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9 - I GINEPRI (1)

Il Botteghino di Zocca, anche detto San Salvatore di Casola, era un piccolo borghetto, non tanto più grande né tanto più piccolo della Pulce e del Farneto e sorgeva (almeno le case più vecchie) sulla stessa lunga via che attraversava le altre due frazioni.

La maggior parte delle abitazioni, perlopiù villette e condomìni di recente costruzione, erano di là dal fiume, che scorreva più o meno parallelo alla strada, in una zona più rialzata rispetto alla strada stessa. Il parcheggio citato da Giancarlo era adiacente a un piccolo parco coperto da alberi, con un campo da calcetto e alcuni giochi per bambini, attraversato dal torrente che proprio lì svoltava, riavvicinandosi un po' alla strada da cui si era discostato poco prima, lasciando un ampio spazio di verde dietro alle prime villette che si incontravano entrando nel paesino. Qui, l'uomo viola aveva posto la sua bolla, di fatto, ben distante dalla via.

Le due macchine si erano fermate dove avevano concordato, più per eccesso di precauzione che per altro; riuscivano a scorgere la sentinella ferma accanto ai suoi prigionieri, ed erano abbastanza coperti dagli alberi per non farsi scoprire a loro volta. La strada per arrivare ai "Ginepri" era poco più avanti, sulla destra. Presa quella, si sarebbero tolti dalla via principale e l'uomo non avrebbe nemmeno saputo che erano passati da lì.

Per una volta però, la troppa prudenza fu fatale. E il prezzo che pagarono salatissimo.

Scesero dall'auto solo Giancarlo e Roberto, mentre Camilla aprì lo sportello per stendere un po' le gambe.

I due uomini attraversarono il fiume sul ponticello pedonale e si avvicinarono un po', acquattandosi dietro a uno degli alberi, cercando di non rompere il triste silenzio che regnava. L'uomo viola era immobile, appena fuori dalla bolla. Sembravano proprio programmati per arrivare, catturare, e fare la guardia. Ma programmati da chi? Ismel, immaginava Roberto? Ma perché? A che scopo? Mille domande turbinavano nella sua testa e a nessuna riusciva a dare delle risposte.

«Dai, torniamo» Giancarlo gli fece un cenno. «È tutto tranquillo. Andiamocene a casa.»

Fu in quel momento che Giò gettò a terra il biberon e si mise a piangere.

L'aria fu squarciata da quell'unico, acuto lamento, che penetrò nelle loro orecchie come una lama. Il pianto di un bambino è uno dei suoni più normali e naturali che una persona può aspettarsi di sentire. Ma in quel frangente sembrava essere l'allarme della banca che stavano rapinando!

Roberto e Giancarlo si girarono di scatto: la portiera della Polo era aperta, Giò era seduto a terra, disperato, assolutamente deciso a non farsi consolare da Camilla che tentava senza successo di prenderlo in braccio per calmarlo. Andrea era dentro la macchina e guardava la scena atterrito. Veronica, intanto, era scesa dalla Ford e stava correndo verso gli altri.

«VERONICA! RESTA QUI!» le urlò Dalila, uscendo anche lei dall'auto.

Roberto si alzò e iniziò a correre verso il ponte. «Giancarlo! Dai... ANDY!»

La sentinella piombò su di loro come un fulmine, si fermò a mezz'aria davanti alla Polo e, per un secondo, sembrò sorridere alle persone che aveva davanti, come se volesse dar loro un aiuto. Ma tutti sapevano che quel ghigno non era un vero sorriso.

Camilla urlò e, dando le spalle all'uomo si rannicchiò su Giò, tremando. Il bambino piangeva sempre più forte. Andrea, seduto sul sedile, paralizzato dal terrore, sentì suo padre gridare il suo nome e si voltò proprio mentre arrivava Veronica, che si piazzò in piedi, tra la sentinella e il resto del gruppo, chiudendo gli occhi. L'uomo viola stese il braccio destro in avanti.

«NOO! VERONICA! COSA FAI?»

Dalila era tra le due macchine. Per un secondo pensò di correre a prendere il fucile, lasciato sul sedile posteriore.

L'estremità del braccio si illuminò di arancione, come ormai succedeva da qualche ora, probabilmente in tutto il mondo. Ma non successe nulla.

Roberto era fermo a metà del ponte; Giancarlo era alle sue spalle, ansimante. Guardavano la scena a bocca aperta.

L'uomo ridistese il braccio, ma ancora una volta la luce comparve, tremolò appena emettendo un basso ronzio, poi si spense. Un po' come quelle vecchie insegne al neon, in cui alcune lettere non si illuminano più da tempo, friggono per qualche secondo, ma rimangono spente.

Veronica aprì gli occhi e vide quelli dell'uomo che la fissavano, senza vita, immobili. Continuava a sorridere, ma ora era il sorriso incerto, forse amareggiato, di chi non capisce cosa stia succedendo. Si sollevò un po' di più in aria e si voltò a sinistra, fissando lo sguardo su Giancarlo e Roberto, fermi sul ponte. I due uomini videro la sentinella volare verso di loro.

Dalila arrivò alla Polo e abbracciò subito Veronica.

Andrea si era tuffato dall'altro lato dell'auto aprendo la portiera.

«PAPA'! NOO, PAPA'!» urlò, correndo verso il ponte.

Veronica si divincolò dall'abbraccio. «Andrea!» disse.

Passò davanti all'auto e lo bloccò, prima che giungesse al ponte.

I due uomini furono sovrastati dall'essere che per l'ennesima volta stese il braccio. Roberto spinse Giancarlo dietro di lui e, per la seconda volta in quell'assurdo pomeriggio, chiudendo gli occhi, aspettò inerme d'essere catturato. Gli sembrava di rivivere un dejà vu. Sentì la voce di suo figlio.

«COSA FAI? SPOSTATI! SCAPPA!»

Ma di nuovo non successe nulla. La luce comparve sul braccio e subito si spense. L'uomo li fissò per qualche secondo, poi tornò verso la bolla. Veronica si spostò e Andrea corse da suo padre.

«Qui c'è qualcosa di strano!» disse Giancarlo, asciugandosi la fronte e guardando Roberto che abbracciava suo figlio.

Dalila aiutò Camilla a rialzarsi. «Stai bene?» le chiese.

Giò non accennava a calmarsi. Lo mise a sedere nell'auto, chiuse la portiera e si girò verso la donna. «Sì, grazie. Ho avuto una paura tremenda.»

Veronica tornò verso di loro e abbracciò la sua nuova mamma. Dalila la strinse forte, poi la rimproverò. «Mi spieghi cosa ti è saltato in mente?»

«Non lo so» rispose. «Ho sentito come l'impulso di proteggerli. È stata la stessa sensazione che ho provato quando Bito ti ha steso su quel tavolo, meno intensa, ma potente.»

Si fissavano. Poi Dalila la baciò sulla fronte e la strinse di nuovo.

Roberto, Giancarlo e Andrea erano scesi dal ponte.

«Adesso ce ne andiamo dritti, dritti su a casa. Ci laviamo, ci sistemiamo, mangiamo e poi discutiamo per bene su quello che è accaduto. Direi che abbiamo parecchie cose da analizzare» sbuffò Giancarlo, pallido come un cencio e fradicio di sudore. Aveva due grosse chiazze di sudore sotto le ascelle, e tutto il collo della maglietta bagnato. Aprì lo sportello della Ford e salì.

Roberto si avvicinò a Veronica.

«Sei stata molto coraggiosa. E... grazie! Hai salvato anche mio figlio.»

La ragazzina si staccò da Dalila e gli sorrise. Non disse niente, ma lui sentì un leggero calore alla base del petto, improvviso, accendersi e spegnersi subito.

Andrea raggiunse Camilla che gli stava andando incontro.

«Tutto bene?» le chiese.

Lei annuì e lo abbracciò. Di nuovo fu preso alla sprovvista. Ricambiò l'abbraccio e si staccò subito non appena cominciò a sentire gli effetti che quel contatto gli provocava.

«Come sta, Giò?» le chiese.

Camilla smise di sorridere, rimanendo a bocca aperta con lo sguardo sospeso nei suoi occhi.

Il bambino non stava più piangendo e intorno a loro, sotto alle loro voci sollevate, era piombato di nuovo il silenzio terrificante di poco prima.

Corse alla Polo mentre Roberto stava salendo al posto di guida. «Cosa c'è?» le chiese, vedendo la sua espressione.

Giò non c'era! La portiera dall'altro lato era rimasta aperta, quando Andrea era sceso. Camilla alzò lo sguardo sopra la macchina.

«GIO'!!!» urlò.

Nessuno se n'era accorto, tutti stavano risalendo al proprio posto dopo gli abbracci e il grande spavento. Tutti si erano dimenticati del bambino che stava correndo sul ponte, verso il parco, verso le altalene. Era già dall'altra parte e gridava: «TALENA! TALENA!»

Roberto vide passare Camilla come un fulmine di fianco a sé.

«NOO! GIO'! TORNA QUI!»

Capì e scese al volo, correndo dietro alla ragazza. Il bimbo era già dentro al parco quando la sentinella planò in mezzo agli alberi e si posizionò davanti a lui. Roberto fece in tempo a bloccare Camilla appena prima che salisse sul ponte.

Fu tutto talmente veloce e improvviso che gli altri, nel momento in cui cominciavano a rilassarsi dopo la grande scarica di adrenalina, furono colti alla sprovvista.

Stavolta la luce arancione scaturì dal braccio in tutto il suo accecante e terribile bagliore, senza ronzii o scariche interrotte. La bolla, ormai tristemente famigliare a tutti, si gonfiò intorno a Giò e lo imprigionò. Il bambino smise di correre e si guardò intorno, titubante.

«NOO! NOO!» Camilla cercava di liberarsi dalla stretta di Roberto.

«È troppo tardi! Non puoi più aiutarlo» le stava dicendo, ma la ragazza, disperata, lottava per raggiungere il bambino di cui si sentiva responsabile, a cui voleva bene, e lui dovette fare appello a tutte le sue forze per trattenerla.

L'uomo viola si alzò in aria trascinando la bolla con sé. Il bambino si mise a ridere, divertito. Si era voltato, in ginocchio, e quando vide Camilla in basso che lo chiamava, gridò: «MILLA! MILLA! GUADA! VOLO!»

Poi, fu portato via.


Le due macchine lasciarono la via principale e imboccarono la strada verso i "Ginepri". Da lì sarebbero occorsi meno di dieci minuti per arrivare finalmente alla meta che da un paio di ore occupava i loro pensieri. Ma non c'era felicità nelle due auto.

L'unico che cercava di tenere alto il morale era Giancarlo. Era rimasto ovviamente scosso anche lui per quello che era successo a Giò, ma si sentiva anche un pochino sollevato. Non aveva mai amato molto i bambini e in particolare i loro strilli; l'aveva scoperto la prima notte in cui i suoi due figli gemelli avevano cominciato a piangere in contemporanea. L'idea di portare nella sua tana, nel suo rifugio di pace e tranquillità, un nanetto strillante e saltellante non l'aveva esaltato, fin dal momento in cui l'avevano raccolto insieme a quella ragazza. Nonostante questo, comprendeva il dolore che stava provando la sua brigata.

«Siamo quasi arrivati. Sembra strano essere tanto ansiosi di arrivare in un posto che in realtà è solo a mezz'ora dalle nostre case, vero?» disse, guardando le sue compagne di viaggio dallo specchietto.

Dalila si era seduta dietro con Veronica che non aveva ancora smesso di piangere per Giò. Erano abbracciate e la donna le accarezzava il viso, con la testa appoggiata sulla sua. Nessuna delle due rispose.

«Dai, dai! È stato un incidente. I bambini... non bisognerebbe mai perderli di vista!»

Veronica sollevò la faccia e gli lanciò uno sguardo incredulo.

«Come puoi dire una cosa del genere in questo momento?»

Anche Dalila aveva alzato la testa e lo guardava torva.

«È colpa di tutti! Anche tua» continuò. «Era un bambino di tre anni e dovevamo proteggerlo. Tutti quanti! E non l'abbiamo fatto.» Riabbassò il viso e continuò a piangere.

Giancarlo fissò di nuovo lo specchietto e incrociò lo sguardo di Dalila.

Questa volta preferì tacere.


Nell'altra auto l'umore era ancora più basso.

Camilla aveva smesso di lottare non appena la bolla era scomparsa dietro gli alberi e si era inginocchiata in lacrime. Roberto l'aveva abbracciata.

«Avrebbe preso anche te, cara. Dobbiamo impegnarci, tutti, per restare uniti. Più siamo e più possibilità potremmo avere di recuperare i nostri cari.»

Lei lo aveva guardato.

«E come?» gli aveva chiesto.

«Non lo so, Camilla. Non lo so. E non ti faccio nessuna promessa, come non ne ho fatte a mio figlio e nemmeno a me stesso. Ma qualcosa è successo prima e su questo dobbiamo lavorare.»

Dietro di loro stavano arrivando Andrea e Veronica.

Camilla si era alzata. «Andrea mi ha detto di sua madre...»

«Già! E forse anche mia mamma. E poi i miei suoceri, il papà di Veronica, i tuoi genitori, quelli di Giò, e adesso, purtroppo, anche lui... e tantissime altre persone. Quell'Ismel o chiunque sia, ci vuole tutti dentro a una bolla. Dobbiamo scoprire il perché! E combattere!»

Andrea si era fermato di fianco a loro. Veronica era subito dietro; fissava la cupola che s'intravedeva da dietro gli alberi; due lacrime gli scendevano sulle guance, ma aveva lo sguardo carico d'odio.

Il ragazzo aveva preso la mano di Camilla. «Mi dispiace tanto...» ma lei l'aveva ritratta.

«Perché hai lasciato lo sportello aperto? Perché?» gli aveva detto piantandogli gli occhi rossi e gonfi in faccia. Poi si era girata ed era tornata all'auto; era salita sbattendo la portiera.

«Non è colpa tua, Andy» lo aveva consolato suo padre. «Dalle tempo. È stato un duro colpo per tutti, figurati per lei. Dai, leviamoci di qua. Veronica... Vieni.» E si erano diretti alle auto.

La ragazzina guardava fissa tra gli alberi, e lo vedeva.

L'uomo viola era là, in piedi e ricambiava lo sguardo, sorridendo.

«Maledetto!» aveva sussurrato, voltandosi e allontanandosi.


Camilla era semisdraiata con le gambe piegate sul sedile, appoggiata con la testa sulla spalla di Andrea che la cingeva con il braccio.

Non appena era salito, lei gli aveva preso le mani e gli aveva chiesto scusa, accoccolandosi in quella posizione.

«Non c'è niente da scusare» aveva risposto.

Quando le aveva messo il braccio intorno alla vita aveva involontariamente sfiorato il suo seno sinistro, e non sapendo dove appoggiare la mano, dopo un attimo di esitazione, l'aveva posata sulla coscia nuda, sperando di non imbarazzarla. Camilla non aveva detto niente. Il cuore di Andrea batteva all'impazzata, pulsando quelli che sembravano ettolitri di sangue in mezzo alle sue gambe. Era imbarazzatissimo e timoroso che lei potesse notare la sua erezione, soprattutto in un così triste momento come quello che stavano passando. Così cercava di distrarsi, vagando con lo sguardo sul paesaggio fuori dal finestrino e tentando di indirizzare i suoi pensieri su tutt'altro che non fosse lei. Ma sentiva la pelle, liscia e calda sotto le sue dita; la mano di Camilla indugiava sul suo stomaco e l'accarezzava, con dolcezza. Inoltre, nel suo impacciato girovagare con gli occhi, alla ricerca di qualcosa di noioso su cui concentrare i pensieri, aveva indugiato qualche secondo di troppo sulle lunghe gambe e i piedi nudi della ragazza, fantasticandoci sopra, senza volerlo, più del dovuto. L'erezione non si sgonfiava e cercava disperatamente di farsi notare, sotto i pantaloncini. Camilla non diede alcun segno d'averla vista o, nel caso, che le dispiacesse.

Il viaggio era proseguito nell'assoluto silenzio, finché nella Ford davanti a loro cominciò a lampeggiare la freccia sinistra. La macchina rallentò e svoltò in un piccolo sentiero sterrato che si inerpicava su una bassa collina. Roberto rallentò a sua volta e gli andò dietro.

Una sbarra abbassata bloccava l'accesso; Benisi scese e l'aprì con una chiave che estrasse dal marsupio. Il sentiero proseguiva diritto per un centinaio di metri, poi svoltava a destra, passando a fianco di un vecchio pozzo. Lì la stradina si allargava terminando la sua corsa in un ampio cortile pieno di ghiaia. Davanti a loro c'era un vecchio casolare ristrutturato che doveva essere stato, nel passato, una sorta di fattoria. La Ford si spostò sulla destra, fermandosi davanti a un portone. Roberto parcheggiò di fianco.

Giancarlo scese e si sgranchì la schiena.

«Benvenuti ai "Ginepri"!» disse, cercando di non far trasparire un sorriso troppo allegro, visto l'umore che regnava tra i suoi compagni. Tutti scesero e si guardarono intorno, un po' spaesati.

«Purtroppo le macchine le dobbiamo lasciare fuori» disse, rivolto a Roberto. Indicava il portone davanti alla Ford. «L'unico posto che potrebbe fare da garage è quello, ma dubito che ci starebbe perfino la tua Polo. Oltre il fatto che è pieno di roba!»

«Fa niente» disse Roberto. «Tanto credo che il nostro amico viola sappia che siamo rintanati qui su, da qualche parte.»

«Credi che potrebbe venire a cercarci?»

«Ho paura di sì. Anche se quello che è successo giù potrebbe averlo... destabilizzato!»

«Dopo ne parliamo. Dobbiamo capire cosa è successo.»

«Così è qui che tu e papà vi rintanavate ogni tanto?» chiese Roberto, sgranchendosi a sua volta e rimirando il paesaggio intorno.

«Già! Mi mancano quelle serate. Come mi manca Stefano!»

Si rivolse poi a tutti.

«Forza, ragazzi! Scarichiamo ed entriamo. Non so voi, ma io sto pensando al water intensamente, già da un po'...»


Il finto garage citato da Benisi, guardando il casolare frontalmente, era l'ultimo locale sulla parte destra. A sinistra, una porta di ferro dava l'accesso a quella che era stata la stalla, ristrutturata dal vecchio lasciando comunque inalterata la vecchia struttura a stabulazione fissa, come si diceva in gergo: erano ancora perfettamente distinguibili tutti gli scompartimenti che avevano ospitato gli animali (vacche, presumibilmente), adesso trasformati in minuscoli salottini, con tavolino e seduta in pietra, ammorbidita da cuscini. L'idea di Giancarlo era di trasformarla in una sala dove poter pranzare in compagnia e organizzare feste. Ma nessuna delle due cose fu mai fatta. A sinistra della stalla, tre scalini portavano a una sorta di terrazza circondata da una trascurata aiuola, da cui si accedeva all'interno della casa. La prima stanza era una minuscola sala, con una credenza, un tavolino a quattro posti situato di fronte al caminetto e un piccolo divano ad angolo, posto sotto alla scala che saliva al piano di sopra. A sinistra dell'ingresso un varco portava alla sala da pranzo, ambiente un po' più grande del primo, e da qui, in successione, a un minuscolo cucinotto e al bagno, il locale più usato nella prima ora dalle sei persone. Inizialmente, a turno, per espletare i bisogni fisiologici (Roberto insistette con un riluttante e sofferente Giancarlo, di fare andare prima le tre signore), poi per una rigenerante doccia. In questo caso, e non senza una dose di battutine da parte di Benisi, furono tutti d'accordo di far andare per prima Dalila che, era evidente, aveva bisogno urgente di lavarsi.

L'episodio restituì un po' di buonumore alla compagnia.

Giancarlo aprì subito le borse frigo, e tirò un sospiro di sollievo: nonostante il caldo, le mattonelle avevano fatto il loro dovere e la carne era ancora abbastanza congelata. La ripose subito nel congelatore, sperando che la corrente elettrica resistesse ancora per un po'.

Salito al piano di sopra svuotò l'armadio della sua camera da letto di tutti gli indumenti rimasti della moglie e li consegnò a Dalila e Veronica che non avevano alcun bagaglio. Sia l'intimo che i vestiti erano un po' grandi per la ragazzina, ma se li fece andare bene. Dalila, comunque, cacciò in lavatrice tutto quello che avevano avuto indosso in quella pazza giornata, in modo da avere anche un cambio di roba personale.

Mentre il vecchio preparava la cena, aiutato da Camilla, Roberto medicò i piedi di Dalila. Avendo camminato scalza per tutta la giornata, si era procurata delle fastidiose vesciche che, una volta scoppiate, le dolevano e le bruciavano. Su insistenza di Veronica, le controllò anche la nuca, nel punto dove Bito l'aveva sbattuta contro il muro.

«Non sono un medico ma mi sembra tutto a posto. C'è solo un minuscolo bernoccolo. A meno che tu non abbia mal di testa, nausea o vertigini, direi che stai benone.»

Dalila alzò il pollice della mano e Veronica l'abbracciò. Dopodiché si misero a tavola.

I due cuochi improvvisati avevano preparato un pentolone di pasta al ragù che tutti mangiarono di gusto e abbastanza in allegria; per circa un'ora, sembrò loro un normale sabato sera di inizio estate.

Finita la cena la stanchezza piombò sulle loro spalle con tutto il fardello carico degli avvenimenti di giornata e appesantito ulteriormente dalla digestione e dallo scarico di adrenalina.

Sparecchiarono, Andrea e Camilla lavarono i piatti (Roberto sorrise nel vedere la scena, visto che a casa suo figlio mai si era offerto di aiutarli), e decisero di prendersi un'ultima mezz'ora per discutere di quello che era accaduto giù al Botteghino, prima di meritarsi, tutti, le comodità dei letti.

«Se non vi dispiace, inizio io. Sono abituato a procedere con ordine nelle cose, e quindi vorrei riassumere in breve tutto quello che è accaduto oggi» esordì Giancarlo, riprendendo alcuni sprazzi di quell'autorità che aveva avuto praticamente per tutta la sua vita (lavorativa e non). «Se mi sbaglio, correggetemi.»

«Non dubitare...» gli disse Roberto, con un mezzo sorriso ironico sulle labbra.

Benisi grugnì. «Mmmff... Allora, siamo tutti d'accordo sul fatto che è arrivato, sembra da un altro pianeta, un tizio che ha distrutto mezza Bologna con una specie di strano e grosso robot, prendendo a prestito la Torre degli Asinelli! Dio mio, se solo ieri mi avessero detto che dalla mia bocca sarebbero uscite assurdità del genere...»

«È stato terribile assistere a quelle immagini...» Camilla aveva lo sguardo perso nel vuoto.

«Mia madre era in preda al panico più totale. Non l'avevo mai vista in quello stato» disse Andrea, guardando suo padre. "E forse mai più la vedrai!" L'atroce pensiero fulminò la mente di Roberto senza che lui se ne accorgesse. Ricambiò lo sguardo senza dire nulla.

«Già, poi c'è stato quel messaggio strampalato...»

«Mica tanto strampalato!» lo interruppe Veronica. «Sta facendo esattamente quello che ha detto!»

«Cos'è che ha detto di preciso?» chiese Andrea.

«Che rivoleva una cosa e avrebbe mandato qualcuno a prenderla.»

Dalila proferì le parole con lo sguardo dritto davanti a sé, senza guardare nessuno in particolare.

«Qualcuno ha capito cos'è sta roba che si vuole riprendere?» chiese Giancarlo, guardandola un secondo e rivolgendosi poi a tutti.

«Noi stessi! O per essere più precisi, qualcosa che è dentro di noi, direi» disse Roberto a braccia incrociate, ancora turbato dal pensiero involontario che aveva appena avuto.

«In qualche maniera quelle bolle servono a questo. Avete visto in che posizione sono le persone là dentro?»

Ripensò a sua moglie e un groppo le salì in gola. Si schiarì la voce e continuò.

«Sembrano senza vita, ma respirano. Sembra che venga tolta loro la facoltà mentale...»

Si asciugò gli occhi con il braccio. «Scusate.»

Il pensiero della sua Lina lo faceva stare male, sempre. Ma in quel momento pensava anche alla famiglia catturata davanti ai loro occhi, e a quella bambina che stringeva il suo fratellino, neonato...

Veronica, seduta al suo fianco, gli sfiorò il braccio e il calore che irradiò il tocco, si espanse velocemente in tutto il corpo, dandogli una piacevole sensazione di sollievo. Alzò lo sguardo e la ringraziò con gli occhi mentre riattaccava Giancarlo.

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