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35 - LA BIODOLA (2)

Il rollio del mare cullava il peschereccio "BICE" come una madre assonnata con il neonato che non ha intenzione di dormire; la bottiglia vuota di Jack Daniel's rotolava, avanti e indietro, tra la parete della cabina e il corpo di Franco, steso per terra, addormentato e ubriaco, e la musica monotona che produceva il vetro sul pavimento accompagnava il sordo russare dell'uomo.

Sopra la costa una massa di nuvole grigie prometteva un possibile temporale, ma al momento, il sole alto nel cielo, ancora pareva poter dire la propria. Uno stralcio grumoso di nubi riuscì a staccarsi e a oscurarlo per un minuto, portandosi dietro alcune folate di vento forte e fresco che andarono a increspare la superficie del mare, già poco tranquillo. Tre ondate un po' più agitate colpirono la chiglia del peschereccio, inclinandolo più del solito; la bottiglia rotolò contro lo spigolo della parete tintinnando, continuò la sua corsa all'esterno, andando a urtare una delle aste d'acciaio della balaustra, frantumandosi e finendo in mare.

L'improvviso sballottamento, più che il rumore di vetri infranti, svegliò Franco di soprassalto, consegnandolo al mal di testa cronico che lo tormentava, tanto forte in quel momento da sentire le orecchie fischiare.

Ormai poteva definirsi un alcolizzato, senza se e senza ma, sebbene avesse sempre avuto un'inclinazione al bere; ma gli ultimi quattro anni erano stati deleteri, da quando, cioè, la sua Bice, come chiamava con affetto Beatrix, l'aveva lasciato. L'alito puzzolente e lo stomaco con la forma di un pallone da basket erano diventati inseparabili compagni di viaggio, insieme alla bottiglia; fosse piccola, di birra, o più grande, di vodka, di rhum, di whisky o di qualsiasi dannato alcol esistente sulla terra, doveva averne sempre una a portata di mano, per affogare nel più breve tempo possibile lo strazio che provava di continuo, quando si faceva sentire in maniera più decisa.

Si tirò su a fatica, attendendo che il dondolio calasse, insieme alle fitte che gli martellavano le tempie; strascicò i piedi verso un mobiletto azzurro stinto, appeso in alto, nell'angolo della piccola cucina di bordo che ormai usava quasi solo come camera da letto; l'aprì e tirò fuori la scatola di Oki che conteneva solo una misera bustina; versò la polverina nel primo bicchiere sporco che raccolse dal lavello. Non aveva acqua a bordo, così la mischiò con un po' di birra e trangugiò il tutto. Ruttò e uscì sul minuscolo ponte, orinò in mare e si sedette sull'unico sgabello che aveva, finendo, con un'unica sorsata il resto della bottiglia.

Sapeva che il mal di testa non gli sarebbe mai passato, ma ormai buttava giù di tutto, anche solo per non farlo aumentare. Si sentiva come un drogato, costretto a bucarsi solo per essere normale.

"Con la differenza che tu, normale, non lo sei più da un pezzo!" diceva sempre, quando rimirava, schifato, la sua patetica immagine allo specchio.

Fece un respiro profondo, incamerando quanta più aria salmastra possibile, e si abbandonò alla vista del mare e della sua amata isola. Mare ed Elba: ormai erano rimasti gli unici elementi della sua vita che non lo facevano stare male.

Nemmeno si ricordava perché fosse lì. Già! Perché si trovava sulla sua barca in mezzo al mare? Perché aveva gettato l'ancora lì in mezzo? Mirò la costa e capì di essere più o meno all'altezza di Sant'Andrea, quindi non troppo lontano dal ristorante e da casa sua. Ma perché? In un angolo c'erano tre taniche di gasolio, gettate a terra a casaccio.

«E quelle chi ce l'ha messe lì?» si chiese.

Il mal di testa sembrava coprire i pensieri e i ricordi; era come avere una morsa, stretta intorno al cervello, fino a farlo lacrimare; non riusciva a ragionare e più ci provava, più le pulsazioni di dolore aumentavano, lasciandogli solo un senso di stordimento, senza dubbio accentuato dalla grande quantità di alcol che aveva ingerito. E voleva bere, ancora. E nemmeno l'emicrania spegneva la voglia, irresistibile, incontrollabile.

E poi c'era Bice; con il suo viso, il suo corpo, la sua voce, il suo odore, e tutti i meravigliosi ricordi di una vita insieme che si portava appresso, riusciva a sovrastare tutto, piantata nella sua mente come un albero dalle radici molto profonde. Il suo ricordo lo faceva piangere e gli faceva venire voglia di bere, sempre di più.

«Perché te ne sei andata, amore mio?» chiese a voce alta, come se pensasse di vederla all'improvviso emergere dalle acque.

"Dovresti rivolgere la domanda a te stesso! Perché me ne sono andata? Di chi è la colpa?"

La meravigliosa pronuncia arrotondata risuonò nella sua testa. Franco chinò il capo.

«Già! Di chi è la colpa...» bisbigliò.

Il mal di testa sembrò allentare un po' la presa, ma forse era lui che ci faceva meno caso, ora che i dolorosi ricordi su sua moglie avevano preso il sopravvento. Le immagini di quel maledetto giorno giungevano nitide, in rapida successione, come un album fotografico caduto a terra dallo scaffale dov'era stato riposto, sfogliato da una folata di vento improvvisa...


Beatrix era uscita presto.

Si era gentilmente offerta di accompagnare il signor Bruno all'ospedale di Piombino per l'intervento alla cataratta programmato ormai da mesi. Ci sarebbe voluta andare la figlia Angelica, ma così avrebbero privato il ristorante di due camerieri per il pranzo. Bruno, nonostante l'età, era ancora impeccabile nel suo lavoro!

«Non ti preoccupare, dai!» aveva detto Beatrix alla donna. «Lo accompagno volentieri. Sai che ho un debole per il tuo papà!» aveva aggiunto, strizzando l'occhio.

Considerando il tipo d'intervento, delicato, ma non particolarmente impegnativo, Angelica aveva accettato.

Franco arrivò al ristorante alle otto e cominciò a scartabellare tra i conti della sera precedente, come sempre soddisfatto degli incassi che facevano ogni giorno. Dopo circa mezz'ora arrivò anche Angelica.

«Siamo mattinieri, stamattina!»

«Sono un po' agitata. Non riuscivo più a dormire.»

«È solo una cataratta! È un intervento semplice» le disse lui.

«È comunque un intervento. Dovevo andarci io, ma la tu' moglie sa essere sempre molto convincente.»

Sorrise e si preparò un caffè con la macchinetta del bar.

Era molto carina quella mattina.

A dire il vero, Franco l'aveva trovata sempre molto bella, fin da quando aveva cominciato a notare che il sesso opposto era qualcosa di più di un semplice compagno di giochi. Lei era figlia del miglior amico di suo papà, nonché cameriere storico del ristorante fin dall'apertura; insieme a Michele, si conoscevano fin da bambini ed erano stati compagni di classe dall'asilo fino alle superiori.

Fu in seconda media che Franco aveva capito di provare qualcosa di più forte della semplice attrazione, ma non trovò mai il coraggio di esternarle il proprio sentimento, nemmeno quando crebbero e divennero più maturi. Lei non diede mai segno di provare qualcosa di più del fortissimo affetto che aveva per lui e Franco, sebbene ogni santo giorno si dava dell'idiota, se l'era fatta bastare come amica, soffrendo come un cane quando sapeva che si vedeva con qualcuno.

Per un terribile e breve periodo aveva sospettato addirittura che si vedesse con Michele e quelli erano stati giorni difficili, perché sapeva già che non avrebbe mai potuto accettare di vedere il suo migliore amico (a conoscenza dei sentimenti che provava), insieme al suo amore segreto.

Quando trovò il coraggio di chiederglielo, Michele si mise a ridere.

«Pensavo l'avessi capito! Non sono attratto dalle donne.»

Lo shock fu grande, quasi quanto il sollievo. Ma non fece in tempo a metabolizzare a pieno la scoperta: suo padre si ammalò e morì, seguito un anno dopo dalla madre. Fu assorbito dal dolore e dal lavoro, mettendo da parte tutto il resto, compreso i sentimenti per Angelica.

Lei, intanto, non riusciva a trovare l'uomo giusto e, alla soglia dei trent'anni, era ancora single. Fu in quel momento che Franco, spronato anche da Michele, si era interrogato se non fosse arrivato, dopo tanti anni, il momento di dare una spolverata alle vecchie passioni, prenderla seriamente da parte e confessarle tutto. Il ristorante andava bene, anzi benissimo; lui era solo, lei era sola...

Ma esitò troppo anche questa volta. S'ammalò, e conobbe Beatrix.

Ora, dopo quasi vent'anni, Angelica era diventata una splendida donna che si concedeva talvolta qualche fugace avventura, soprattutto in estate, e sempre e solo con turisti; Franco, invece, era un uomo sposato, fedele e molto felice. Provava ancora qualcosa per lei? Beh, sì. Il primo amore non si scorda mai! I luoghi comuni non sempre sono cazzate! Ma non era più amore, solo una semplice attrazione immersa nell'oceano d'affetto che entrambi provavano l'uno per l'altra.

La guardava e vedeva un'amica, una sorella, bellissima, sia fuori che dentro. Amava Bice e Bice soltanto!

Quella mattina stava sistemando le ricevute, assorto nel suo lavoro, e non s'accorse che Angelica, appoggiata al bancone del bar, lo osservava mentre sorseggiava il suo caffè.

«Sai cosa stavo pensando, ieri? Che io te non s'è mai dato nemmeno un bacio!» disse, all'improvviso.

È risaputo come l'uomo, in generale, difficilmente riesca a concentrarsi a pieno su due cose in contemporanea. Franco stava facendo i conti, e quando faceva i conti perdeva contatto con la realtà, in totale immersione nel sommare, moltiplicare, rivedere, anche più volte, per paura di sbagliare. Angelica poi, non era nuova a discorsi simili, sempre esternati con ironia, per scherzo, come succede tra vecchissimi amici qual erano loro.

Per cui la frase, entrata nelle orecchie di Franco come se fosse stata pronunciata da un'altra stanza, sfiorò il suo cervello, provocandogli solo un leggero e sfuggente sorriso.

Ma Angelica non scherzava stavolta. Ci pensava sul serio, già da un po'. Lo conosceva da quasi cinquant'anni ormai e l'aveva sempre visto solo come un amico, sebbene avesse sempre saputo di essere per lui qualcosa di più.

La natura umana però è complicata, imprevedibile; sfugge a ogni regola, a ogni logica. Proprio ora che non era più giovanissima, la solitudine che si era e le era stata imposta, cominciava a pesare. Non aveva intenzione di sfasciare il rapporto stupendo che c'era tra Franco e Beatrix, ma vedere che marito meraviglioso fosse il suo amico, accese una scintilla d'attrazione nel suo cuore, e meno si sforzava di pensarci, più questa divampava in un incendio.

Era sempre stata un'impulsiva, intraprendente, pronta a non perdere le occasioni, perché "si vive una volta sola"! Era stata Beatrix a voler accompagnare il suo papà. Era un segnale? Certo era un'occasione.

"Che male c'è?" si disse. "Nessuno lo saprà mai."

Se solo avesse potuto conoscere in anticipo le conseguenze...

Notò che Franco non l'aveva ascoltata, o non l'aveva presa sul serio, per cui, finito il caffè e posata la tazzina, lo raggiunse e si sedette al tavolino con lui.

«Hai capito cos'ho detto?»

«Eh?» Franco alzò lo sguardo.

Angelica adorava quell'espressione inebetita che aveva quando era preso da qualcosa. L'aveva sempre trovata molto divertente; adesso la trovava pure eccitante.

Gli sorrise e prima che lui potesse aggiungere qualcosa, lo baciò.

Dire che Franco rimase sorpreso, è dire poco. Anzi, è dire nulla! Ma non appena la lingua della donna che aveva amato e desiderato per anni, cominciò a strusciarsi contro la sua, sparì tutto. Sparirono i conti, sparì il ristorante, sparì il mare. Ma soprattutto sparì Beatrix e si ritrovò nel vuoto più assoluto, in cui c'erano solo loro due.

Il bacio s'intensificò. Angelica lasciò la sua sedia e si sedette sulle sue ginocchia tenendogli stretto il viso tra le mani, lasciandogli posare le sue sui seni, muovendosi in modo provocatorio sulla sua erezione.

Nessuno dei due sentì i passi sulle scale, e nemmeno s'accorsero della porta che si spalancava.

«Sciopero dei traghe... COSA SUCCEDE, QUI?»

Angelica si staccò quasi urlando, rimanendo in piedi, a fissare Beatrix e il suo papà con una mano sulla bocca. Franco invece rimase seduto, del tutto intontito da quella cascata di emozioni, da sentirsi quasi le orecchie tappate. Gli pareva di essere rinchiuso in una bolla, e dovette sforzarsi di farla scoppiare per riuscire a capire quello che sua moglie gli stava gridando addosso...


Aprì gli occhi.

Davanti a lui la superficie del mare scintillava al sole, che sembrava averla vinta sulle nubi grigie che si stagliavano in lontananza. Anche il vento si era calmato e la barca aveva smesso di ondeggiare. Si accorse che il mal di testa era quasi del tutto sparito, cosa che gli succedeva molto di rado in quel periodo; aveva la testa molto più leggera.

La furia di Beatrix e le parole di rabbia riversategli contro, quel giorno di quattro anni prima, risuonavano ancora nelle sue orecchie; le aveva sentite e risentite talmente tante volte che ormai gli parevano il ritornello di una brutta e triste canzone.

Sua moglie... la bolla...

Guardava il mare e vide qualcosa nella sua testa; un'immagine che s'accese e si spense in una frazione di secondo. Sentiva fortissimo il desiderio di bere, ma non voleva alzarsi, ora. Qualcosa cercava disperatamente di affiorare nella sua mente e sapeva che, se si fosse mosso l'avrebbe persa, forse per sempre.

Sua moglie... la bolla... il ristorante... Angelica...

Lo sguardo si posò sulle taniche di gasolio nell'angolo della prua.

Gasolio... la mia barca... mia moglie... la bolla... La bolla? Le bolle!

«CAZZO! LE BOLLE!»

S'alzò di scatto. Gli era tornato tutto in mente.

Si rese conto in quel momento, forse per la prima volta e sul serio, di quanto cominciasse a diventare grave la sua dipendenza dall'alcol, se addirittura arrivava a scordarsi le cose terribili che erano successe negli ultimi due giorni.

"Devi smetterla di bere! Devi smetterla sul serio!" pensò, ma era già rientrato in cucina e si stava aprendo l'ennesima bottiglia di birra calda.

Ne trangugiò metà in un sorso e tornò sul ponte, guardandosi intorno solo un momento; finì la birra e recuperò l'ancora, che emerse grondante dall'acqua. La mollò per terra e corse alla cabina di pilotaggio; avviò il motore e controllò il livello del carburante. Prese un'altra birra, rifletté un momento, poi si portò dietro l'intera confezione. Tornò al timone e diede gas.

Il peschereccio si mosse.

«Arrivo, Beatrix. Sto venendo da te.»


La barca borbottava come un vecchio brontolone parla dei suoi acciacchi, fendendo con agilità la superficie del mare fattasi tutt'a un tratto liscia e calma; le onde che uscivano dalla stanca scia del peschereccio, piccole e inconsistenti, erano di fatto l'unica increspatura presente in quel tratto di Tirreno.

Franco aveva deciso di seguire la costa fino a Portoferraio, per poi coprire il tratto di mare aperto fino a Piombino, seguendo la rotta dei traghetti. Una volta sulla terraferma avrebbe cercato un'auto per raggiungere Livorno e la casa dove sua moglie si era trasferita, ormai da quattro anni.

Era ancora sua moglie perché non avevano divorziato; anzi, non avevano mai nemmeno parlato di divorziare, solo perché, dopo quel giorno, Beatrix se n'era andata e, a parte uno scarno messaggio su WhatsApp, non si erano più né visti, né sentiti.

"Ho trovato un appartamento in Via del Mare 10, a Livorno" diceva. "Ti sto dando l'indirizzo solo per le emergenze. Non t'azzardare a venire qui senza motivo e nemmeno a telefonare."

Franco, in realtà, aveva provato a chiamarla più volte durante il primo anno, ma lei non aveva mai risposto e quando la bottiglia aveva preso il sopravvento, aveva smesso anche di tentare.

Nei primi due anni aspettava ogni giorno di vedersi recapitare documenti di divorzio da firmare, o di essere convocato davanti a un giudice, ma non era mai successo nulla. Beatrix sparì dalla sua vita in un istante, proprio come vi era entrata; non reclamò nulla, nemmeno un soldo.

Michele l'aveva spronato più volte ad andare da lei per parlare e decidere a quattr'occhi cosa fare, ma lui, pur tentennando, non si era mai mosso. L'aveva ferita molto profondamente, ne era consapevole e, dentro di sé, riteneva giusto rispettare la sua richiesta di lasciarla in pace, per quanto ne soffrisse.

Passato il primo anno, si mise in testa che lei avesse trovato un'altra persona, e se ne convinse talmente tanto che cominciò a bere per provare a dimenticarla. Non ci riuscì, e divenne alcolizzato.

Come se non bastasse, poi, aveva perso anche Angelica, distrutta dalla vergogna e dai sensi di colpa. Provò a resistere dopo quel giorno, più che altro per il lavoro, per il ristorante, per un affetto profondo che aveva verso quel mondo a cui apparteneva dalla nascita, ma resistette solo due mesi.

Franco le aveva subito fatto capire che non la incolpava di nulla, ma la donna si chiuse a riccio e, ogni volta che lui provava a dirle due parole, si metteva a piangere.

«Mi spiace, Franco, ma non ce la fò! Io e il babbo ci trasferiamo a Cecina, dalla zia. Lui va in pensione e io lavorerò al su' ristorante» gli comunicò un giorno, prima di sparire pure lei dalla sua vita.


Con le mani ben salde sul timone e lo sguardo fisso in avanti, Franco navigava, la mente immersa in ricordi, propositi, decisioni da prendere. Vide il cellulare, posato sul mobiletto al suo fianco; sapeva che non funzionavano più, ma lo prese lo stesso nella speranza che, forse, qualcosa fosse successo e le linee si fossero riattivate. Lo schermo era nero. Provò ad accenderlo, ma non successe nulla.

"La batteria!" pensò.

La notte precedente, quando aveva deciso di andarsene, se l'era preso dietro più con un gesto meccanico che pensando veramente potesse servirgli, l'aveva sbattuto, acceso, sul mobiletto ed era partito in tutta fretta, scordandosi in un attimo che fosse lì.

«E ovviamente il carica-batterie è rimasto al ristorante!» disse ad alta voce.

Lo lanciò fuoribordo e guardò l'ora sull'orologio che aveva al polso: le 16:48. Era lunedì, 20 giugno 2022.

«Minchia! Sono già le cinque! Quanto ho dormito? Quanto ho bevuto?»

Calcolò che, facendo solo una breve sosta per mettere altro carburante nel motore, poteva arrivare a Portoferraio per le 18:30, stando larghi. Se non incontrava intoppi, entro le nove sarebbe arrivato a Piombino.

«Trovo una macchina e per le dieci e mezza sono a Livorno!»

Sempre che anche la sua Beatrix non fosse finita in una bolla e quindi, come aveva appurato vedendo quelle innalzate nel suo paese, adesso non fosse a faccia in su, con uno strano filo rosso che le usciva dalla bocca. Come Michele e i suoi genitori, come i due camerieri assunti per sostituire Angelica e il signor Bruno, come tutte le persone che abitavano vicino al ristorante e che lui conosceva bene, e come tutti i turisti venuti lì per riposarsi, finiti invece a boccheggiare sotto a una cupola arancione.

«Non Beatrix! Lei si è salvata, io lo so!» disse, rivolgendosi al mare, forse l'unico amico rimastogli. «Se sono scampato io, lo è anche lei. E sarà felice di vedermi. Se non è un'emergenza questa!»

L'idea che aveva, prima di raggiungerla, era di fermarsi a Cecina per scoprire cosa fosse successo ad Angelica e al suo papà. Certo, arrivare dalla propria ex moglie dopo quattro anni, e presentarsi assieme a colei che era stata la causa della loro rottura, non sarebbe stata una cosa, come si suol dire, proprio delicata! Ma Franco confidava nell'enormità del buon senso di Beatrix che, in un caso eccezionale come quello in cui erano finiti, sperava avrebbe prevalso. E poi avrebbe sicuramente voluto conoscere la sorte del signor Bruno, che adorava da sempre.

"Capirà, la mia Beatrix. Sono sicuro che capirà."

Dopodiché, se solo con lei o con un gruppo allargato, si sarebbero diretti verso il Trentino e verso Franco de Simone, l'unica informazione che era riuscita a dargli quella strana tizia in quella strana telefonata che aveva ricevuto ad aprile, prima che lui sbattesse giù il telefono.

Non aveva creduto a una sola parola, ma ora...

"Come potevo credere a una roba del genere, allora?" pensò, cercando di giustificarsi.

Naturalmente sapeva chi fosse Franco de Simone e conosceva la FDS, anche se non sapeva con esattezza in che parte del Trentino si trovasse; a questo avrebbe pensato dopo, quando e se il problema si fosse presentato.

"Ora conta solo arrivare da Beatrix!"

L'immagine di sua moglie nella bolla, però, continuava a pulsargli nella mente. Franco scrollò la testa, come per mandare via quei brutti pensieri e tentò di concentrarsi sul mare e sulla splendida vista che aveva davanti agli occhi.

Stava passando davanti allo splendido golfo della Biodola, la parte dell'isola, oltre casa sua, che amava di più. Girò il timone verso destra per avvicinarsi un po', incurante di allungare un poco la strada. Voleva rivedere, forse per l'ultima volta (a questo pensiero sentì qualcosa mordergli il cuore) la spiaggia dove aveva passato tante giornate splendide con la sua Beatrix, ma anche in compagnia dei suoi amici. Calde lacrime cominciarono a rigargli le guance, mentre le sensazioni, i profumi, persino i rumori legati a quei bellissimi ricordi salivano a galla, sprofondandolo nella nostalgia più acuta.

Ormai che era lì, decise di arrivare fino alle boe rosse, ancorate a trecento metri dalla riva, incurante della tabella di marcia che si era appena dato; cominciava già a distinguersi la spiaggia di Scaglieri, piccola ma accogliente, incastonata tra un piccolo promontorio a sinistra, dove sorgeva il borgo di Forno, e una minuscola punta a picco sul mare a destra, sovrastata da una bellissima villa con tanto di vetrata a vista mare. Un piccolo e tortuoso sentiero artificiale, scavato nella roccia permetteva di raggiungere la ben più rinomata e famosa spiaggia della Biodola, lunga seicento metri e meta ambita dai turisti.

Franco fermò i motori poco prima di arrivare alla boa, lasciando che la debole corrente facesse il resto.

Andò in tutta fretta a prendere il binocolo e, dalla prua, si mise a osservare ciò che l'occhio nudo già gli aveva suggerito.

L'intera spiaggia era una distesa di corpi mezzi nudi, immobili nella sabbia, aggrovigliati e accatastati come alghe; spostava la vista a destra, poi a sinistra, di nuovo a destra fino all'estremità della spiaggia e ancora dall'altra parte, ma ovunque vedeva solo cadaveri.

Abbassò il binocolo, ma subito lo rialzò. Di sfuggita... gli era parso...

Riposizionò le lenti nel punto in cui credeva d'aver visto... Sì! Aveva visto giusto. Non c'erano solo corpi umani distesi, laggiù. In mezzo a loro sguazzava un branco di cinghiali, forse increduli per tutta quella carne a disposizione, senza alcun pericolo, alcun ostacolo. Franco deglutì. Li stavano mangiando.

Spostò lo sguardo più lentamente di prima e riuscì a vederne altri, solitari, che si stavano saziando a volontà.

«Mio Dio! Quanti saranno? Un centinaio? Forse di più... Cosa diamine sarà successo a quella gente?»

Ripensò alle bolle viste sulle spiagge vicino a casa sua e ipotizzò fossero persone catturate da quei cosi volanti, sbattute dentro a una cupola enorme che aveva coperto l'intera Biodola. Ma la bolla dov'era? Quella specie di pupazzone volante dov'era finito? Il pensiero agghiacciante arrivò in contemporanea al dubbio che si era posto.

"Succhiano la vita quegli stronzi! Ecco cosa fanno. E poi se ne vanno lasciando i gusci vuoti, alla mercé della natura."

Rabbrividì e d'istinto si strinse nelle braccia, come se un'improvvisa folata d'aria gelida l'avesse investito. Cominciò a scrutare il cielo in tutte le direzioni, colpito dalla paura e dal presentimento che una di quelle cose tornasse a cercare i topolini che erano scappati durante il primo giro; ma in alto si scorgeva solo l'azzurro del cielo e la palla del sole che spandeva calore.

Puntò il binocolo sull'altra spiaggia, più piccola, dove non c'era anima viva, né morta.

Distolse lo sguardo, e le lacrime ripresero a scendere più copiose. Intorno a lui regnava un silenzio irreale; in quel giorno dell'anno, a quell'ora, quella zona avrebbe dovuto essere brulicante di schiamazzi di bambini, gente che chiacchierava, venditori di cocco, bagnini, motori di barche che passavano. Invece, persino i gabbiani e i pesci parevano se ne fossero andati, o avessero solo deciso di unirsi alla tristezza che l'arrivo di quelle terribili cose volanti aveva portato nel mondo.

Improvvisamente un urlo, lontano, ovattato, agghiacciante, bucò la bolla di mutismo che avvolgeva tutto, nonostante fosse secco e strozzato; e come partì, così si spense.

Franco sollevò la testa di scatto. Era venuto dalla spiaggia? O forse dalla collina che incombeva sopra? Là, in mezzo agli alberi, sorgeva il "Camping Scaglieri"; riusciva a scorgere alcuni bungalow dalla sua posizione, almeno quelli posti più in basso, che si trovavano una ventina di metri sopra al mare.

Usò di nuovo il binocolo, spostandolo a scatti tra la Biodola, la spiaggia di Scaglieri, la collina boscosa e il campeggio. Nulla si muoveva, a parte i cinghiali e l'impalpabile tremolio del mare. Era tornato il silenzio, ancora più profondo e avvolgente ora che era stato rotto da quel suono.

Franco si asciugò gli occhi e rimase alcuni minuti a meditare, indeciso su cosa fare. Se si fosse risentito l'urlo o qualsiasi altra cosa diversa da quella terribile quiete adagiata intorno a lui, si sarebbe deciso.

"Altrimenti che fai? Te ne fotti?"

Si massaggiò le tempie sentendo un alone di emicrania che stava per riaccendersi, probabile frutto delle quattro birre scolate dopo essersi imposto di smettere di bere. Era debole! Si sentiva debole e un vigliacco. Laggiù qualcuno era vivo, e forse aveva bisogno d'aiuto. Doveva per forza risentire un altro urlo per decidersi

«Muovi quel culo, stronzo!» si spronò.

Sentiva ancora l'intontimento della sbronza ondeggiare nella sua testa.

"Il bagno mi sveglierà."

Non poteva arrivare fino a riva col peschereccio perché si sarebbe certamente incagliato sul basso fondale sabbioso. Doveva nuotare.

Cercò con lo sguardo la boa più vicina, accese i motori e la raggiunse in un attimo con la velocità al minimo, agganciandola a babordo con un arpione; spense di nuovo, la spostò a prua e vi attaccò l'anello con il mezzo marinaio, facendo passare la cima di ormeggio. Si guardò attorno per assicurarsi di non aver scordato nulla.

"Mi servirebbe un'arma" pensò, ignaro di cosa o chi avrebbe potuto incontrare.

Rovistò sulla barca, ma a parte un vecchio fucile subacqueo, per giunta sprovvisto di fiocina, non trovò nulla di utile, né di comodo da trasportare durante la nuotata.

"Troverò qualcosa sulla spiaggia..."

S'infilò le vecchie scarpe da tennis, abbandonate in un angolo probabilmente durante i bagordi notturni, e si tuffò, pensando, non senza riderne con amarezza, a come sarebbero sballati tutti i programmi che si era fatto in testa.

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