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Il massacro (2)

Partiamo con l'aurora che sale lenta, colora appena la notte sui contorni del Passo del Busso. È ai crocicchi sacri ad Ekat che ci ritroveremo con gli altri guerrieri lucani. Un torrente furioso di muscoli e ferro che sgorga da ogni villaggio e lungo i sentieri s'ingrossa. Per annegare la piana di Mephit e spazzare gli ostili, mondare le vergogne, ripulire quello che è nostro dalla sozzura di qui caprai.

Siamo in quattro, da Bantia, a partire in armi. Accanto ho Marno e Aurio. S'è unito a noi, in caccia di fortuna e di gloria Dello. È il più giovane tra i padri. È la prima volta che veste le scorze e impugna la lama per difendere la gloria, per fare sangue, portare bottino. Sua moglie stava per sbocciare dal ventre, quando gli altri partirono per la caccia e io fui condannato al lutto una volta di più. Aveva figli troppo giovani quando abbiamo razziato il villaggio di Massenna, nasone senza gloria. Adesso ha fame d'onore negli occhi, ma le labbra non smettono di pregare. La sua lama ha sete, ma i denti, ogni tanto, tradiscono il ticchettio dell'ansia e della paura. Anche adesso, col ginocchio nel terreno freddo, di fronte all'altare di Ekat, nel mezzo del bivio, la preghiera inciampa in qualche sospiro.

- Tu resta nel mezzo, quando tra le grida comincerà il clangore del ferro. Non l'hai mai fatto e non hai vergogna da provare in mezzo ai fratelli. Resta nel mezzo; hai due figli piccoli. Quando saremo a contatto, ti lasceremo far sangue.Vorrebbe rispondere, protestare onore, mordere le mie parole per mostrare forza e coraggio.

Aurio lo ferma dalla scorza, dietro la schiena. Scuote le corregge per reclamare attenzione.

- Fidati, Dello. Vurro ci ha già guidati. Al suo cuore sussurra il fabbro guerriero. Fa come ti dice.

Ha qualche primavera più di me, ma abbassa gli occhi. Dona le ultime parole alla dea dei sentieri, poi è il primo a rimettersi in piedi. Gli pesa l'attesa; prende delle due vie quella mancina e affretta il passo.

- Ci aspettano al prossimo e manchiamo solo noi.

Fingiamo di non averlo sentito. Bacio le pietre una volta di più, perchè Ekat protegge le strade, i percorsi, i passi. Ed io conosco la foga della battaglia, ma voglio salvo il ritorno.

Il percorso oltre l'ultimo crocicchio di Bantia è spedito. Ci muoviamo rapidi tagliando per la macchia fitta, seguendo la terra battuta a qualche passo di distanza. Nessun segnale che i nostri camminamenti siano percorsi anche dagli ostili, nessun fumo nei cieli attorno, ma passato il Busso è sempre buon principio non arrischiarsi. Non abbiamo occhi, oltre quella vetta. E c'è un giorno di cammino, tra noi e le acque da riconsacrare.

È già passato mezzo sole quando incrociamo a distanza il grosso del drappello. Ci ricongiungiamo all'ultimo bivio. I nuovi signori dell'altro mare hanno accelerato il cammino e sono stati i primi. Non vogliono perdere tempo. Non è il desiderio di una sortita a farli veloci, ma l'impazienza di dimostrarsi valorosi più dei vecchi che li hanno scacciati. I lucani gloriosi delle battaglie contro Irpini e Sanniti, la nostra fanteria veterana, è l'ultima ad arrivare. Anche se giovani, alcuni di loro hanno già combattuto i nasoni più di una volta. Hanno fatto razzia, difeso i villaggi. E tutti hanno facce con più di un ricordo e corpi solcati sulle spalle e sulle gambe da ricordi profondi di battaglie. Tra loro, però, nessun Signore. Nessun nome che conosca, nessun volto a cui ci sia già cucita una storia.

Questa non è una guerra, ma nel momento in cui ci riuniamo di nuovo in cerchio per guardarci negli occhi e riconoscerci fratelli, occhi e braccia pronti a difendere le spalle, nella battaglia che verrà, è come se davanti avessimo non solo l'Anello di questa giornata, ma un presagio di morte per i nemici, nelle primavere che verranno. A tutti, in un istante, sembra di essere pronti per diventare noi, per primi, i Lucani di cui si racconterà domani.

- Si va?

A parlare è Turio, il figlio maggiore del Signore di Grumento. Il suo è il sangue più celebre, tra quello che si prepara a spargersi. Sta a lui parlare. Al suo intuito e al suo comando, suggerire le mosse, i tempi, la strada migliore.

- Se non c'è un vecchio che possa guardare per noi...

Non voglio contraddirlo. Solo il pessimo vizio di non tenere le parole a freno.

- Non è affare da sapienti. Non c'è nulla da vedere o indovinare, oltre quel bosco, sulla piana di Mephti. Feroci, veloci, spietati. Questo sappiamo. Questo saremo.

Abbasso il capo, giacché la mia è stata l'unica voce a rispondere. Chi aveva cercato riposo sedendosi si rimette in piedi. Le roncole snudate di nuovo, riprendiamo la via.

- Ho fatto un sogno...

Siamo il fianco inferiore del gruppo che si muove compatto al limitare tra la boscaglia e il sentiero. Copriamo il lato che affonda tra gli sterpi e il sottobosco dei noccioli.

- Prego sia stata felice, la voce degli dei.

Aurio scruta il cielo e ascolta i sussurri del bosco molto più della voce di suo padre. È lui a far domande per primo, andando appresso alla mia frase smozzicata.

- Per niente. Sangue. E morte.

Si fa silenzio.

- Quel che mi spaventa è che non so dire, se fosse sogno o realtà. Ma prima che si facesse l'aurora, è stata la voce di Buda a svegliarmi.

- Buda?

- Ed erano primavere e inverni che non faceva un fiato.

Quel sogno m'ha spalmato addosso un unguento che sa di morte. Sa di freddo. E dell'Orrido di Euclo che finisce per inghiottirmi. Quelle parole. Buda o la demonia, che differenza fa. Le ho sentite. E si sono piantate in testa come edera che cresce e s'arrotola e s'aggrappa di uncini e artigli e spine. Non mi fa pensare.

- Quando saremo al limitare del bosco, pigliamo tempo e restiamo più indietro. Copriamo il fianco e teniamo gli occhi sulle spalle, per tenere sgombra una ritirata agevole.

- Sono caprai, hanno bestie al pascolo. Hanno raccontato di una decina di armati, forse quindici. Siamo mezzo drappello.

- Non è il numero che mi spaventa, Marno... Non è il numero.

- E cosa allora? Se per ognuno di loro siamo tre addosso?

Questa volta è Dello a incalzare. Convinto di dover fare la figura di chi ne capisce, di guerra e sangue.

- Hanno cavalli. Destrieri adatti al galoppo, zoccoli di ferro, pesanti come dieci zappe e muscoli e groppe gonfie come i nostri torsi. Tre o quattro in carica schiacciano in terra anche dieci di noi. Hanno lance nervose come giunchi. E punte cotte nel fuoco.

Adesso, gli altri fanno silenzio.

- Come lo sai?

Non posso raccontare della visione che la demonia mi ha regalato attorno al fuoco a Grumento. Mi cucirebbero addosso la veste di uno che semina sciagure e tragedie. Si chiederebbero perchè non è Mamerte a parlarmi, ma una figlia sua che pare sputata fuori dal mondo di sotto.

- Buda. Il sogno.

- Magari sono solo due, in groppa, come ha detto il vecchio Palnio.

- Hanno cani, Aurio. Molossi che valgono per tre volte Ombra e Fiamma. Bestie grosse come montoni, con zanne puntute come le loro siche. E pure quelle bestie, lanciate in carica, ci falcerebbero come questo filo di lama...

Muovo la roncola, rapida, tranciando di netto un'onda d'erbacce che si muove tra me e la boscaglia.

- Così ci falcerebbero. Alle gambe prima. E poi alla gola, per finirci.

Gli altri fanno silenzio. Dietro, il gruppo dei villaggi vicini al nostro, guerrieri giovani come noi, ci si avvicina. Ascolta, valuta. Perchè il mio nome e quello di Aurio e di Marno, la storia del sangue versato e di quello rubato al villaggio di Massena, è corsa veloce. E ci da forza e voce.

- È così che quei caprai attaccano. Vorticare di cavalli e galoppare di molossi. Quando è confusione, urla e dolore, arrivano le siche e gli scudi a finire l'opera.

Si accodano anche quegli altri. Dello di colpo si fa muto e mi si mette di fianco. Siamo una dozzina a restare indietro, coprendo fianco e ritirata. Alzo gli occhi. Le prime file del nostro drappello sono al limitare del fitto. Tra loro e il baluginare della luce oltre la macchia, solo decine di passi. Il turbinare di voce lo schiocco di pacche sulle spalle, il fiato che sbuffa e garrisce più forte non sono un bel presagio.

- Si lanceranno sulla piana senza studiare.

- Una sortita è una sorpresa.

Marno è sempre troppo fiducioso. Dubita poco, ragiona meno.

- La sorpresa è quella che scuote nel sonno. Qui il sole è alto da ore.

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