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Capitolo 30 - Let Down (Pt. 3)

Cinquantatré ore e quarantun minuti.

Era difficile tenere la mente distratta quando non poteva fare altro che aspettare che smettesse di piovere, senza riuscire a muovere un piede fuori dalla sua stanza da più di due giorni.

C'era un silenzio inquieto che aleggiava negli ambienti della casa, Alessio riusciva a palparlo: era una calma talmente falsa, superficiale e fragile, che ne poteva percepire la temporaneità.

Aveva iniziato a piovere la sera precedente, senza più smettere. Cominciava a pensare che, prima o poi, tutta Villaborghese si sarebbe ritrovata sott'acqua, immersa nelle acque sporche del canale straripato per la troppa pioggia caduta.

"Forse non sarebbe male come prospettiva".

Continuò a fissare il cielo plumbeo che si intravedeva dalla finestra della sua camera, ignorando deliberatamente il suo cellulare che, ogni tanto, continuava a squillare da sabato pomeriggio. Era sicuro che Caterina non avrebbe demorso, nemmeno di fronte al suo silenzio: aveva continuato a scrivergli tutto il weekend, senza arrendersi. Un po' le invidiava quella forza di volontà che doveva averla spinta a non ignorarlo.

Era la stessa forza di volontà che a lui era mancata da quando aveva saputo di Riccardo.

Cinquantatré ore e quarantré minuti.

Non c'erano più dubbi sul fatto che non sarebbe tornato. Forse era un bene: quello era stato il periodo più lungo in cui non c'era stato alcun litigio in casa. Un vero record, quello lo doveva riconoscere.

"Perché mi sento così?".

A quella domanda aveva preferito non rispondere.

Contrasse il viso in una smorfia, quando il cellulare prese a squillare all'improvviso; si costrinse a spostare almeno gli occhi, lanciando un'occhiata indifferente al display acceso del suo telefono, lasciato mollemente sul materasso accanto a lui.

Caterina non demordeva affatto, e forse non l'avrebbe fatto fino a quando non avrebbe ricevuto un segno, anche il più piccolo.

Alessio sbuffò nervosamente, mentre allungava una mano verso il telefono, si metteva a sedere ed accettava quella chiamata che sperava di concludere il più in fretta possibile.

-Prima che tu dica qualsiasi cosa- Caterina non lo salutò nemmeno, non fece nulla di quello che Alessio si era aspettato – Sappi che sono in corriera e sto venendo da te-.

Per un attimo temette di non aver capito bene.

-Cosa?- mormorò, laconico, passandosi una mano sugli occhi e chiedendosi se fosse solamente un incubo in cui era rimasto intrappolato troppo a lungo.

-Spero che tu non finga di non essere in casa per non aprirmi- proseguì Caterina, duramente – Ti scrivo quando sono quasi arrivata-.

Richiuse la chiamata senza lasciare ad Alessio nemmeno il tempo di replicare. Rimase immobile per qualche secondo, il telefono ancora accostato all'orecchio ma la linea che dava segnale a vuoto.

Gli ci vollero altri secondi per metabolizzare che Caterina stava venendo lì, per vedere lui, per parlargli; per un attimo ebbe la tentazione di uscire davvero di casa per non farsi trovare, ma non si mosse nemmeno di un millimetro.

"Che sarà mai perdere un altro po' di dignità?".

Attese il suo messaggio rimettendosi sdraiato sul suo letto, gli occhi ancora rivolti alla finestra e alla pioggia incessante che continuava a cadere.








Caterina fece il suo ingresso con il fiatone, l'ombrello appena richiuso e completamente zuppo, ed un'espressione stampata in viso che Alessio non riuscì a decifrare. Era un misto di preoccupazione e rabbia, ma si rese conto che, in fin dei conti, forse era solo lui che rischiava di specchiarsi in chiunque altro si ritrovasse davanti.

Quando gli arrivò di fronte, non appena richiusa la porta d'ingresso dietro di sé, Caterina rimase a guardarlo per qualche secondo, studiandolo e facendolo sentire sotto esame.

-Ciao- mormorò infine, mentre lasciava l'ombrello sul tappeto dell'ingresso.

Alessio, le braccia incrociate contro il petto e gli occhi ancora gonfi che gli bruciavano, si schiarì la voce:

-Ciao a te-.

Non aveva parlato per tutta la mattina, e la sua voce gli parve roca e afona come se, invece, avesse passato ore ed ore ad urlare.

Caterina avanzò di qualche passo, tenendogli sempre gli occhi addosso:

-Sono arrivata in un momento sbagliato?-.

Alessio si trattenne a stento dal dirle che, se proprio voleva saperlo, avrebbe fatto meglio a non venire proprio, e che se proprio dovevano parlare di momento sbagliato, forse uno giusto non sarebbe arrivato prima di un bel po' di tempo. Si limitò a sbuffare, sciogliendo quella postura rigida e dandole le spalle per condurla nel salotto.

-No, non c'è nessuno in casa- le rispose invece, indifferente. Sua madre sarebbe rientrata dal lavoro solo alla sera, e sua sorella Irene aveva preferito fermarsi da un'amica dopo la scuola, piuttosto che tornare subito lì. Alessio non riusciva a darle torto per quella scelta.

-Se devi dirmi qualcosa puoi farlo- proseguì, tornando a voltarsi verso Caterina. La vide sedersi esitante sul bordo del divano, a disagio: sembrava costantemente sull'attenti, forse sorpresa per la piega che quella conversazione aveva preso sin dagli albori. Alessio non ricordava un altro momento in cui si erano parlati con così tanto distacco come in quel momento.

-Non sei venuto a scuola stamattina, vero?- gli chiese, le mani giunte in grembo e stringendosi nelle spalle. Alessio scosse il capo, decidendo di rimanere in piedi di fronte a lei:

-No- rispose laconicamente, abbassando per un attimo lo sguardo – Non stavo molto bene-.

Era una bugia solo a metà: non aveva avuto la forza di alzarsi dal letto, quel lunedì mattina, né sua madre aveva provato ad insistere. Era semplicemente rimasto lì, ingabbiato in pensieri che lo facevano sentire incapace di fare qualsiasi cosa.

Caterina annuì gravemente, torturandosi le mani:

-Anche nei giorni passati non sei stato bene?-.

Quella era una domanda che sottintendeva ben altro, e stavolta Alessio non riuscì a reprimere una smorfia infastidita. La guardò a lungo, in silenzio, prima di non riuscire più a trattenersi:

-Che sei venuta a fare qui?-.

Non cercò nemmeno di nascondere il nervosismo nella voce. Non gli importò nemmeno di rendere così palese la sua rabbia nell'averla lì:

-Perché sei venuta qui senza neanche avvertirmi?-.

Caterina esitò, forse presa alla sprovvista da quel cambio repentino d'atteggiamento:

-Perché mi avresti detto di stare a casa- mormorò, più risolutamente di quel che Alessio si sarebbe aspettato – Anzi, non credevo nemmeno mi avresti risposto quando ti ho chiamato dieci minuti fa-.

-Sei venuta qui a dirmi questo?- Alessio la interruppe, la voce venata di sarcasmo amaro – A lamentarti perché non ti ho risposto?-.

Sapeva che la stava ferendo in quel modo, glielo leggeva negli occhi: c'era rabbia e sorpresa nello sguardo di Caterina, e quella sorta di dolore tipico di chi si vede rifiutato.

Forse era proprio quello che stava cercando di fare, quello che voleva: ferirla per vederla andarsene e rimanere finalmente di nuovo solo, senza doversi preoccupare di chi potesse vederlo in quello stato.

-Ero preoccupata- Caterina lo guardò dritto negli occhi, alzandosi lentamente dal divano – Lo siamo tutti-.

Sapere che qualcuno avesse notato il suo malessere lo fece innervosire ancor di più:

-Esattamente di che cazzo siete preoccupati?-.

Si avvicinò pericolosamente a Caterina, guardandola nel modo più truce che gli era possibile. Non aveva urlato, non aveva nemmeno accennato ad alzare la voce, ma sapeva comunque di averla ferita più che se l'avesse fatto: la vide sbiancare in volto, interdetta come non mai. C'era un silenzio che aleggiava nella stanza che si stava facendo troppo pesante, che toglieva quasi il respiro.

Alessio dovette lottare contro la voglia di percorrere a lunghi passi il corridoio ed uscirsene fuori in giardino, sotto la pioggia, e gridare a pieni polmoni tutta la frustrazione.

-Ti abbiamo visto in corriera sabato- azzardò Caterina dopo almeno in minuto in cui non aveva accennato a dire nulla – Ci hai ignorati, e ci sembrava che tu non stessi bene-.

Alessio si ritrovò quasi ad odiarli, quelli che ormai considerava a tutti gli effetti suoi amici. Razionalmente sapeva che avrebbe dovuto almeno dimostrarsi riconoscente, ma era più forte di lui: sembrava così difficile riuscire a far capire a chiunque che voleva essere lasciato stare.

-E poi nemmeno venerdì ti sei fatto vedere- proseguì Caterina, con più risolutezza.

Alessio la guardò freddamente ancora una volta:

-Non sono cazzi vostri-.

Si sentì sporco, nell'usare contro di lei quella calma aggressiva nell'attaccarla. Gli sembrava di stare a sentire suo padre, e il senso di rigetto che provò a quel pensiero gli fece venir voglia di vomitare.

-Alessio ... -.

Caterina provò ad allungare una mano verso di lui, ma si sottrasse in fretta, facendo qualche passo indietro e stavolta fuggendo davvero a passi veloci lontano dal salotto.

Quando si rese conto che Caterina non demordeva, seguendolo, si girò ancora una volta verso di lei, la voce alterata dalla rabbia e dal dolore:

-Non ti ho chiesto io di venire qui, e non ho chiesto io di parlare con qualcuno!- le urlò, sentendo gli occhi che cominciavano a bruciare pericolosamente – Non ho chiesto niente a nessuno-.

Non attese altre risposte. Sperò, mentre risaliva le scale per arrivare alla sua stanza, che Caterina capisse l'antifona da sola e se ne andasse.

Non gli parve di sentire la porta d'ingresso aprirsi, ma non vi badò più di tanto: l'unica cosa che fece fu sbattere la porta della sua camera e andare a sedersi sul bordo del letto, prendendo lunghi respiri per cercare di reprimere le lacrime già accumulatesi agli angoli degli occhi.

Gli girava pericolosamente la testa, e per qualche secondo pensò di essere sul punto di svenire.

Inspirò ancora una volta, lentamente, chiudendo gli occhi e cercando di recuperare almeno in parte la calma persa.

Sentiva il cuore battergli velocissimo contro il petto, i respiri che faticavano a regolarizzarsi e la vista ancora appannata.

Fu in quel momento di silenzio disordinato e confuso che sentì, distintamente, Caterina bussare piano alla sua porta.

-Ho capito che non mi vuoi parlare, ma non c'è bisogno che mi tratti così-.

Parlò in un misto di sofferenza ed ira tale che ad Alessio parve davvero di rivedersi in lei.

-Volevo solo sapere che ti stava succedendo, se stavi bene- la sentì proseguire, al di là della porta chiusa, la voce incrinata – Forse non sarei dovuta venire qui, è vero, ma l'ho fatto solo per te-.

Non aggiunse altro, il silenzio che era tornato a regnare come qualche attimo prima.

Alessio riaprì gli occhi a fatica, voltandosi verso la porta chiusa al di là della quale Caterina forse doveva ancora essere lì, in attesa. Si ritrovò a sperare, per la prima volta da quando era giunta lì, che non fosse davvero già andata via.

"Non posso essere anche io come lui".

Si alzò talmente velocemente dal suo letto da rischiare di perdere quasi l'equilibrio; imprecò sottovoce, mentre riapriva la porta di scatto.

Caterina se ne stava davvero andando: aveva quasi imboccato la tromba delle scale, ma si bloccò non appena avvertì la porta venire aperta. Non si voltò, nemmeno quando Alessio le si avvicinò.

Non aveva mai trovato fastidioso il contatto fisico con gli altri, ma in quel momento anche solo allungare una mano verso di lei gli sembrò un gesto enorme, faticoso: le posò piano una mano sulla spalla, sentendola tremare impercettibilmente.

-Scusa-.

Lo sussurrò appena, ma era sicuro che Caterina lo avesse udito: allungò a sua volta una mano per coprire la sua, appoggiandola sul suo dorso.

-Non dovevo reagire così- Alessio si morse il labbro inferiore, la voce che rischiava di incrinarsi ad ogni parola.

Quando Caterina si voltò indietro, verso di lui, vide gli occhi lucidi e le sue guance umide: si sentì così tanto in colpa da non riuscire nemmeno a mantenere quel contatto visivo.

-Non sono tua nemica-.

No, non lo era, Alessio lo dovette ammettere.

-Lo so- le rispose, a mezza voce.

Caterina lo guardò gravemente per alcuni secondi, prima di prendere un sospiro profondo:

-E sai anche che se vuoi parlare io ci sono-.

Gli si avvicinò di qualche passo, continuando a parlare a bassa voce:

-Non devi sempre tenerti tutto dentro-.






NOTE DELLE AUTRICI
Eccoci tornate in questo inizio di fine settimana con un dialogo non facile da descrivere. In questo momento Alessio sembra, per ovvie ragioni, non essere la persona più aperta al dialogo, ma è proprio questa chiusura e questo silenzio a preoccupare i suoi amici. Caterina sta provando in tutti i modi a comunicare con lui, trovando più volte un muro di fronte a sè... Riuscirà prima o poi ad abbatterlo? E Alessio riuscirà finalmente ad aprirsi con qualcuno e non tenersi tutto dentro?
A mercoledì prossimo con il finale del capitolo!

Kiara & Greyjoy

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