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Matita

Eren dormiva nel suo letto a pochi metri da me, a pancia in su e con il viso rivolto nella mia direzione, russando leggermente con la bocca semichiusa.

Io, al contrario, continuavo a girarmi e rigirarmi sotto le coperte, cercando di aggrapparmi senza successo alla stanchezza che avevo provato fino a un'ora prima.
Quando sentii un fastidioso prurito nel retro del cervello e la pelle pizzicare a causa del nervosismo, scostai con un colpo il lenzuolo che sembrava soffocarmi e mi tirai su a sedere.

Solamente una cosa mi avrebbe aiutato a calmarmi in quel momento, così mi avvicinai alla scrivania, che era ai piedi del letto, e presi il blocco da disegno con la matita che avevo appoggiato lì non appena ero arrivato.
Accesi la lampada sperando di non svegliare il mio compagno di stanza e tornai a sedermi con la schiena appoggiata alla parete, posando il blocco sulle gambe rannicchiate.
Iniziai a tracciare con la grafite sul foglio immacolato, lasciandomi ispirare dalle immagini che la mia mente aveva raccolto durante la giornata, senza cercare di fare un bel lavoro ma focalizzando la mia attenzione solamente sulla sensazione della mano che si muoveva leggera e scaricava tutte le tensioni del momento.

Su quel foglio lasciai la preoccupazione per i miei padri e per ciò che mi aspettava, le nuove bellissime sensazioni che stavo provando in quelle ore e l'eccitazione di un viaggio ancora tutto da scoprire.

- Cosa stai disegnando? -

Trasalii sentendo la voce di Eren, immerso com'ero nel mio flusso di coscienza. Scostai il blocco per poterlo guardare meglio e lo trovai del tutto voltato verso di me, a osservarmi con gli occhi ancora mezzi chiusi.

- Oh ti ho svegliato! Scusami, spengo subito -

Mi allungai per spegnere la luce, ma lui mi fermò: - No, per favore continua a disegnare -

- Sei sicuro? -

- Sì, mi piaceva il rumore della matita -

Annuii e ripresi a disegnare, lanciandogli di tanto in tanto un'occhiata per accertarmi che si riaddormentasse.
Mi immersi nuovamente nel mio mondo di linee e sfumature, dimenticandomi di Eren e della stanza che mi circondava, concentrandomi sul ponte bianco che stava venendo fuori dal mio disegno, lo stesso ponte che avevo visto il giorno in cui ero arrivato a Dublino.

Quando sentii il fruscio delle coperte del letto di Eren, alzai gli occhi dal foglio e lo osservai mentre si avvicinava e si sedeva sul mio, sistemandosi a gambe incrociate accanto a me.

Non disse nulla, ma studiò il mio disegno come per invitarmi a continuare e così feci.

La mano mi tremava leggermente e il tratto non era più preciso come un attimo prima e nonostante mi sforzassi di ripescare i dettagli dalla mia memoria, qualcosa continuava a non quadrare con i ricordi che avevo di quel paesaggio.

Quando mi fermai e staccai la mano dal foglio, mentre lo osservavo rosicchiando il legno della matita, fu Eren ad aiutarmi senza che gli avessi chiesto nulla.

- Ne manca un pezzo qui - mi disse indicando con il dito un punto preciso del foglio e mi resi immediatamente conto di essermi dimenticato di riportare uno dei due tiranti che sostenevano il ponte.

Una volta completato, abbastanza soddisfatto del lavoro, lo osservai accennando un sorriso.

- Quel ponte è stato costruito da un certo Calatrava, lo sapevi? - buttò lì Eren, senza aver ancora staccato gli occhi dalla mia piccola creazione.

Non lo sapevo, né avevo idea di chi fosse, così scossi la testa e lo ascoltai mentre mi spiegava che si trattava di un architetto spagnolo e che l'Europa era piena di sue opere: - Solo qui a Dublino ci sono ben due ponti costruiti da lui -

- E tu come sai tutte queste cose? - gli chiesi.
- Hai studiato architettura o... ? -

Eren ridacchiò prima di rispondere: - In realtà ho solamente cercato su internet qualche informazione interessante per fare colpo su di te -

Per la seconda volta, mi ritrovai a non sapere cosa rispondere.
Non mi era mai capitato di sentirmi così prima d'ora, nessuno aveva avuto mai il potere di disintegrare ogni mio pensiero cosciente con un solo sguardo o con poche parole.

Ero già stato insieme ad altri ragazzi, e anche a qualche ragazza tempo prima, ma l'impressione era sempre stata quella di essere distante, come se non mi interessasse davvero chi mi trovassi davanti o cosa ci avrei fatto insieme.

Con lui era diverso. La sua vicinanza, il calore del suo corpo, il profumo della sua pelle mi facevano rabbrividire, era una sensazione diversa da ogni altra provata fino a quel momento e non riuscivo a spiegarmi fino in fondo di cosa si trattasse.
Tutto quello che desideravo in quel momento era lasciarmi andare in quegli occhi immensi e perdermi nella foresta selvaggia che doveva essere lo spirito di quel ragazzo.

Mi parve quasi un sogno quando mi resi conto che il suo viso si stava avvicinando al mio, impercettibilmente ma inesorabilmente. I suoi occhi stavano mano a mano socchiudendosi e lo sguardo guizzava rapido dalle mie labbra ai miei occhi, come non riuscisse a concentrare l'attenzione su un solo particolare.

Quando fu a pochissima distanza dalla mia bocca, appena prima di sfiorarmi, si fermò, forse ad aspettare un mio cenno per fare la prima mossa.
Sentivo il suo respiro caldo e irregolare sulla mia pelle troppo sensibile e il mio cuore saltò un battito prima di iniziare a martellare all'impazzata.
Anche questa sensazione era nuova, mai nell'attesa di un bacio ero stato così nervoso e impaziente al tempo stesso. Volevo quelle labbra sulle mie e le volevo addosso, anche per una notte soltanto senza dover pensare alle conseguenze, esattamente come ero abituato.

Mentre mi sistemavo in modo da essere più comodo, mi passai la lingua sul labbro inferiore e me lo trascinai in mezzo ai denti, mordicchiandolo istintivamente. Fissavo quelle labbra piene e perfette e trepidavo all'idea di assaggiarle.

Infilai una mano tra i suoi capelli e la portai dietro la nuca, afferrandoli per avvicinarlo a me e far unire le nostre labbra in un bacio che fu da subito appassionato e travolgente.

Non passò molto prima che Eren prendesse il blocchetto ancora tra le mie gambe per lanciarlo sulla scrivania e spegnesse la luce, per poi avventarsi nuovamente sulla mia bocca e prendermi entrambe le gambe per appoggiarle sulle sue, ancora incrociate.
Mi lasciai sopraffare dal modo in cui mi baciò, dal modo in cui mi spinse delicatamente sul materasso, dal modo in cui mi spogliò, con l'unica luce della Luna a riflettersi sui nostri corpi.

Non ebbe niente a che fare con i momenti che avevo passato prima con Jean né con nessun altro.
Le attenzioni, la delicatezza e insieme la passione negli sguardi e nei gesti che mi regalò Eren mi fecero sentire bello, importante, amato.

Fu la notte più bella della mia vita. E mi resi conto che, per la prima volta, una notte non mi era bastata.


Quando mi svegliai il mattino seguente impiegai qualche istante a realizzare dove mi trovassi e cosa fosse successo durante le ore precedenti.
La mia mente era come intorpidita, i rumori all'esterno della camera risultavano ovattati, le immagini che mi scorrevano davanti sembravano appartenere a un sogno.

Eppure, rendendomi conto di avere un braccio intorno alla vita, capii di trovarmi abbracciato a Eren dopo una notte di pura follia, emotiva più che fisica.
Avevo accanto il ragazzo più bello che avessi mai incontrato, quello che conoscevo solo da un paio di giorni ma che era stato in grado di regalarmi emozioni che in vent'anni di vita vuota non avevo avuto occasione di provare.

Ai polsi, non sapevo se per abitudine o solo per dimenticanza, aveva tenuto i numerosi bracciali che portava sempre durante il giorno. La mia attenzione fu attirava in particolare da uno spesso cordino sfilacciato, blu e di un materiale che sembrava nylon.
Forse una rete da pesca?

Non seppi dirlo, ma iniziai ad accarezzare con i polpastrelli il suo braccio partendo proprio da quel cordino, risalendo lungo una vena leggermente in rilievo. Quando arrivai all'altezza del gomito presi distrattamente a tracciare dei cerchi invisibili intorno all'osso sporgente, studiando i suoi numerosi tatuaggi: erano colorati e alcuni poco chiari, c'era qualche simbolo e un paio di scritte in una lingua quasi sicuramente orientale e mi chiesi che storia ci fosse dietro a ognuno, se fossero legati a viaggi o a persone o se fossero lì solamente per bellezza.

Voltandomi del tutto notai che indossava solo i boxer e occupava più della metà del letto con le sue gambe lunghe.
Mi trovavo a pochi centimetri dal suo viso, così mi presi del tempo per memorizzarne i dettagli.
Era illuminato dalla luce dorata del mattino che filtrava dalle tende mezze aperte e i raggi donavano ai suoi capelli color cioccolato delle sfumature ramate a cui non avevo ancora fatto caso, visibili solamente controluce.

Delicatamente gli scostai una ciocca che gli cadeva sulle ciglia e sembrava dargli fastidio da come muoveva la palpebra e notai che vicino all'occhio sinistro era presente la minuscola cicatrice di un taglio.

La sfiorai e proprio in quel momento Eren aprì gli occhi. Aveva lo sguardo troppo vispo per essersi appena svegliato.

- Non stavi dormendo - gli dissi abbozzando un sorriso e ritraendo la mano, posandola sul cuscino in mezzo a noi.

Anche a lui scappò un sorriso e con un gesto lento si riprese la mano che avevo appena spostato, portandosela sulla guancia e appoggiandoci sopra la sua.
Gli accarezzai il sopracciglio con il pollice e avvertii i suoi occhi ancora su di me, mentre io non riuscivo a sostenere il suo sguardo per più di qualche secondo.

- Armin, guardami -

Forse arrossendo un po' obbedii e quando incontrai il verde intenso delle sue iridi mi sentii mozzare il fiato.

- Hai delle minuscole lentiggini, lo sai? -

- Sì, i miei papà me lo dicevano quando ero piccolo -

Eren aggrottò la fronte per una frazione di secondo: - I tuoi... papà? -

- Già, sono stato adottato -

- Da due uomini? -

- Sì, due americani. Io sono nato qui, sai? -

Eren fece un'espressione sorpresa e sorrise di nuovo, mettendo a dura prova tutta la forza di volontà di cui ero capace perché non mi avvinghiassi addosso a lui e ricominciassi daccapo con qualunque cosa avessimo combinato quella notte: - E perché sei tornato? -

Esitai un attimo prima di rispondergli e di raccontargli della lettera, della mia vera famiglia e di mio nonno.
Perdendo la lucidità più di una volta dal momento in cui iniziò ad accarezzarmi il fianco scoperto con le nocche, sempre senza staccare quegli occhi magnetici dai miei o dalle mie labbra.

- Solo che non ho idea di dove iniziare - sospirai dopo essere riuscito finalmente a concludere il discorso.

- Forse posso darti una mano -

- A trovarlo? - mi illuminai sentendolo pronunciare quelle parole.

- Mh mh -

- Sarebbe bellissimo, grazie Eren - dissi avvicinandomi con tutto il corpo.

- Non c'è di che, Armin -

Fu lui a dar vita a un nuovo bacio, il primo della giornata, avvolgendomi la vita e stringendomi a sé, facendo aderire il suo petto al mio.
Non riuscii a resistere oltre e lo costrinsi a rotolare sulla schiena, per poi distendermi a cavalcioni sopra di lui e riprendere a baciarlo.

Fino a che non interruppe il contatto e, con sguardo serissimo, mi chiamò: - Ehi, Armin? -

- Che c'è? -

- Hai preso proprio tutto dai tuoi padri, eh? - mi sussurrò sfiorandomi appena le labbra, con un ghigno tra il divertito e il malizioso.

Per dispetto gli morsi il labbro ancora intento a sorridere, senza fargli male e sfruttandolo come pretesto per ricominciare da dove eravamo rimasti.

Era una domenica mattina, appena il mio terzo giorno dall'inizio di quel viaggio pazzesco, e l'impressione era quella di aver lasciato la mia vecchia vita ormai anni prima.

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