Capitolo 1. Quel giorno
Era sabato pomeriggio e l'aria frizzante della primavera riempiva il bar, diffondendo l'aroma di caffè e dorayaki in tutta la sala. Era quasi pieno, il che era strano per quell'orario. Due ragazzi stavano seduti ad un tavolo; il primo indossava un cappello nero ed una giacca sempre nera, con una grossa catena dorata attaccata sul lato sinistro, ed aspettava pazientemente, mentre il secondo non aspettava proprio e con una maglia nera che lasciava vedere molta pelle si agitava sulla sua sedia.
-Ma quanto ci mette?-
-La ferme, Polnareff.-
-Andiamo; è davvero questa l'unica cosa che hai imparato a dire in francese?-
-A me piace come frase.-
-Chiudi il becco, Jotaro, e piuttosto chiama il cameriere e chiedigli di darsi una mossa.-
Jotaro sbuffò, esasperato.
-Santo cielo... Abbi pazienza. Ai giapponesi non piace andare di fretta.-
Anche Polnareff sbuffò, però irritato.
-Che mi dici di monsieur Joestar? È già tornato a New York?-
-È restato qui per una settimana e poi è tornato a casa con la nonna.-
-Stanno bene entrambi, vero?-
-Dovresti saperlo ormai che il vecchio è invincibile.-
-E menomale.-
Il cameriere arrivò e disse qualcosa in giapponese prima di consegnare un caffé amaro, un caffellatte ed una torta di carote.
-Si dice arigatou, giusto?-
Sussurrò il francese all'amico, che annuì.
-Arigatou.-
Il cameriere fece un inchino prima di lasciarli soli.
-Che ne pensi della mia pronuncia?-
-Non male.-
Fece Jotaro, senza nessuna traccia d'ironia. I due rimasero a bere i loro caffé in silenzio per un po'.
-Come procedono gli studi?-
-Abbastanza bene. Mi hanno offerto una borsa di studio per la Florida, in America.-
Polnareff quasi si strozzò con la torta.
-E ti sembra questo il modo di dirlo? È fantastico!-
Jotaro si limitò ad annuire, finendo di sorseggiare il suo caffé.
-Andrai a vivere là a settembre di quest'anno?-
-Sì.-
-Chi paga?-
-Io.-
Replicò il ragazzo col cappello, quasi offeso.
-Chiedo...-
-Ma sì, il mio vecchio si è offerto di darmi una mano.-
-Quale vecc...-
-Mio nonno.-
-Ah. Già.-
Disse Polnareff, evitandolo con lo sguardo. Cadde un leggero silenzio dopo quella frase, spezzato da una domanda di Jotaro:
-E tu che mi dici?-
Il suo tono era più amichevole di prima. Polnareff capì che si sentiva in colpa per aver appesantito l'atmosfera prima: il solo pensiero del padre lo mandava su tutte le furie.
-Ho quasi finito con la scuola di polizia.-
-E cosa vuoi fare di preciso?-
-Il detective privato! Dopo aver vendicato la morte di mia sorella, mi sono reso conto che non ero l'unico in quella situazione. È pieno di gente che si rivolge alla polizia per casi di scomparse di amici o parenti e solo un terzo di quei casi sono risolti ad oggi.-
Jotaro fece un verso di assenso, per fargli capire che capiva.
-Con il mio Chariot, posso risolvere i casi che la polizia non riesce a risolvere e vendicare i clienti. Per il giusto prezzo, ovviamente...-
-Stai cercando di diventare un assassino?-
Il tono dell'amico fece capire a Polnareff che si era espresso male.
-Ma no, non lo farei mai! Quando dico vendicare intendo buttare in prigione... Non ucciderei mai nessuno! Non mi dimostrerei migliore di loro... Questo, almeno, l'ho imparato...-
Il suo tono divenne più malinconico sull'ultima frase e Jotaro sapeva bene il perché.
-Ma questa non è l'unica ragione per cui volevo diventare detective. Lo sai?-
-Certo.-
-Voglio aiutare la Speedwagon Foundation e la famiglia Joestar al massimo delle mie capacità!-
Jotaro esitò a rispondere.
-Questa non la sapevo.-
-Devo la mia vita sia a te che a monsieur Joestar...-
Disse, con un sorriso triste in viso.
-Perciò, come ho già detto, basterà che mi facciate uno squillo e vi raggiungerò ovunque nel globo.-
-Lo apprezzo molto, grazie.-
Rispose Jotaro con un tono meno freddo ed un sorriso. Polnareff finì di mangiare la torta.
-Era buona! Mancava solo un po' di zucchero... Come si diceva "buono" in giapponese?-
-"Ii" oppure...-
-Ehi, bellezza, vuoi che ti offra da bere?-
Una ragazza che sedeva non lontano dal loro tavolo scosse la testa, probabilmente senza nemmeno capire cosa le avesse offerto un bullettino con i suoi due compagni di banda.
-Come sarebbe a dire no? Andiamo... Solo una...-
Fece il bulletto prendendola per un braccio sotto le risate dei suoi compagni.
-Cielo. Quelli sono dei veri delinquenti giapponesi? Stanno esagerando...-
Jotaro non rispose e continuò a guardare la scena in silenzio.
-Sembri straniera. Se non ti va un caffé qui, possiamo prenderne uno a casa mia...-
La ragazza cercava invano di liberarsi mentre quel ragazzo avvicinava la mano sulle pieghe del suo vestito.
-Ok, adesso è troppo!-
Urlò Polnareff, alzandosi in piedi insieme all'amico. Il delinquente non accennava a mollare la presa e chiese:
-E tu che vuoi, francesino?-
-Yamete kure!-
-Ma allora parli un po' di giapponese...-
-Lasciatela andare! Vi siete mai chiesti se le vostre attenzioni fossero indesiderate?-
Il delinquente finalmente la lasciò stare per avvicinarsi a Polnareff, sputando per terra.
"Non posso usare il mio stand su un civile comune... Ma se davvero se lo meritasse, lo farei, e sta lì lì per far scattare la leva..."
Pensò il francese, deglutendo.
-Nessuno ha chiesto il tuo parere, parigino!-
-Lo sapete come si chiama quello che stavate facendo?-
Tutti i componenti della banda di bulli erano terrorizzati dallo sguardo di Jotaro dopo che ebbe chiesto quello.
-Non potete chiamarlo stupro se non è successo nulla.-
-Non ancora.-
Quella fu la frase che fece scattare il pugno del bullo sullo stomaco di Polnareff. Nemmeno un secondo dopo, i suoi compagni lo videro volare sanguinante con i lineamenti deformati ed un altro di loro fu colpito in faccia, mentre l'ultimo venne preso dalla collottola della giacca. Jotaro lo guardò dritto negli occhi, infuriato, e disse:
-Provate a farlo un'altra volta e giuro che vi ammazzo.-
L'atmosfera nella stanza si fece tesa, l'ultimo dei bulletti ad essere cosciente che pregava per la sua salvezza sudando dalla paura sia della stazza che degli occhi del suo agressore. La ragazza, intanto, stava seguendo tutta la scena ed era anche un po' arrossita. Quei due ragazzi erano intervenuti per salvarla addirittura facendo a botte per lei! Era incantata dalla fermezza del ragazzo alto e dal coraggio del ragazzo francese. Parlando di Polnareff, era piegato a terra dal dolore tenendosi la pancia e tossendo. Il cameriere urlò:
-Non sono ammesse risse qui dentro! Voi due: fuori da qui!-
Prima che la ragazza potesse intervenire e prendersi la colpa, Jotaro si inchinò e disse:
-Gomen. Togliamo subito il disturbo.-
Ma invece di dirigersi verso la porta, andò dall'amico e l'aiutò a rialzarsi, prima di lasciare i soldi sul tavolo ed uscire insieme. La ragazza li seguì con gli occhi, ancora cercando di processare cosa era successo.
Polnareff e Jotaro stavano camminando fianco a fianco per tornare alla casa dei Kujo.
-Coff... Coff... Non mi aspettavo un pugno così forte e non ho fatto in tempo a pararmi con Silver Chariot! È normale che i camerieri non facciano nulla per fermare gli stupri? Ci credo che avete il tasso più alto del mondo.-
-Ti sei fatto male?-
-Non è nulla...-
Rispose Polnareff, rimettendosi dritto. Sentirono dietro di loro una vocina che li chiamava.
-Mh?-
Si volsero entrambi e videro la ragazza del bar che stava correndo per raggiungerli.
-Si diceva daijoubu, giusto?-
Jotaro annuì prima ancora che l'amico finisse di parlare.
-Daijoubu dayo?-
-Grazie per l'aiuto di prima...-
-Oh. È americana. Fantastico...-
Disse Polnareff, un po' stizzito del fatto che le sue conoscenze del giapponese fossero state sprecate. La ragazza stava ansimando, probabilmente perché aveva corso molto per riacchiapparli.
-Sta bene, signorina?-
-Sì... Non sono stata abbastanza veloce a replicare che già mi stavano addosso...-
Continuò ad ansimare, guardando i suoi due salvatori. Jotaro la stava osservando e poi disse solo:
-Faccia più attenzione la prossima volta.-
Detto questo, si volse e tornò a camminare verso casa sua. Polnareff stava ancora accanto alla ragazza quando il compagno gli gridò:
-Andiamo, Polnareff!-
-Oh! Certo! Buona giornata, signorina.-
Disse questo prima di correre per raggiungerlo. La ragazza li osservò mentre si allontanavano, il cuore che batteva forte sia per la corsa che per l'emozione. Avevano entrambi un fascino indiscutibile, soprattutto quello col cappello... Chi lo sapeva che gli studenti giapponesi erano così fighi?
-Che ne pensi di lei?-
Jotaro non rispose.
-A me sembrava piuttosto figa...-
-Ci vuoi provare?-
-Non lo so, amico, sembrava più il tuo tipo...-
Disse Polnareff prendendo una sigaretta ed accendendola. La reazione fu immediata: Jotaro gliela strappò dalle labbra e bloccò i tentativi dell'amico di riprendersela tenendogli la testa con la mano.
-Ridammela!-
Gli occhi di Jotaro lo fissarono gelidi mentre diceva:
-Avevamo promesso di smettere. Ricordi?-
-Andiamo... Una sola...-
-Lo hai promesso a loro.-
Polnareff deglutì e si morse le labbra.
-D'accordo.-
Jotaro buttò la sigaretta a terra, pestandola.
~
Joseph tossì, allontanandosi dal nipote.
-Devi per forza?-
Lui stava fumando.
-Mi serve.-
Gli antidolorifici si erano già esauriti ed in più le bende e i cerotti gli pizzicavano. Joseph diede un'occhiata al suo orologio da tasca: erano atterrati in Giappone da quaranta minuti, al che la domanda sorse spontanea:
-Mi spieghi che diavolo stiamo aspettando?-
-Quelli della Fondazione Speedwagon dovrebbero arrivare tra poco. Trasportano il corpo di Kakyoin.-
Quella frase cambiò totalmente l'atmosfera. Jotaro non disse assolutamente nulla, ma si limitò a buttare le ceneri e sputare un po' di fumo. Suo nonno però, capiva benissimo che sentire il nome dell'amico l'aveva ferito, in qualche modo.
-Stava nella macchina tre, almeno mi pare...-
-Perché li stiamo aspettando?-
Il tono di Jotaro era così freddo mentre pronunciava quella domanda... Joseph lo guardò, preoccupato.
-Dobbiamo cercare l'indirizzo dei genitori e dare loro la...-
-Non era abbastanza che Polnareff abbia insistito per seppellire Iggy... Ora anche questo?-
-Capisco che tu sia arrabbiato e ne hai tutti i diritti! Ma qualcuno dovrà pur dirglielo prima o poi o lasceremo che credano che il figlio sia scappato di casa per tutta la loro vita?-
Jotaro morse la sigaretta prima di buttarla a terra ancora a metà, irato. Joseph era un po' preoccupato: suo nipote era famoso per essere una testa calda. Jotaro aveva il fiato corto mentre cercava di controllarsi.
-Non possono pensarci quelli dell'SPW?-
-Ma certo che lo faranno! Non sto dicendo che dobbiamo essere noi a dirglielo, anche perché sarebbe inappropriato.-
-E allora caso chiuso. Torniamo a casa che ho fretta di mettere via la valigia...-
"Certo... Non è come se tu stia morendo dalla voglia di vedere come sta tua madre..."
Pensò Joseph con sarcasmo.
-Stavo pensando che, però, potevamo almeno andare a fare le condoglianze...-
-Non esiste.-
Jotaro cominciò ad incamminarsi verso casa da solo, faticando a trascinare la valigia per via delle ferite. Suo nonno gli urlò appresso:
-Devi affrontare l'idea che non ci sono più, Jotaro!-
Il ragazzo si fermò sul posto.
-Lo so che è dura. Credimi, lo so bene. Ma mi stai dicendo che preferiresti saltare il funerale del tuo amico solo perché non vuoi accettare l'idea che sia morto?-
Feriva anche solo dirle quelle parole, ma Joseph non voleva che suo nipote passasse quello che aveva passato lui nel 1939. Per fortuna che sua moglie, sua nonna, sua madre ed i suoi amici gli erano rimasti accanto, ma Jotaro era diverso: probabilmente non avrebbe mai ammesso che gli mancavano per paura di risultare debole e avrebbe affrontato da solo la loro perdita, finendo schiacciato da quel peso psicologico e rifiutando ogni tipo di aiuto. Infatti, come aveva previsto Joseph, ciò che disse Jotaro dopo fu:
-Lui non era mio amico.-
Il vecchio sospirò tristemente e lo raggiunse, trascinandosi dietro i suoi due bagagli.
-Jotaro. Ascoltami.-
Prese un gran respiro.
-Lo so. Non vuoi rivederlo in quel modo. Prima pensavo saresti svenuto in macchina...-
Jotaro se lo ricordava bene: dopo aver visto com'era ridotto Iggy aveva fatto la stupida richiesta di vedere il cadavere di Kakyoin e se n'era pentito con tutto se stesso. Non se lo sarebbe mai più dimenticato...
-Ma dobbiamo farlo. Anche se è triste... Erano comunque quarantotto giorni insieme...-
Il ritmo del respiro di Jotaro cambiò per un secondo, ma nascose la sua espressione sotto il cappello.
-Gli siamo debitori. Anche ad Avdol. E ad Iggy. L'idea di seppellirlo di Polnareff è stata carina: non avremmo potuto lasciarlo nella mansione di DIO, o sbaglio?-
Al solo sentire il nome di DIO, Jotaro fulminò il suo stesso nonno con un'occhiataccia. Il sangue di Joseph gli si gelò nelle vene.
-Io vado a casa. Tu fai un po' il cazzo che ti pare!-
Disse lo studente con un tono secco prima di andarsene definitivamente. Joseph lo guardò mentre se ne andava.
-Jotaro... Non puoi nascondere i tuoi sentimenti a me o a tua madre. Sappiamo che c'è più di semplice orgoglio dietro le tue parole. Vuoi che il mondo non veda come ti senti davvero perché sei convinto che così i tuoi sentimenti ed il dolore che ne consegue scompariranno, ma così ti stai solo distruggendo...-
L'uomo diede un'altra occhiata al suo orologio.
-Deve essere stato uno shock. I suoi primi veri amici...
Sono finiti così.-
.....
Ohi personcine belle
Grazie per aver cominciato a leggere questa fanfiction che è 80% depressione, 18% wholesome e 2% combattimenti (sì, ci saranno anche quelli e decisamente più seri di quello di questo capitolo)
Spero sinceramente che la storia vi piaccia, io mi ci sto impegnando molto a scriverla
Inoltre pregherei tutte le persone che shippano Jotakak o che non supportano questa ship di andare a rompere le scatole da un'altra parte se proprio vogliono, oppure leggono senza commentare
Grazie ancora per l'attenzione
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