Giorno T R E [Prima parte]
"Ridevano di Edison, ridevano di Fulton, e rideranno di ogni pazzo senza speranza"
-Aaron Haspel
Giorno Tre [Prima parte]
Se prima avevo il dubbio, ora ne ho la certezza: mi ritrovo in una vera e propria prigione, in cui regna la legge del più forte. I veri tiranni vivono all'interno di queste mura.
Rimase tutta la notte in uno stato di dormiveglia, distesa immobile su un fianco nel suo scomodo giaciglio con le ginocchia strette al petto, in una posizione fetale.
Incapace di abbandonarsi al mondo dei sogni, restò ancorata alla triste realtà finché i primi raggi del sole non accarezzarono il suo viso imbronciato in un espressione di sofferenza.
Dopo la punizione inferta dalla Cuoca in mensa, il pomeriggio precedente, questa l'aveva costretta a pulire con un misero straccetto il disastro che aveva precedentemente combinato, obbligandola a riportare ciò che rimaneva della sua razione di pranzo nella scodella e poi, sotto gli occhi di tutti i presenti, la stava costringendo a mangiare,sostenendo che il cibo era una cosa preziosa, e che molta gente moriva di fame ogni giorno, perciò se lei lo avesse sprecato in quel modo, non solo sarebbe stata un'incosciente ma anche molto, ma molto stupida.
A quel punto, Madison era crollata. Stremata dalla fame e al limite delle sue forze, totalmente incapace di sopportare oltre, era svenuta, cadendo per terra priva di forza di volontà.
Sfortuna volle che il scodellino le scivolasse via dalle mani tremanti e arrossate, rovesciando ciò che faticosamente la ragazza era riuscita a raccogliervi all'interno.
L'ultima cosa che Madison ricordava, era l'esplosione di dolore che aveva sentito vicino alla tempia sinistra; cadendo, aveva sbattuto la testa contro qualcosa di molto duro, forse la pesante panca in legno.
Si era ridestata molto tempo dopo nella piccola stanza che ormai aveva cominciato a considerare come la propria.
Non riusciva a capire che ore fossero in quel momento, ma dalla penombra che regnava nella squallida cameretta, era riuscita infine a dedurre che dovesse essere calata sera solo da poco, dal momento che il cielo all'esterno sembrava essersi tinto dei colori di un triste tramonto di un pallido rosa pesca.
Le ante esterne della sua finestra essendo accostate, permettevano una discreta visuale dal punto in cui stava distesa Madison. Questa fissava insistentemente il cielo diventare sempre più scuro, quasi sperando in cuor suo che il buio smettesse di avanzare, portandosi dietro l'imminente notte.
Dopo che sembravano passate interminabili ore nella stessa posizione, ancora con gli occhi fissi fuori dalla finestra incorniciata da spesse barre in ferro arrugginito, la ragazza aveva cercato di alzarsi lentamente dal proprio giaciglio. Ma non appena si era messa in posizione seduta,delle fitte lancinanti le avevano trapassato il cranio da una parte all'altra, facendola piegare su sé stessa.
Tastandosi la testa, aveva scoperto un grumo di sangue raggrinzito poco sopra la tempia. Non riusciva a capire se fosse causato da un semplice taglio oppure si trattasse di una ferita più profonda.
Un improvviso senso di smarrimento e paura, facendosi strada nelle sue viscere, le aveva cominciato ad annebbiare il cervello.
Era sporca dal momento che non si lavava da giorni, la gola resa secca dalla sete e lo stomaco affamato non facilitavano la sua già difficile situazione.
Non riusciva più a sopportare il bruciore straziate che sembrava punzecchiarle, senza tregua, l'intera schiena partendo dalle scapole incrostate. Il movimento dei polsi era inoltre, limitato per via dei tagli che vi erano incisi, e ogni volta che li muoveva rischiava di lacerare le crostine che si erano formate attorno alle ferite.
Doveva stare immobile, abbracciata dalla solitudine e dal suo immenso dolore; ma tutto quel dolore era tanto, per un solo, piccolo corpicino.
Incapace di arrendersi di fronte alla rassegnazione, aveva cercato di scendere dal letto, con movimenti estremamente lenti e calcolati, cercando di trattenere le lacrime che bussavano insistentemente sotto le palpebre socchiuse.
Dopo un'esasperante lentezza era riuscita, finalmente, a raggiungere la finestra. Aveva spalancato completamente le ante in vetro, per potervisi affacciare.
Nel nero della notte sovrastava una falce di luna, accostata timidamente in un angolo di cielo. Alcune nuvole le facevano compagnia mentre altre la coprivano, prepotenti.
Un fresca brezza autunnale l'aveva investita in pieno, scompigliandole i capelli mentre rabbrividiva per l'improvvisa folata di freddo che era penetrata nella stanza.
Madison aveva posato uno sguardo titubante sul paesaggio che le si distendeva dinnanzi. Lo scrutava con attenzione, forse cercando dettagli che smentissero le dicerie sull'istituto di St. Elisabeth's.
Forse c'erano persone buone che sarebbero state in grado di aiutarla ad uscire.
Improvvisamente un piccola lucina aveva brillato nella sua testa: avrebbe spiegato tuttala sua situazione al Dottore; l'indomani si sarebbe fatta accompagnare da quest'ultimo e gli avrebbe parlato, spiegandogli che era stata portata in quel luogo per errore, inoltre, gli avrebbe anche dimostrato il fatto di non essere una malata psicopatica con tendenze suicide.
E il Dottore avrebbe potuto confermare che lei era ragazza sana e completamente normale, e poi l'avrebbero lasciata andare.
Si convinse che sarebbe andato tutto bene. Doveva solo chiedere aiuto al medico.
Vedeva la luna rispecchiare un po' della sua speranza per quella improbabile quanto possibile salvezza.
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