa affermativamente e cerca di riassumere un atteggiamento dignitoso, stringendo appena le labbra.
«Un po'» risponde, perché non è mai stato bravo con le parole e di certo non comincerà ora. «Grazie».
Lance lo guarda negli occhi con quelle sue iridi color del mare e sorride ancora di più.
«Grazie a te per avermi fatto salire sul Generale Lee» replica quello, mentre l'espressione sinceramente intenerita sul suo viso si trasforma in una smorfia maliziosa. «La prossima volta mi porterai a casa con la macchina della Signora Gatta facendo le fusa per me?»
Il corvino alza gli occhi al cielo e indica l'esterno dell'auto con un cenno del capo. «Esci di qui subito o ti sbatto fuori a calci».

Il castano ride di cuore, facendo poi per infilarsi nel finestrino ed uscire dalla vettura.
Keith vorrebbe dire di non aver visto la porzione di pelle del suo addome che si scopre mentre la maglietta gli scivola verso l'alto, purtroppo però così non è ed ora si sente tanto, ma tanto gay.
È solo pelle, coglione, si dice.
Però sa che quella è la pelle di Lance, quella sulla quale lascerebbe scorrere le proprie dita a tracciare messaggi indecifrabili per ore ed ore.
Oh cazzo, pensa trattenendosi dallo sbattere la testa contro il volante, l'ultima volta che ho controllato non ero così gay.

«Senti un po' Samurai, hai tempo stasera di giocare a Monsters & Mana con Pidge?» gli chiede il cubano dall'esterno della macchina. «Io dovrei lavorare».
Ed il corvino deve ammettere a se stesso che è molto bravo a gestire le sue parole, perché non fa trapelare nemmeno un pizzico dell'odio che lo assale e gli serra la bocca dello stomaco come una morsa.
Keith non può non guardare la figura alta e slanciata di Lance, la figura bellissima di Lance e non pensare che non si meriti quello che gli accade ogni giorno, che non si meriti di dover subìre la volontà di chissà quanti sconosciuti ogni giorno senza mai poter decidere di fare quello che vuole lui.
Perché Lance sarà anche infantile e capriccioso la maggior parte delle volte, ma merita di essere toccato soltanto da persone a cui importa veramente di lui. Ed il corvino ovviamente sta pensando a se stesso come a una di quelle persone, però solo perché sa che non gli farebbe mai del male.

«Vedrò se riesco a rubare il computer di Shiro» dice, ricevendo un sorriso in risposta.
Così Lance gira i tacchi e se ne va senza salutarlo, perché tanto sa che si vedranno domani.
Keith si chiede solo se questo sia il pensiero che lo fa resistere senza perdere il senno anche mentre qualche sconosciuto si infila nel suo appartamento durante la notte, quando il corvino non può fare niente per aiutarlo.

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