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Capitolo 20

Finalmente sono riuscito a arrivare fin sopra il tetto dell'edificio, e davanti a me si staglia un meraviglioso panorama, con la città addormentata e le montagne sullo sfondo, che con la luce del mattino hanno assunto un particolare colorito rosato, come se siano fatte di un qualche strano minerale sconosciuto. In tutto questo spicca il sole, rovente anche a quell'orario, che mi scalda col tepore dei suoi magnifici raggi rosati.
Mi siedo sul cornicione, con le gambe penzoloni nel vuoto, e comincio a riflettere.
Cerco di mettere ordine in quello che sentivo, ma onestamente tutte le mie elucubrazioni finiscono quasi sempre con l'essere totalmente inutili. Come posso mettere ordine dentro di me, se so che ogni volta che incrocio i miei occhi con i tuoi tutto quello che faticosamente riesco a costruire si sarebbe disfatto, sparpagliandosi al suolo come la sabbia all'arrivo dell'onda?
Sono così scombussolato da quando ti ho rincontrato. Niente è stato capace di smuovermi di dosso quella maschera di durezza che in quei due lunghi anni mi sono messo addosso con la forza: nè il ricordo di mia madre, nè l'amicizia con Shouto, nè il rincontro col mio maestro, che considero quasi come un secondo padre.
Ma poi sei arrivato tu, e con un solo sguardo hai buttato giù tutte le mie sicurezze.
Basta davvero solo questo per farmi crollare? Sono davvero così inerme di fronte a te? Anche tu provi quello che provavo io, oppure in questi anni sei stato capace di dimenticarmi?
Dai tuoi occhi sembrava di no.
Mi stupisco io stesso del fatto che stia piangendo. Non ne ho motivo, ma ormai sono diventato così imprevedibile persino per me che non me ne importa più di tanto. Lascio solo che le lacrime cadano giù  nel vuoto sotto di me.
Una dopo l'altra.

Non saprei dire dopo quanto tempo, fatto sta che improvvisamente odo un fruscìo provenire dalla porta e giro di scatto la testa.
Dovevi proprio venire qui, Kacchan? Non ti basta vedere in che stato sono?
Quei maledetti occhi vermigli mi squadrano con aria interrogativa mescolata a una punta di stupore e, appena percepibile, un filo di paura.
Ti ridesti un secondo dopo, per poi ribattere con tono furioso:
" Che ci fai qui, Deku? Vedi di sparire, sono già incazzato di mio. Non c'è bisogno che tu peggiori la situazione. "
Mi asciugo in fretta le lacrime, per poi ribattere con la voce ancora rotta dal pianto:
" I-io non me ne vado, Kacchan. "
Tu mi guardi stupito, per poi assumere una posa minacciosa, provocando piccole esplosioni col sudore dei tuoi palmi.
" Ti sembra questo il modo di rivolgerti a me? "
" Non sono più il tuo burattino, Kacchan. E non ti permetterò più di trattarmi come tale. "
" AH? DA QUANDO SEI DIVENTATO COSI' CORAGGIOSO, DEKU? NON SEI ALTRO CHE UNA PICCOLA MERDINA, E TU LO S-" Ti avvicini a me, urlando come tuo solito, ma in una manciata di secondi mi posiziono davanti a te, per poi prenderti il braccio destro e inchiodartelo dietro la schiena, mentre con la faccia assapori il duro pavimento del tetto.
" Ormai non sono più il Deku che conoscevi allora. Sono cambiato e sono diventato più forte. "
" MA CHE CAZZO DICI? DEKU DI MERD- "
" Per favore, PER FAVORE, vattene. "
A questa mia domanda, che di per sè suona più come un' imposizione, ammutolisci di colpo; probabilmente notando il mio cambiamento di tono.
" Che cazzo ti prende? "
" Ti importa? "
" Se devo andarmene, stupido nerd, vorrei almeno sapere il motivo. Non che mi freghi, non fraintendere. "
" Come no.  " Sbuffo, per poi allentare la presa sul tuo braccio. Tu ti rialzi per poi toglierti la polvere dai pantaloni. Appena poso lo sguardo sul tuo corpo, notando che indossavi solo i pantaloni militari e una canottiera nera attillata che mette in risalto i tuoi addominali scolpiti, mi sento pervadere da uno strano calore e sono costretto a distogliere lo sguardo, mentre le mie gote si tingono di rosso.
" Che hai? " Ribatti con tono seccato.
" Nulla. "
Rimaniamo in silenzio qualche secondo, uno di fronte all'altro, e alla fine ti siedi con uno sbuffo sul bordo, con le gambe nel vuoto.
" Come sta tua madre? "
" Cosa c'entra adesso ? " Mi stai prendendo in giro, forse? Che cosa mai potrebbe fregartene di mia madre?
Tu non dai ascolto alle mie parole e continui a parlare, mentre la brezza ti scompiglia i capelli.
" Mi ricordo che lei cucinava sempre la crostata di fragole per noi due. Era buona. Tornavamo a casa tutti sporchi e sudati, ma lei non ci diceva mai nulla. "
Il tuo sguardo vaga per il paesaggio, per poi soffermarsi sul punto più lontano, sull'orizzonte.
" Allora, come sta tua madre, sfigato? "
Mi siedo di fianco a te, ancora imbarazzato.
" Non la vedo da due anni, da quando abbiamo cominciato l'addestramento. Adesso non sono nemmeno sicuro che sia ancora viva. Non mi stupirei se l'esercito l'avesse già giustiziata. " Mi stringo nelle spalle, sopraffatto dalla tristezza.
Tu mi guardi, per poi inveire contro di me, questa volta sottovoce.
" Oi, Deku. "
"Mh? "
" Tu sei stato nei sotterranei, non è così? "
" Sì. " Annuisco.
" Hai visto quello che abbiamo e per cosa lottiamo. Hai visto che cosa l'esercito fa a tutti quei stracazzo di civili e tu vuoi mollare la spugna così? Se fossi tua madre e ti vedessi così ti prenderei a calci in culo. "
" Kacchan! "
" Che cazzo vuoi? "
Nelle tue parole c'è scherno, certo, ma capisco che quello è il tuo modo di incoraggiarmi. Uno strambo metodo di Kacchan per farmi sentire un suo pari, e per farmi capire che in fondo tiene un po' a me, solo che non sa come dirmelo. Per la prima volta, anche se indirettamente, sta mostrando per primo i suoi sentimenti. E' come se mi avesse battutto per la prima volta nella mia specialità. Questo pensiero mi rende così immensamente felice che fatico a trattenere le lacrime. Stai maturando, Kacchan.

" G-grazie. "

Giurerei di vederti arrossire leggermente, ma è solo un attimo. Improvvisamente ritrovi la tua espressione scontrosa di sempre.
" Ora vado. Ricorda: se provi a scappare considerati un uomo morto. Non ci saranno All Might che tengano. "
" Lo so, non preoccuparti. "
" E chi si preoccupa? "
Te ne vai sbattendo forte la porta, lasciandomi di nuovo solo coi miei pensieri, ma con un peso in meno sul cuore.


" Dabi-kun, quanto manca alla base segreta? "
Toga e il suo compagno si erano accampati dentro quella che doveva essere stata un vecchio asilo lasciato lì, abbandonato al tempo. La ragazza prese un peluce tra le mani. Era molto vecchio, ma il suo pelo non era ancora del tutto impolverato e si riconosceva abbastanza bene la figura di un orsacchiotto, con grosse zampe marroni e due occhi di bottone. Fece un sorrisetto, prima di estrarre con un gesto repentino un coltellino dalla tasca dell'uniforme e tagliargli di netto la testa.
" Secondo i miei calcoli siamo a meno di due chilometri. "
" Yuppi! Questo significa che possiamo attuare il piano! Non sto più nella pel- "
" Stai calma. " Ribattè il ragazzo, mentre controllava il suo semiautomatico. "  Almeno sai che cosa devi fare? "
" Ma certo che lo so, Dabi-kun! Ho ripassato il piano durante tutto il viaggio! "
" Hai portato il sangue, almeno? "
" Ovviamente! " Con gesto zelante la ragazza tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una boccetta contenente un liquido di un rosso intenso.
" Yukki Yamada, diciassette anni. Uccisa questa notte sul campo di battaglia. I nemici non sanno che sia morta. La crederanno dispersa quando arriverò io! "
Dabi tirò fuori un piccolo congegno elettronico, simile a un piccolo contenitore rettangolare con un orologio sulla cima e numerosi fili e cavi.
" Ti ricordi dove va piazzata la bomba, vero? "
" Non preoccuparti, Dabi-kun! Toga Himiko non sbaglia un colpo quando c'è di mezzo il sangue! "
Detto questo la ragazza ingurgitò il contenuto della boccetta. Improvvisamente tutto il suo corpo si riplasmò e in una manciata di secondi al posto del sottotenete Toga davanti a Dabi si palesò un ragazza dal lunghi capelli neri raccolti in uno chignon scomposto.
La ragazza prese la bomba alle mani del giovane, prima di rivolgergli un cenno di saluto e sparire nelle prime luci del mattino.
Quando ebbe oltrepassato la soglia Dabi estrasse una minuscola radiolina, che appoggiò su di una sedia. La accese e mandò al Generale un singolo, breve messaggio.
" Siamo partiti. "



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