Capitolo 40 - Special needs (Pt. 1)
Continuava a muovere la gamba ritmicamente, picchiettando il piede a terra con nervosismo. Pietro voltò gli occhi verso la finestra, tenuta chiusa nonostante fuori ci fosse sole: era una bella giornata, quella, soleggiata come non se ne vedevano da un po'. C'era ancora freddo, il tipico clima ancora invernale dell'inizio di febbraio, ma per essere le sette della mattinata il sole sembrava già essere alto.
La vibrazione del suo cellulare lo fece girare di scatto, abbassando gli occhi sul display del telefono, già pronto a scoprire chi gli avesse scritto stavolta. Per un attimo credette di vedere sul serio il nome della persona che stava sperando fosse: era stato un attimo fugace, una certezza che gli aveva reso il battito del cuore accelerato. Era bastato chiudere e riaprire le palpebre per rendersi conto che era stata solo un'allucinazione.
Il nome di Gabriele lampeggiava sul display, un messaggio da parte sua con i soliti auguri di compleanno che Pietro stava ricevendo sin dalla mezzanotte di quella mattina. Non ricordava nemmeno chi fosse stato il primo a scrivergli: forse Erika, anche se non ne era sicuro.
Per un attimo ebbe la tentazione di lanciare il telefono sul pavimento, ma cercò di resistere all'impulso: si ributtò sul letto, lungo disteso, piuttosto consapevole che se avesse continuato così avrebbe fatto tardi e perso la corriera. Non che gliene importasse molto, arrivato a quel punto.
Il cellulare, da qualche parte sul materasso, vibrò ancora una volta; Pietro non gli si avvicinò, non subito: gli ci volle almeno qualche minuto prima di decidersi ad allungare una mano e leggere chi fosse l'ennesimo mittente.
Rimise il telefono sul letto un attimo dopo, ancora una volta deluso.
"Forse non si ricorda nemmeno del mio compleanno".
Sospirò pesantemente a quel pensiero: d'altro canto sarebbe stato logico arrivare a quella conclusione. Non avevano mai festeggiato insieme nessun suo compleanno. Non c'era motivo per cui proprio lui avrebbe dovuto ricordarsene.
Cercò di non sentirsi troppo demoralizzato: in fin dei conti diciannove anni non erano nulla di che. Non era un traguardo come i diciotto, o un nuovo decennio come per i venti. E d'altra parte anche il giorno del proprio compleanno non era nulla di speciale: era un giorno come un altro, monotono e difficile come tutti i precedenti e come tutti i giorni che sarebbero seguiti.
E poi, continuò a chiedersi imperterrito, che senso aveva aspettare gli auguri di compleanno da una persona che non vedeva da più di sette mesi?
Pietro sbuffò tra sé e sé, disilluso e ferito.
"Potrei scrivergli io".
Per un secondo si chiese se avrebbe avuto senso farlo. Certo, quella sera avrebbe festeggiato in una pizzeria di Piano Veneto, e c'erano alte probabilità che poi lui e gli altri invitati si sarebbero spostati verso il centro del paese per andare ad infilarsi in qualche locale.
Per quanto ne sapeva, c'era il rischio di incrociare Alessio.
Ricordò che, tecnicamente, se mai gli avesse fatto una domanda del genere di punto in bianco, Alessio avrebbe avuto tutto il diritto di domandargli da dove sbucasse fuori Pietro e tutto quel suo improvviso interesse. D'altro canto, anche lui non si era mai fatto vivo in sette mesi.
Pietro si girò di fianco, abbracciando il cuscino e combattendo contro la voglia di lasciarsi andare ad un pianto nervoso.
C'erano così tante cose che avrebbe voluto dirgli, così tante che molto probabilmente non gli sarebbe mai bastato un messaggio per poterle includere tutte.
Forse, si ritrovò a pensare, cercare di reprimere tutto e continuare ad ignorare la loro distanza come se nulla fosse non era stata l'idea migliore. Non se, nella mattina del suo compleanno, si ritrovava in quello stato.
Sarebbe stato facile afferrare il telefono; un po' meno lo sarebbe stato iniziare a scrivergli qualcosa.
Si rese conto che sarebbe stato solo patetico iniziare un messaggio con un laconico "Mi manchi", o un altrettanto troppo semplice "Mi dispiace che sia finita così tra noi".
Troppo patetico, troppo.
Rimase sdraiato ancora per minuti che gli parvero durare in eterno, la tentazione di afferrare di nuovo il telefono che se ne andava a poco a poco, la rassegnazione che prendeva il posto della volontà che l'aveva animato poco prima.
*
La serata era limpida e fredda esattamente come Pietro se l'era aspettata: nessuna nuvola che minacciava pioggia, solo il cielo stellato e la temperatura che faceva venir voglia di non uscire affatto di casa.
Aveva seguito l'esempio di Filippo: nulla di troppo clamoroso per festeggiare. Gli era bastata una semplice cena con pochi amici, in una pizzeria non troppo distante dalla stazione di Piano.
-Allora, come ci si sente ad essere così vecchio?- Alberto lo afferrò improvvisamente per le spalle, stritolandogliele in un modo che fece venir voglia a Pietro di girarsi e scrollarselo malamente di dosso.
Erano le dieci di sera, ed era anche il momento del dolce: una candela accesa si stagliava in cima al profiteroles che Pietro non vedeva l'ora di assaggiare. Oltre ad Alberto gli si erano riuniti intorno tutti gli altri, schiamazzando. Era un bene che la pizzeria, durante la settimana, non fosse particolarmente affollata e che il loro tavolo fosse in ogni caso piuttosto distanziato dal resto della sala.
-Vuoi che ti presti delle stampelle?- proseguì Alberto, causando qualche risata in Filippo e Gabriele, seduti di fronte a Pietro – Sai ... Ormai l'età avanza. Potrebbero tornarti utili-.
-Le stampelle le lascio volentieri a te, Gabbani- Pietro si voltò indietro verso l'altro, guardandolo il più malamente possibile. Lasciò perdere Alberto, voltandosi verso Erika, seduta di fianco a lui e impegnata a trattenere a stento una risata: le dette un veloce bacio a stampo, prima di tornare a concentrarsi sulla torta.
Soffiò sulla candela, spegnendola al primo colpo: solo allora partirono l'applauso e gli schiamazzi dal resto della tavolata. Pietro si sforzò di sorridere: stava festeggiando il suo compleanno, con i suoi amici, la sua ragazza, e non c'era nulla che poteva voler di più di quanto quella serata già gli stava offrendo.
Cercò di soffocare il ricordo delle prime ore di quella stessa mattina in quella convinzione.
-Hai già un'idea su dove andare a passare il resto della serata?-.
Pietro alzò gli occhi su Caterina subito dopo aver ingoiato l'ultimo pezzo di torta che gli rimaneva nel piatto. Quella domanda poteva apparire piuttosto casuale, ma il tono studiato che Caterina aveva usato non gli era del tutto passato inosservato. La guardò per alcuni secondi in silenzio, osservandola mentre, dall'altra parte del tavolo, gli rivolgeva un sorriso tutt'altro che smaliziato.
Per un attimo ricordò le parole che lei e Nicola gli avevano rivolto una settimana prima, al Caffè della Piazza: quella era solo l'ennesima prova che avessero in mente qualcosa di piuttosto specifico per lui.
-L'improvvisazione è l'idea migliore- alzò le spalle, indifferente – Magari eviterei solo il Babylon-.
Aveva pensato a lungo, quella mattina, a cosa sarebbe potuto succedere se si fossero davvero presentati là, magari di fronte ad Alessio. Era giunto alla decisione che andare al Babylon e incrociarlo, senza mai avergli scritto una singola volta in sette mesi, non era l'idea migliore di sempre.
Giulia, seduta accanto a Caterina, sbuffò sonoramente:
-Non l'avrei mai detto che non avresti voluto andare là- disse con tagliente ironia, senza nemmeno alzare gli occhi su di lui.
Lo sguardo di Erika, invece, Pietro se lo sentì incollato addosso. Non si girò verso di lei, ma poteva scommettere che lo stesse fissando incuriosita, a tratti confusa.
Se voleva chiedergli qualche delucidazione, però, non fece in tempo: Nicola prese la parola un attimo dopo.
-Puoi stare tranquillo- disse, con calma – Durante la settimana di solito non suonano dal vivo-.
Pietro si strinse nelle spalle, ancora poco convinto nonostante l'assenza di esitazioni nel tono di Nicola:
-Ne sei sicuro?- chiese ancora.
Nicola annuì subito:
-Lo sono-.
Pietro per un attimo si ritrovò quasi a voler cedere. D'altro canto, se gli altri volevano andare là, non poteva fermarli: la maggioranza vinceva sempre.
-In ogni caso noi abbiamo un'idea su dove andare- la voce di Filippo lo distrasse da quei pensieri. Pietro arcuò un sopracciglio, incuriosito:
-Spara- lo incitò, ma da Filippo ricevette solo un ghigno astuto ed un silenzio piuttosto eloquente.
-Tu non lo scoprirai fino a quando non saremo arrivati- fece Giulia, immediatamente. Per un attimo Pietro credette di aver capito male o di essersi perso un passaggio.
-State scherzando, spero- mormorò, spostando lo sguardo su tutti i suoi amici, uno alla volta. Dalle loro espressioni capì che no, non stavano affatto scherzando.
Caterina non fece altro che confermargli quella sensazione:
-Per niente- schioccò la lingua, il sorriso divertito che le si allargava sulle labbra – Proprio per niente-.
L'aria fuori dalla pizzeria era fredda come se fosse tarda notte. Pietro alzò gli occhi al cielo, osservando le stelle che ne ricoprivano il manto blu: era una bella serata, limpida come non succedeva da tempo.
-Sei nervoso, per caso?- la voce di Erika lo costrinse a riportare gli occhi su di lei. Si stavano incamminando tutti verso le auto, pronti a spostarsi verso il centro del paese – verso il posto a cui Caterina aveva alluso fino a quel momento, senza mai lasciarsi scappare un singolo dettaglio a cui Pietro poteva appigliarsi per provare ad indovinare.
-Cosa te lo fa pensare?- chiese di rimando ad Erika, stringendole la mano in una presa un po' più salda. Mancavano pochi metri alle auto di Filippo e Nicola: le avrebbero usate entrambe, dividendosi, per il breve viaggio.
Erika gli lanciò un ghigno malizioso:
-Ti sta sudando la mano- lo prese in giro, senza nemmeno sforzarsi per trattenersi dal ridere. Pietro sbuffò sommessamente, scuotendo il capo.
Erika non aveva tutti i torti, e quel che più lo infastidiva era che non c'era un reale motivo per sentirsi agitato: la sua era solo una sensazione irrazionale, che però non riusciva a scrollarsi di dosso da quando erano usciti dalla pizzeria.
Pietro si avvicinò allo sportello posteriore dell'auto di Nicola, la più vicina a lui: l'auto era stata appena aperta, e non attese oltre per salirci. Non appena aprì lo sportello si sentì tirare indietro da due mani che lo avevano afferrato per i vestiti.
-Non provare a salire subito!- Giulia gli urlò addosso, mantenendo la presa e impedendogli di fare qualsiasi mossa – Prima devo coprirti gli occhi-.
Pietro si girò indietro verso di lei, per quanto gli fosse possibile:
-Seriamente?- sbottò, ad occhi sgranati.
Si girò intorno, cercando di attirare l'attenzione di qualcun altro: nessuno stava facendo caso allo scambio di battute tra lui e Giulia, come se fossero tutti perfettamente a conoscenza del particolare del dover essere bendato.
-Molto seriamente- Giulia lasciò andare la presa solo per mettersi a rovistare brevemente nella propria borsa – Avanti, girati-.
Pietro prese un sospiro profondo prima di farlo, soffocando le imprecazioni che avrebbe rivolto volentieri a Giulia. La vide tenere in mano un pezzo di stoffa nero, molto probabilmente ciò che avrebbe usato per bendarlo.
Si morse il labbro inferiore, innervosito, ma non sottraendosi alla morsa di Giulia.
NOTE DELLE AUTRICI
Nuovo capitolo, e nuovo focus su Pietro. La mattina del suo compleanno porta più dubbi del previsto, e Pietro ancora non sembra aver capito se le sue scelte siano state le migliori.
La serata prosegue invece con qualche sorpresa: dove lo staranno conducendo i suoi amici? Magari la risposta sará nella prossima parte, che uscirà mercoledì prossimo!
Kiara & Greyjoy
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