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48 - ATTRAZIONE (2)

Il panorama era sempre quello: vasti campi che alternavano terra, persone morte, macchine abbandonate, case sventrate; ovunque passassero incontravano solo silenzio, desolazione, morte.

«Possibile che non si sia salvato nessun'altro, oltre a noi?» disse Angelica, dopo essere ripartiti da Rosignano, dove avevano trovato il grosso SUV nero su cui viaggiavano ora. «Non riesco a credere che solo a noi è venuta l'idea di nasconderci.»

«C'è sicuramente qualcun altro, Angy» rispose Franco, concentrato nella guida.

Aveva lasciato il volante della Fiesta alla moglie ma, ora che avevano cambiato auto, lei aveva insistito che si rimettesse subito a guidare, per non lasciare che la paura dell'incidente avuto gli bloccasse in modo serio la sicurezza acquisita in tanti anni di patente.

«Ma se ne stanno ben rintanati. Forse non tutti si sono accorti che quelle cose volanti sono sparite.»

«Nascosti o no, ho l'impressione che siano veramente pochi i superstiti. Ci sono così tanti corpi stesi...»

«È vero, Bice. Hai ragione.»

«Hanno fatto clean sweep!» intervenne Ando, fissando assorto fuori dal finestrino.

«Ma che vuol dire?»

Questa volta, Franco, non riuscì a trattenersi. «Che cazzo vogliono dire sempre sti termini in inglese?»

Ando si voltò sorpreso; per una volta aveva parlato senza quasi rendersene conto. Ma dopo un secondo di smarrimento, il fastidio per il solito tono che Franco stava usando contro di lui, tornò, vivo e forte.

«Vuol dire "piazza pulita» rise Beatrix, seduta a fianco del marito.

«E allora perché non dici piazza pulita?»

«Ho detto clean sweep, perché si dice così!»

«No, amore. In Inghilterra lo dicono. Da noi si dice "piazza pulita"!»

L'intervento della moglie, per una volta non dalla sua parte, lo zittì e, incrociate le braccia, si rimise a guardare offeso il panorama che sfrecciava dal finestrino.

Nessuno aprì bocca per un minuto, poi il silenzio fu rotto da Angelica.

«Continua a raccontare, Franco. Scusa, se ti ho interrotto.»

Franco riprese il racconto di quegli ultimi giorni, indugiando in modo particolare sugli episodi in cui l'energia si era manifestata. Nessuno lo interruppe più ma, con la coda dell'occhio, notava il volto della moglie accigliarsi di tanto in tanto.

«E la percepisci anche adesso, questa energia?» chiese Beatrix, quando le parve che il racconto fosse finito.

«Non come prima. Ma c'è; la sento, come se si fosse nascosta, in attesa... Non so se riesci a capire...»

«Non molto a dire la verità. Se dici che è frutto della guarigione di Nicolas, perché io non sento nulla, invece?»

«Non lo so, Bice. Non lo so. Non so nemmeno se Nicolas c'entri qualcosa. È una supposizione; stiamo andando da de Simone proprio nella speranza che abbia delle risposte.»

«E voi? Avete mai avuto delle... manifestazioni?» chiese Angelica, che aveva dipinta sul volto la stessa espressione da "ci credo, ma non troppo" che aveva Beatrix. Quando aveva saputo che anche Cata e Ando erano due miracolati del guaritore, aveva stentato a credere nella coincidenza.

«Io sì» rispose Cata, e raccontò l'esperienza extra-sensoriale avuta a Piombino.

«E tu?»

Beatrix si era girata sul sedile, per guardare bene in faccia Ando, ancora offeso per prima.

«Anzi, scusa... And you

«Spiritosa!» rispose, pensando che quella cicciona negra fosse la donna perfetta per quel panzone arrogante che stava guidando.

«No!» disse, poi. «Io non ho avuto un cazzo!»

Riteneva, adesso con maggior convinzione di prima, di non dover dire niente a quella gente. «Un bel cazzo di niente!»

Non sapeva il perché, ma sapeva che era giusto così. Incrociò lo sguardo di sua moglie. "Nemmeno a lei dirò nulla."

Franco lo fissò attraverso lo specchietto. «Ne sei sicuro?»

«Figa di biscia! Credo di accorgermi se mi escono raggi dalle mani o saette dal culo!»

«Ando...» Sua moglie lo fissava a bocca aperta. «Che ti prende?»

«Mi prende che è una domanda del cazzo! Se ti dico che non mi è successo nulla, non mi è successo nulla!»

Franco sorrise. «Io invece credo di sì, e non capisco perché non ce lo vuoi dire.»

«Tu credi? E cosa avrei fatto?»

«Ci hai salvato la vita. La mia e quella di tua moglie. Credo ti sia accorto, forse all'ultimo momento, che mi ero addormentato, e hai creato una sorta di protezione intorno a noi. Altrimenti non mi spiego come l'abitacolo sia potuto rimanere integro, mentre la macchina è andata del tutto distrutta. Forse è successo senza che tu lo volessi; spontaneo, diciamo. Ma non mi raccontare che non te ne sei accorto, perché non ci credo. E, anche se non ne sono del tutto sicuro, penso ti sia successo qualcosa anche a Piombino, dentro all'edificio.»

Cata aveva le lacrime agli occhi, e stringeva forte le mani del marito.

«Amore mio... È andata così? Dimmi la verità, ti prego.»

«Cazzo, saresti un eroe!» disse Angelica.

Aveva otto occhi addosso, occhi in cui leggeva la voglia che lui ammettesse i suoi meriti. Per un secondo soltanto sentì dentro di sé un calore intenso, accompagnato da una sensazione gradevole, molto simile alla felicità. Ma fu un attimo; tutto si spense e gli sguardi divennero aghi che lo pungevano.

Guardò dritto negli occhi sua moglie e per la prima volta dopo tanti anni, non riuscì a sentire l'amore che aveva sempre provato per lei.

«No! È tutta fantasia. Dormivo quando è successo, e sei stata tu a svegliarmi, Eleonora.»

Le lacrime di Cata cessarono all'improvviso. Aggrottò la fronte. Erano anni che non la chiamava con il suo vero nome. Non trovò nulla da dire; annuì meccanicamente, si appoggiò allo schienale e si mise a guardare fuori, come fecero pure Angelica e Beatrix.

Franco avrebbe voluto ribadire ancora il concetto di cui era certo al cento per cento. Quell'uomo lo infastidiva parecchio e, nonostante fosse sicuro di essere vivo grazie a lui, non riusciva a provare simpatia o gratitudine. Non si fidava, come non si era fidato quasi da subito, senza saperne ancora bene i motivi. Almeno aveva saputo il vero nome di Cata; non che fosse essenziale, ma era una curiosità. Lo sguardo che intravedeva dallo specchietto, però, lo indusse a lasciarla stare per il momento.

«Va bene! Come dici tu» pronunciò. «Voi due, invece...» disse alla moglie e ad Angelica, «Mi raccontate come vi siete salvate?»

E mentre la campagna toscana sfrecciava veloce intorno a loro, le due donne cominciarono a parlare.


«Casa dolce casa!» disse Cata, non appena il SUV oltrepassò il cartello "Castenaso".

A sinistra, i binari che in quel tratto correvano paralleli alla strada, prima di attraversarla poco più avanti, facevano da spartiacque con un vasto campo ricoperto dai soliti corpi immobili di chi non era riuscito a sfuggire alla cattura. A destra, era il medesimo scenario.

Il commento svegliò Ando, appisolatosi mentre Beatrix raccontava di come era sfuggita alla sentinella nascondendosi in cantina, annoiato nel risentire sempre la stessa storia, raccontata pure dall'altra donna di cui non ricordava il nome, seduta al di là di sua moglie.

Quando di colpo aprì gli occhi, rimase per un attimo sorpreso nel riconoscere il paesaggio che avevano intorno; se le loro vite non avessero subito la terribile sterzata imposta dalla venuta dell'alieno, ora sarebbero stati ancora all'Isola d'Elba, e il panorama che stava ammirando, i luoghi in cui era nato e cresciuto, non li avrebbe rivisti prima di sabato.

D'istinto cercò la mano di Cata, ma lei la ritrasse, continuando imperterrita a guardare in avanti. Aveva lo sguardo neutro, come di una persona assorta in unico pensiero, nemmeno tanto importante; ma era triste, era evidente. L'apatia disegnata sul suo volto, volontaria o no, era appena un velo trasparente che non riusciva a nascondere i pensieri angoscianti che le stavano affliggendo il cuore.

Ando scoprì con disagio che non gli importava granché, e quel contrasto, dentro di lui, altro non faceva che aumentare la sua rabbia.

"Non è più dalla mia parte e fa l'arrabbiata lei?" pensò, rivolgendo lo sguardo di nuovo ai campi.

"Ma vaffanculo anche te! Ho smesso di mettermi dei pensieri per gli altri!"


Cata si era accorta che suo marito si era risvegliato, ma non aveva la minima intenzione di fare o dire nulla, se non faceva lui la prima mossa. I suoi atteggiamenti la mettevano a disagio, e questo poteva anche sopportarlo. Ma le bugie non era disposta ad accettarle. E sapeva che lui stava mentendo, che le stava nascondendo ciò che lei, invece, gli aveva apertamente confessato.

"E nemmeno mi ha creduto!"

Non capiva perché si tenesse per sé questa cosa e perché non volesse condividerla, nemmeno con lei.

La loro relazione era sempre stata basata sulla fiducia e sul dialogo anche se, ora che vedeva tutto da un punto di vista differente, frutto del dolore che provava in quel momento, si rendeva conto che, a differenza sua, sempre pronta a confidargli ogni cosa, bella o brutta che fosse stata, Ando aveva avuto sempre bisogno di una spinta e di una sollecitazione. Una questione di carattere senza ombra di dubbio, ma le stava venendo il sospetto che lui si fosse, col tempo, adagiato su questa comoda poltrona, forse provando piacere nel farla prima preoccupare, poi nel sentirsi coccolare con frasi tipo "Cosa c'è che non va? Vuoi parlarne?".

"Stavolta no, caro! Io non insisto. Se vuole parlare con sua moglie, confidarsi, la mossa la fa lui! Mi salva la vita e non vuole dirmelo?"

Scoprì di mentire a sé stessa quando lui posò la mano sulla sua, e lei, forse senza volerlo, la ritrasse. Quel gesto le fece male e sperò con tutte le sue forze che lui ci riprovasse, sbirciandolo con la coda dell'occhio. Invece Ando si girò sul fianco destro e si mise a fissare fuori dal finestrino.

"Fa qualcosa, stupida!"

«Siamo arrivati?» Al suo fianco, Angelica si stiracchiò, facendo schioccare le ossa del collo.

«Credo di sì. Vero, Cata?»

Franco la fissava dallo specchietto, ma lei non riusciva ad aprire la bocca. Sentiva il cuore pesante per il dolore che conteneva e che ancora continuava incessantemente a entrare. Si limitò ad annuire, mentre si voltava verso suo marito e l'abbracciava stretto, più forte che poteva, sentendo il suo corpo allentarsi e ricambiare.

Ma, in realtà, era ancora ritta, immobile, lo sguardo fisso sulla strada che aveva percorso migliaia di volte nella sua vita. Poi, di nuovo, si voltò e l'abbracciò, per poi ancora ritrovarsi nella medesima posizione.

"Fallo, scema! Dopo ti sentirai meglio. E fanculo l'orgoglio!"

Ma mentre di nuovo immaginava la scena, ancora scopriva di non potersi muovere, testarda nel suo volere non essere sempre lei a cedere.

«Da che parto vado?»

Franco aveva rallentato, in attesa di indicazioni.

Cata si ritrovò i suoi occhi addosso, e così quelli di Angelica e Beatrix. Solo Ando non la fissava, continuando a rivolgere la sua attenzione al mondo esterno. Aveva forte il desiderio di fare pace, ma altrettanto era forte quello di continuare a resistere e non le importava più nulla di niente; si sentiva come un elastico, tirato da entrambe le estremità.

Di colpo le vennero in mente i suoi genitori, trovandosi quasi davanti alla strada in cui abitavano. Fu colta da un profondo senso di vergogna.

"Bella figlia che sei! Ti sei scordata di avere ancora una mamma e un papà?"

Ora che ci rifletteva, aveva pensato a loro sulla barca di Franco, appena fuggiti dalla spiaggia della Biodola; sdraiata accanto a suo marito, tenendogli la mano mentre la stanchezza la stava avvolgendo con il suo pesante mantello, aveva risentito nella testa le ultime parole dette da sua madre al telefono, prima che la comunicazione s'interrompesse; quel sonno profondo, figlio dell'adrenalina accumulata, poi scaricata, pareva aver accantonato la figura dei suoi genitori in un angolo recondito del suo cervello. Cercò di autogiustificarsi, provando a proteggersi dietro all'incredibile serie di accadimenti ed emozioni che l'avevano travolta, da lì in poi; ma mentire a sé stessi è impossibile. La cruda realtà, era che poteva essere un'orfana, e lei ci pensava solo dopo quasi tre giorni. Quell'eventualità le schiacciò lo stomaco, come avesse ingoiato una grossa pietra.

Guardò Ando nella speranza le dicesse qualcosa, vedendo quel luogo tanto famigliare. Da quel punto di vista per lui era più facile, visto che i suoi si erano divisi quando era molto piccolo; suo padre, con il quale aveva chiuso ogni rapporto, si era trasferito in Norvegia per lavoro, e sua mamma era morta dieci anni prima.

Ma il marito continuò imperterrito nel ruolo del muto offeso.

«Gira a destra, per favore» disse Cata, trattenendo a stento le lacrime. «Vivono i miei, qui. O ci vivevano. Vorrei andare a controllare.»

Franco annuì con gli occhi, e voltò nella stradina. Cata lo fece fermare davanti a una villetta, ma risultò subito piuttosto evidente a tutti come fosse improbabile che qualcuno ancora ci vivesse. Entrambi i piani presentavano grandi buchi, e una grossa porzione di muro di quella che un tempo era una sala, era crollata. La via era piccola e stretta, piena di case simili a quella, tutte più o meno danneggiate allo stesso modo. Le sentinelle si erano accanite in modo particolare in quella strada.

Cata sussultò, mettendosi una mano sulla bocca. E quando Ando si voltò a guardarla senza dire nulla, le lacrime le zampillarono dagli occhi come da un rubinetto.

«Andiamo via, per favore» disse a bassa voce, mentre Angelica le stringeva una spalla in modo consolatorio.

«Dove?» chiese Franco, fissandola con tenerezza.

«Torna sulla strada, e vai sempre dritto. Appena incontri il municipio, a sinistra.»

Era la sua voce, ma veniva da lontano, molto lontano.

Ando non disse nulla e questo le fece male, quasi quanto l'aver scoperto di non avere più i genitori. Come poteva continuare a ignorarla, anche in un momento così difficile per lei?

Ricordò il gesto che aveva fatto al campeggio, quando la stava mollando in balia del cinghiale, e fu colta da un dubbio tremendo, penoso, ancora più atroce visto lo stato d'animo in cui si trovava. "Ma lui mi ama veramente?"

E, quando una persona molto innamorata si pone domande di questo tipo, i pensieri si sbizzarriscono a trovare tutti i riferimenti possibili per dare corpo alle incertezze.

Cata era già in tensione, estrema tensione, e quando finalmente svoltarono nella via dove abitavano, dovette ammettere a sé stessa di non essersi mai sentita così giù, come si sentiva ora.


Ammanettare Enrico nel retro del furgone fu più faticoso del previsto, non tanto perché si opponesse o facesse resistenza, ma per via del tremendo puzzo che emanava. Inoltre, proprio nel momento in cui stava per salire sul furgone, cadde in una specie di stato catatonico, bloccando i piedi, nudi e sporchi, sulla strada; nonostante ben due fucili gli sventolassero davanti alla faccia minacce varie, non mosse più un muscolo. Alberto e Roberto furono costretti a sollevarlo di peso, schifati anche solo dal contatto con quella carne flaccida, sudata, maleodorante.

Quando finalmente riuscirono ad ammanettargli entrambi i polsi, oltre che nauseati, erano bagnati fradici. Alberto tenne la chiave, trovata nel vano portaoggetti, quindi scesero dal furgone.

Rimossero dalla strada il corpo straziato di Denis, riponendolo accanto a una siepe e coprendo con la maglietta ciò che restava del cranio.

«Riposa in pace, ragazzo» disse Roberto una volta finito, reclinando un po' la testa verso il basso. «Ci ha salvato la vita.»

«A noi e a ciò che resta dell'umanità» aggiunse Alberto. «O almeno, ci ha dato la possibilità di provare. Vorrei non sprecarla.»

«Amen!»

«Già! Amen!»

Alberto aprì lo sportello del furgone e si sedette, sospirando.

«Dobbiamo decidere come proseguire, anche se, in questo momento, ho il morale un po' a terra.»

«Le ultime venti ore sono state parecchio complicate, in effetti.»

«Già. E complicato non rende l'idea! Mi riferivo agli scrigni, comunque. La coppietta che dovrebbe abitare qua non c'è... E chissà dove cazzo sono! Non abbiamo alcun riferimento, quindi li do per persi. Ma il mio pensiero più grande, per assurdo, riguarda uno degli scrigni che abbiamo trovato.»

Batté con la mano sulla fiancata del furgone. Dall'interno non proveniva alcun suono.

«Capisco» disse Roberto. «Come possiamo fidarci di un individuo del genere? Intendi questo, vero?»

«Certo! Ed è un grossissimo problema. Secondo le teorie di Franco servono tutti e nove gli scrigni per avere una qualche possibilità. Ma questo individuo si è venduto l'anima a una causa che adorava colui che dovremmo sconfiggere. Non potrò mai fidarmi di lui.»

Roberto annuì, pensieroso. «Secondo te è catatonico sul serio, o finge?»

«Non lo so, Roby! Sinceramente non me ne frega un cazzo. Se non fosse per la storia dell'energia, l'avrei già fatto fuori. E fanculo alle promesse di non uccidere più!»

«Senti... Ora come ora possiamo solo cercare gli altri. Enrico è ammanettato lì dentro, e lì resterà. Non crucciamoci per lui e non perdiamo di vista il nostro obiettivo. Ecco cosa faremo...»

Alberto sollevò la testa e lo fissò.

«Saliamo su nell'appartamento di Dandolo e Cataldi e cerchiamo qualche indizio. Se son stati catturati dalla sentinella, amen. Ma se sono scappati, nascosti da qualche parte, non so... Magari non erano in casa prima dell'arrivo di questo casino. Magari sono andati da qualche parte e hanno lasciato un recapito, qualcosa. Chi lo sa. Tu parlavi di fortuna, ieri. Ecco... Andiamo in cerca di una botta di culo!»

Alberto sorrise.

«Poi, voglio tornare da mia moglie» continuò. «Lei e Riccardo ce li portiamo con noi. Non voglio illudermi che si possano risvegliare da un momento all'altro, ma questa storia della mancata putrefazione dei corpi, non la voglio ignorare. Se, a quanto dici, questo de Simone è veramente un genio... Magari può fare qualcosa.»

"Sempre se li trovi ancora là!"

Il pensiero gli venne repentino, insieme al ricordo dell'orribile sogno avuto dentro alla stalla, e quelle parole, dure, dette da...

"Si è risvegliata, ma non del tutto. La userò! Proprio contro di te. Vedrai se non lo faccio."

Strinse gli occhi per scacciare il pensiero, cercando di non farlo notare ad Alberto.

«Ne dubito, Roby» continuò l'altro, senza accorgersi di nulla. «E te lo dico perché so che nel tuo cuore stai coltivando un piccolissimo germoglio di speranza, e non voglio che poi ci rimani troppo deluso. Ma, nonostante tutto, fai bene a tentare. Più che bene.»

«Grazie! Fatto questo, andiamo a cercare il tizio di Casalecchio.»

«E gli altri due? L'elbano e l'americana?»

«Ci penseremo. È inutile fare troppi programmi. Abbiamo già visto come poi, in un attimo, vada tutto a fanculo. Allora, sei d'accordo?»

Il sorriso di Alberto si allargò. «Dov'è finito l'uomo pessimista e deprimente di ieri?»

«Forse è morto bruciato in quel falò del cazzo, insieme a quella povera bambina e al suo papà!»

Strinse i pugni e si girò verso il punto dove avevano posato il corpo di Denis.

«Il nostro amico russo ha dato a quella gente di merda la lezione che meritavano, ed è morto per questo. Ora tocca a noi, Alby! Dobbiamo fare il culo a quell'alieno! Anche se questo comporterà la nostra morte.»

«Questo sì che è parlare!»

Alberto batté le mani e si alzò.

«E ti dirò di più... Sono fermamente convinto che anche la fortuna tornerà dalla nostra parte! Vedrai che...»

«Shh!» Roberto alzò una mano e l'amico si zittì di colpo.

«Che c'è?» chiese.

«Ascolta... Sembra il rumore di un'auto.»

Alberto si guardò intorno tendendo le orecchie e sgranando gli occhi. «Merda, hai ragione. È una macchina...»

Non fecero in tempo a nascondersi, né armarsi con i fucili.

Un grosso SUV nero sbucò nella via, dallo stesso lato da dove erano giunti meno di un'ora prima, puntando dritto verso di loro.


Lo sbuffo di vapore che era stato Ismel sostò nell'aria per alcuni secondi, carico di tutto il potere originale e di quello che aveva acquisito, lì sulla Terra.

Masi, con le braccia ancora stese in avanti, chiuse gli occhi, assaporandolo ancor prima di prenderne possesso, sentendone il gusto sulla lingua. Ogni millimetro del suo corpo era pervaso da un intenso brivido di piacere caldo e il senso di potere e invulnerabilità che stava provando era indescrivibile e, senza alcun dubbio, non umano.

Respirò a pieni polmoni e usando il puro istinto attirò con estrema facilità la nuvola verso di sé, come se fosse un gesto quotidiano, ripetuto più e più volte.

Aprì gli occhi e vide l'energia che lo circondava, ora non più rosata, ma di un rosso acceso che aumentava velocemente d'intensità, roteando intorno a lui in spire sempre più strette, a una velocità sempre più vorticosa; il riflesso era accecante, più di tutte le luci che avessero mai vibrato su quel pianeta, più del sole stesso; gli occhi di Pietro continuavano a restare aperti, senza fastidio, senza dolore, con un piacere che cresceva a dismisura insieme al battito del suo cuore, alla sua erezione e all'intensità degli orgasmi che si susseguivano, uno dopo l'altro, senza sosta, sempre più potenti.

Masi non seppe dire quanto durò il tutto: a lui sembrarono ore, giorni, mesi, anni, ma era certo fossero passati invece solo pochi secondi; in quella frazione di tempo, lunga e corta, riuscì a vedere alla perfezione il viso di ogni persona finita sotto a una bolla, sentì le loro voci, lesse i loro pensieri, i turbamenti, le gioie e i dolori; e se ne appropriò.

Poi, tutto finì.

Tornò a percepire l'erba che gli accarezzava le piante dei piedi, l'aria umida e calda che gli si appiccicava addosso, il calore del sole che sbatteva sul suo corpo. Corpo che era notevolmente cambiato.

Si contemplò le braccia e le gambe, e vide i muscoli induriti, tesi sotto la pelle lucida, cosparsa di piccole vene che si snodavano come minuscole stradine; i pettorali erano sviluppati come mai erano stati, così come l'addominale, scolpito come il guscio di una tartaruga sulla pancia piatta. Le spalle erano più larghe e sostenevano un collo massiccio, che scrocchiò al primo movimento. Ed era più alto! Non troppo, ma lo percepiva dalla prospettiva di quello che gli occhi gli mostravano.

Quando il riverbero rosso si spense del tutto la palla era sparita, così come tutte le mini-sentinelle. Lo spiazzo creato da Ismel, intorno a lui, era solo erba e terriccio. A pochi metri giaceva la Torre degli Asinelli, crepata in più punti, più piccola, quasi fosse una riproduzione da esporre in qualche mostra o in qualche museo. Prima di quel momento l'aveva vista solo nelle fotografie, svettare nel cielo di Bologna, troneggiante nella maestosità che la goffaggine della compagna (di cui non ricordava il nome) le conferiva. Ora, patetica copia di sé stessa, giaceva affaticata e ridimensionata nell'erba.

Masi sorrise.

Vedeva quella torre come il simbolo della sconfitta di quel pianeta, la sconfitta del genere umano, di cui mai si era sentito veramente parte. E se quel fatto, a volte, gli era suonato strano, triste persino, ora capiva.

Assorbendo Ismel, ne aveva letto i pensieri, patito i tormenti, visto le idee, analizzato i progetti; aveva capito i suoi errori, esaltato i suoi coraggi, biasimato le sue paure. E dal punto in cui si era fermato, lui sarebbe ripartito, con lo stesso spirito che aveva sempre avuto dentro, ora... migliorato.

Si sentiva vuoto, ma in maniera positiva. Era come se il potere appena assorbito l'avesse ripulito della sporcizia "umana", di tutte quelle imperfezioni, grandi o piccole, che caratterizzano l'animo degli individui a cui, volente o nolente, fino a qualche minuto prima, era appartenuto.

Provava ancora le emozioni, e ancora poteva chiamarle con gli stessi nomi che sempre aveva usato; ma non erano le stesse.

Era felice, ma la felicità che stava provando non era l'effimera chimera tipica dell'essere umano, volubile al minimo soffio di vento, come un castello di carte lasciato incustodito davanti a una finestra spalancata; la sua era solida, robusta, aggrappata con forza a tutti i sensi, come le radici di una quercia secolare nel terreno.

Provava rabbia, la stessa che aveva covato in lui per tutta la vita, la stessa che gli avevano inconsapevolmente insegnato i suoi genitori, ma non rude e rozza, pronta a esplodere, pesante nello stomaco, pronta ad altercare all'improvviso e sguaiata con la vendetta, sua abituale e sgradita compagna; ora era sottile, caparbia ma subdola, quasi tranquilla e, meraviglia delle meraviglie, paziente, ben disposta ad attendere e soddisfare il bisogno di vendicarsi con chi lo meritava, con chi aveva avuto l'ardire di ostacolarlo.

I rimorsi, lievi, sporadici, sempre più sbiaditi, che tentavano a volte di far breccia nella sua durissima scorza, che proiettavano il volto di Sabrina, allegro e rumoroso com'era sempre stata, erano annientati, distrutti. Il nuovo Pietro Masi non provava pietà per nessuno, perché nessuno l'aveva mai provata per lui.

Davanti a sé vedeva solo gli obiettivi da raggiungere.

C'erano persone che avevano le capacità di fermarlo, capacità troppo grandi per loro, capacità che nemmeno sapevano di avere, né tantomeno come usare. Ismel li temeva, anzi, ne era terrorizzato. Lui no. La paura non era più roba per lui. Li avrebbe affrontati, al momento giusto, nel modo giusto. Il potere di cui disponevano era veramente forte, ma non erano in grado di usarlo. Erano bambini con un mitra in mano: pericolosi nella loro ingenuità, ma battibili, senza grandi problemi.

E, una volta liberatosi di loro, avrebbe completato l'opera.

«A quel punto sì che il mondo sarà il posto che avrebbe sempre dovuto essere!»

Rimase piacevolmente colpito. Anche la voce era cambiata, divenendo profonda, solenne, tonante, perfetta, adatta all'essere perfetto che era diventato.

Lo sguardo era ancora fisso su quella che era stata la Torre degli Asinelli; spianò le mani in avanti, e mentre i raggi la vaporizzavano cominciò a ridere, come mai aveva riso in vita sua.

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