Capitolo 40 - Running from my shadow (Pt. 1)
Well, you almost had me fooled
Told me that I was nothing without you
Oh, but after everything you've done
I can thank you for how strong I have become
'Cause you brought the flames and you put me through hell
I had to learn how to fight for myself
And we both know all the truth I could tell
I'll just say this is I wish you farewell
(Kesha - "Praying")*
"-La cosa assurda è che in realtà mi sei mancato. Non abbiamo più parlato perché io ... Perché io non ho lasciato che succedesse. Perché avevo paura di te, e di quella parte di me che sei tu-.
-Perché parliamo adesso?-.
-Perché se c'è una parte di te in me, deve esserci una parte di me in te-." - Mr Robot.
Nonostante fosse quasi sera il sole estivo non sembrava intenzionato a calare. La finestra aperta non dava alcun sollievo, e ad Alessio non era rimasto altro che afferrare una scartoffia sulla sua scrivania e sventolarsela addosso, cercando un po' di refrigerio momentaneo.
Lavorare il 14 di Agosto era letteralmente un'agonia, persino per lui, che del suo lavoro adorava ogni aspetto, dal più noioso a quello più creativo. Doveva resistere ancora poco: ancora dieci minuti e poi si sarebbe potuto alzare dalla sedia del suo ufficio fin troppo accaldato, pronto a rimettersi in auto ed andarsene verso Venezia; poteva risparmiarsi ore di straordinario il giorno prima dell'inizio delle ferie di Ferragosto.
Gli ultimi minuti passarono con l'inerzia tipica degli ultimi attimi del quotidiano lavoro, più lenti di tutte le altre otto ore. Alessio controllò un'ultima volta l'ora sul display del cellulare, prima di spegnere il computer ed alzarsi definitivamente, con un sospiro di sollievo. Ignorò le pieghe che si erano formate sulla camicia, arrotolandosi meglio le maniche fino ai gomiti; recuperò tutte le sue cose sparse sulla scrivania, prima di uscirsene dall'ufficio con un sospiro di sollievo misto a stanchezza.
Percorse con passo lento il corridoio che l'avrebbe condotto prima all'hall dell'azienda e poi fino al parcheggio. Non c'era quasi nessuno oltre a lui: gran parte degli impiegati e dei programmatori avevano preferito prendersi l'intera settimana di ferie. Alice gli aveva rinfacciato diverse volte di non aver fatto lo stesso: poco era cambiato che Alessio avesse cercato di spiegarle che, se voleva ottenere una qualche promozione il prima possibile, più lavorava e meglio sarebbe stato.
Salutò gli ultimi colleghi rimasti, senza però fermarsi a parlare con nessuno di loro, conscio che ad Alice avrebbe fatto comodo vederlo tornare a casa quanto prima. Su quel punto, perlomeno, non poteva darle torto: non doveva essere facile rimanere tutto il giorno con un neonato appresso, per quanto Christian si fosse rivelato un bambino piuttosto calmo.
Rallentò appena il passo in prossimità della hall, quando udì diverse voci parlare tra di loro con toni alti. Gli sembrò di non riconoscerne nessuna, segno che dovevano appartenere a gente di qualche altra azienda venuta lì per chissà quale motivo.
Si pentì di essere arrivato lì in quell'esatto momento nell'attimo in cui, percorrendo gli ultimi metri del corridoio, si ritrovò di fronte ai padroni di quelle voci. Si ritrovò ad essere sorpreso, quasi amareggiato, nel rendersi conto di non aver riconosciuto nemmeno la voce dell'unica persona che, tra tutte le presenti, conosceva fin troppo bene.
Alessio si bloccò a metà strada, incapace di continuare a camminare, gli occhi sgranati e il respiro che cominciava a farsi sempre più irregolare. Per un attimo pensò, sperò, che fosse solo un qualche miraggio dovuto al caldo; dovette ricredersi il secondo dopo, quando incrociò gli occhi neri di Riccardo, posatisi su di lui, probabilmente sentendosi troppo osservato.
Potevano essere passati anche cinque anni da quando l'aveva visto l'ultima volta, ma suo padre non era cambiato molto. Solo i capelli erano ormai più brizzolati che neri, il viso forse più asciutto di come lo ricordava. Conservava la stessa sicurezza di sempre, dritto nel suo gessato grigio: in quell'istante, osservandolo, Alessio quasi si vergognò del suo volto tirato e stanco per tutte le nottate in bianco per gli strilli di Christian, della sua camicia stropicciata e dei capelli ormai lunghi fino alle spalle.
Era sicuro che, se non avesse mosso un passo, Riccardo non gli si sarebbe mai avvicinato. Continuava a guardarlo, nemmeno troppo sorpreso – o forse era solo lui piuttosto bravo a dissimularlo-, e a parlare con un collega che gli stava di fronte.
Quell'ennesima mancanza di interesse spinse Alessio a fare quello che, in qualsiasi altra situazione, non avrebbe avuto il coraggio di fare: mosse il primo passo verso Riccardo, arrivandogli a qualche metro di distanza in meno tempo di quel che si sarebbe aspettato.
Fu solo quando gli fu di fianco che Riccardo sussurrò qualcosa sbrigativamente al collega per accomiatarsi, e voltarsi verso il figlio.
-Che ci fai qua?-.
Alessio se ne fregò di essere in mezzo a tanta altra gente. Probabilmente in molti dovevano essersi girati a lanciargli qualche occhiata, altri dovevano ancora stare a fissarlo, ma non vi badò. Tenne gli occhi chiari fissi su Riccardo, di fronte a lui, la stessa espressione enigmatica di sempre.
Ora che lo aveva più vicino poteva notare qualche ruga in più a solcargli il viso, una ragnatela di segni intorno agli occhi scuri.
Riccardo si sistemò la cravatta con un gesto veloce, sospirando profondamente:
-Affari di lavoro-.
Non sembrava intenzionato a sbottonarsi più di tanto, ma aggiunse subito:
-Non sapevo lavorassi qua-.
Ad Alessio venne quasi da ridere: era abbastanza sicuro che, invece, Riccardo fosse tutt'altro che sorpreso di vederlo lì. Doveva essergli giunta voce, nell'arco di un anno intero, che suo figlio fosse stato assunto dalla sua stessa ex azienda.
-Ci sono tante altre cose che non sai oltre a questa- gli dette corda, senza soffermarsi sulla questione.
Riccardo si lasciò andare ad un ghigno finto:
-Non ne dubito-.
Ad Alessio venne voglia di correre via il più veloce possibile, ma si costrinse a rimanere. Aveva ripensato a suo padre così spesso negli ultimi mesi che stentava quasi a credere che ora fosse veramente lì di fronte a lui, dopo cinque anni lunghissimi in cui di lui non aveva avuto nemmeno la minima notizia.
Ora che lo aveva lì gli tornarono in mente tutti i motivi per cui non gli era mai mancato in tutto quel tempo: lo sguardo ermetico, le poche parole che pronunciava, la vena di sufficienza nella voce che non veniva mai a meno. Potevano anche passare mille anni, ma era sicuro che Riccardo non sarebbe mai cambiato.
-Hai da dire solo questo?-.
Si sentì estremamente patetico mentre gli rivolgeva quelle parole, ed era solo l'inizio. Si pentì amaramente di aver continuato quella conversazione quando anche il ghigno sulle labbra di Riccardo si gelò:
-C'è altro che dovrei dire?- gli rispose, la finta sorpresa ad accompagnare quella domanda.
Alessio sentì talmente tanta rabbia crescere che dovette faticare a non urlargli in faccia.
-Sono passati cinque anni dall'ultima volta che mi hai visto- iniziò, un sorriso amaro ed ironico a distendergli le labbra – Magari un "come stai?" sarebbe gradito. Sai, è semplice buona educazione, non per forza una dimostrazione d'interesse verso l'altro-.
Se quelle parole colpirono Riccardo non riuscì a capirlo: restò silenzioso per qualche secondo, osservando Alessio dall'alto in basso per tutto il tempo.
-Sembri passartela bene- commentò infine, alzando un sopracciglio.
-Anche tu- Alessio gli restituì lo stesso sguardo – Forse con una tinta ai capelli staresti anche meglio-.
Suo padre rise appena – una risata che ad Alessio parve talmente finta da risultare fastidiosa-, mentre continuava a squadrarlo. Per un attimo, talmente veloce che gli parve quasi di esserselo solo immaginato, ad Alessio sembrò di scorgere un velo di tristezza negli occhi neri di Riccardo.
-Non sembri essere cambiato molto- gli disse infine, portandosi le mani nelle tasche dei pantaloni eleganti.
-Nemmeno tu-.
Alessio abbassò per un attimo gli occhi, esitante forse per la prima vera volta da quando avevano iniziato a parlare. Non aveva mai davvero preso in considerazione l'idea di rivedere Riccardo, non entro breve tempo. Ritrovarselo lì di fronte era anche l'occasione per chiedergli un confronto, anche solo qualche parola su come si era sentito lui quando era diventato padre, ed era anche l'occasione per affrontare le ombre che l'avevano inseguito per tutti quei mesi.
Quello che stava venendo meno, in quel momento, era la forza di chiederglielo ad alta voce. Si sentiva le iridi scure di Riccardo addosso: non era una sensazione a cui era abituato. Lo metteva a disagio, come se di fronte a lui non ci fosse nulla a poter coprire le sue vulnerabilità.
-Ti devo parlare- mormorò a mezza voce, dopo quasi un minuto di silenzio.
Vide Riccardo strabuzzare gli occhi, sorpreso sul serio:
-Di cosa?-.
-È una storia lunga- rispose Alessio, sbrigativamente. Sperava che Riccardo gli dicesse di vedersi un altro giorno, lontano da lì: gli serviva tempo per mettere insieme i pezzi e cercare di dare una logica ai suoi pensieri che l'avevano accompagnato per così tanto tempo. Dubitava moltissimo che sarebbe riuscito a parlare sul serio, così su due piedi.
Riccardo dette un'occhiata all'orologio che portava al polso, prima di tornare a guardare Alessio:
-Temo di non potermi fermare ora-.
"Meglio così".
Alessio annuì, cercando di nascondere il proprio sollievo:
-Vivi sempre a Padova?-.
Non aveva idea di dove vivesse adesso suo padre: poteva essersi trasferito anche dall'altra parte del mondo, e lui ne sarebbe comunque rimasto all'oscuro. Davanti al lento annuire di Riccardo, però, si rese conto che, in fin dei conti, in cinque anni non era davvero cambiato granché.
-Che io sappia, sì- gli rispose semplicemente.
Alessio si morse il labbro inferiore, rimanendo in silenzio per qualche secondo prima di avanzare la proposta che aveva da fargli. Era l'insicurezza a frenarlo, la paura di vedersi rifiutare – di nuovo, per l'ennesima volta- e non sapere come reagire di fronte a quell'eventualità.
-Possiamo vederci lì un altro giorno?- chiese infine, a mezza voce – Non te lo chiederei se non fosse importante-.
Gli era sembrato quasi necessario aggiungere quella precisazione, come se fosse fondamentale fargli sapere che, in qualsiasi altra situazione, non si sarebbe mai nemmeno sognato di chiedergli una cosa simile. Riccardo non lasciò trasparire nulla di ciò che poteva star pensando, rimanendo fermo all'espressione inflessibile che aveva mantenuto la maggior parte del tempo.
*il copyright della canzone appartiene esclusivamente all'artista e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Ormai siamo giunti ad agosto inoltrato e, con il calore che caratterizza questo mese, arriva anche il penultimo capitolo di Walk of Life - Growing
Decisamente più inaspettato è l'incontro che Alessio ha avuto in queste righe. Un incontro, quello con il padre, che può essere definito propizio e che, volente o nolente, fa riemergere vecchi dubbi che il biondo aveva avuto nei mesi scorsi.
Quella di oggi poteva quindi essere l'occasione perfetta per avere, una volta per tutte, una conversazione con Riccardo, ma l'occasione è stata rimandata a data da destinarsi.
Il "buon" Riccardo ci darà la grazia di parlare con il figlio, o il povero Alessio riceverà un due di picche?
Diteci la vostra nei commenti in vista del prossimo appuntamento di venerdì!
Kiara & Greyjoy
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