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Storie passate

Connie aveva lasciato il lavoro al pub la domenica sera, dopo aver salutato i clienti affezionati e aver ricevuto uno scappellotto affettuoso da parte di Ukai, con la promessa che sarebbe tornato a fargli visita di tanto in tanto.
- Neanche volendo potrei evitare questo posto, verrei trascinato qui a forza da questi squilibrati - gli aveva risposto indicando i suoi amici, seduti a bere dalla parte opposta del bancone.
- Ti ricordo che questi squilibrati sono gli stessi che ti hanno permesso di avere un lavoro un paio d'anni fa, un po' di gratitudine non sarebbe male - aveva detto Ryu, fingendosi risentito. Era riuscito a raggiungerlo e a stringerlo in una morsa del braccio, sfregandogli la testa rasata con il pugno chiuso, provocando una risata generale.

Ammetto di aver provato un vago terrore, in quel momento, all'idea di doverlo sostituire: temevo di non essere all'altezza di riempire il vuoto che avrebbe lasciato Connie andandosene. Lui era apprezzato da chiunque, spigliato ed efficiente, mentre io apparivo spesso scontroso agli occhi di chi mi vedeva per la prima volta, e sicuramente non ero adatto quanto lui a quel genere di lavoro.

- Ehi, andrai benone anche tu, vedrai - mi aveva sussurrato Eren in un orecchio sovrastando le voci del locale, neanche fosse stato in grado di udire e comunicare direttamente con i miei pensieri. Nel farlo, mi aveva cinto le spalle con un braccio, un gesto che mi aveva infuso immediatamente tranquillità e sicurezza. - Piuttosto, rifletti su ciò di cui abbiamo parlato in barca l'altro giorno, va bene? -.
Avevo annuito e mi era scappato un sorriso nel ripensare a tutto ciò di cui avevamo parlato io ed Eren una volta tornati al molo, due giorni prima. Mai avrei immaginato di scoprire tante cose ad appena due settimane dal mio arrivo in quello straordinario paese.

Dopo aver scoperto il mio vero cognome, e quindi aver intuito le mie origini, Eren mi aveva raccontato del luogo in cui era nato e cresciuto, un villaggio di pescatori lontano dal caos delle grandi città che calcolava poche centinaia di abitanti.
Fin da bambino, aveva accompagnato il padre a pescare, anche per la durata di intere giornate, e lì aveva imparato l'arte di cui aveva poi fatto il proprio lavoro, una volta trasferitosi a Dublino insieme a Connie. Ed era stato grazie alla pesca, durante una delle innumerevoli escursioni sul peschereccio del padre, che aveva conosciuto Carl Arlert, mio nonno. Un uomo già all'epoca invecchiato dalla salsedine e dai raggi del sole e, come Eren aveva scoperto qualche anno più tardi, dalla disastrosa situazione in cui si trovava la sua famiglia.
Mio padre, suo unico figlio, di cui Eren non aveva mai conosciuto il nome e io avevo fatto il possibile per non ricordarmene, aveva sposato da giovanissimo una donna ben più vecchia di lui, da cui aveva avuto un primo bambino dopo appena pochi mesi di matrimonio. I due coniugi avevano da sempre evitato il più possibile i contatti con gli altri abitanti del villaggio e, a furia di vedere la solita faccia per anni e anni, la moglie aveva sentito il bisogno di annegare il proprio isterismo nel whiskey, risvegliando un'innata violenza in mio padre, che aveva iniziato a sfogare la propria rabbia sul figlio ancora bambino, Patrick.
Quel nome non ero riuscito a dimenticarlo. O, più precisamente, non avevo voluto: nonostante i maltrattamenti a cui mi aveva a sua volta sottoposto quando ero nato - neanche a dirlo, per errore -, cosa che gli riusciva fin troppo facile, vista la differenza d'età di quindici anni, sapevo che mio fratello aveva subito la mia stessa sorte, se non peggiore, e non me la sentivo di biasimarlo del tutto per la fine che aveva fatto, tra l'ossessione per il gioco d'azzardo e le risse violente, a causa delle quali era più volte entrato e uscito di prigione.

Eren, prima che gliela raccontassi, non era a conoscenza di tutta la storia e non aveva insistito per farsi raccontare ulteriori dettagli nel momento in cui avevo esitato a parlare ancora. Non si era però stupito nel sentire che proprio in mio nonno avevo trovato la mia unica àncora di salvezza: quell'uomo, nonostante i modi un po' bruschi e il sorriso mostrato di rado, era buono, ed Eren aveva percepito anche da bambino la scintilla nelle sue iridi color del mare, le poche volte che aveva parlato di me. E aveva visto quella stessa scintilla spegnersi il giorno in cui gli si era avvicinato chiedendogli a chi fosse indirizzata la lettera che stava scrivendo, seduto su una vecchia barca rovesciata sulla spiaggia di ciottoli. Gli si era seduto accanto, osservando la risacca in silenzio, aspettando pazientemente che il vecchio terminasse il proprio scritto e pensando al destinatario della lettera, quel bimbo che era stato portato lontano prima ancora che avesse avuto l'occasione di conoscerlo.

~•~

Con l'arrivo del lunedì, giunse anche per me il momento di diventare a tutti gli effetti un membro dello staff del pub, così mi trovai catapultato dietro allo stesso bancone al quale mi ero seduto all'inizio della mia avventura, ancora ignaro di quelli che sarebbero stati gli avvenimenti successivi. Con la sola compagnia dei miei pensieri e di una delle cameriere, Kiyoko, una ragazza più silenziosa di me, la cui sola presenza era in grado di incutere un certo timore reverenziale: da quando era arrivata, non aveva aperto bocca se non per indicare a una cliente straniera la direzione per la toilette.
Non che io mi sforzassi per imbastire un dialogo, intendiamoci: me ne stavo sulle mie con la scusa di dover lucidare bicchieri o spazzare ogni angolo della grande sala finché non fosse diventato lucido come uno specchio.

Per iniziare, ero stato assegnato al turno dell'ora di pranzo e mi sarei dovuto occupare per lo più di portare le ordinazioni, lasciando il compito di interagire con i clienti alla più esperta Kiyoko.
E le mie ore di lavoro trascorsero così tra l'ansia iniziale di inciampare in uno sgabello e rovesciare l'intero contenuto del vassoio in testa a un impiegato in pausa pranzo, qualche discorso che origliai distrattamente nel tentativo di non pensarci e la constatazione finale che, come primo giorno ufficiale, sarebbe potuto andare molto peggio.

Ad aiutare il cuoco, quel giorno, era di turno Shoyo, che ebbi la possibilità di intravedere solamente un paio di volte attraverso l'oblò della porta da saloon, e che, una volta finito il proprio lavoro, uscì raggiante, sfilandosi il grembiule blu dalla testa.
- Armin! - esclamò, vedendo che stavo finendo di asciugare un paio di boccali. - Come è andato il primo giorno? -.
- Oh, bene - risposi, facendo del mio meglio per nascondere la stanchezza che tutta quella tensione aveva provocato sui miei nervi per natura poco saldi.
- Dai, ti aspetto e torniamo a casa insieme, ti va? - aggiunse, dandomi una pacca leggera sulla schiena.
- Sicuro -.

Cercai di finire il più in fretta possibile, salutai Kiyoko e Ryu, che stava attaccando al posto mio, e uscii dal locale, seguito da Shoyo.
- Che programmi hai per il pomeriggio? - mi chiese, mentre con il suo solito passo spedito imboccava la strada verso il parco di fronte a casa.
- Credo dormirò un po', non sono ancora abituato a stare in piedi per così tante ore di fila -.
- È normale, ti ci abituerai prima di rendertene conto - mi rassicurò.

Un insolito silenzio calò tra di noi. Dal canto mio, sarebbe già stato un miracolo riuscire ad arrivare a casa reggendomi sulle mie gambe e, di per sé, l'idea di camminare accanto a qualcuno senza dire una parola non mi aveva mai recato particolare disturbo. Ma, dal momento che quel qualcuno era Shoyo, solitamente difficile da zittire o tenere fermo per più di qualche frazione di secondo, suonò nella mia testa un campanello d'allarme e mi voltai a osservarlo: - Tu stai bene? Mi sembri un po' giù di corda oggi -.
Lì per lì non disse nulla, concentrato a fissarsi le punte delle scarpe, che si mostravano alternativamente un passo dopo l'altro. Quando decise di rispondermi, lo fece con una voce talmente bassa, che per un attimo mi chiesi se non fosse stata un'altra persona a parlare al posto suo: - Non ho potuto fare a meno di notare che, ultimamente, Tobio parla spesso con te -.
Mi limitai a osservarlo, aspettando che fosse lui a continuare il discorso e ad arrivare al punto della questione.
- Da quando ha iniziato ad aprirsi con te, ho l'impressione che abbia cambiato atteggiamento anche nei miei confronti. Non so se siano due fatti collegati, ma nel caso sia stato tu ad aiutarlo a essere come è ora, beh, ti ringrazio -. Finalmente, Shoyo alzò lo sguardo che fino ad allora era rimasto fisso sul selciato e mi sorrise, tutta la genuina gratitudine che trapelava dai suoi occhi vispi.

Come avevo intuito tempo prima, sembrava che i continui insulti di Tobio, dedicati a lui esclusivamente, lo ferissero più di ogni altra cosa; leggevo nel suo sguardo una profonda delusione tutte le volte che, imperterrito e senza mai perdere le speranze, gli proponeva qualcosa di nuovo, che fosse una canzone da ascoltare, un museo da visitare - erano entrambi appassionati d'arte, come mi aveva spiegato Tobio - o un cocktail da provare, magari inventato appositamente per lui perché non amava bere birra, e la risposta che riceveva in cambio variava da un silenzio all'apparenza infastidito a una cascata di parole ostili pronunciate a occhi bassi.
Tobio, al contrario, faceva il possibile per celare il proprio interesse, non avendo la più pallida idea di come affrontarlo. E, per farlo, si barricava dietro il muro di improperi che tirava dietro a Shoyo per evitare di mostrare quella che reputava una debolezza, forse l'unica cosa che sarebbe stata in grado di renderlo vulnerabile.
Nel vederlo sinceramente sollevato, ricambiai il sorriso, contento che i discorsi affrontati con Tobio avessero portato giovamento a entrambi i ragazzi.

Ero stravolto, quando arrivai a casa, e mi gettai sul letto trovando solamente la forza per togliermi le scarpe.
Era pomeriggio inoltrato e il letto accanto al mio, dato l'orario, era vuoto. Pensai a quanto mi avrebbe fatto piacere raccontare a Eren del mio primo giorno e sentii improvvisamente la sua mancanza. Lo immaginai sulla "Moon", la sua barca, intento a manovrarne il timone con il sole in fronte e l'aria a scompigliargli i capelli odorosi di salsedine, mentre diligentemente portava a riva il pescato della giornata.
Mi augurai di farmi trovare sveglio per accoglierlo come avrei voluto, ma ebbi appena il tempo di formulare il pensiero, che crollai in un sonno profondo.

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