Giorno T R E [Quinta parte]
"Continuerò ad azzardare, a cambiare, ad aprire la mente e gli occhi, rifiutando di lasciarmi incasellare e stereotipare. Ciò che conta è liberare il proprio io: lasciare che trovi le sue dimensioni, che non abbia vincoli."
-Virginia Woolf, Diario di una scrittrice.
Giorno T R E [Quinta parte]
Mentre varcava la soglia dell'ambulatorio, la mente della ragazza era un garbuglio intricato di pensieri. Si era voltata verso il ragazzo che le aveva appena sussurrato quella frase, cercando invano di catturare il suo sguardo o qualcosa che potesse rivelarle le sue intenzioni. Con una punta di rammarico che pungeva in fondo alla gola, però, aveva visto il suo profilo allontanarsi sempre di più, con la testa infossata nelle spalle larghe.
Gohar le fece un cenno con la testa, indicandole di entrare. -Madison, muoviti.-
La ragazza si riscosse, e raddrizzando il busto, assumendo un portamento fiero, si inoltrò nell'ambulatorio del dottore K.
Un odore acre di medicinali mischiato ad alcool investì in pieno la ragazza, che istintivamente si portò una mano sul viso, tappandosi le narici. Era un odore pungente e fetido che rendeva l'aria nella stanza irrespirabile. Si voltò di lato per accertarsi della presenza della guardia; trovò strano l'essersi rincuorata trovandolo poco dietro di lei. Lui aveva rinchiuso piano la porta della camera alle loro spalle. Chissà se sarebbe stato lì ad aspettarla oppure se ne sarebbe andato durante la visita.
La forza e la risoluzione si stavano sgretolando in modo inesorabilmente lento, Madison si ritrovò a torturarsi le mani con un velo di nervosismo che la oscurava in viso. Nella camera in quel momento, non c'era nessuno a parte loro due.
Una grande scrivania in legno massiccio, cosparso di cartelline e fogli, era sistemata davanti ad una grande finestra con enormi vetrate, sbarrata dall'esterno da una spessa ringhiera in metallo.
A costeggiare il lato del muro alla destra della ragazza, vi era un grande letto dalle gambe in ferro piuttosto alte, sormontato da una grande lampada alimentata a neon, mentre vicino alla testata era posizionato un supporto per le iniezioni a flebo, a cui erano appesi strani tubicini in materiale gommoso. A prima vista sembrava uno di quei ennesimi letti provvisti di resistenti cinghie di bloccaggio situate ai lati, comparenti da sotto il materassino grigio. A riguardarlo però, questo, aveva un aria molto più minacciosa rispetto agli altri intravisti nella struttura; Madison pensò fosse per il fatto che tutto il letto fosse circondato da lunghe barre in metallo arrugginito, in modo da bloccare completamente chiunque si fosse ritrovato all'interno.
A coprire tutto il muro opposto, invece, era posizionato un grande armadio con metà delle ante in vetro scuro, attraverso i quali si vedevano molteplici file di medicinali e attrezzature mediche che Madison non riconobbe. Vide solo bottigliette in vetro, scatolette in cartone, un mucchio di siringhe, qualche strumento che sembrava dei tempi medievali e chissà cos'altro.
L'altra parte del grande mobile in legno aveva le ante oscurate, contente però, anch'esso oggetti e materiali dalla natura indefinita. Curioso, come se volessero mostrare solo ciò che volevano loro.
Un porta che Madison non aveva notato fin ad allora, venne chiusa con un tonfo leggero. Quando lei, non l'aveva sentita nemmeno aprirsi. Si girò nella direzione da cui fu prodotto il rumore.
Entrarono due uomini. Entrambi portavano lunghi camici bianchi, uno di loro due, più alto rispetto al suo collega aveva un fonendoscopio che pendeva dalle spalle. Egli se lo tolse, facendolo scivolare attorno al collo magro, infine lo appoggiò sulla grande scrivania.
-Buongiorno Dottore, lei è la paziente Madison Leen. Entrata nell'Istituto questo 15 ottobre- la annunciò Gohar, con voce monotona e improvvisamente piatta.
-Bene, Rowe. Puoi andare- rispose il dottore congedandolo, la voce aveva un forte accento straniero. Molto marcato sulle vocali.
Madison detestò quel senso di smarrimento che provò nell'apprendere che Gohar non sarebbe rimasto con loro durante la visita. Stava forse, cominciando a fidarsi di quel ragazzo?
La seconda figura che aveva accompagnato il dottore non aveva ancora pronunciato parola, si era limitato a sfogliare delle cartelline cliniche, lanciando qualche occhiata di tanto in tanto verso la loro direzione. Aveva radi capelli biondicci sulla testa piuttosto grande e massiccia, la pancia che sporgeva da sotto il camice, rendendolo stretto sui fianchi. Di statura davvero bassa rispetto alla media.
La ragazza si ritrovò sola, a fronteggiare il Dottore K.
L'uomo che doveva essere approssimativamente sulla sessantina, aveva il capo calvo, con i pochi capelli che gli circondavano la cute della testa in modo da lasciare un enorme quantità di pelle lucente al centro, le guance leggermente scavate e accuratamente pulite da ogni filo di barba. Sul naso aquilino e piuttosto appuntito, erano appoggiati un paio di occhiali dalle lenti rotonde. Gli occhi scuri erano di un colore marrone anonimo, tondi e inquisitori. Quelli non sembravano essere tratti di origini americane. Era sicuramente straniero, anche se la ragazza non riusciva a capire la sua provenienza.
L'uomo si sedette sulla sedia girevole posta dall'altra parte della scrivania accavalcando le gambe.
-Bene, Madison. Io sono il Dottor Kwiatkowski. Ora io e te, ci facciamo una bella chiacchierata. Va bene?- parlava lentamente, staccando bene le parole una dalle altre. Forse nel dubbio che la ragazza non lo potesse comprendere.
-La capisco, Dottore.- gli rispose Madison, la braccia congiunte al petto. E ora, capiva anche perché era soprannominato semplicemente "Dottor K."
-Bene, sistemati pure sul quel letto. Voglio farti alcune domande. Jerry, mostrami la cartellina della signorina.- il tono di quell'uomo non sembrava ammettere repliche.
Madison si diresse a piccoli passi verso l'alto letto, poi con movimenti lenti cominciò a sedersi su quella branda spoglia dai bordi freddi. In quel momento le sbarre sul lato sinistro era abbassate, e ciò le permisero di sedervisi senza particolari difficoltà.
Il dottore intanto, continuava a scrutarla attentamente con i suoi occhi scuri, studiandola attraverso le lenti spesse dei propri occhiali,. Le labbra serrate in una sottile linea, creavano un'espressione indecifrabile sul volto di questo.
Il cuore della ragazza batteva a mille. Sarebbe bastata una sola parola o mossa sbagliata e lei si sarebbe ritrovata rinchiusa in quel mattatoio per chissà quanto tempo.
L'uomo prese tra le mani un fascicolo di fogli, e sfogliandolo, ne estrasse uno in particolare. Era quello che riportava le informazioni relative alla ragazza.
-Madison Leen. Nata a Silver Spring, Washington. In data 9 novembre del 1938. Confermi?- Le chiese con uno sguardo indagatore, il viso inclinato.
-Sì, glielo posso confermare- rispose annuendo la ragazza. Una densa nebbia di ansia e inquietudine le aveva cominciato ad annebbiare il cervello, la sicurezza provata nemmeno una decina di minuti prima sembrava essersi sfumata nell'aria. Era indecisa se parlare subito con il Dottore dell'errore di cui era stata presa di mira oppure, aspettare che lui stesso avrebbe potuto confermare la sua sanità mentale.
Non ebbe tempo per altri dubbi che l'uomo parlò da sé: -Madison, sai perché sei in questa casa di cura?- La domanda del medico sembrava celare una piccola trappola. La stava ancora osservando da sopra gli occhiali.
-C'è stato un errore. Io non ho una qualche malattia al cervello, né in nessuna altra parte del corpo. Sto assolutamente bene, vede Dottore? Glielo posso confermare- cominciò a spiegare la ragazza con voce risoluta mentre allargava le braccia e gesticolava.
Il dottore Kwiatkowski non pronunciò altre parole. Trasse un profondo respiro e alzatosi dalla poltroncina, si diresse a lenti passi verso la ragazza, con la sua cartellina clinica in una mano mentre l'altra era ancora affondata nella tasca del camice.
-Questi fogli confermano il contrario, ragazza- le mise sotto al naso un documen estratti dalla cartellina. -Tuo zio Greg Leen, ha chiesto un un posto urgente in struttura per te. Lui e sua moglie hanno avuto conferma della tua insanità mentale in seguito al tuo attentato omicida alla vita dei tuoi stessi genitori.-
Madison sgranò gli occhi, traboccanti di stupore mentre le parole le morivano in gola. Non riusciva più a pronunciare nessun vocabolo che potesse dimostrare il suo sgomento in quel momento.
-Vuoi leggere tu stessa Madison? Mi pare di capire che tu sia una ragazza in piene facoltà mentali...- Le porse i fogli di iscrizione alla casa di cura, avvenuta nemmeno una settimana prima.
La ragazza li prese con mani tremanti e cominciò a leggere, mentre alcune lacrime minacciavo di offuscarle la vista.
"È richiesto un ricovero d'urgenza per Madison Leen [...] Inferma mentale ha cercato di uccidere i suoi genitori. La paziente ha provocato un incendio doloso all'interno della propria abitazione, durante il cuore della notte notte [...]"
Rimase in una posizione agghiacciata mentre forti immagini ancora troppo vivide vorticavano senza sosta nella sua testa.
La voce del medico risuonò lontana. -Sei consapevole di ciò che hai architettato contro la tua stessa famiglia, mandandola in rovina per sempre?-
Delle fiamme e del fuoco. Un incendio indomabile.
La casa distrutta. Due corpi senza vita. Lei, la sopravvissuta che avrebbe dovuto convivere con le ceneri dei ricordi per il resto della propria vita.
Sarebbe uscita da quel luogo solo per ricadere nelle mani dei suoi carnefici. Lenta, spostò il proprio sguardo lontano, fuori dalla finestra, questa, stranamente era provvista da spesse tende in lino, di un verde pistacchio sbiadito. Un pino poco lontano dalla finestra, lasciava trasportare i propri rami in balia del vento autunnale. Lasciò vagare lo sguardo oltre i confini di quel luogo, estraniandosi completamente da posto in cui si trovava in quel momento.
Si strinse tra le proprie braccia, ormai era una cosa che faceva troppo spesso. Oh, cosa non avrebbe dato per un caldo abbraccio!
Una domanda improvvisa la riportò con la mente in quel laboratorio stantio.
-Hai qualcosa da dire in tua discolpa, Madison?- Le chiese il Dottor K.
Non voleva piangere, doveva farsi forza e spiegare tutto per come stava in realtà. Aprì la bocca e prese un profondo respiro. Ora, o mai più.
-Signor Dottore, io sono malata. Mi hanno ingannato, loro... io non- si bloccò, cercando un qualche sostegno nello sguardo del Dottore davanti a lei. Gli occhi di lui però, aveva cambiato sfumatura: era divenuti indifferenti con qualche nota annoiata.
Improvvisamente, a Madison venne il dubbio. E se il ragazzo misterioso avesse ragione? Fino a che punto poteva fidarsi dell'uomo che aveva di fronte?
Chi avrebbe dovuto ascoltare: Gohar o il ragazzo misterioso?
***
Salve bella gente!!
Perdonate innanzitutto il mio enorme ritardo nel postare, purtroppo sono arrivata a fare ciò che volevo evitare: postare una volta al mese o poco più :( Ma non ho avuto molte alternative. Spero in tempi migliori!
Cooomunque, cosa ne pensate di questo capitolo? Abbiamo avuto un piccolo assaggio a proposito del passato di Madison! So che la curiosità è tanta, ma un passo alla volta e ci arriviamo ;)
Domanda: se foste al posto di Madison, seguireste il consiglio di Gohar oppure del ragazzo misterioso? Cosa credete deciderà di fare la ragazza?
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