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25 - LA PARTENZA (2)

«Io e Roberto dobbiamo andare» fu quello che disse invece, non appena tutti avevano finito di fare colazione. «Dobbiamo trovare gli altri sei e dobbiamo cominciare prima possibile.»

Andrea guardò suo padre che ricambiò lo sguardo solo per un attimo, prima di abbassare gli occhi.

«Papà!» disse. «Stavolta vengo con te.»

«No, Andy! Devi stare con loro. Sarai più al sicuro.»

Rivolse lo sguardo su Camilla. «Devi restare con lei e proteggerla.»

Andrea guardò di sfuggita prima Veronica, poi Camilla. «La porto con me!»

«Sì! Dove va lui, vado io» aggiunse subito la ragazza, accarezzandogli i capelli.

«No, ragazzi. Questo non è possibile» intervenne Alberto. «Non sappiamo dove ci condurrà questo viaggio, cosa e chi incontreremo. Non avremmo il tempo per pensare anche a voi. Dobbiamo trovare sei persone, quindi ci serve posto nell'auto. Mi spiace.»

Si rivolse a Giancarlo. «Ci servirebbe quel macchinone lì fuori. È tuo?»

«La Ford Taunus? No, no. Era dello stronzo che stava per stuprare lei.» Indicò Dalila. «È tutta tua!»

«Papà, non...»

«Andy, basta. Non possiamo ogni volta discutere su tutto. Siamo in piena emergenza e ti voglio al sicuro. Con noi non lo saresti. Io sono uno di loro, uno di quegli scrigni. È mio dovere andare. Perché non riesci a capirlo?»

«E allora perché Veronica non viene? Anche lei è uno scrigno.»

«Lei può proteggerci da quei cosi viola! L'abbiamo visto giù in paese.»

Aveva preso la parola Dalila. Il ragazzo si girò a guardarla in modo sprezzante.

«Allora che vada lei a cercare quella gente. E tu, papà puoi restare qui a proteggerci!»

Giancarlo ridacchiò.

«Ha undici anni, Andrea!» Roberto si stava alterando. «Credo di poter aiutare Alberto un po' meglio di lei. So girare per le strade, conosco il mondo un po' meglio, senza offesa, Veronica.»

«Sì, ma... se per caso...»

«ANDREA, BASTA! CAZZO!»

Laura ebbe un sussulto e si fece il segno della croce. Marta cominciò a piangere.

Andrea, con gli occhi lucidi, guardò per un secondo il padre; fremeva di rabbia. Poi senza dire nulla, uscì dalla casa. Camilla fece per andargli dietro, ma Veronica la bloccò, prendendola per un braccio.

«Lascialo da solo per un po'» le sussurrò.

Roberto si sedette, sbuffando. «Scusate!» disse.

Alberto gli toccò la spalla.

«Gli passerà, dai» disse Giancarlo, mentre si apriva un'altra merendina.

«C'è un'altra cosa» continuò Alberto. «Sarebbe più sicuro per tutti voi raggiungere la vallata dell'FDS. Franco de Simone può offrire riparo, cibo, acqua, luce e gas. Io e Roberto andremo là, quando avremmo trovato gli altri sei.»

«Se li troveremo...» disse Roberto, ancora scosso per la discussione.

«Quando li troveremo!» puntualizzò Alberto, guardandolo torvo. «Vale soprattutto per te, Veronica. Sei uno scrigno, quindi, giocoforza, prima o poi dovrai recarti nella valle. E prima è, meglio è!» La ragazzina annuiva, fissandolo.

«Io non vado da nessuna parte! Te l'ho già detto» disse Giancarlo guardandolo con aria di sfida, mentre masticava la sua merendina con un mezzo sorriso stampato sulle labbra. Alberto dovette contenere un moto di rabbia.

«Se però è vero che hanno i servizi che qui mancano, io vorrei andarci» s'intromise Laura, che aveva calmato Marta e guardava Giancarlo con occhi dolci. Il vecchio si schiarì la voce e si versò un altro po' di succo.

«Dov'è questa vallata?» chiese Camilla.

«Si trova in Trentino. Il viaggio è lungo, Giancarlo» aggiunse Alberto. «Servono due macchine per portare là tutti. Potresti almeno accompagnarli? O lasci guidare sia Dalila, sia Laura per tutti quei chilometri?» Si rivolse alle due donne. «Sempre che sappiate guidare...»

«Io non guido!» aggiunse prontamente Dalila.

«Visto?» Si girò di nuovo verso il vecchio. «Se non vuoi andare ok, ma li devi accompagnare. Poi te ne puoi tornare anche qui, se vuoi.»

«Io voglio andare dove c'è l'acqua!» si lagnò Marta.

Giancarlo sbuffò. «E voi? Anche voi volete andarci? Non vi piace stare qui?» chiese rivolto a Dalila, Veronica e Camilla.

«A me piace molto stare qui! Ma come facciamo senza i servizi più basici? Possiamo andare avanti per un po', ma poi...» rispose Camilla.

«Non metterla sempre sul personale, vecchio» intervenne Roberto, ridacchiando. «Non è un fatto di dove piaccia stare!»

«Esatto!» aggiunse Veronica, rifulgendo sempre di più nel suo splendore. Quella mattina si era legata i capelli a coda di cavallo e indossava una canottiera bianca che doveva essere appartenuta alla moglie di Giancarlo, pensò Roberto.

«Sono d'accordo con Camilla. Qui è bellissimo, sul serio» continuò la ragazzina. «Ma lavarsi con le taniche è un po' un disagio, obiettivamente.»

«E sarà anche peggio quando dovremo cominciare a usare le bottiglie!»

«E poi non sappiamo quanto durerà tutto questo inferno! Come faremo quando arriverà il freddo, se saremo ancora qui?»

Laura si era allungata e aveva posato la mano su quella di Giancarlo, come per dare maggiore enfasi a quello che stava dicendo.

«Va bene, va bene! Ho capito il concetto!» brontolò lui, scostando la mano e arrossendo. «Com'è possibile però che là funzioni tutto? Sei così sicuro di questa cosa?» chiese ad Alberto, con la faccia molto dubbiosa.

«Ti ho già detto che non lo so come fa, ma se l'ha detto, io ci credo. La vallata è isolata. Ci si arriva solo col treno, tramite una linea di sua proprietà, o con l'elicottero. Ci sarebbe anche il fiume, ma non so se è navigabile; Franco non me ne ha mai parlato. Oppure tramite alcuni sentieri che però sono a ore di cammino dalle più vicine strade. Si dev'essere inventato qualcosa quando ha costruito la fabbrica.»

«Ah già, dimenticavo... Lui è il grande de Simone!» grugnì.

Bevve il suo succo, poi sbuffò di nuovo.

«Va bene, vi accompagno. Ma non resterò! Non ho intenzione di vedere quel vecchio!»

«Ma cosa ti ha fatto? Si può sapere?» incalzò Alberto.

«Ho detto che li accompagnerò! E basta» tagliò corto.

Alberto alzò un sopracciglio, poi prese un foglietto e una biro e scrisse un indirizzo.

«Dovete arrivare qui. È la sua villa, anche se non ci abita praticamente più. Vi verrà a prendere Monica con il treno.»

«E come faranno a sapere che siamo lì, con i telefoni muti?» chiese Veronica.

«Già!» brontolò Giancarlo.

«Vi lascio il numero del suo cellulare. Mi ha detto che avrebbe risolto il problema delle comunicazioni e a breve lo farà! Cercate di tenervi almeno un cellulare carico, visto che non c'è la possibilità di ricaricarlo.»

«Nessun problema per questo. Io ho un caricabatterie a energia solare. Non ho bisogno dell'elettricità, almeno per questo» aggiunse Camilla.

«Bel piano, comunque!» bofonchiò Giancarlo a braccia conserte, con l'espressione sempre più divertita e, almeno per Alberto, sempre più irritante.

«Raggiungere una valle che non si può raggiungere, in cui forse ci sono acqua, luce e gas, chiamando una tizia con il cellulare che forse andrà ma che adesso non va!»

Alberto sbuffò e fissò Roberto, che con un mezzo sorriso stava scuotendo la testa, abituato alla pesantezza e al pungente sarcasmo di Benisi.

«Si chiama fiducia, Giancarlo, ed è una delle poche cose a cui possiamo aggrapparci in questo momento. Io mi fido di de Simone. Non so che problemi possa avere tu con lui, ma questo è quello che ci può offrire. E mi sembra tanto, in tutta sincerità!»

«E se per quando arriviamo là, il tuo amico ancora non ha risolto il problema?» chiese Giancarlo, come se Alberto non avesse nemmeno parlato.

«Ci sta lavorando già da due giorni. Ce la farà!»

«Già! Il grande Franco de Simone non fallisce mai!» ribatté, alzandosi e versando un po' d'acqua nel lavello, per lavare i bicchieri sporchi di succo di frutta.


«Siamo diventati un bel gruppo. Non voglio che si disgreghi.»

Giancarlo fu colto di sorpresa nel trovarsi a fianco Veronica, mentre lavava i bicchieri.

«Cosa dici, cara?»

«Voglio che resti con noi. Ti prego! Non mi piace saperti qui da solo.»

Gli occhi della ragazzina luccicavano, velati da una patina di lacrime pronte a scendere.

Lui si asciugò le mani e la prese per le spalle.

«È complicato, Veronica. Dubito che de Simone mi voglia in casa sua. E, sinceramente, io non ho molta voglia di essere suo ospite.»

«Ma siamo in piena emergenza, contro un nemico comune. Bisogna mettere da parte le divergenze e combattere tutti insieme.»

Giancarlo sorrise. «Sei molto saggia per la tua età. E anche piuttosto furba!»

Le asciugò le lacrime e sorrise a sua volta. «Intanto vi accompagno, poi vediamo che succede. Va bene?»

Lei annuì. «Posso chiederti cosa è successo tra di voi?»

«Puoi chiederlo, ma non ti risponderò. Almeno non ora. Non ho voglia di raccontare quella storia. Ma un giorno lo farò, te lo prometto.»

«È libero il bagno?» li interruppe Camilla, comparsa dietro di loro.

«Sì, vai pure.»

«Come sta, Andrea?» le chiese Veronica.

«Non lo so. Pensavo fosse su in camera, ma non c'è. Credo sia fuori. Appena esco, vado da lui.»


Roberto stava caricando sulla Ford un borsone in cui aveva infilato i suoi indumenti e quelli di Alberto (pochi, in realtà), una sporta procuratagli da Giancarlo con un po' di cibarie varie, tra quelle che avevano preso al Centronova il pomeriggio precedente, e una cassa d'acqua. Non era molta roba ma, sia lui sia Alberto, sapevano che potevano procurarsi altri rifornimenti lungo la strada.

Il problema più grande sarebbe stata la benzina. La Ford aveva il serbatoio pieno poco più della metà quindi, per un po', erano a posto; ma dovevano trovare al più presto un modo per procurarsene dell'altra. La Polo al momento non necessitava, ma la SAAB era quasi a secco, avendo affrontato il viaggio dalle montagne. Roberto si pentì di non essere tornato indietro il giorno prima, per prendere qualche tanica e riempirla con quel liquido che diventava ogni minuto più prezioso.

Caricato tutto, chiuse il bagagliaio. Sollevò lo sguardo e vide Alberto che veniva verso di lui, intercettato però da Dalila. La donna lo prese per mano e lo trascinò dentro alla stalla, accostando la porta d'ingresso.

Nello stesso, preciso momento, Veronica passò da lì, svoltò l'angolo della casa e si diresse sul retro.


«Senti, Dalila...» esordì Alberto. «Stanotte è stato bello, ma io...»

«Lo so. Sei innamorato di un'altra. Tranquillo, non sono invaghita di te. Avevo solo bisogno di scopare.»

Alberto si sentì quasi offeso. Per la prima volta nella sua vita era stato usato e il fatto gli era stato spiattellato in faccia molto spudoratamente. Pensò a tutte le volte in cui era successo l'esatto contrario, soprattutto quando era ancora un ragazzino, spezzando parecchi cuori e ricevendo parecchi insulti.

Un sorriso si formò sulle sue labbra e non riuscì a nasconderlo; lo sentì galleggiare sulla faccia mentre Dalila lo ricambiava con la solita espressione seria. Poteva parere apatica a prima vista, ma nelle profondità dei suoi occhi c'era vitalità, e lui la vedeva. Era sepolta, l'aveva intuito quella notte, da una spessissima coltre di grigiore, la più scura che si potesse immaginare. Ma c'era. E il suo amico, NC360, a quanto sembrava, ne era il responsabile. Non sapeva il suo nome, non sapeva cosa avesse fatto... Ora sapeva chi aveva colpito.

«Ti volevo dire un'altra cosa» proseguì Dalila, interrompendo i suoi pensieri. «Per quanto hai intenzione di tacere il tuo segreto?»

Lui deglutì. Lei lo tranquillizzò.

«Non lo dirò a nessuno. Ma non puoi tenerlo nascosto agli altri.»

Lui abbassò lo sguardo. «Mi vergogno come un cane!»

«Questo è chiaro. Deve essere così!»

Alberto alzò la testa. Lo sguardo di lei lo perforava, come se stesse sparando dardi infuocati dagli occhi.

«Non ero in me quel giorno e...»

«Lascia stare! Dite tutti così. Risparmia le scuse!»

Si sentì punto sul vivo e, un po' ingiustamente, attaccato. Anche se il dubbio che lei avesse ragione, aleggiava subdolo in lui.

«Stavo comunque pagando il mio debito e anche molto duramente! E lo starei ancora facendo. Mi ha fatto evadere Franco perché aveva bisogno di me... per tutto questo!»

Gli si incrinò la voce. Ritenne saggio, in quel momento, omettere i suoi incontri sessuali con Francesca e, d'improvviso, sentì tutto il corpo come attraversato da un fulmine gelato.

Senza preavviso e senza che lo volesse, gli venne in mente il discorso fatto da Franco, su come ogni essere vivente su quel piccolo pianeta, pensi, alla fine di tutto, principalmente e solo alla propria sopravvivenza. Con tutte le accezioni che il termine poteva assumere. Proprio come stava facendo lui adesso. Nonostante il brivido che lo colse, riuscì a rimanere impassibile. O almeno, credeva d'esserci riuscito.

«Penso a quelle due donne ogni momento, cosa pensi? Il rimorso sarà la mia prigione, per tutta la vita.»

Si accorse subito di aver sparato un banale e inutile luogo comune. Se sul serio aveva intenzione di convincere quella donna imperturbabile che era pentito e cambiato, non stava avendo successo. Anche se, in tutta onestà, era complicato capire cosa Dalila stesse pensando, come aveva potuto appurare durante il loro amplesso.

«La tua donna... è Francesca Fontana?»

Alberto sbiancò e sgranò gli occhi. «Tu... come... lo sai?»

Un sorrisetto ironico comparve sul viso della donna.

"Allora qualche emozione la mostra, ogni tanto!" fu il primo pensiero che attraversò la mente di Alberto.

«Sei sicuro che fosse così dura la vita in carcere, dopotutto?» gli disse lei, tornando all'istante seria.

«Spaccavo pietre per ore, ogni giorno» tentò di giustificarsi, ma si sentiva nudo innanzi a lei. Era come se, dopo il loro incontro notturno, non si fosse più rivestito.

Lei non disse niente, continuando a guardarlo.

La situazione cominciava ad assumere contorni assurdi. Ad Alberto pareva di essere tornato ai tempi del liceo. Non era mai stato né un secchione, né un completo somaro; galleggiava nel mezzo, arrabattandosi per il sei, sfruttando soprattutto la sua parlantina durante le interrogazioni. Quasi tutte le professoresse restavano ammaliate dal suo fascino e quasi stordite dai suoi intricati discorsi, il più delle volte ridondanti e parecchio gonfiati. Tutte, tranne quella di filosofia, una bassa e arcigna vecchietta con un enorme chignon sulla testa, che lo ascoltava e lo fissava proprio come stava facendo Dalila in quel momento, senza cambiare mai espressione, senza nessun segno o tic che potesse rivelare cosa stesse pensando.

«Mi stai giudicando?» buttò fuori, senza quasi pensare a cosa stesse dicendo.

«Assolutamente no! Ma dovrei farlo con la tua donna...»

Alberto aggrottò la fronte.

«... visto che la pago per punire i delinquenti, non per scoparseli!»

«Tu, la paghi?»

Dalila piegò un po' la testa di lato.

«Da oggi non più, direi. Ma fino al mese scorso il mio assegno l'ha ricevuto. Credevi che mandasse avanti quel posto da sola? Si rivolgeva ai famigliari delle vittime dei suoi "ospiti", chiedendo un contributo in cambio della giustizia che non avrebbero mai ricevuto dallo Stato. Dimmi, si scopava anche quel bastardo?»

Alberto capì che stava parlando del suo amico e provò un piccolo moto di rabbia nel sentirlo chiamare così. Ma aveva senz'altro le sue ragioni e lui era terrorizzato all'idea di scoprirle. Gli occhi della donna gli stavano senza dubbio leggendo dentro.

«Ha ucciso mio marito, la mia bambina e altre persone, per rispondere alla domanda di stanotte, e a quella che ti aleggia nella mente adesso. È entrato in chiesa durante la messa, e ha sparato.»

Alberto sentì il cuore restringersi, farsi piccolo, piccolo; ogni battito rimbombava nelle sue orecchie imbottite di ovatta e sentì in bocca l'amaro sapore della verità.

La cosa che più lo sconvolse, però, fu il viso di Dalila mentre gli raccontava la straziante realtà: impassibile, come sempre. Aveva appena detto che un pazzo aveva sparato alla sua bambina, a sangue freddo e a bruciapelo, ma nemmeno un minuscolo luccichio di lacrima era baluginato nei suoi occhi, come se i suoi barili del pianto si fossero seccati, ormai da molto tempo.

Cosa poteva dirle? Come poteva non essere ai suoi occhi l'uomo che in realtà era? Colui che aveva stuprato e ucciso due innocenti, amico di colui che aveva sterminato la sua famiglia? Si chiedeva perché avesse voluto fare sesso con lui, e stava per assecondare l'impulso di chiederglielo, quando qualcuno passò correndo davanti alla porta della stalla, accostata. Qualcuno che stava piangendo.


Andrea era sdraiato sull'erba, nel retro del casolare, al limitare di un declivio che terminava in una piccola macchia di alberi. Contemplava il cielo e si godeva la brezza ancora fresca del mattino, mentre nella sua testa i pensieri turbinavano come pezzetti di carta in una tempesta.

Pensava a suo padre che stava per andarsene, e vedeva dei capelli rossi; sua madre, immobile in una bolla, poi capelli rossi; le tette di Camilla davanti ai suoi occhi, e ancora capelli rossi. Pensava a Teo, al suo video, alla speranza che fosse salvo, ma sempre una massa di capelli rossi s'intrometteva. E, ogni volta, sentiva accelerare i battiti del cuore.

Cosa gli succedeva? Possibile si fosse invaghito di una ragazzina di undici anni? Come si faceva a capire se era vero amore, poi?

Pensò a Camilla e a tutti i bellissimi momenti passati con lei. Gli pareva stranissimo che fosse passato solo poco più di un giorno dalla prima volta, sul dondolo. La mente tornò subito a quell'istante: lui che la vede seduta, lei che gli accarezza la coscia e si abbassa le spalline... solo che non c'era Camilla, seduta sui cuscini, ma Veronica. Chiuse gli occhi e sospirò.

Sentì qualcuno avvicinarsi dietro di lui.

"Ecco papà. Ricomincia il duello!" pensò.

Si voltò, ma in piedi accanto a lui, con sua grande sorpresa, c'era la ragazzina. Il suo cuore quasi scoppiò nel petto e tutta la saliva che aveva in bocca si seccò, all'istante.

«Ciao, Andy. Come stai?»

Aveva una voce stupenda, lievemente profonda, cosa strana per un visino dolce e delicato come quello con minuscoli accenni della bambina che ormai non era più. Ad Andrea pareva di non averne mai sentita una più bella.

Lo fissava con quell'espressione di timida innocenza che assumeva talvolta, mentre i suoi splendidi capelli, legati in una coda di cavallo, brillavano alla luce del sole.

Sotto alla canottiera bianca si intravedevano le forme che si stavano sviluppando e promettevano un seno di grandezza media, ma perfetto, come le lunghe gambe, parallele, longilinee, atletiche, che terminavano in due piccoli piedi magri, che sembravano disegnati a matita e che, inseriti in due ciabattine viola, erano fermi e piantati proprio a fianco della sua faccia.

Si appoggiò a un gomito e rispose.

«Ancora un po' arrabbiato, ma bene.»

Quella che uscì però, non sembrava la sua voce, ma la pessima imitazione di quella di una vecchietta col mal di gola.

Veronica si sedette accanto e le narici di Andrea furono subito invase dal suo profumo, inebriante.

«Devi capirlo tuo padre. È un suo dovere. Non l'ha chiesto lui, ma è capitato.»

«Sì, lo so. Ma ho paura! Ho paura di perderlo, come ho già perso mia madre.» Si rese conto di quello che diceva, mentre lo diceva. «Scusa, Veronica.»

«Non fa niente. Guarda che ti capisco» disse lei, voltandosi e fissandolo

"Dio, quanto è bella!" pensò Andrea, ormai quasi in totale apnea.

Non seppe mai chi fu il primo.

Tant'è che un attimo dopo si stavano baciando. Prima in maniera goffa e timida, sulle labbra. Poi, appena le loro lingue si sfiorarono, lei gli mise una mano dietro la nuca, lui la cinse per i fianchi e tutto intorno a loro sparì.


Roberto era rimasto qualche secondo davanti alla porta socchiusa della stalla, perplesso. Il modo in cui Dalila aveva trascinato dentro Alberto indicava che tra quei due era successo qualcosa, nonostante si conoscessero da un giorno scarso. Oppure no? Comunque, non erano affari suoi.

Decise così di seguire Veronica che aveva già svoltato l'angolo, non tanto per farsi i suoi, di affari, ma più che altro pensando a suo figlio, senz'altro rintanato da qualche parte, nel retro del casolare. Voleva partire tranquillo, chiarendosi con lui, in modo da potersi concentrare solo sulla missione impossibile che doveva affrontare.

Giunse all'angolo del muro, dove partiva lo spiazzo in cui la sera prima avevano cenato, cantato e ballato in allegria.

Vide Veronica in piedi, accanto ad Andrea, sdraiato sul prato.

Il ragazzo si appoggiò su un gomito e disse qualcosa che Roberto non sentì, un po' per la distanza, anche se non eccessiva, un po' perché bisbigliavano. Poi lei si sedette. Fece per muoversi e raggiungerli; la presenza della ragazzina, forse, avrebbe facilitato il rappacificamento.

Ma si fermò dopo il primo passo, sbigottito. I due ragazzi si stavano baciando con quella che pareva proprio vera passione.

Appoggiò la mano al muro della casa, sorpreso, stranito.

"E Camilla?" pensò.

Sentì qualcuno muoversi dietro di lui e si girò. Lei era lì, con la mano sulla bocca e due grosse lacrime che le scendevano dagli occhi. Guardò i due ragazzi, guardò lui, poi si girò e corse via.

«Camilla...» provò a dire. Ma lei non si voltò e scomparve dietro l'angolo.


«Apri, dai! Ti prego!»

Andrea continuava a bussare e ad abbassare la maniglia della porta della camera, chiusa. Camilla si era rintanata dentro e dopo l'iniziale «Va via!» non aveva più proferito parola. Ai piedi della scala Alberto e Giancarlo osservavano la scena.

«Eh, l'amore!» proferì il vecchio, con un accenno di sorriso sulle labbra.

Marta colorava sul tavolo della sala da pranzo, mentre Laura, ancora in vestaglia, era affacciata sulla porta, guardando su per le scale incuriosita.

Roberto, nel cortile, aveva chiesto spiegazioni a Veronica.

«Non so come sia successo, lo giuro. Un attimo prima parlavamo, un attimo dopo ci stavamo baciando. Mi dispiace.»

Roberto fissava quegli occhietti furbi da cui scintillava di tutto, tranne che dispiacere. Stava scoprendo un lato nuovo e inaspettato della ragazzina, un lato alquanto sbarazzino che non credeva possedesse.

«Qual è il problema?» era intervenuta Dalila, abbracciando la sua figlioccia. «Sono giovani e spensierati. Se non si divertono loro, alla loro età...»

«Il problema potrebbe anche non esserci, se non fosse che un'altra persona sta soffrendo per tutto questo» aveva risposto Roberto, guardandole torvo entrambe. "E tu, sei vuoi farle da mamma, dovresti insegnarle, non giustificarla!" avrebbe voluto aggiungere, rivolto a Dalila, ma lo sguardo di sfida che lei gli stava lanciando lo fece desistere.

«Mi spiace veramente!» aveva ribadito Veronica e, questa volta, pareva un po' più sincera.

«Noi dobbiamo andare ora. Dovrete risolvere voi questa storia.»

Entrò in casa, salì le scale e giunto a fianco di suo figlio lo fece spostare.

«Camilla, sono Roberto. Stiamo per partire e voglio salutarti. Apri, per favore.»

Sentirono la serratura scattare e la porta socchiudersi. Due occhi, rossi e gonfi di pianto, fecero capolino. Andrea si mosse, ma suo padre lo fermò con la mano.

«Resta qui!» ed entrò.

Anche Alberto era salito e, insieme al ragazzo, ascoltavano il confabulare che proveniva dalla camera.

La porta si spalancò dopo pochi minuti e l'enorme mole di Roberto occupò l'adito. Camilla era dietro di lui, seduta sul letto.

Abbracciò il figlio. «Mi raccomando, ragazzo! Chiarisci i tuoi sentimenti, prima di tutto con te stesso» gli sussurrò all'orecchio. «Segui il tuo cuore, ma non ferire quello degli altri.»

«Papà...» I suoi occhi si riempirono di lacrime.

«Devi stare tranquillo, capito? Non mi succederà nulla. Devo fare questa cosa, per forza, e so che lo comprendi.»

Il ragazzo annuì.

«Se abbiamo successo, se riusciamo a riunire il gruppo e a sconfiggere quel tizio... potremmo anche riprenderci la mamma.» Anche gli occhi di Roberto luccicavano.

«Lo spero...» Andrea tirò su col naso e sorrise.

«Alberto è sicuro che il suo amico farà rifunzionare i telefoni. Vi faremo avere nostre notizie molto presto, vedrai.»

«Va bene.»

«Ci rivediamo alla casa di de Simone, ok?» Asciugò le lacrime del figlio e gli diede una pacca sulla spalla. «Ora vai a parlare con la tua ragazza!»

«Arrivederci, Andrea.»

Alberto allungò la mano che il ragazzo strinse, mentre osservava il padre scendere le scale. Dopo aver fatto un cenno anche a Camilla, Alberto lo seguì.

In fondo alla scala gli si parò davanti Laura. Lo fissò per un secondo, poi lo abbracciò. «State attenti, mi raccomando.»

Lui, sorpreso, ricambiò l'abbraccio.

Lei si staccò e, indovinando i suoi pensieri, gli sorrise. «Non ce l'ho con te. Ognuno la pensa alla propria maniera. Anzi, grazie per non avermi mai mandato al diavolo!» Allargò il sorriso. «So di essere un po' pesante a volte col mio Dio.»

«No... È che io, ho sempre avuto un brutto rapporto con quelle cose e...»

Lei gli pose l'indice sulle labbra. «Non devi giustificarti. Hai salvato la mia vita e quella di Marta e mi hai permesso di conoscere queste persone meravigliose. Grazie!» e lo baciò sulla guancia.


Andrea entrò in camera, fissando la ragazza seduta che si tormentava il colletto della maglietta.

Nessuno dei due parlò per un po'.

Dalla finestra giungevano i saluti che si stavano scambiando di sotto, le raccomandazioni e le promesse. Poi due sportelli sbatterono, il motore dell'auto venne avviato, le gomme scricchiolarono sulla ghiaia mentre l'auto si girava e, lentamente, partiva.

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