Over My Shoulders
Capitolo IV. Over My Shoulders.
Peter non gli vuole parlare. Harley lo ha capito dal momento esatto in cui gli ha infilato gli occhi nei suoi e ci ha visto un mondo – per un attimo, che Peter non avrebbe mai voluto lasciargli varcare. Non lo ha fatto, difatti. Gli ha subito chiuso le porte della sua anima, abbassando la folta corolla di ciglia, verso il basso. Poi è scappato. Prima con la mente, poi con il corpo e poi... e poi lo ha evitato tutto il giorno, restando comunque in quella casa, solo per Morgan. Sempre e solo per lei. Ora la casa è silenziosa. Le padrone di casa dormono. Pepper si è addormentata in salotto, leggendo un vecchio libro di cucina. Harley l'ha svegliata per invitarla a raggiungere la sua stanza. Un po' perché l'ha vista in quella posizione scomoda, un po' perché vuole che, al piano di sotto, ci siano solo lui e Peter. Nessun altro. Le cose si sono decisamente incrinate, tra di loro e, malgrado non sia così stupito della cosa, Harley non riesce a capacitarsi del perché. Vuole solo delle risposte, da lui. Vuole solo sapere cosa ne è del loro rapporto. Vuole solo sincerarsi che, dopotutto, Peter non lo vuole. Né come amante, né come amico, né come semplice compagnia, quando sono in quella casa che a volte è troppo vuota, e a volte troppo piena. Harley vuole solo capire cosa farne, di quei sentimenti che si porta dietro. Non è un tipo che si strugge, piuttosto preferisce chiarire le questioni che lo lasciano in sospeso – a metà, e che lo fanno andare letteralmente nel pallone. E ora Peter è lì, a lavare i piatti con aria assorta. Tiene gli occhi bassi sulle stoviglie sulle quali si sta occupando, ogni tanto butta via un sospiro dalle labbra, troppo convinto che nessuno lo stia guardando dalla porta della cucina.
Tony gli ha raccontato, a suo tempo, che Peter ha dei sensi ultra sviluppati ma che, questi, si paleano solo in presenza di un pericolo. Harley, di fatto, sa di essere tutto tranne che quello, nella sua vita. Forse è per questo, che ignora la sua presenza e continua a tenere giù la maschera, mostrando ogni sfumatura di quel malessere che lo sta distruggendo.
«Peter?», lo chiama, e lui sussulta. Si volta e chiude gli occhi, spazientito.
«Dio, mi hai fatto prendere un colpo.» Harley si avvicina. Poggia la schiena contro il piano della cucina e incrocia le braccia al petto. Si sente uno stronzo infame, ad averlo braccato lì. Peter ha le mani infilate nel lavandino colmo d'acqua, e non può scappare più. Non finché non avrà finito con quella mansione che sì, stasera è di sua competenza, secondo i turni di Pepper. Lo ha messo spalle al muro, non ne va fiero, ma è l'unico modo per affrontarlo. Per affrontarsi.
«Eri tutto assorto», cerca di sdrammatizzare, sorridendo appena. Peter non lo guarda nemmeno e continua, impacciato, a lavare i piatti. Sta visibilmente cercando di velocizzare la cosa, sperando che Harley non se ne accorga. Stolto. Come se non lo osservasse abbastanza da accorgersi di certi dettagli.
«Non che possa fare altro che pensare, in certe circostanze», sospira Peter, e Harley sbuffa.
«Come se non facessi altro, durante la giornata, che questo. Ti riempi la testa di pensieri e non stacchi mai. Come accidenti fai a non impazzire?»
Peter fissa l'acqua che gli nasconde metà avambracci. Ha indurito la mascella e ha il desiderio di restare solo e porre fine a quella conversazione, durata già troppo. Harley lo sa, che è così. Lo sapeva anche prima di presentarsi in quella maledetta cucina, ma non vuole perdere l'occasione di chiarire e mettersi finalmente il cuore in pace.
«Harley, che cosa vuoi?»
«Solo sapere a cosa pensi. A chi pensi, in queste tue lunghe e silenziose sedute interiori.»
«A chi penso?» Peter sbuffa divertito, sebbene non lo sia per niente. Un piccolo sorriso amaro gli si spalanca sul lato destro del viso – l'unico che Harley può vedere, da quella angolazione – che fa quasi paura. «Come se non lo sapessi, a chi è rivolto il mio pensiero. Costantemente, incessantemente, da un anno a questa parte. Lo sai.»
Harley è quasi stufo, di sentirlo vittimizzarsi a quel modo, con una rabbia addosso che taglia l'aria e si autoinfligge dolore, consapevole forse di meritarlo, di doverlo provare. Come se Tony fosse morto per colpa sua, e sua soltanto. Come se, autodistruggersi a quel modo, possa servire davvero a qualcosa di diverso che lasciar morire l'anima e annullarsi.
«Costantemente?», chiede, e non è stato gentile ma anche avesse voluto esserlo, non ci sarebbe mai riuscito. Peter lo guarda di sguincio, e gli riserva un'occhiata che, per qualche secondo brilla di qualcosa. Qualcosa di vivo. Poi muore di nuovo sotto le sue ciglia abbassate sull'acqua che le sue mani non smuovono più.
«Quasi ogni istante.» E quel quasi, ha troppi sapori diversi, sotto la lingua di Harley. Suoni scompagnati che non hanno nulla a che vedere l'uno con l'altro. Quel quasi è una mera speranza, in un oceano di paure che, dopotutto, sta solo travisando cose che non esisteranno mai. Come un interesse reciproco. Come se fosse lui, l'altro pensiero, al di fuori di Tony Stark.
«Non pensi solo a Tony, quindi», dice, e Peter sussulta. Chiude gli occhi. Il dolore gli attraversa le guance, che serra tra i denti.
«Harley...», lo ammonisce, e lui stacca la schiena dal piano della cucina e si avvicina. Peter è inerme, con le mani ancora infilate nell'acqua, che continua a non guardarlo.
«Cosa? Peter, da quando ti conosco non ho mai sentito uscire il suo nome della tua bocca. Continuo a pensare che sia un modo tutto tuo di esorcizzare la cosa, e lo accetto, ma non puoi pretendere che anche io smetta di usarlo solo perché a te non va di ascoltarlo!», lo redarguisce e Peter, infine, tira via le mani dal lavandino. Sono fradice e raggrinzite. Le stringe tremanti contro il piano della cucina. Eppure, continua a non guardarlo ed è questo a fare più rabbia.
«Non ho detto che tu non deb-»
«E allora cosa vuoi? Ogni volta che sentirai il suo nome dovrai reagire in questo modo? Tony Stark non è la tua maledizione, non è il tuo maleficio. È stata una persona importante nella tua vita, e cercare di non parlare di lui ma tenertelo solo nella testa, non farà altro che logorarti. Vuoi davvero questo? Vuoi un'esistenza basata su questo?»
«Non ne voglio parlare. Lo sai. Sai che è così! Non insistere, per favore!», quasi urla, cercando di mantenere un tono basso, solo perché al piano di sopra ci sono due persone innocenti e ignare, che dormono e non sanno niente. Perché, malgrado tutto, Peter il rispetto per il prossimo lo mantiene vivo, anche se il resto di sé è appassito. Lo guarda. Finalmente lo guarda. Aggrotta le sopracciglia e crolla. «Per favore... ti prego... non farmi parlare di lui. Non con te...»
«Non con me?», chiede Harley, e resta appeso da qualche parte in quella conversazione, dove non sa più che sta succedendo e cosa Peter voglia da lui. «Cosa c'è di sbagliato, nel parlarne con me?»
«C'è che non voglio e basta! Non... non voglio che tu...» Peter si blocca. Arriccia le labbra. Sospira contro il vuoto, chiude gli occhi e trema. Non piange, non ci riesce, non sa farlo più e Harley ha zero potere sulla sua anima, che si strugge e si dispera, sotto strati troppo spessi di un'apatia insopportabile. Peter si volta. Torna a fronteggiare il lavandino, ormai colmo di acqua gelida e posate abbandonate nel fondo.
«Peter?», lo chiama Harley, e Peter non lo asseconda. Continua duro a fissare l'acqua, i palmi delle mani contro il piano della cucina. Le spalle chiuse, la voglia di scappare che non sembra comunque forte come lo era poco fa. «Peter?», ripete.
«Lasciami in pace...», mormora Spider-Man, e arriccia il naso. Fugge ancora dal suo sguardo. Harley, per ripicca, si avvicina e lo guarda ancora più intensamente. Peter è un vigliacco. Non fa altro che fuggire. Scappa dalla vita e dalle responsabilità. Scappa dalla possibilità di convivere con quel dolore e non perché gli sta bene così, ma perché ha paura di andare avanti e affrontare una vita diversa. Una vita senza Tony, che forse non è mai riuscito a concepire. Nemmeno per assurdo. «Per favore.»
Harley gli poggia una mano sul braccio. Stringe. Sa che non può fargli male; che Peter è un vigliacco ma è anche Spider-Man e ha il potere di liberarsi di lui in almeno dieci modi diversi. Eppure non lo fa. Gli lancia un'occhiata spinosa, intensa, che sa di paura, rabbia e tristezza. Sa di qualcosa, che non è quell'apatia che Harley è stato costretto a vedere perenne sul suo viso fino a ieri.
«Mi preoccupo per te.» Inclina la testa di lato. Continua a stringere il suo braccio tra le dita. Peter persegue a lanciargli sguardi taglienti, senza reagire.
«Non... non voglio che tu lo faccia. Te l'ho detto. Non mi serve il tuo aiuto. Non ho bisogno di aiuto.»
«E di cosa hai bisogno, allora? Cosa vuoi, Peter? Una volta per tutte, dimmelo.»
Peter sprofonda nei suoi occhi per un lungo e doloroso istante. Boccheggia un paio di frasi sconnesse, prima di sospirare e raccattare alla cieca un canovaccio per asciugarsi le mani. Le sfrega contro il tessuto e scuote la testa.
«Peter?», lo incalza.
«Lo sai, cosa voglio», risponde, lapidario.
Harley si appoggia di nuovo al piano della cucina. Incrocia le braccia al petto e alza gli occhi al cielo. «No, se lo sapessi davvero non sarei qui a chiedertelo.»
«No, tu lo sai! Vuoi solo che sia io a dirtelo. E io non voglio farlo. Per favore... non ci riesco.» Peter aggrotta le sopracciglia. La sua infelicità e confusione è plasmata come un quadro impressionista sul suo viso. Corre via con lo sguardo ma non ci riesce davvero, quando poi gli riserva un'occhiata che Harley non sa definire. Allora muove un piede verso di lui. Gli prende le spalle e lo costringe a girarsi. Lo costringe a fare tutto ciò che lui non vorrebbe. Esternare sentimenti che Peter non vuole travasare, come acqua in un vaso, in un cuore diverso da quello di Tony. Forse. Non ne è certo. Non lo sa ancora. Allora gli affonda gli occhi nei suoi e tenta — ci prova, a dargli qualcosa in cui provare almeno a credere. Un futuro. Una possibilità.
«Non ho intenzione di farti dire quello che non vuoi. Non adesso. Però, Peter, so che le cose stanno iniziando a cambiare. Tu non vuoi, ma è così. Dovresti solo iniziare a provare ad assecondare quello che vuoi.»
«Io so solo cosa non voglio. E quello che voglio, invece, non posso riaverlo indietro.» Lo dice con una tristezza infinita. Lo dice come se non ci fosse un futuro. Lo dice come se gli stesse chiedendo di darglielo lui, qualcosa in cui credere. Allora Harley esita, e gli posa prima una mano sulla guancia e poi l'altra. Aspetta un segnale che non arriva, ma Peter non lo scansa nemmeno. Non sa se è d'accordo o solo terrorizzato. Ma non ha più importanza. Hanno fatto un passo troppo lungo e ora non si torna indietro.
Gli sfiora le labbra. Le pizzica. Le assapora, aspetta e poi lo guarda. Gli carezza la pelle, e gli pianta le dita intorno ai capelli, quando è Peter a chiedergli, in silenzio, di non scansarsi. E quel bacio, allora, diventa reale. Diventa palpabile, non più un sogno o un mero desiderio nascosto e bramato da lontano. Peter si appoggia con la schiena al piano della cucina, ma gli stringe le dita intorno ai fianchi. Lo asseconda, con una disperata urgenza di succhiargli via un po' di felicità. Qualche pensiero positivo che, per una volta, non viene adombrato dalla presenza costante e distruttiva di Tony Stark.
Harley sa benissimo che, quell'istante, durerà troppo poco e che, sicuro, Peter non riuscirà ad accettarlo. E quando l'intensità di quel bacio si fa più dolce e più intensa, Spider-Man lo scansa con uno spintone e Harley non è poi così sorpreso. Harley non è Tony Stark. Non può fare quello che l'uomo faceva, pretendendo di ricevere in cambio lo stesso. E, per quanto non sia facile da accettare, è meno sorpreso e schiacciato di quanto dovrebbe. Ha fatto quel passo solo ed esclusivamente perché era il momento. Ma, di fatto, non lo è più. Cristo, pensa, avrei dovuto darmi un freno.
Peter si asciuga la bocca. La pulisce col dorso della mano. Come se, effettivamente, quel bacio avesse contaminato tutti quelli che Tony gli ha dato. Come se avesse cancellato quelli che, nella sua memoria, restano impressi sulle sue labbra come un tatuaggio all'inchiostro di veleno. Ha inclinato la testa ma guarda in basso. Non si scopre la bocca. Ha gli occhi sbarrati e una ciocca di capelli che gli cade sugli occhi. È rosso. Non d'amore, ma di rabbia. Verso chi, Harley ancora non lo sa.
«Peter?»
Peter non gli dà l'attenzione che cerca. Sprofonda, sempre più giù, in un abisso dalla quale Harley avrebbe voluto tirarlo fuori. Con quel bacio quel ragazzo gli ha teso di nuovo la mano, lui lo ha afferrato, poi gli è scivolato via, inesorabilmente, dalle dita. L'ha tenuto saldo a sé, gli ha regalato un po' di vita, poi se l'è inconsapevolmente ripresa. Harley vorrebbe con tutto il cuore non aver fatto quel passo. Non ora.
«Va' via...»
«Peter.»
«Per favore... ti prego, ti supplico... va' via.» Lo guarda. Alza la folta corolla di ciglia e gli dona una luce, che Peter è inconsapevole di aver accesso in quelle castane, brillanti, sfere luminose che gli fanno da occhi. Harley si perde. Si perde sempre, quando lo guarda. Gli prende una mano. Lascia scivolare le falangi nelle sue. Le stringe — anche se Peter non fa lo stesso. Resta immobile nel suo dolore e per quanto gli abbia chiesto di andar via, continua a non scansarlo. Continua a lanciargli sguardi che poi distoglie. Continua a chiedergli di rimanere e di allontanarsi da lui. Peter non sa cosa vuole.
No. non è vero: sa esattamente cosa vuole, ma ne è terrorizzato.
Harley gli infila un ginocchio tra le gambe. Lo spinge contro il piano della cucina. Torna a baciarlo. Peter gli si aggrappa immediatamente alle spalle. Ricambia. Saliva e brividi si fondono di nuovo. Sono così vicini — così attaccati l'uno al cuore dell'altro, che il suo si accartoccia e fa un male spaventoso. Harley si stacca e Peter lo reclama ancora. Gli fa scorrere una mano dietro la nuca e gli affonda le labbra nelle sue, in un carnale, disperato, urgente bisogno di sentirsi — con lui, una cosa sola. Forse perché Peter è diviso. Spezzato, da quando Tony è morto. Molto più di chiunque altro. E magari — Harley lo sa, è un arrogante a pensarlo — lui può rimpiazzare finalmente quella metà mancante.
Harley gli infila le dita tra i capelli. Se lo porta più vicino. Gli esplora la bocca con la lingua umida di libido, libera da un desiderio che è diventato realtà. Qualcosa che trema ancora, che è instabile, ma — perlomeno, ha una base che prima non c'era. Peter gli stringe le braccia intorno al collo. Vuole di più, ma chiede anche distanza. Il suo corpo vuole una cosa, e la sua mente ne vuole un'altra. E il cuore?
Che cosa vuole il tuo cuore, Peter?
Si staccano. Un rivolo di saliva li tiene incatenati in quell'assurda e inaspettata follia che hanno appena condiviso, sotto le luci soffuse dei faretti abbassati della cucina. Avvinghiati con l'anima e col corpo, premuti contro il piano di marmo che fa male alla schiena ma che non ha lasciato che quell'intento venisse troncato sul nascere.
Peter lo guarda stupito e impaurito. Lo guarda con le labbra umide di chi ha lasciato scivolare via tutto. Tutto quello che avrebbe voluto a parole, ma che non era in grado di fare. Harley gli carezza leggermente la punta del naso col suo. Peter alza le ciglia sui suoi occhi. Poggia la fronte alla sua.
«Che sto facendo...?», gli chiede. Harley gli dà un leggero e velenoso bacio a fior di labbra, solo per ricordargli che non ha ucciso nessuno, per aver baciato qualcun altro che non è Tony Stark.
«Non lo stai tradendo. Non lo stai deludendo. Non lo stai dimenticando.» Harley glielo dice sulle labbra. Gli stringe le dita intorno ai fianchi. Se lo spinge contro. Trattiene un mugugno tra le labbra. Peter fa male. Peter gli fa un male cane. Lo stringe. Gli chiede tacitamente di non lasciarlo solo. Di non lasciarselo scivolare via dalle dita, come è successo con Tony. Harley lo asseconda. Alza la testa. Il naso incontra i capelli di Peter. Inala il suo odore e lo fa suo. Gli lascia un bacio sulla testa e sospira. Sa che per Peter è difficile accettare quei cambiamenti. Sa che Peter non dimenticherà mai Iron-Man ma sa anche che, quella paura, è data dal fatto che, per fortuna, Peter vede lui e Tony come due persone diverse e che, di conseguenza, Harley non dovrà essere il Tony di nessuno.
Il silenzio schiaccia. Solo l'orologio scocca rumorosamente il suo tempo su un orologio di legno appiccicato al muro, vicino al telefono. Vicino a quel ripiano che ospita, immobile, la foto di Peter e Tony col diploma della Stark Internship tra le dita. Sorrisi genuini che celano e palesano, allo stesso tempo, un amore disperato. Harley la guarda, quella foto. Vorrebbe polverizzarla con gli occhi ma sa che non è giusto, che se vuole stare con Peter, dovrà accettare il fatto che Tony Stark c'è stato, c'è e sempre di sarà, nei pensieri del ragazzo per cui sta provando qualcosa di così forte. Peter alza la testa e cerca nei suoi occhi la risposta alla domanda che gli ha posto. Si guardano così intensamente che il tempo, quasi, sembra fermarsi.
«No? E allora cosa sto facendo?», gli chiede Peter, e ha gli occhi lucidi. Eppure non lo lascia andare. Lo stringe ancora, e ci si aggrappa come un'ancora. Quella che Harley avrebbe voluto essere per lui.
Gli lascia un sorriso da ammirare. Gli scosta una ciocca di capelli da davanti al viso e prima di dargli un altro bacio, gli risponde con l'unica risposta possibile. «Stai andando avanti.»
Fine capitolo IV
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro