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Capitolo 46 - What if (Pt. 3)

E giro il mondo, e chiamerò il tuo nome per millenni

E ti rivelerai quando non lo vorrò più

E non adesso qui, su questo letto

In cui, tragico, mi accorgo

Che il tuo odore sta svanendo lento

(Tiziano Ferro - "Per dirti ciao!")*

Non accese nessuna luce quando rientrò in casa. Il sole era definitivamente tramontato, lasciando posto ad un cielo che stava virando sempre più al blu della notte.

Con le persiane ancora alzate e le luci dei lampioni che entravano dalle finestre, però, riuscì ad orientarsi tra gli spazi dell'appartamento senza troppi problemi.

Alessio non aveva idea di che ore fossero precisamente: aveva camminato per un po' di tempo dopo aver salutato Martino e Lara, forse circa un'ora. Alla fine, quando si era ritrovato stanco da quel suo vagare casuale per la città, aveva deciso che era tempo di rientrare.

Venezia gli era sembrata incolore e vuota, ma mai quanto lo era quella casa in quei giorni. Non c'erano risate di bambini né la voce di Pietro a riempirla.

L'ora di cena doveva già essere passata, ma non aveva fame. Aveva mangiato poco in quei due giorni – non si sarebbe stupito di vedersi sciupato in viso, se si fosse specchiato-, ma continuava a non avere alcun appetito. Passò davanti alla cucina senza entrarci, proseguendo invece verso la stanza da letto.

Si sfilò i vestiti con gesti meccanici, lasciandoli sulla sedia all'angolo, vicino alla scrivania. La maglietta e i pantaloncini che indossava in casa erano sul letto, lasciati lì quando si era cambiato per uscire, in minuti in cui si chiedeva se andare all'associazione fosse una buona idea o meno.

"Me lo sto ancora chiedendo".

Prese a spogliarsi, in gesti inversi a quelli compiuti qualche ora prima, per rimettersi addosso i vestiti che teneva in casa. Tenne ancora le luci spente, il solo chiarore dei lampioni esterni e delle ultime scie del tramonto a non rendergli l'ambiente del tutto oscuro.

Si sentiva stanco, ma non del tipo di stanchezza influenzata dalla sonnolenza: dubitava sarebbe riuscito a chiudere occhio, se non per poche ore e per sfinimento. Era una stanchezza che si sentiva nelle membra, nelle ossa e soprattutto di cui la mente era ammantata. Era come se l'uscire per quelle poche ore gli avesse risucchiato ogni forza vitale che gli era rimasta.

Forse era davvero così. C'erano volute molte energie per non lasciarsi andare alle lacrime, quando ancora era di fronte a Martino e a Lara. Aveva rischiato di crollare quando gli avevano chiesto se ci sarebbe stata una denuncia – ad Alessio non era rimasto altro che borbottare che probabilmente ci sarebbe stata, ma che non aveva ancora avuto modo di approfondire quella questione dal punto di vista legale-, e che il vertice dell'associazione stava pensando di organizzare un incontro incentrato sull'omofobia e la violenza che le persone della comunità subivano ancora – un modo per fare sensibilizzazione approfittando di quell'episodio subito da Pietro, ed anche un'occasione per fare ammenda per non aver preso provvedimenti contro gli attacchi dei tre aggressori prima che accadesse il peggio. Su quell'ultimo dettaglio Alessio era rimasto perplesso, ma non aveva avuto la forza di ribattere alcunché. Aveva solo pensato che voleva tornarsene a casa, stendersi a letto e lasciarsi andare alle lacrime che spingevano per uscire dai suoi occhi ancora una volta.

Aveva salutato Martino e Lara poco dopo, ma non si era diretto subito a casa: si era ritrovato  vagare senza meta per le calli, senza soffermarsi a pensare a qualcosa in particolare. La vita dei veneziani e di chi era solo di passaggio stava andando avanti come se nulla fosse, e lui ne era stato testimone silente e disinteressato.

Era vero che aveva voluto tornarsene a casa, che quello era il suo rifugio, ma era anche il luogo a cui legava troppi ricordi. Era il luogo del suo dolore, dell'assenza di Pietro, e della paura che quell'assenza si sarebbe prolungata per sempre.

Quando finì di vestirsi, si lasciò crollare sul materasso, lungo disteso. Si mise sul lato che di solito occupava Pietro, quello più vicino alla finestra. C'erano ancora tutte le sue cose sul comodino accanto al letto: il suo cellulare, i suoi occhiali usati per leggere, e anche il libro che stava leggendo. Alessio osservò la copertina di Dio di illusioni, un paio d'occhiali con una lente spezzata sopra alle pagine di un libro aperto. Si sentiva molto simile a quella lente, in quel momento.

Se fosse stata una serata come le altre, Pietro gli avrebbe raccontato qualche altro dettaglio che l'aveva colpito delle pagine lette quella sera, prima di andare a dormire. Era un'abitudine che aveva preso da quando Alessio e i bambini erano andati a vivere lì: Alessio poteva anche non sapere assolutamente nulla dei libri letti da Pietro, ma gli piaceva comunque stare ad ascoltarlo nelle sue elucubrazioni e nei suoi pensieri. Sarebbe rimasto ad ascoltarlo per ore, se avesse potuto.

Quella sera, invece, c'era solo silenzio a fargli compagnia. Nessun corpo a cui stringersi o da stringere a sé, nessuna voce che mormorasse nel buio della sera.

Affondò il viso nel cuscino di Pietro, inspirando a fondo. Alessio si ritrovò spaesato nel rendersi conto che il suo profumo era più debole e meno pieno di quello che si era aspettato.

Bastò quell'unico elemento a far riaffiorare le lacrime che, fino a quel momento, era riuscito a reprimere. Si sentiva solo, così terribilmente solo da non avere la forza di fare nulla. Sapeva che avrebbe dovuto mettersi qualcosa nello stomaco, poi telefonare ad Alice per avvertirla di quel che era successo e che non se la sentiva di affrontare una videochiamata con Christian e Federica – perché c'era l'alta probabilità che gli chiedessero di Pietro, o che gli domandassero addirittura di chiamarlo per venire a salutarli, e lui non avrebbe avuto il coraggio né di mentire né di raccontare la verità-, e poi infine andarsene a dormire per recuperare forze per l'indomani. E il domani che lo attendeva sarebbe stata una giornata tutt'altro che semplice.

Non immaginava nemmeno di riuscire a fare tutto questo, o anche solo una delle azioni che avrebbe dovuto compiere.

Era schiacciato dal terrore che Pietro non avrebbe mai più rimesso piede in quella casa, dalla colpa che non riusciva a lavare via per quanto gli fosse stato detto che non era lui ad essere colpevole. Ed era anche schiacciato dalla domanda su cui si arrovellava da due giorni – come sarebbero andate le cose se non si fosse scordato di uscire all'orario pattuito.

E c'erano anche i ricordi a schiacciarlo con il loro peso, ed anche a consolarlo. Gli sarebbero rimasti solo quelli, se Pietro non ce l'avesse fatta.

Ce n'erano talmente tanti anche solo legati a quella stanza – tutti i pomeriggi passati a studiare insieme, quando erano ancora studenti, seduti alla scrivania nell'angolo, le serate trascorse a guardare film sul portatile di Pietro lunghi distesi sul letto, l'ultima volta che ci avevano fatto l'amore-, e tantissimi altri legati ad ogni angolo di quella casa.

Lasciò che quella sensazione lo abbracciasse, le lacrime che scorrevano sul suo viso e bagnando il cuscino, l'oscurità della sera che calava sempre di più.

*

Girò per i corridoi incerto, fino a quando non si trovò davanti a quello che, inequivocabilmente, era l'angolo bar interno all'ospedale. Alessio si fermò, il cuore in gola.

Non ricordava molto bene la strada per raggiungere quella zona. L'ultima volta che c'era andato risaliva a tre anni prima, quando Federica era nata, ma allora aveva comunque seguito un percorso diverso, direttamente dal reparto di Ginecologia e ostetricia. Stavolta ci si era diretto direttamente dall'entrata dell'ospedale, e con il suo pessimo senso dell'orientamento, accompagnato dall'ansia che provava, si stupiva del fatto di non essersi perso.

C'era parecchia gente, sia ai tavolini che al bancone, ma gli ci vollero solo pochi secondi prima di individuare le persone che lo stavano aspettando. Erano anni che non vedeva Alessandra e Luca, ma non erano molto cambiati: forse qualche striatura di bianco in più tra i capelli, e qualche ruga più marcata sul volto, ma per il resto erano sempre loro. I genitori di Pietro, che aveva conosciuto quando era ancora uno studente universitario e Pietro suo amico e coinquilino. Era strano anche solo il pensiero di rivederli in una veste ben diversa, anche se ne sarebbero stati inconsapevoli.

Prese un sospiro profondo, prima di farsi forza e avviarsi nella loro direzione, varcando l'entrata del bar. Lo notarono quando arrivò a pochi metri dal tavolino che occupavano, e subito Alessandra si alzò:

-Ciao, caro- gli disse, con un sorriso di cortesia, baciandogli entrambe le guance – Come stai?-.

-Potrebbe andare molto meglio- mentre si sedevano tutti attorno al tavolino, Alessio si sforzò di dare colore alla propria voce, ma non credette di esserci riuscito molto – Voi?-.

Luca scosse il capo:

-La stessa cosa-.

"Quindi estremamente male".

Prima che gli potesse venire in mente altro da dire, Alessandra venne in suo intervento:

-Vuoi ordinare qualcosa? Noi volevamo prendere un caffè, prima di andare-.

Era sottinteso che significasse "prima di andare da Pietro". Quella prospettiva lo fece sentire vuoto, ancora di più.

Aveva cercato di pensare il meno possibile a quello che quella giornata gli avrebbe riservato. Giulia e Caterina erano state di parola, e la loro compagnia lo aveva aiutato a distrarsi – almeno per un paio d'ore e solo in parte-, dal pensiero fisso di come sarebbe stato vedere Pietro in coma. Ma già da poco dopo che se ne erano andate, lasciandolo di nuovo solo, quella sensazione di disorientamento era tornata, ed era tornata ancor più prepotentemente quando Alessandra gli aveva telefonato poco prima di pranzo per dirgli che lei e Luca lo avrebbero aspettato al bar dell'ospedale, quel pomeriggio. Quella telefonata aveva reso tutto ancor più reale, e ineluttabile.

-Sono a posto così, grazie- si costrinse a borbottare Alessio – Michele e Andrea sono qui?-.

Non gli sembrava di aver visto i fratelli di Pietro da qualche parte, ma poteva non averli riconosciuti: erano passati anni dall'ultima volta che li aveva visti, e li aveva incontrati pochissime volte.

-Sono passati stamattina, adesso sono in albergo- spiegò Luca, monocorde – Abbiamo prenotato due stanze in un albergo poco distante da qui-.

-Un po' caro, ma è già tanto se abbiamo trovato posto con così poco preavviso in questo periodo dell'anno- aggiunse Alessandra.

Alessio annuì, senza riuscire a dire nient'altro. Si sentiva a disagio, con la bocca dello stomaco chiusa e un groppo alla gola che sembrava quasi impedirgli di parlare se non quando era strettamente necessario.

Passò qualche attimo prima che Alessandra si sporgesse verso di lui, posandogli una mano su una spalla con fare materno:

-Grazie per averci avvisati di quel che è successo- disse – Ci hanno telefonato anche Nicola e Filippo, ieri ... Non se la stanno passando bene neanche loro, vero?-.

Alessio scosse il capo:

-Direi di no-.

-Ma sai chi è stato? E come mai?- insistette lei.

-Io ... -.

Alessio esitò, insicuro su quanto valesse la pena raccontare e cosa evitare. Si sentiva già piuttosto inutile, piuttosto sicuro di non essere stato in grado di fare molto per Alessandra e Luca, e il pensiero di non rispondere nemmeno a quella domanda, a cui si aspettavano di dare almeno una risposta vaga, lo fece sentire ancora peggio.

-Si è trattato di sicuro di un attacco a sfondo omofobo. È un po' lunga da spiegare, ma credo che sia più una certezza che un sospetto ... - si morse il labbro inferiore, di nuovo incerto – In realtà non si sa molto altro. Ho parlato stamattina al telefono con la polizia, per la denuncia ... Non si sa ancora null'altro-.

-Capisco- Alessandra abbassò gli occhi – Ieri il medico ci ha spiegato che c'è una buona probabilità che Pietro si riprenda del tutto, senza conseguenze. Ci vorrà tempo, ma ci sono davvero buone possibilità-.

Alessio avrebbe voluto essere altrettanto positivo, ma non ci riusciva. Avrebbe voluto esserlo con tutto se stesso, ma la paura di una delusione improvvisa e di un peggioramento altrettanto imprevisto di Pietro lo terrorizzavano. Sperava con tutto il cuore di essere lui in torto, e non tutti coloro che erano sicuri che Pietro si sarebbe ripreso alla grande.

Non doveva essere l'unico a sentirsi così: la sedia accanto a lui venne spostata di colpo, e Luca si alzò in piedi subito dopo, tetro in volto.

-Vado fuori qualche minuto, prima di salire. Mi serve una sigaretta-.

Luca si allontanò senza aggiungere altro, sotto gli sguardi di sua moglie e di Alessio. Era molto diverso dalla persona sardonica e acuta con cui Alessio aveva avuto a che fare in passato, ma non poteva dargli tutti i torti: poteva solo immaginare quanto potesse essere profondo il dolore di vedere uno dei propri figli tra la vita e la morte.

"Se dovesse succedere a Christian o Federica ...".

Alessio preferì non proseguire in quel pensiero.

-È difficile vederlo così- sospirò Alessandra. Poteva riferirsi sia a Luca che a Pietro, e Alessio le avrebbe dato ragione in qualsiasi caso.

-Lo so-.

Per qualche secondo rimasero in silenzio. C'erano mille rumori attorno a loro – il chiacchiericcio delle altre persone ai tavoli e al bancone, il tintinnare delle tazzine e dei bicchieri, talvolta dei piatti e delle posate, il gracchiare ritmato della musica accesa in sottofondo-, ma erano distanti, come se non li toccassero davvero.








*il copyright della canzone appartiene esclusivamente al cantante e ai suoi autori.

NOTE DELLE AUTRICI
Nonostante un crollo emotivo non indifferente, alla fine Alessio si è fatto coraggio e il giorno dopo ha deciso di recarsi in ospedale. Non è da solo, peró: sembra, infatti, aver accettato di accompagnare i genitori di Pietro, che incontra proprio all'arrivo in ospedale.
E scopriremo nel prossimo aggiornamento di venerdì come si concluderà la conversazione con Alessandra... Oltre a scoprire come finirà questo capitolo!
Kiara & Greyjoy

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