Capitolo 34 - In my feelings (Pt. 1)
Aveva smesso di piovere da poco, ma l'aria era ancora impregnata dell'odore della pioggia. Le luci dei lampioni di Venezia erano l'unica fonte luminosa che interrompeva la distesa di cielo plumbeo della notte.
Nicola richiuse la finestra del piccolo salotto dell'appartamento, cercando di non far troppo rumore e senza sbattere i vetri. Aveva aperto la finestra unicamente per controllare che non si fosse messo addirittura a nevicare, e pur rimanendo con il naso fuori solo per pochissimo, ora lo sentiva comunque intirizzito.
Si avviò con passo stanco verso la camera da letto, dove Caterina aveva lasciato accesa solo la lampada sul comodino. Prima di arrivare alla meta, si fermò sulla soglia della camera di Francesco, la porta tenuta socchiusa e la persiana che lasciava filtrare un po' di luce dall'esterno.
Pur nella semioscurità, riusciva a distinguere il profilo addormentato del figlio, nel suo lettino, un peluche stretto tra le braccia. Nicola si lasciò sfuggire un sorriso intenerito: gli sembrava quasi impossibile che in un anno Francesco fosse già cresciuto così tanto.
Solo un anno prima, in quella stessa data e a quell'ora della sera, lui e Caterina si trovavano in ospedale, a qualche ora dal parto. Ricordava ancora abbastanza bene com'era stata logorante quell'attesa, e anche quanto gli tremassero le gambe e le braccia la prima volta che aveva tenuto Francesco in braccio. All'epoca lo vedeva minuscolo, fragile e pronto a rompersi letteralmente tra le sue mani.
Quando era nato tutti avevano avuto l'impressione che Francesco avesse ereditato per la maggior parte i tratti di Nicola: ora, ad un anno di distanza, il sospetto si era tramutato in certezza. Francesco rideva sempre quando Nicola gli scompigliava i capelli biondi e mossi, e Caterina non perdeva mai occasione per sottolineare quanto avessero un sorriso simile. Cercava sempre di non darlo a vedere, ma un po' di orgoglio nel vedere suo figlio così tanto somigliante a lui un po' lo sentiva.
Da Caterina, invece, aveva ereditato unicamente il colore degli occhi. Niente iridi azzurre: dopo i primi mesi dalla nascita, si erano scurite sempre di più, fino ad arrivare al castano scuro ed espressivo di sua madre.
Erano parecchie le cose che in un anno erano cambiate, e nonostante la fatica che in certi momenti lo portavano quasi all'esasperazione, Nicola non poteva dirsi che felice. Sentiva la serenità anche in momenti simili, in cui prima di andare a dormire si fermava sulla soglia della camera di Francesco, ad osservarne il profilo da distante.
-Ecco dov'eri-.
Nicola sussultò appena: preso dai suoi pensieri, non aveva nemmeno sentito i passi felpati di Caterina. Era già vestita per andare a dormire, il viso dall'aria assonnata. Sembrava piuttosto stanca: nonostante l'inizio dello svezzamento, e le ore decisamente aumentate per riposarsi la notte, Caterina aveva comunque le giornate sempre piene. Non era sempre facile nemmeno per lei.
-Stavo cominciando a domandarmi dove fossi finito- proseguì lei, accostandosi a sua volta alla porta, lanciando un'occhiata all'interno – Sta dormento?-.
-Tranquillo e beato- le rispose a bassa voce Nicola, sorridendo.
Caterina gli si avvicinò, posando il capo contro la spalla di Nicola, ed intrecciando le dita della mano con le sue. Se ne rimasero in silenzio per un po', prima che Caterina parlasse di nuovo:
-Sembra strano pensare che tra qualche ora compirà già un anno, no?-.
-Già. Almeno quest'anno sarà una notte più tranquilla -.
Difficilmente Nicola si sarebbe scordato com'erano state le prime ore del 5 gennaio 2018. Non credeva di essere mai stato più nervoso in vita sua; nulla a che vedere con quella serata.
Lui e Caterina si erano ritagliati quel venerdì sera per festeggiare da soli con Francesco il suo compleanno. L'avevano fatto in anticipo, almeno di qualche ora, ma avevano preferito così; la vera festa, in ogni caso, sarebbe stata il giorno dopo, con Giulia, Filippo, Alessio, Alice, Pietro e Giada a cena.
Anche Caterina sembrava essere in preda ai ricordi dell'anno prima: strinse un po' di più la mano di Nicola, sospirando con malinconia.
-Però quella dell'anno scorso non la dimenticheremo mai- disse infine, alzando il viso verso quello di Nicola. Nonostante la stanchezza e la difficoltà dell'ultimo anno, Caterina sembrava serena.
Nicola le sorrise di rimando, venato da una punta di malizia:
-Magari ci saranno altre notti che ricorderemo per lo stesso motivo-.
L'occhiataccia che gli rifilò Caterina subito dopo lo fece ridere inevitabilmente. Non aveva previsto una battuta del genere, ma gli era venuta spontanea: forse cominciava addirittura a prenderci gusto, nell'immaginarsi in futuro con altri figli, oltre a Francesco.
-Con calma- replicò Caterina, incrociando le braccia contro il petto, con cipiglio severo – Per ora goditi il primo compleanno del tuo primogenito-.
-Va bene- Nicola fece un passo verso di lei, portandole le mani sui fianchi con lentezza calcolata – Però nel frattempo potremmo tenerci in allenamento-.
Non l'aveva detto con sensualità calcolata, né con premeditazione: gli era venuto naturale, guardando Caterina con i capelli scomposti ricaderle sulle spalle, e trattenendo a stento la voglia di baciarla.
Lei sembrò piuttosto spiazzata: lo guardò dapprima sorpresa, poi con sguardo fintamente minaccioso. In realtà Nicola sapeva bene che stava cercando di trattenersi dallo scoppiare a ridere.
-Allenamento? Lo chiami allenamento, adesso?- gli chiese, facendo un passo indietro. Non riuscì comunque a scappare dalle mani di Nicola, che in un gesto veloce l'aveva attirata di nuovo a sé.
-Potrei chiamarlo così, in effetti-.
Risero assieme, mentre lui la sollevava di peso, mentre si dirigeva verso la loro camera. Nonostante quello fosse l'anniversario di una nottata che era stata fin troppo lunga e difficile, in quel momento Nicola si sentiva solamente felice, mentre sentiva risuonare tra le mura del corridoio le risate divertite di Caterina.
*
Continuava a picchiettare il piede a terra, insistentemente. Pietro si portò un'altra volta la sigaretta alle labbra, aspirando e buttando fuori il fumo. Nemmeno le sigarette sembravano sortire un buon effetto: si sentiva agitato esattamente quanto prima.
Prese il telefono in mano, guardando l'ora sul display: ormai non gli rimaneva più molto tempo, e di lì a poco avrebbe dovuto incamminarsi verso casa di Caterina e Nicola.
Forse non sarebbe venuto.
Ripensò un'altra volta a quella possibilità, tutt'altro che improbabile. D'altro canto non vedeva Fernando da due mesi, e lui non avrebbe avuto alcun motivo per volerlo vedere dopo tutto quel tempo passato in silenzio.
Pietro si guardò attorno, furtivo: gli aveva chiesto di raggiungerlo in una piccola piazza di Venezia, nella zona di Dorsoduro. Aveva preferito non andare direttamente a casa di Fernando: troppi ricordi che gli avrebbero riportato alla mente la breve sensazione di libertà che aveva respirato lì, con lui, prima di scoprire che era solo l'ennesima illusione. Preferiva vederlo in un luogo neutrale, totalmente slegato da ricordi troppo dolorosi.
A quell'ora di sera non c'era molta gente in giro, pur essendo sabato. Rimase a fissare ogni passante, attento a scorgere tra loro Fernando, ma per l'ennesima volta non lo riconobbe in nessuno di loro.
Non sarebbe venuto.
Pietro lasciò andare la sigaretta, ormai finita, a terra, pestandola nervosamente. Era stato uno stupido a pensare che avrebbe accettato di rivederlo così, senza una spiegazione o un buon motivo per farlo. Era stato uno stupido in tutti quei due ultimi mesi, in cui aveva rotto qualsiasi contatto con lui quasi a forza, per impedirsi di avere ripensamenti e dire tutto a Giada in ogni caso.
Si girò intorno per un'ultima volta, già pronto ad andarsene. Fu solo allora che notò una figura dai capelli castani e la barba a coprirgli le guance venirgli incontro. Si bloccò sul posto, chiedendosi se quella fosse solo un'allucinazione dovuta alla speranza, o fosse veramente Fernando in carne ed ossa che stava camminando verso di lui, scuro in volto e teso come non l'aveva mai visto.
Qualche secondo dopo Pietro ebbe la certezza che Fernando si era appena fermato davanti a lui, gli occhi scuri freddi e ben diversi da com'erano sempre stati quando erano insieme.
-Pensavo non saresti venuto-.
Pietro aveva la voce arrocchita per essere rimasto troppo a lungo in silenzio nel freddo di gennaio. Cercò di dissimulare il nervosismo, ma seppe sin da subito di risultare tutt'altro che convincente: gli tremava appena la mano che teneva fuori dalla tasca del cappotto, e continuava a non riuscire a restare con le gambe ferme.
-Sono rimasto indeciso fino all'ultimo- rispose Fernando, indifferente. Teneva le mani fuori dalle tasche del cappotto pesante, lungo i fianchi, e Pietro intravide una fasciatura che copriva l'intero dorso della sua mano sinistra. Poteva essere nulla di che – una semplice scottatura, e non sarebbe stato nulla di insolito per uno che si dilettava così spesso in cucina come Fernando-, ma il solo rendersi conto di non saperne nulla, di vedere Fernando ferito ed esserne rimasto inconsapevole, gli fece provare un vuoto all'altezza del petto.
-Che hai fatto a quella mano?- gli chiese, a mezza voce.
Fernando scrollò le spalle:
-Non è niente- liquidò semplicemente la questione. Era strano vederlo così freddo, si rese conto Pietro: Fernando poteva essere appassionato, entusiasta, furioso o triste ... Ma l'indifferenza era la cosa che più si allontanava da lui, e che meno gli si addiceva. Era anche la cosa che più gli faceva male: avrebbe preferito sentirlo urlare, piuttosto che vederlo così controllato e distante.
Fernando rimase fermo immobile, le labbra serrate e tutt'altro che intenzionato a cedere per primo. Pietro gli leggeva l'ostinazione in faccia: non avrebbe parlato fino a quando non sarebbe stato lui a fare la prima mossa. D'altro canto, glielo doveva: era Pietro a dovergli delle spiegazioni, non il contrario.
Il senso di colpa si fece più presente, più sottile: si insinuava negli ultimi ricordi che aveva di Fernando, degli ultimi istanti che avevano condiviso prima di dividersi.
Erano stati anche gli ultimi istanti di libertà che Pietro aveva vissuto, nell'ingenua illusione che le cose sarebbero potute migliorare sul serio.
-Mi dispiace-.
Abbassò lo sguardo, tirando su con il naso. Si sentiva un idiota, oltre che un pezzente: cosa poteva farsene Fernando di scuse così squallide?
Non c'erano scuse giustificabili per chi aveva scelto di essere un codardo senza remore.
Fernando lo guardò ancora una volta con la stessa freddezza di prima:
-Per cosa?-.
-Per tutto-.
"Sono patetico".
Pietro non riuscì a reprimere quel pensiero. Si stava rendendo ridicolo, e il problema era che l'aveva voluto lui: era lui che aveva scritto a Fernando una settimana prima per chiedergli di parlare. Fernando aveva smesso di cercarlo a poco a poco nel corso di dicembre. Alla fine Pietro non era stato nemmeno sicuro di trovarlo lì, pronto ad ascoltarlo.
-Sei consapevole che non ti basterà dire questo, vero?- per la prima volta da quando era arrivato, un filo di rabbia contorse i lineamenti del viso di Fernando – Sono mesi che rifiuti di vedermi, e dispiegarmi perché. Voglio una spiegazione che sia decente-.
NOTE DELLE AUTRICI
Questo nuovo capitolo si apre con un lieto evento: il primo compleanno di Francesco! Il primo pargolo dei "magnifici 6", infatti, cresce giorno per giorno, capitolo dopo capitolo.
Le emozioni sono tante e qualcuno, un biondino di nostra conoscenza, sembra voler ipotizzare, in un futuro non ben collocato, di voler fare la doppietta, venendo però fermato da Caterina.
Il cambio di scena ci porta poi in compagnia di Fernando e Pietro. Quest'ultimo, a quanto pare, aveva evitato l'amico per ben due mesi... cosa potrebbe mai andare storto?
Cosa succederà ora tra i due? Pietro riuscirà finalmente ad essere sincero e a rivelare cosa lo ha tenuto lontano tutto questo tempo, oppure i suoi piani andranno miseramente a rotoli?
Per scoprirlo dovete pazientare un po' più del solito: a causa di impegni personali, infatti, l'aggiornamento di venerdì salta, ma torneremo più cariche che mai mercoledì prossimo!
Kiara & Greyjoy
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