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Capitolo 16 - Like I never loved you at all (Pt. 5)

Get back, get back to town

These city lights gonna bring us home tonight

'Cause we knew the colour of gold

So long ago, it's a story to be told

(Take That - "Into the wild")*


Mestre a quell'ora di notte era pressoché deserta, in un contrasto così visibile con il Celebrità che Pietro rimase quasi disorientato nel ritrovarsi ora in vie libere, senza nessun altro oltre a Martino in sua compagnia. Era l'una di notte di sabato sera, eppure chiunque in quella città sembrava già essere andato a dormire. Rimpianse un po' le calli di Venezia, dove quasi sicuramente avrebbero ritrovato, almeno nelle zone più alla moda, decisamente molta più gente che, come loro, aveva optato per il camminare come prosieguo della serata.

Inspirò a pieni polmoni, riempiendoseli di aria fredda. Aveva appena finito di fumare con pigrizia l'ultima sigaretta che gli rimaneva nel pacchetto comprato a inizio settimana, ed ora che aveva la gola un po' secca avrebbe bevuto volentieri un altro drink – rischiando, molto probabilmente, una mezza sbronza e un brutto risveglio la mattina seguente. Erano, però, già lontani dal Celebrità, e la via che stavano percorrendo non era illuminata da nessun bar ancora aperto.

-Ripetimi perché volevi camminare da queste parti- bofonchiò Pietro, girandosi verso Martino con sguardo pieno di sarcasmo – Mestre di notte è dannatamente deprimente-.

Martino non cedette alla sua provocazione:

-Dopo un caos come quello che ce stava al Celebrità, ce voleva un po' de calma-.

Un angolo della bocca di Pietro si alzò in un sorriso automatico. Cominciava ad abituarsi al marcato accento romano dell'altro – ed anche al suo stile decisamente appariscente. Quella sera Martino aveva deciso di sfoggiare un look quasi total blu elettrico. Non aveva tralasciato nemmeno il trucco, con gli occhi contornati da ombretti di diverse sfumature di blu e argento. Aveva destrezza, doveva ammettere Pietro, ed anche parecchia fantasia; per quel sabato aveva osato addirittura un rossetto color prugna, totalmente a suo agio e nel suo elemento.

Continuarono a camminare senza una meta precisa, lungo strade dove a malapena passava un'auto i cui fanali li rischiarava per i pochi secondi in cui li incrociava. Pietro non ne era affatto stupito: nella zona in cui si trovavano ora c'erano perlopiù aziende e uffici, di certo nulla che potesse essere aperto a quell'ora della notte. Era un'area della città che conosceva bene – o che, almeno, conosceva bene qualche anno fa. Non si stupì affatto di ritrovarsi di fronte, dopo alcuni passi, alla sede dell'università in cui lui, Alessio e Nicola avevano passato quasi ogni giorno per cinque anni, e dove tuttora Filippo continuava a lavorare come ricercatore.

-Che c'hai?-.

La voce di Martino gli arrivò lontana, mentre nella mente tornavano a fluire ricordi di una vita passata. Non erano tutti ricordi positivi o a cui si ritrovava a pensare con nostalgico rimpianto, ma erano comunque ricordi legati a quei luoghi. Ce n'erano fin troppi.

-Quando andavo all'università avevo sempre lezione in questa sede- Pietro gli rispose a mezza voce, dopo quasi un minuto di silenzio – Pare sia passata un'eternità-.

-Forse perché è passata un'eternità-.

Pietro si girò per dare un pugno leggero alla spalla di Martino, facendolo ridere. Dopo tre volte che s'incontravano, cominciava ad abituarsi pian piano al suo sarcasmo, e alle sue battute sulla loro differenza d'età. Era convinto che a Martino non facesse alcuna differenza sapere che fosse più vecchio di lui, ma non sprecava comunque ogni occasione buona per ricordargli che, a confronto dei suoi ventiquattro anni, Pietro era ormai irrimediabilmente vecchio.

-Come mai te ne sei andato da Roma?-.

Pietro era consapevole di aver posto quella domanda a bruciapelo, completamente inaspettata. Forse aveva lasciato Martino vagamente scosso e impreparato, ma quando si girò verso di lui, mentre continuavano a camminare sul marciapiede deserto, era un sorriso ironico quello che aveva stampato sulle labbra.

-Per studià, no? -.

Pietro rise appena, ma non demorse:

-Sono piuttosto sicuro che ci siano buone facoltà di architettura anche là, senza dover per forza spostarsi di mezza Italia- obiettò, chiedendosi se Martino si sarebbe chiuso in sé piuttosto che rispondere ad una domanda che, evidentemente, nascondeva molto di più – Se fossi nato a Roma non mi sarei trasferito mai-.

Pietro se l'era chiesto sin da quando, durante la seconda volta in cui si erano rivisti qualche settimana prima, Martino gli aveva spiegato di essere uno studente di architettura alla IUAV. Era fuori corso – leggermente, come si era premurato di precisare-, con gli esami finiti e con una tesi ancora da scrivere. Era a Venezia da cinque anni, da quando si era iscritto all'università, ma non si era spinto a spiegare troppo oltre. Era come se avesse preferito attenersi ai fatti generali, piuttosto che soffermarsi su certi dettagli che, però, Pietro sospettava potessero essere più incisivi.

-Lo stai dicendo solo perché non sai come vanno le cose là, in certe zone-.

Martino stava ancora sorridendo, ma ora il suo sorriso aveva preso una piega più seria, a tratti triste. C'era malinconia dipinta sul suo volto, qualcosa che Pietro non aveva mai avvertito in tutte le volte in cui l'aveva incontrato. Martino era sempre solare e divertente, pieno di energie e di vita anche nelle giornate peggiori: fu strano notare quel velo melanconico che aveva accompagnato quelle parole che si portavano dietro tantissimi significati impliciti.

Pietro scalciò via un sasso con la punta delle scarpe, preferendo guardare a terra che continuare a osservare quel sorriso disilluso.

-Beh, so che certi quartieri sono più difficili di altri- mormorò, ora con un certo imbarazzo. Si rese conto di aver parlato forse a sproposito: non sapeva molto, se non nulla, della vita di Martino a Roma. Ne sapeva già poco di quella passata a Venezia, figurarsi una vita che sembrava essere chiusa da anni.

Martino sbuffò piano, lo stesso sarcasmo amaro a venargli la voce:

-Ecco, io so' nato in uno di quelli difficili-.

Pietro non disse nulla. Stavolta non volle forzarlo, sentendosi già in colpa per averlo fatto poco prima.

-A Centocelle non è che l'ambiente sia proprio gay friendly- proseguì Martino dopo alcuni attimi di silenzio – Me ne so' preso parecchie de botte, soprattutto quando qualcuno ha capito da che sponda stavo-.

"Forse sarebbe stato lo stesso anche per me".

Pietro cercò di allontanare da sé quel pensiero. Non si era mai soffermato a pensare troppo su quante cose sarebbero state diverse se avesse potuto avere consapevolezza di se stesso già in adolescenza.

Probabilmente la sua vita al liceo sarebbe stata più difficile, avrebbe avuto meno popolarità, decisamente meno amici ... Di questo ne era sicuro perché ricordava che, più di dieci anni prima, la discriminazione e l'omofobia erano ancora peggiori di quelle odierne.

Si girò verso Martino, ora in silenzio e con lo sguardo perso davanti a sé, forse perso anche in ricordi legati a ciò che aveva appena raccontato. Quasi senza accorgersene, Pietro allungò una mano verso il suo viso, sfiorandone lo zigomo sinistro con due polpastrelli, in un tocco così leggero che si sorprese nel notare Martino girarsi verso di lui.

-Te la sei fatta in una di quelle risse?- gli chiese, sfiorando ancora una volta la cicatrice che Martino aveva proprio lì, sul punto appena toccato. Pietro ricordava di averla notata durante il loro secondo o terzo incontro: era una cicatrice piccola, a malapena visibile se non da vicino, ma non aveva potuto frenarsi dal chiedersi come avesse potuto procurarsela.

-Sì, in una delle tante- ammise Martino, alzando le spalle, prima di lasciarsi andare ad un sorriso vagamente canzonatorio – Volevo cambià aria, comunque ... Per questo sono venuto qui. Non è male, anche se voi veneti siete un po' razzistelli e pure un po' freddini-.

Pietro rise piano:

-Non siamo tutti così, però-.

"Io non sono così".

-No. Diciamo che qua più che le risse ho ricevuto occhiatacce, qualche offesa- iniziò ad elencare Martino, passandosi una mano tra i ricci rossi – Tanta gente che m'ha dato del frocio-.

Pietro si ritrovò ad annuire, il sorriso che si congelava pian piano.

-È per questo che hai deciso di fare coming out solo ora?-.

Di fronte alla domanda di Martino, si ritrovò senza una risposta precisa. Sarebbe stato semplice, almeno in parte, rispondergli che sì, non aveva mai trovato il coraggio di ammettere a se stesso di essere gay per paura delle conseguenze negative. E in un certo senso non avrebbe nemmeno mentito, perché era da quando aveva deciso di mettere piede al Celebrità la prima volta che si domandava quando sarebbe successo – quando sarebbe arrivato il primo insulto, il primo finocchio urlato, le prime occhiate malevole, le prime minacce-, quando avrebbe iniziato a subire il trattamento che sembrava dedicato a chiunque non rientrasse nella sicura classe dell'eterosessualità e dell'essere cisgender.

Sarebbe stato più semplice e più veloce, e sincero per certi versi, ma non sarebbe stato tutto. E per una volta in vita sua voleva essere sincero con qualcuno sin da subito.

-È un po' più complicato di così-.

Anche se non poteva vederlo ora, sapeva che Martino lo stava guardando confuso:

-Del tipo?-.

Pietro si morse il labbro inferiore, agitato. L'ultima volta che ne aveva parlato era stato con Fernando, anni prima, senza mai più farne parola con nessun altro.

Ora c'era Martino ad affiancarlo, con i suoi ventiquattro anni e il suo spirito libero, la voglia di essere se stesso senza nascondersi mai. Si chiese se l'avrebbe giudicato, almeno un po', per quello che gli avrebbe raccontato di lì a pochi attimi.

Ma poi ricordò la prima sera al Celebrità, quando era stato proprio Martino a rappresentare un'ancora di salvataggio, una bussola per guidarlo in quell'ambiente così sconosciuto. Martino non l'aveva giudicato allora, né in qualsiasi altra occasione, desideroso solo di ascoltarlo.

Sentiva che poteva fidarsi, che anche se si conoscevano da poco la sua presenza nella sua vita era già importante, e quella consapevolezza lo spinse a parlare senza morire dalla paura.

-Mi ci son voluti anni anche solo per ammetterlo a me stesso-.

Lo mormorò a mezza voce, consapevole che Martino, questo, doveva già saperlo.

-E nel frattempo stavo già con la mia ex- proseguì a raccontare, nel silenzio della notte – Poi quando stavo per lasciarla, ha scoperto di essere incinta-.

-Cazzo, che tempismo-.

-Già- Pietro quasi rise al commento sommesso di Martino, perché erano esattamente le parole giuste per descrivere ciò che gli aveva appena detto – Quindi siamo rimasti insieme, e abbiamo avuto anche un altro figlio-.

-E poi che è successo per farti cambiare idea così de botto?-.

Pietro avrebbe voluto poter fumare un'altra sigaretta, ma ricordava che aveva già fumato l'ultima poco prima.

"Fernando. È successo Fernando".

Si morse di nuovo il labbro.

Non era ancora il momento per aprire quel capitolo. Non era il momento nemmeno per raccontare ciò che aveva provato per Alessio, né tantomeno per lasciarsi andare a ciò che era successo solo un anno prima.

Il momento sarebbe arrivato, ma non quella notte.

-Sono arrivato al limite della sopportazione, credo- disse incerto, la voce che gli tremava un po' – Alla fine la stanchezza di fingere ha superato la paura-.

Erano arrivati ben oltre il campus universitario, in una strada ugualmente deserta e buia, desolata un po' come si sentiva Pietro in quel momento. Non si accorse nemmeno di essersi fermato dal camminare fino a quando non vide Martino arrivargli di fronte, mentre lo guardava con espressione grave.

-Capita a molti-.





*il copyright della canzone appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.

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