45 - 04-MED (2)
E così fu. Almeno a livello fisico.
La statua cadutagli addosso a causa del raggio di Veronica, gli aveva schiacciato la gamba destra, dal ginocchio in giù.
Alessandro si vide costretto ad amputare da sotto la coscia e, coadiuvato da Monica, l'intervento andò alla perfezione, grazie anche all'attrezzatissima sala operatoria che Franco mise a disposizione. Somministrò ad Andrea un anestetico molto potente, che l'avrebbe di sicuro fatto dormire fino al mattino e lo sistemò nella "04-MED", a fianco di Francesca, dopo aver rassicurato Lina e le due ragazze che, aveva capito, tenevano particolarmente al ragazzo, che tutto era andato per il meglio.
L'altra paziente era sempre stabile nel suo stato di coma.
"Come reagirà? Dio, è così giovane... Restare senza una gamba a quell'età."
Il suo timore più grande erano le conseguenze che avrebbe potuto avere a livello psicologico. Se prima aveva avuto bisogno di un chirurgo, ora gli sarebbe servito senz'altro uno psicologo. Ma, a meno che non ce ne fosse uno in mezzo alla gente che doveva ancora arrivare (e chissà se sarebbero mai giunti!), anche quella figura professionale scarseggiava all'FDS. Non aveva avuto ancora modo di fare conoscenza con le nuove presenze ma, due erano troppo giovani, l'altra, era la madre, troppo coinvolta per curare un'eventuale depressione del figlio, se anche fosse stata una dottoressa in quel campo.
Forse poteva parlarne con Monica, che sembrava sul pezzo più o meno in ogni cosa che faceva; se il ragazzo avesse avuto bisogno di essere tirato su di morale o spronato a reagire... beh, lei pareva proprio la persona adatta.
"Pessimista che sei!" si disse all'improvviso. "Magari questo Andrea è un tipo tosto, senza troppi fronzoli! Anche se così giovane. Magari Franco ha qualcosa di simile a una protesi, o qualche altra diavoleria inventata da lui! Non ne sarei sorpreso..."
Rinfrancato, almeno in parte, attese Monica e Lina, offertesi, dopo una veloce doccia, di passare la notte nella "04-MED" per vigilare i due degenti. Lina non volle nemmeno discutere sulla questione: avrebbe dormito su una brandina, accanto al figlio e accettò volentieri la compagnia di Monica, presenza fondamentale nel caso ci fosse stata un'emergenza, lei che senza dubbio sapeva cosa fare e come muoversi nell'FDS.
«La vostra stanza è al piano terra, a fianco del bagno. Tua moglie e tuo figlio sono già là» disse Monica ad Alessandro.
Lui le salutò e percorrendo una FDS buia e silenziosa, illuminata dal chiarore fosforescente dello scudo che entrava dalle vetrate, raggiunse la camera.
Antonio dormiva già, sistemato nel letto singolo a fianco del loro.
«I nostri piani vanno in fumo...» gli disse Silvia, accarezzandolo e sorridendo con malizia. «Perciò ti ho aspettato per fare la doccia...»
Saputo che l'intervento era andato bene, che Andrea dormiva tranquillo, anche se sedato, e che il giorno dopo avrebbero potuto visitarlo, Veronica e Camilla furono accompagnate al piano di sopra da Monica.
Il primo piano della baita era grande esattamente come quello inferiore ma, mentre dabbasso la maggior parte dei metri quadri era occupato dalla sala e dalla cucina, sopra erano tutte stanze da letto. Quindici in totale, sette in ognuno dei due corridoi alle due ali, più quella di Franco, la più grande, situata subito a sinistra appena si giungeva in cima alle scale, l'unica ad avere il bagno in camera e collegata, tramite una porta, a quella di Monica, per ovvi motivi di assistenza. Un altro bagno era invece a destra della rampa, proprio sopra a quello in cui i coniugi Gallo, da lì a poco, si sarebbero messi ad amoreggiare sotto la doccia.
«Questa è la stanza dell'ingegner Franco» disse Monica, indicando la porta a sinistra, arrivate in cima. «E lì c'è il bagno. La tua stanza, Camilla, è la prima, accanto. Mentre la tua, cara, è dall'altra parte. La seconda, dopo la mia.»
La donna prese tra le sue, la mano di Veronica.
«Stanotte dormo nella sala medica per assistere i nostri due pazienti, perciò, a te che sei la più vicina alla stanza di Franco, chiedo un favore. Se senti Franco lamentarsi o senti il campanello trillare nella mia stanza, ti prego, corri giù a chiamarmi. È anziano, e qualche mese fa stavamo per perderlo.»
«Se vuoi posso stare direttamente nella tua stanza?»
«No. Preferisco di no. Non è molto in ordine...» rispose, con un imbarazzo palese, non abituato a mostrarsi su quel volto. «Lo stesso vale per te, Camilla, se non ti dispiace. Sei più lontana come camera, ma se senti qualcosa...»
La ragazza si limitò ad annuire.
«Mamma mia! Ma questo posto era un albergo una volta?» disse Veronica, guardandosi intorno a bocca aperta.
«No. Ma l'ingegnere ha voluto creare più stanze possibili nel caso qualche suo dipendente, per qualsiasi motivo, si fosse dovuto trattenere nella valle anche la notte. E poi, ai tempi in cui l'FDS risplendeva, avevamo spesso ospiti. Le stanze non sono grandissime, ma confortevoli. Vi ci troverete bene.»
«Quindici giusto? Se ho contato bene...»
«Diciassette, a dire il vero. Ci sono anche le due di sotto; quella dei Gallo e l'altra per Alberto e Francesca, se mai torneranno, ognuno a suo modo.»
Il sorriso di Monica si spense per un secondo.
«Comunque... Il bagno avete capito dov'è. Ci sono accappatoi e asciugamani per tutti e, se volete, anche vestiti. Ho notato che non avete portato niente con voi.»
«Abbiamo lasciato le borse nel bagagliaio della Polo...» disse Veronica, pensando subito a Dalila e, un poco, anche a Laura.
«Siamo venuti via da "VILLA GOBBI" in tutta fretta, per Andrea, e...»
«E avete lasciato tutto là. Non fa niente. Negli armadi potete trovare tutto quello che vi serve.»
«Avevamo anche i cellulari nei borsoni» aggiunse Camilla.
Monica si strinse nelle spalle. «Inutile pensarci. Adesso come adesso, non si può andare a recuperarli. Vi auguro una buonanotte e ci vediamo domattina.»
«Volete farvi la doccia prima tu e Lina? Visto che dovete restare nella sala...» chiese Veronica.
«Grazie, cara. Abbiamo il bagno vicino alla "04-MED". Buonanotte a tutte e due.»
Camilla e Veronica restarono una trentina di secondi ferme, immobili a fissarsi davanti alle scale.
«Ti spiace se mi lavo per prima?» chiese poi la più grande, distogliendo lo sguardo.
«Fa' pure» rispose Veronica, girandosi e incamminandosi verso la sua porta.
La doccia aveva rigenerato un po' Camilla, anche se il velo di tristezza, apatia, inquietudine che le era calato addosso, non se n'era andato. A dire la verità nemmeno lei sapeva con esattezza cosa la turbasse, sentendo dentro un vortice di emozioni come mai le era successo.
Si sentiva ancora tremendamente in colpa per la morte di Marta, e di conseguenza per il suicidio di Laura, le cui immagini continuavano a ronzarle davanti agli occhi come fastidiose mosche.
Era molto stanca ma, più di tutto, le mancava Andrea e aveva il tremendo sospetto che non lo avrebbe più avuto per sé. Ora che aveva perso la gamba avrebbe avuto ancora più bisogno di qualcuno che gli stesse accanto e lo accudisse, e credeva di intuire chi sarebbe stata quella persona. Era stato molto chiaro: lui amava Veronica. Forse poteva dirgli che era stata lei a causargli quel grave infortunio; forse lui avrebbe disprezzato la ragazzina a quel punto e sarebbe tornato tra le sue braccia, tra le braccia della sua Camilla. Lei non gli avrebbe mai fatto del male. Lei sarebbe morta per lui, perché lui era tutta la sua vita. Ma, aveva molti dubbi che, fare la spia, poteva migliorare la sua posizione.
Aveva pianto mentre si toglieva la fasciatura dalla spalla, quella che proprio Andrea le aveva messo; la bruciatura causata da Bito era ormai guarita, lasciandosi dietro solo una piccola crosta. E aveva continuato a singhiozzare mentre lo scroscio d'acqua calda l'avvolgeva, irruento, ma non abbastanza da mischiarsi con le lacrime, troppo dense e compatte da confondersi con l'acqua; continuava a rivedere l'abbraccio e i baci che i due si erano scambiati alla villa, davanti a lei, come se non esistesse.
"Non ti illudere, scema! Lui la perdonerà, perché lei l'ha stregato con quei suoi capelli!"
Ora capiva cosa la turbava, lo capiva benissimo. Non era rimorso, né tristezza, né altro. Era gelosa! Gelosa marcia.
Uscendo dal bagno, a piedi nudi, avvolta in un accappatoio, aveva incontrato il vecchio in carrozzella che stava per entrare nella sua camera.
«Buonanotte» le aveva detto, mentre la fissava con la stessa espressione che gli aveva visto nel capannone. Disprezzo, o, ancora peggio, poca, se non zero, considerazione. Riusciva a leggerlo in quegli occhietti azzurri, dietro a quegli occhialini da sapientone.
«Buonanotte!» aveva risposto con sufficienza, infilandosi nella sua camera più in fretta che poteva. Voleva restare sola; aveva bisogno di restare sola.
Si tolse l'accappatoio e si sdraiò nuda sul letto.
Cominciò all'istante a pensare ad Andrea, al suo corpo, al suo pene, a come si accarezzavano, si baciavano, all'intimità che avevano creato tra loro in quei pochi giorni.
La sua mano scese in mezzo alle gambe senza quasi se ne accorgesse, le sue dita iniziarono a muoversi in modo ritmato. Cominciò ad ansimare, a occhi chiusi, immaginando che il suo ragazzo fosse sopra di lei, eccitato come sempre era stato e come sapeva non sarebbe mai riuscito a esser con quell'altra.
Venne subito, bagnando la coperta, quasi urlando dal piacere, mentre le lacrime ancora le solcavano il viso. E quando l'ultimo brivido dell'orgasmo si dissolse, scoppiò in un pianto dirotto e incontrollato. Si girò su un fianco e affondò il viso nel cuscino.
Sentì il rumore della doccia che veniva aperta, nel bagno accanto alla sua stanza. Sapeva che era la ragazzina. In quel momento anche Veronica era nuda, come lo era lei sul letto.
Ebbe la forte tentazione di alzarsi e piombarle davanti per vedere, vedere cosa avesse di tanto meglio rispetto a lei, vedere cos'era che attraeva in quel modo il suo ragazzo. Forse avrebbe potuto anche ucciderla. Le avrebbe messo le mani intorno al collo, all'improvviso, e avrebbe stretto, stretto, stretto...
"Piantala!" pensò. Si asciugò gli occhi e si mise seduta.
Aveva la mano tutta appiccicaticcia, la stessa sensazione presente in mezzo alle gambe.
"Devo tornare in bagno e lavarmi via questa roba" pensò, infastidita.
Si rimise giù, aspettando che lo scroscio d'acqua cessasse e la porta del bagno si aprisse. Un brivido di freddo l'avvolse e sentì tutto il corpo indurirsi di pelle d'oca.
Senza pensarci s'infilò sotto le coperte e la sensazione di calore fu piacevole. Chiuse gli occhi, godendosi il tiepido tepore, lasciandosi cullare dal rumore della doccia che continuava a giungere alle sue orecchie.
Il suono cominciò a diminuire sempre più, senza che lo capisse, senza che lo notasse, finché si addormentò.
Franco si svegliò.
Il buio lo disorientò per qualche secondo, il tempo necessario per capire dove si trovasse.
"Sei in camera tua, scemo! Dove altro potresti essere?" pensò, allungando la mano sul comodino e accendendo la lampada.
Prese in mano la sveglia e rimase sorpreso nello scoprire che si era coricato solo da mezz'ora. Spense e si rimise giù, pensando al sogno che l'aveva svegliato, quasi del tutto svanito ormai, tranne che per l'immagine di quel treno che, lento, si stava muovendo...
«Merda, il treno!» disse ad alta voce, spaventando sé stesso.
Si era ricordato d'averlo lasciato fuori dalla rimessa, nel punto in cui Monica l'aveva fermato. Era una delle sue regole più rigide: "Quando non viene usato, il treno deve stare dentro la rimessa."
In teoria era uno dei compiti della sua assistente, ma... poteva biasimarla questa volta? Avevano un ragazzo ferito gravemente, da portare in fretta e furia all'interno dell'FDS; erano tutti sconvolti, stanchi, impauriti. Senza tralasciare che anche lui era là fuori; la dimenticanza era stata pure sua.
"È poi così importante?" si chiese. "Può starsene anche fuori per una notte."
Eppure, c'era qualcosa che gli ronzava per la testa, un rumore sordo, ovattato, forse un residuo del sogno, forse una premonizione.
Allungò il braccio nel buio, tastando il muro e cercando il pulsante che faceva squillare il campanello nella camera di Monica, accanto alla sua. Ma prima che lo trovasse, si ricordò che la donna era rimasta nella "04-MED", a vegliare sul ragazzo e su Francesca.
"Dacci un taglio, dai. Hai solo fatto un brutto sogno."
Ma non ne era così sicuro, mentre, chiudendo gli occhi, si stava riaddormentando.
Antonio si mise seduto sul letto, di scatto.
Da non molto lontano giungeva un suono d'acqua che cadeva e quelli che sembravano mugolii. Si guardò intorno, sentendo in gola la voglia irresistibile di gridare. Aprì la bocca, ma scoprì di non riuscire a emettere alcun suono.
L'aveva visto, l'aveva visto emergere dall'oscurità, in quello che sapeva non essere un sogno, ma...
Aveva letto i suoi pensieri, aveva visto cosa aveva intenzione di fare. Andava fermato, subito. Ma lui non era più lì, vero? Se n'era andato, sfruttando le dimenticanze, gli errori...
Si rimise giù quasi senza volerlo, e senza che lo volesse, si riaddormentò di botto, dormendo, questa volta, uno dei sonni più tranquilli e sereni della sua vita.
Masi spalancò gli occhi all'improvviso e la prima cosa che notò fu che non aveva più mal di testa.
La piacevole sensazione di leggerezza però, durò meno di una bollicina d'acqua formatasi nel turbinio di una cascata; aveva i piedi bagnati e gelati, e qualcosa gli pungolava la schiena, procurandogli un fastidioso bruciore.
"Dove sono?" pensò, avvolto nell'oscurità totale, più dentro la testa che esterna.
Gli pareva di volare, d'essere sospeso nell'aria; il dolore ai piedi aumentava e la schiena gli faceva male. Avrebbe voluto urlare ma qualcosa glielo impediva, qualcosa di molto potente che sentiva scorrere all'interno del corpo, qualcosa che parlava, senza che lui capisse cosa dicesse. Qualcosa di vivo dentro di lui. La voce sembrava provenire da un pozzo senza fondo, ed echeggiava, rimbombava, come se stesse sforzandosi di farsi sentire.
I dolori di Masi si fusero in uno solo, atroce, insieme all'enorme frustrazione che provava nel non capire cosa quella voce stesse gridando. Non sembrava una richiesta d'aiuto, ma più un ordine categorico, forse una minaccia...
Arrivò la paura, che divenne in un attimo vero e proprio terrore; e fu in quel momento che gli occhi di Masi si aprirono veramente...
Capì all'istante d'essere impigliato a qualcosa, senz'altro un tronco.
Era sospeso sopra la torbida acqua del fiume che scorreva sotto di lui, appena illuminata da uno strano riverbero giallognolo che proveniva da sopra la sua testa. Ciò che l'aveva salvato da una sicura morte era infilato sotto la sua casacca, e premeva forte contro la schiena. Ma quel dolore era nulla in confronto a quello che stava provando ai piedi, nudi, per tre quarti immersi nelle fredde acque.
Non volle perdere tempo a ragionare su come e perché fosse in quella situazione (anche se, ora che la nebbia nella testa si stava diradando e tutti i ricordi ricomparivano, aveva qualche mezza idea!); sollevò all'istante le gambe, portandosi le ginocchia verso il petto, togliendo i piedi dall'acqua, legati e intorpiditi; se non fosse stato per il dolore pulsante che irradiavano a causa del freddo, avrebbe seriamente creduto di non averli più.
Provò, con estrema prudenza, a dondolarsi, stuzzicando poco piacevolmente le fitte che il legno appuntito piantato nella schiena gli procurava, ridistendendo intanto gli arti inferiori, nella speranza che le dita intirizzite sfiorassero una qualsiasi superficie solida; ma ciò che i suoi piedi incontravano, continuava a essere sempre e solo acqua.
"Se potessi usare le mani, cazzo!" pensò, cercando di forzare con i polsi le manette che gli inchiodavano le braccia dietro la schiena.
"Sei libero, ora!"
La voce risuonò nella sua testa, la sua stessa voce. Era lui quindi, che poco prima cercava di farsi udire? O era... l'altro? La voce udita nell'FDS, quella che gli aveva dato precise disposizioni su cosa dovesse fare.
Si era immaginato tutto? Aveva solo udito la sua voce che dava corpo a un desiderio ancora inespresso?
"Non sei nella posizione più comoda per stare a ragionare su chi ha detto cosa, Pietro!" pensò, riabbassando d'istinto le gambe e rituffando i piedi nell'acqua gelida. Una nuova scarica di dolore lo investì, facendolo imprecare.
"Sei libero, ora!" ripeté la voce.
«Chi cazzo sei?» disse con l'unico filo di voce che riuscì a far uscire dalla bocca.
Cominciò ad agitarsi, divincolandosi sul ramo, risollevando le gambe.
«E poi libero da cosa? Ho le manette, cazzo!»
"Dal mal di testa!"
Si bloccò. Il mal di testa! Testa! La testa!
Fu come se nel cervello si fosse accesa all'improvviso una lampadina. Era libero, ora aveva capito. Era libero da impedimenti, quelli che gli aveva imposto quel vecchio di merda che rispondeva al nome di Franco de Simone.
Gli avevano tolto il collare dalla testa, o era scivolato quando si era impigliato, o chi cazzo se ne frega cos'era successo! Finalmente era libero, libero di sprigionare i suoi poteri, libero di sprigionare tutta la sua rabbia, libero di vendicarsi.
Non dovette nemmeno sforzarsi; non appena riacquistò la consapevolezza, il suo corpo si accese come una torcia, facendo sparire in un attimo tutto il freddo, tutti i dolori, tutta la stanchezza e le umiliazioni accumulate. Le manette intorno ai polsi si sciolsero come burro, le fascette che gli legavano i piedi diventarono polvere; la miserabile casacca da prigioniero che indossava si sbriciolò come crosta di pane vecchio, lasciandolo nudo come un verme.
La punta del ramo del tronco che l'aveva salvato, se pur tormentandogli la carne della schiena, s'annerì, mentre Masi, con le mani all'indietro l'afferrava, eseguendo senza alcuna fatica una torsione del tutto innaturale per qualsiasi essere umano. Il mondo vorticò mentre roteava nell'aria, atterrando in piedi, sull'erba fresca, proprio sul ciglio della sponda.
Rimase qualche secondo fermo, a occhi chiusi, respirando a pieni polmoni. L'energia si era subito spenta e l'aria, estiva e montana, circondava il suo corpo nudo, tentando di aggredirlo.
Ma Pietro Masi non sentiva freddo, non sentiva nulla tranne una meravigliosa sensazione di invincibilità e un desiderio irresistibile di torturare e uccidere tutti quelli che avevano osato sfidarlo. E, ormai che c'era, pure quelli che non gli avevano fatto nulla.
I dubbi puerili che aveva appena avuto si erano già dissolti nell'aria. Sapeva cosa doveva fare, lo sapeva molto bene. E l'avrebbe fatto molto presto; non prima però, d'aver chiarito alcune questioni.
Si voltò.
L'FDS era avvolta da una grande bolla giallo scura che pareva quasi tremolare contro l'oscurità del cielo.
Senza indugio Masi alzò le mani, dalle quali scaturirono due grossi e potenti raggi che colpirono la superficie più vicina della cupola: non successe nulla. I raggi sembravano scivolare sulla patina e mescolarsi con l'energia che la formava, creando striature arancioni che venivano assorbite in fretta.
Pietro intensificò la potenza, ma il risultato non cambiò. Quella specie di recinto era, al momento, inviolabile. Un sorriso gli si disegnò sulla faccia.
"Sarà un vecchio di merda, ma è innegabile che de Simone sappia il fatto suo!" pensò, per nulla preoccupato.
Abbassò le braccia e si diresse a sinistra. Oltrepassò la baita, protetta anch'essa dall'involucro luminoso, infilandosi nel corridoio formatosi tra la cupola e la rimessa. Camminava tranquillo, senza fretta, sentendo quasi l'impulso di fischiettare, memore che i poteri che Ismel gli aveva dato non gli permettevano di volare.
"Per ora!" fu il pensiero che si disegnò nella sua mente.
Giunse davanti al treno, brillante per i raggi lunari posati sul ferro dell'unica carrozza che componeva il convoglio, insieme alla locomotiva.
"L'hanno lasciato incustodito, fuori dallo scudo..." pensò, sorridendo. "È fin troppo facile, così!"
Ci camminò accanto, accarezzando con la mano la fiancata e, giunto in fondo, tornò indietro, godendosi l'attimo e raggiungendo la scaletta che permetteva di entrare nella cabina di guida aperta. Non aveva mai guidato un treno in vita sua ma, in quel momento, non lo riteneva un grosso problema. Sentiva di poter fare tutto e che niente gli era precluso.
"Tranne scalfire il recinto di de Simone!"
Riconobbe subito la voce del vecchio Pietro, forse accucciato in un angolo remoto della sua testa, con tutte le debolezze e le insicurezze che aveva sempre nascosto dietro ad atteggiamenti spavaldi e boriosi. Nemmeno lo considerò! Niente l'avrebbe più fermato, su questo non aveva dubbi. E i piccoli inciampi sul suo cammino, prima o dopo, sarebbero stati rimossi senza problemi.
Fissò i propri palmi, variegati di fosforescenze intermittenti, e li posò sul quadro dei comandi. Il motore si avviò all'istante e il treno cominciò a muoversi, lento; sterzò a sinistra, seguendo i binari che arcuavano sul prato, fino a ricongiungersi di nuovo con il tratto diritto che puntava diretto verso la gola.
Masi si voltò un'ultima volta a fissare la cupola gialla, riflessa nelle sue pupille e sorrise.
«Ci rivedremo molto presto, de Simone!» disse, mentre il treno accelerava, sempre più, lasciando la valle dell'FDS e sparendo nel buio della notte.
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