8 - LA DONNA CON IL FUCILE (2)
La Polo, più carica di prima, ripartì.
Roberto e Giancarlo scrutavano il cielo di continuo, nel timore di vedere sentinelle a caccia. Andrea, invece, appoggiato allo schienale, guardava Camilla con la coda dell'occhio: cullava con dolcezza Giò e ogni tanto si girava e gli sorrideva. Si sforzava di trovare qualcosa di carino o di simpatico da dirle ma gli venivano in mente solo argomenti inerenti bolle e sentinelle, e preferì tacere.
Superarono alcune abitazioni vicine tra loro, accanto al letto del fiume, sulla loro sinistra; altre invece erano più isolate, dall'altro lato. Sembravano disabitate.
«Dovremmo controllare ogni casa per assicurarci non sia rimasto qualcuno» disse Roberto. «Come loro, intendo. Potrebbero esserci altri bambini soli.»
«E dove li metteremmo? Sul tetto?» rispose Giancarlo, indicando con la mano aperta l'intera macchina.
Roberto tacque. Aveva ragione, ma l'idea di qualche bambino o ragazzino da solo, impaurito, nascosto in qualche buco, lo faceva star male.
«Quando arriviamo, se vuoi, puoi tornare giù e fare un giro di tutte le case. Se te la senti!» Giancarlo lo fissava con aria di sfida. Sapeva essere, a volte, veramente fastidioso.
«Probabilmente lo farò!»
«Papà...» Andrea si era sporto un po' in avanti. «Di cosa stai parlando?»
Roberto non rispose. Stava guardando la strada e quello che era apparso in lontananza.
All'inizio pensò ad animali fermi sulla carreggiata, che sfruttavano l'assenza improvvisa dell'uomo per conquistare nuovi spazi. Ma, avvicinandosi, poté constatare che le due figure erano persone. Era felice di poter incontrare altra gente scampata alla cattura, ma l'entusiasmo si spense in fretta, non appena capì cosa imbracciasse una delle due.
«E queste? Oh, merda! Ha in mano un fucile!!» Giancarlo si abbassò d'istinto. «State giù!»
Le due figure erano ferme in mezzo alla strada e una delle due puntava l'arma, dritta nella loro direzione. Era scalza.
Roberto fermò la macchina tenendo le mani in alto e la testa abbassata. Anche Andrea e Camilla si erano nascosti dietro ai loro sedili, per quanto il poco spazio e la presenza del bambino lo consentisse alla ragazza.
«Scendete!» intimò la donna che impugnava l'arma.
Roberto alzò appena la testa e strabuzzò gli occhi. Conosceva quelle due persone. Anche Giancarlo fissava la scena a bocca aperta.
«Ma... quella non è la tizia a cui hanno ucciso il marito e la figlia?»
Roberto aprì la portiera e scese lentamente.
«Rimanete dentro» disse agli altri. Poi, si rivolse alle due donne.
«Veronica! Sei tu?»
La ragazzina si era messa dietro a Dalila e spiava la macchina un po' timorosa. Sentendo il suo nome emerse del tutto.
«Ma tu... non sei quello che vende i giornali?» gli chiese la donna, sempre col fucile puntato.
«Puoi abbassare quel coso per favore? Sì, sono io» le rispose, avanzando con circospezione verso di loro, a mani ben alzate.
Dalila si sporse a guardare l'auto. «E là dentro chi c'è? Falli scendere!»
«Giancarlo Benisi, mio figlio e una ragazza che ha in braccio un bambino piccolo. Li abbiamo trovati in una delle case qui vicino.»
Roberto continuava a guardare il fucile.
«Stai calma per favore? E abbassa l'arma. Siamo tutti amici, qui.»
Veronica posò una mano sul braccio di Dalila e con l'altra le fece abbassare il fucile.
«Nessun pericolo, mamma.»
Dalila non era ancora abituata a sentirsi chiamare così e ogni volta il cuore le sobbalzava.
«Che gioia vederti in salvo Veronica» le disse Roberto, sorpreso da come la ragazzina si era rivolta alla donna. Sentiva una strana eccitazione lungo tutto il corpo. «E tu sei Dalila, vero?»
Lei lo guardò, ancora un po' sospettosa. «Hai detto che c'è Giancarlo Benisi nell'auto?»
«GIANCARLO!» urlò, «Scendi! Scendete tutti!»
«Stiamo provando ad arrivare a casa sua, al Botteghino.» disse Veronica.
«Ma come siete arrivate fin qui? A piedi è impossibile. Ho visto che eri in giardino, Veronica, appena prima dell'arrivo della sentinella.»
Benisi, Andrea e Camilla erano intanto scesi dall'auto e avevano raggiunto il gruppetto. Giò era rimasto a dormire sul sedile.
«Tu eri nell'auto che ho visto. Riconosco il colore dei capelli!» disse Camilla, indicando Veronica appena la vide.
Dalila la guardò un secondo, tacendo, poi Veronica prese la parola. «È una lunga e brutta storia.»
E iniziò a raccontare loro tutto quello che avevano passato. Quando arrivò alla fuga in macchina dalle sentinelle fu interrotta da Roberto.
«Puoi ripetere, per favore?»
«Sembrava ci fosse una bolla attorno alla macchina, un qualcosa che impediva a quell'uomo di prenderci. Non so se riesco a spiegarmi...»
Roberto fissò Giancarlo che annuì, poi si girò verso Andrea. «È successo anche a noi» disse il ragazzo con fare un po' imbarazzato.
«In che senso?» Dalila sembrava stupita.
«Nel senso che ne avevamo una di fronte» rispose Roberto. «Ero inciampato sul marciapiede ed ero per terra e lui non è riuscito a catturarmi. Sembrava avesse dei fili invisibili che lo trattenessero. Anche la luce arancione... Usciva sempre meno, man mano che si avvicinava. Come se un campo di forza la bloccasse, capisci? Pensavo non potessero allontanarsi più di tanto dalla cupola, ma poi ho visto le sentinelle sulla via Emilia che han dato la caccia a due auto. Inoltre, Camilla mi ha confermato che la sentinella che ha preso i suoi genitori, veniva dal Botteghino, o almeno da quella direzione. La vostra storia è la conferma finale, ma con un nuovo tassello: erano lontane dalle bolle e non riuscivano a prendervi.»
«Evidentemente c'è stata qualche altra cosa che li ha disturbati» intervenne Giancarlo. «O qualcuno...»
«Chi? Io? O mio figlio?»
«O Dalila. Oppure la ragazzina.»
«C'era anche Bito in macchina» disse Veronica.
«Certo! Anche lui. A proposito, dov'è? Vi ha mollato?»
Dalila e Veronica si guardarono e si abbracciarono.
«Dobbiamo finire di raccontare la storia...»
Questa volta fu Dalila a parlare. Quando arrivò al punto in cui Veronica aveva steso Bito, la ragazzina le toccò un braccio e la interruppe, dicendo di aver usato un bastone trovato a fianco del divano. All'improvviso si accorse di non voler raccontare quello che era successo dentro di lei in quel momento. Almeno non ancora.
«Non riesco a crederci! Uno stupratore assassino abitava dalle nostre parti. Nei telegiornali non hanno mai parlato però, in questi anni, di donne scomparse nella nostra zona» esordì Roberto, rabbrividendo. «E quest'individuo, quindi, è legato e imbavagliato nella capanna?»
Dalila e Veronica annuirono insieme.
«Con quello che stiamo passando!» disse Giancarlo, pulendosi gli occhiali con la maglietta. «Probabilmente siamo rimasti in pochissimi fuori da quelle dannate bolle. Dovremmo aiutarci, collaborare tra noi e non farci del male. Ragazzina, sei ammirevole per averlo voluto lasciare in vita, dimostri una sensibilità fuori dal comune, considerando quello che ha fatto, che stava facendo e che avrebbe fatto. Ma credo che la signora non sarebbe stata da biasimare se gli avesse infilato una pallottola in fronte. E scusa la rudezza!»
«Scusi, ma non ha appena detto che dobbiamo aiutarci e collaborare?» controbatté Veronica.
«Sì, ma non un individuo come quello! E puoi darmi del tu!»
«Io non voglio essere della stessa pasta di uno come lui e non voglio che lo sia nemmeno mia madre.»
Giancarlo guardò Dalila e poi di nuovo la ragazzina. "Sua madre?" pensò. "Lei non è sua madre." Capì che tra quelle due donne era successo qualcosa di potente.
«E se si risveglia, si libera e ricomincia a uccidere? Dopo come ti sentiresti, ragazzina?»
A Veronica vennero gli occhi lucidi.
«La vuoi lasciare stare?» le sbraitò in faccia Dalila, mettendosi tra loro due.
Anche Roberto intervenne. «Giancarlo, basta!»
Il vecchio li guardò tutti, torvo, poi decise di lasciare perdere
«Comunque ci serve quella macchina» disse, rivolto a Roberto. «Se è vero che è una Ford ed è spaziosa come l'hanno descritta, potrebbe essere una Taunus.»
«Sì! È quello il nome che ha usato Bito!» disse Veronica, senza guardarlo, a braccia conserte.
Roberto la guardò, poi scosse la testa. «Mai sentita!» Rivolse lo sguardo ad Andrea, ma anche lui non l'aveva mai sentita nominare.
«Perchè siete giovani! Era più di moda negli anni Settanta e Ottanta. Non so se adesso la producono ancora. Comunque, dalla descrizione sembra una station wagon. È una macchina incredibilmente spaziosa. Potremmo caricare altre persone, sempre che ne troviamo. E una macchina in più fa sempre comodo, per qualsiasi emergenza.»
L'idea piacque a Roberto. «Va bene, allora andiamo a prenderla.»
«Io lassù non ci torno! E nemmeno Veronica. Voglio scordarmi di quel posto e di quella bestia» disse Dalila, stringendo a sé la ragazzina.
«Certo, certo. Lo capisco. Andiamo io e Giancarlo. Andy, ti posso lasciare per qualche minuto?»
«Papà, ho sedici anni!» protestò, dando piccole occhiate imbarazzate a Camilla.
«Forse ci servirebbe il fucile, nel caso quel tizio si sia liberato. Potrebbe sentirci arrivare, potrebbe avere altre armi...» suggerì Giancarlo, toccando il braccio di Roberto. «Ehi!» lo ritrasse subito. «Sei bollente, amico! Hai la febbre?»
«No, sto bene. Mi sento benissimo.»
Era vero. Sentiva uno strano calore irradiarsi per tutto il corpo, ma si sentiva in forma, determinato, sentiva dentro di sé un coraggio nuovo e un po' inaspettato. Il suo sguardo incrociò un secondo quello di Veronica.
«Tenete, per sicurezza.» Dalila stava porgendo loro il fucile. «E le chiavi dell'auto. Dubito che si sia liberato. L'abbiamo legato bello stretto. Sempre che sia sveglio, ovviamente»
«Stiamo tranquilli a lasciarvi qui senza un'arma?»
«Certo. Non c'è un'anima. Andate dai, con l'auto ci vogliono cinque minuti ad arrivare. Dovete imboccare il primo sentiero che incontrate a destra. Sarà un po' dura far uscire quel cassone d'auto da là; dovrete portarla fuori in retromarcia.»
«Ok, grazie. Tenete d'occhio il cielo. Benisi! All'opera! Ah, Andy... Non devi dare niente a Veronica?»
Andrea si ricordò del cellulare. L'aveva nella tasca e se n'era dimenticato. Lo tirò fuori e lo porse alla ragazzina. «Questo credo sia tuo. L'ho trovato nell'erba, a Ozzano.»
Veronica sgranò gli occhi; guardò il telefono, guardò il ragazzo.
«Grazie! Grazie!» esplose, abbracciandolo forte. «Non sai che regalo mi hai appena fatto!»
Andrea rimase sorpreso, ma ricambiò l'abbraccio, sfiorandole, per caso, i capelli. «Figurati!»
Camilla guardò la scena impassibile e Roberto dovette chiamarla due volte. «Camilla! Camilla! Devi prendere il bimbo dalla macchina.»
«Oh, sì... Scusami!» e accigliata si avviò verso la vettura. «Vieni, tesoro.» disse, prendendo in braccio Giò, che si stava risvegliando.
Impiegarono venti minuti a tornare. Benisi si era messo alla guida della Ford che seguiva la Polo di Roberto.
Quando si fermarono al piccolo incrocio, Veronica stava giocando con Giò, che correva sulla strada coi piedini nudi, ridendo come un matto nel tentativo di acchiapparla. Dalila li guardava, abbozzando timidi sorrisi mentre scrutava la strada, da entrambe le direzioni, e il cielo, soprattutto dopo quello che gli aveva detto Roberto. Andrea si era un po' liberato dell'imbarazzo iniziale ed era seduto sul ciglio con Camilla, chiacchierando e ridendo nel guardare il bambino.
I due uomini scesero dalle auto e tutti si avvicinarono, tranne Veronica che era ormai ostaggio di Giò. Si era fermata facendosi prendere dal bambino, che aveva però subito ricominciato a correre. «Plendimi, plendimi Velonica!»
Raccontarono di essere entrati nella casa e aver trovato Bito ancora svenuto dentro alla stanzetta. Giancarlo aveva guardato Veronica mentre giocava e lei gli aveva ricambiato lo sguardo per un attimo. Avrebbe voluto dirle che gli era venuta una voglia matta di far fuori quell'inutile insetto, ma aveva taciuto e distolto lo sguardo in fretta. Lo avevano slegato e legato ancora più stretto e avevano riposizionato divano e tavolo davanti alla porta, consapevoli che se fosse riuscito a liberarsi non sarebbe stato complicato uscire da là, considerando lo spessore delle assi di legno che facevano da muro. Avevano portato, a fatica, la Ford sul sentiero principale ed erano tornati lì.
Caricarono tutte le borse nell'ampio bagagliaio dell'auto di Bito.
Dalila aveva scrollato le spalle quando Roberto le aveva chiesto come mai non avessero niente con loro, e poi, insieme a Veronica, erano salite sulla Ford con Benisi.
Andrea e Camilla, dopo aver recuperato a fatica Giò, stavano salendo sulla Polo, ma Roberto li fermò.
«Voglio tornare a controllare le case che abbiamo passato prima, ora che abbiamo una macchina così spaziosa» disse, sapendo che a Giancarlo la cosa non sarebbe piaciuta molto. «Aspettatemi qui. Sarò veloce.»
Benisi aveva voglia e fretta di raggiungere il suo casolare, ma questa volta, e con grande sorpresa da parte di Roberto, non discusse. «Allora è meglio se prendi la Ford!» disse, solamente.
«È già molto se trovo una persona! Preferisco usare la mia macchina. Al massimo ci stringiamo un po'! Mi accompagni, Andy?» Il ragazzo annuì.
«Fa' presto!» aggiunse Giancarlo.
«Tu parlavi con mio padre poco prima che... insomma hai capito quando!» chiese Veronica, con lo sguardo fuori dal finestrino.
La Polo era appena partita e lei guardava distrattamente Camilla cercare di calmare il bimbo che si era rimesso a piangere. Dalila era scesa di nuovo e a Veronica sorse il dubbio che cominciasse a essere un po' a disagio per l'odore che emanava. Giancarlo aveva arricciato il naso più volte e forse lei l'aveva notato.
«Sì», rispose il vecchio. «Mi dispiace molto. Se avessi anche solo sospettato quello che stava per succedere... forse li avrei spronati a scappare subito, come ho fatto io.» Si girò, e la guardò negli occhi. Lei continuava a fissare fuori. «Ho avuto la fortuna di non indugiare, e anche di essere molto vicino all'ingresso del mio palazzo.»
Veronica si girò e lo guardò. «Già» disse, senza sorridere.
«Ho notato che sei molto legata a quella donna.»
«Si chiama Dalila!» lo corresse seccamente. «Io ho perso la mia mamma, lei la sua bambina. La storia è tutta qua.»
E si rimise a contemplare il paesaggio.
Giancarlo rimase a fissarla per alcuni istanti. Stava per aggiungere qualcosa, ma rimase zitto e si sistemò meglio sul sedile, in attesa dell'altra macchina.
Dopo venti minuti, erano di ritorno; la Polo ospitava le stesse due persone.
«Solo qualche gatto, delle galline e i soliti buchi nei muri.»
«Avete lasciato là gli animali?» Veronica sembrava indignata. «Anche loro hanno diritto di salvarsi!»
«Mi spiace ma non voglio bestie in casa mia» sentenziò Giancarlo. «Tra l'altro, sono allergico al pelo di gatto.»
Roberto era scuro in volto. «Anche volendo, si sono dileguati appena siamo entrati. E non abbiamo certo il tempo di correre dietro a dei gatti. Proseguiamo.»
Mancavano poco meno di quattro chilometri al Botteghino e in quel tratto sorgevano una quindicina di complessi abitativi, tra case solitarie o piccoli condomìni.
Le controllarono tutte e Giancarlo dovette recuperare le scorte di pazienza che aveva immagazzinato nella sua vita, per non sbottare e mandare al diavolo Roberto. Il quale, invece, aveva sperato con tutte le sue forze di recuperare almeno una persona, ma senza avere successo: solo buchi nei muri e appartamenti distrutti. Non videro più nemmeno un animale. Era molto demoralizzato. Le persone che si erano salvate sembravano essere veramente poche, e, dopo l'ultima casa, Dalila fece a voce alta la sua stessa considerazione.
«Alcuni potrebbero essere scappati a piedi, verso le colline» disse Camilla, cullando Giò a cui aveva rificcato in bocca il biberon. Finiti i giochi con Veronica aveva ricominciato a piangere ed era piuttosto irrequieto.
«Concordo! Una delle ultime case era alle pendici della collina, abbastanza vicino alla cima» intervenne Andrea. «Magari son scappati lassù e poi chissà dove.»
«Mmm...» Dalila sembrava perplessa.
«Va bene, ragazzi!» Giancarlo aveva assunto il suo tono sbrigativo. «Dove sono, sono. In casa non c'erano. Se sono scappati, buona fortuna! Il nostro dovere l'abbiamo fatto. Siamo quasi al Botteghino e dobbiamo essere cauti, ora. C'è un piccolo parcheggio appena entrati nel paese, sulla nostra sinistra. Vicino al parco dove fanno la Festa dell'Unità.»
«Ho presente» disse Roberto.
«Ci fermiamo un secondo e studiamo il campo, ok?»
«Sempre non ci sia una bolla subito all'entrata» obiettò Andrea.
«Non credo. Il grosso delle case è in via Volontari del Sangue, nella zona più rialzata rispetto alla strada principale. Comunque, saremo prudenti. Se ne vediamo una ci fermiamo prima, cercando di non farci vedere. Insomma, quando siamo là vediamo che succede, va bene?»
«Un piano perfetto, direi!» ironizzò Roberto guardando gli altri, con un mezzo sorriso che gli increspava le labbra.
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