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L'incubo: parte 1

Mi avvio lentamente tra gli alberi. Non so dove sto andando, eppure sento che qui intorno qualcosa non quadra. Mi si rizza il pelo sulla schiena. Mi accuccio e striscio sull'erba, silenzioso.
Entro in un cespuglio di more e mi affaccio dall'altra parte: c'è una radura di terra, con vari punti verdeggianti sparsi irregolarmente. Annuso l'aria: non c'è nessuno. Il mio istinto mi dice di uscire allo scoperto, nonostante non sia sicuro. Sono combattuto, ma alla fine decido di uscire, soprattutto per calmare i miei baffi vibranti.
Mi guardo intorno. Tutto è silenzioso, troppo silenzioso. Non c'è niente di normale quaggiù.
Torno a guardare in avanti e sobbalzo dalla sorpresa: dove prima non c'era niente, ora c'è un gatto rosso, adulto. Per un secondo ho la certezza di vedere me stesso nel futuro. Poi mi riscuoto e sento le zampe afflosciarsi. "Papà?"
ZannadiMetallo mi guarda con dolcezza. Scuote la coda, facendo cenno di avvicinarmi.
Riesco lentamente a scuotermi dalla sorpresa, e muovo una zampa, posandola davanti a me.
Poi accade l'impensabile: il terreno sotto le mie zampe inizia a riempirsi di crepe, circondano mio padre. La terra che lo regge si stacca da quella su cui mi trovo io, e inizia a fluttuare in alto e ad allontanarsi.
Mio padre si affaccia dal terreno, gli occhi strabuzzati dal terrore. "Figliolo!" grida.
"Papà!" rispondo.
Non penso e inizio a correre all'impazzata, tanto che potrei tenere testa a un gatto del Clan del Vento. Mi avvicino alla punta del terreno fluttuante e faccio un balzo. Inficco gli artigli alla terra e mi tengo stretto mentre tutto trema e vengo trasportato in aria. Alzo lo sguardo per incrociare lo sguardo di papà, ma lui non c'è più.
Con tutta la forza di volontà sgancio gli artigli di una zampa e li conficco più in alto, poi ripeto l'azione con gli altri tre arti e inizio a salire. Alle volte la terra lancia degli scossoni e perdo la presa di una zampa, o perdo terreno scivolando all'indietro.
"Papà!" urlo alle volte, sperando in una sua risposta. Ma niente.
Arrivo in cima e mi accascio a terra per riprendere fiato. Papà è in mezzo al pezzo di terra, e non è solo: una gatta chiara si sta avvicinando di soppiatto alle sue spalle, gli artigli sguaiati.
Sto per avvertirlo, quando il terreno inizia a ribaltarsi. Scivolo all'indietro e per poco non cado. Conficco gli artigli nella terra e cerco di tirarmi su.
La gatta è vicina a mio padre.
"No!" grido.
C'è un lampo. Strizzo gli occhi per non rimanerne accecato. Quando la luce scompare e riapro gli occhi, scopro di trovarmi nel bel mezzo di un acquazzone.
Il terreno inizia a diventare fango e la presa degli artigli si fa meno sicura.
Riesco a tirarmi su e a tenere l'equilibrio sulla base pendente. Mio padre, al contrario, sembra non subire la gravità, e continua a rimanere ben dritto come se la terra fluttuante non si fosse inclinata.
La gatta dietro di lui, sporca di fango e con un sorriso sadico sul muso, è molto inquietante.
"Dietro di te!" grido, arrampicandomi verso di lui.
Papà si volta e solo in quel momento si accorge della nemica, così prova a scappare, ma il fango lo sta lentamente risucchiando. "Aiutami!"
"Arrivo!" Continuo ad arrampicarmi.
Poi la terra fluttuante cambia verso d'inclinazione. Approfitto del momento per raggiungere a saltelli papà. Quando sono abbastanza vicino, e il terreno torna a farsi in pendenza, conficco gli artigli anteriori nel terreno e lascio penzolare le zampe posteriori. "Papà!" gli indico la coda.
Lui l'afferra delicatamente con i denti, mentre il fango perde la presa sulle sue zampe, che iniziano a penzolare.
La gatta, intanto, sta cadendo nel vuoto, lanciando un miagolio di vendetta.
Torno ad arrampicarmi e papà mi imita. Arriviamo in cima, fradici.
Non facciamo in tempo a scambiarci due parole che c'è uno scossone di terremoto talmente forte da farmi cadere. Papà è caduto come me, scaraventato lontano.
Di nuovo la terra s'inclina, più velocemente del solito. Faccio in tempo a tenermi stretto per non cadere, ma papà non è abbastanza veloce. Dall'alto, lo vedo cadere, passandomi accanto. Allungo una zampa per afferrarlo, invano. "No!" grido disperato.
Osservo il gatto che mi somiglia tanto cadere. Le lacrime mi pungono gli occhi. Sento le zampe dolermi e presto dovrò mollare la presa. Così accade, e seguo mio padre in caduta libera.
Atterro con un tonfo sordo in una radura: è il campo del Clan del Sangue, ma non c'è nessun gatto. Solo mio padre, sdraiato inerme poco più in là, e la solita gatta che gli si avvicina con un ghigno malefico.
Mi alzo di scatto, nonostante sia dolorante, e le corro incontro. "Lascialo stare!" urlo.
La gatta m'ignora e alza una zampa artigliata, pronta a colpire ZannadiMetallo.
"No!" continuo a ringhiarle.
Nello stesso momento in cui la zampa cade su papà, io salto addosso alla nemica, e poi un altro lampo.
Riapro gli occhi lentamente e tremando. Ha smesso di piovere, e il sole sta tramontando. La terra è tornata normale.
Mi volto e vedo mio padre che mi osserva con orgoglio. "LucediFuoco."
Scatto verso di lui e lo raggiungo in in secondo. Mi coccola la testa e io mi struscio contro il suo petto. "Papà..." mormoro.
"Grazie, per avermi salvato."
"Ma io non ti ho salvato. Tu non ci sei più." dico con un nodo in gola, mentre le lacrime sgorgano dagli occhi "StellaCandida ti ha ucciso."
Lui mi lecca. "È vero. Però non devi disperare per questo. Non sei solo. Hai degli amici e una famiglia."
"Vorrei che fossi con me."
"Io sono con te. Anche se non mi vedi."
Tiro su col naso. "Non è esattamente la stessa cosa."
Mi strofina il naso contro.
"StellaCandida ha attaccato la nostra famiglia." dico, quasi ringhiando "Io ti vendicherò..."
Papà abbassa le spalle. "Non provare vendetta, figliolo. Ti fa sembrare più simile ai tuoi nemici."
Ma io lo ascolto poco. Tremo ripensando al ghigno malefico di StellaCandida. Non la passerà liscia...

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