2 - L'EDICOLA NANI (2)
Avevano appena ascoltato il messaggio misterioso e Roberto fissava il monitor del suo PC. Era nero, spento. Anche il computer non era più acceso. Il pensiero che, probabilmente, aveva perso tutto quello che aveva scritto nelle ultime due ore attraversò veloce la sua mente, subito rimpiazzato da quelle terribili parole che aveva appena sentito pronunciare, da quella voce odiosamente scherzosa (ancora ne sentiva l'eco nelle orecchie), con lo sguardo ipnotizzato davanti a uno schermo colorato di viola, che tremolava appena. Era stordito, confuso e... terrorizzato.
Negli ultimi dieci minuti si erano susseguiti fischi stridenti, esplosioni, piccoli terremoti. I vetri di casa sua avevano tremato come mai prima e, solo per miracolo, erano ancora intatti.
Poi, erano arrivate le notizie agghiaccianti su Bologna.
Dietro di lui c'era Lina, a cui teneva stretta la mano tremante appoggiata sulla sua spalla, e suo figlio, lo sguardo fisso sul cellulare. Andrea era sceso giù in giardino a vedere cosa stava succedendo ed era risalito, poco prima del messaggio, sbraitando.
«Mi aveva preso il telefono e non me lo ridava quello stronzo!» si era lamentato appena entrato in casa. Lina e Roberto erano sul terrazzo, affacciato sulla campagna.
«Ma chi? Perché aveva preso il tuo telefono?» aveva chiesto sua madre, visibilmente agitata.
«Non so come si chiama. Abita nel palazzo di fianco, conosco di vista la figlia. Credo si chiami Veronica.»
In realtà sapeva benissimo come si chiamava la ragazzina.
«Parli di Riccardo, allora. Viene a comprare il giornale da noi. Non è per niente uno stronzo» aveva replicato Roberto, guardando torvo suo figlio.
«Poverino! È vedovo, con una figlia, ed è sempre molto carino quando viene da noi. Perché sei così acido? Per quale motivo aveva il tuo telefono?» aveva aggiunto Lina.
«Voleva vedere il video di Teo. Lo stavamo guardando... Era in centro mentre succedeva... quella cosa! Sono preoccupato! Ho provato a chiamarlo mentre venivo su, ma è irraggiungibile.»
«Teo? Ma cosa è successo in centro? Quelle esplosioni di prima? Quelle luci in cielo?»
Il loro terrazzo guardava la campagna, dalla parte opposta rispetto al giardino condominiale, e univa lo studio alla loro camera da letto. Era una caratteristica che avevano da capitolato tutti gli appartamenti nell'edificio centrale. In quelli posti nei due edifici obliqui, invece, il balcone prolungava la sala. Roberto avrebbe preferito di gran lunga quest'ultima soluzione, ma modificare avrebbe voluto dire buttare giù un muro, tirarne su un altro, spostare prese, chiedere permessi, burocrazia, spendere tanti soldi. E aveva lasciato perdere. La conformazione dei palazzi impediva loro di vedere il cielo sopra al centro di Bologna dalla loro terrazza, per cui non avevano visto la Torre degli Asinelli schizzare in alto.
Andrea aveva fatto vedere loro il video mentre dalla tv stavano uscendo le prime immagini della tragedia; Lina stava guardando un film prima che tutto iniziasse, ma la trasmissione era stata interrotta dall'edizione straordinaria del telegiornale.
«Oh, mio Dio, oh, mio Dio! Ma che cos'è? Come può essere?» aveva cominciato a piangere, con le mani sulla faccia.
Anche ad Andrea scendevano le lacrime. «Dite che si è salvato?»
Teo era il suo migliore amico fin dai tempi dell'asilo. Avevano frequentato elementari e medie insieme. Poi le loro strade si erano didatticamente separate: Andrea era andato al liceo scientifico, Teo a un istituto professionale. Ma l'amicizia era rimasta salda. Si erano sentiti proprio quella mattina e l'amico gli aveva detto che doveva andare in un negozio di via dell'Indipendenza a ritirare una maglia ordinata, chiedendogli se volesse accompagnarlo, ma lui aveva declinato. Si sarebbe trovato nell'inferno se avesse accettato l'invito. Il pensiero lo sollevava e faceva star male allo stesso tempo.
«Ha messo il video su Facebook, Andy. Dopo che ha interrotto il video ha trovato un posto tranquillo e lo ha postato. E comunque si stava allontanando dalla zona. Era in via D'Azeglio. Sono sicuro di sì, è in salvo.»
Roberto aveva visto molti video di tragedie, incidenti, situazioni pericolose riprese in diretta: onde giganti che si abbattevano sulle coste, terremoti con riprese fatte negli interni delle case, col tipico lampadario che oscillava, frane e valanghe che rombavano a valle dalla montagna di fronte. La smania di riprendere "l'evento" in diretta ed essere il primo a farlo sapere al mondo era irresistibile. Ma questo non lo disse ad alta voce. Andrea era molto preoccupato e sicuramente l'avrebbe agitato di più.
«NOOO! DIO MIO, DIO MIO!»
La tv stava mostrando le immagini del centro completamente raso al suolo, ripreso dall'elicottero. Lina si era seduta sul divano, disperata, con le mani sulla bocca. «È una tragedia...»
«Ha distrutto anche San Petronio... via D'Azeglio è proprio lì dietro. Papà, mamma... Devo sentirlo, devo sapere se sta bene. L'ultima cosa che gli ho detto è stato un no.»
«Calmati, Andrea. Vedrai che è in salvo.»
«Roby...» la voce di Lina quasi non si sentiva. «Quante persone saranno morte?» Aveva lo sguardo terrorizzato, le lacrime le rigavano il viso e scendevano verso la bocca, piegata in un ghigno stravolto. Roberto si era rimesso davanti al monitor, aveva abbassato il file su cui stava lavorando (stupidamente, senza salvarlo) e aveva aperto internet per cercare notizie. In quel preciso momento il monitor era diventato viola.
Lina corse in camera, lanciò un borsone sul letto e aprì i cassetti del comodino, cominciando a tirare fuori mutande e reggiseni senza nessuna logica.
«Cosa stai facendo?» Roberto la guardava, impietrito sulla porta.
«L'hai... sentito... Stanno arrivando...» Sembrava totalmente fuori di sé. Singhiozzava e ansimava allo stesso tempo. «È la nostra vita che vuole... Abbiamo una cosa che rivuole... È la nostra vita... Ci torturerà... Ci strapperà il cuore dal petto...»
Continuava a buttare indumenti a caso dentro il borsone, ammucchiati l'uno sull'altro. E intanto parlava mentre piangeva e piangeva mentre parlava, emettendo dei suoni striduli con la voce assurdamente acuta. Era in piena crisi isterica da panico. La scena era resa ancora più straziante dalla visione di quel mucchio di vestiti, impilati a caso dentro a una valigia che non si sarebbe mai richiusa. Cosa non da lei: quando preparava i bagagli era ordinata e organizzata a livelli maniacali.
«Mamma...»
«Lina, calmati un attimo. Parliamo e ragioniamo. Dove vorresti andare?»
«Via... lontano... ci dobbiamo nascondere... ci uccideranno... ci stermineranno... hai visto cos'ha fatto quella... macchina a Bologna... ha ucciso tutti...»
Andrea, bianco come un lenzuolo, si appoggiò al muro del corridoio. Gli sembrava di essere dentro a una bolla: tutto era sfuocato, i suoni ovattati. Era tutto irreale. Solo mezz'ora prima si era accordato con i suoi amici per trovarsi e mangiare una pizza insieme quella sera (ci sarebbe stato anche Teo). Avevano invitato anche le due ragazze conosciute il sabato prima, proprio in centro. Era eccitato all'idea: erano molto carine e la moretta l'aveva fissato intensamente, ridendo a ogni stronzata lui dicesse. Aveva ereditato gli occhi verdi di suo padre, la sua statura, ma era molto più magro. Anche lui si teneva i capelli lunghi e questo gli conferiva quel non so che di selvaggio che pareva piacere alle ragazze.
Ma il centro di Bologna non esisteva più, forse Teo era morto e chissà chi altro; un tizio venuto da chissà dove li aveva appena minacciati e sua madre stava impazzendo.
«Aiutami, Andy! Dai...» La voce di suo padre lo svegliò dai suoi pensieri.
«...ci ucciderà... MIO DIO! Dobbiamo andare... via... via...»
Andrea si era avvicinato a sua madre e accarezzandole la schiena cercava di distoglierla dal terrore, ripetendo «Mamma, dai...»
"Mia mamma!" Il pensiero fulminò Roberto. Nell'incredibile accavallarsi di eventi tragici degli ultimi venti minuti, si era dimenticato che la sua anziana madre viveva da sola, al settimo piano di un palazzo nel paese confinante al suo. Si accorse di avere il cellulare spento, come tutti i dispositivi su cui era passato il messaggio. Lo accese ma non c'era segnale, né col wi-fi né con la connessione dati. Dando un'altra occhiata preoccupata a Lina andò in sala. Il modem non era spento ma la luce rossa di "Assenza di segnale" lampeggiava. Non c'era linea. Provò a chiamare ma il telefono era completamente muto. Rimase un attimo a guardare lo schermo, angosciato. Guardò suo figlio che cercava ancora di consolare la madre.
«Andy, non riesco a telefonare alla nonna. Prova tu.» Poi si rivolse alla moglie. «Lina, fermati... dai... calmati...»
«... la morte... è la morte... la sentivo nella sua voce...»
«LINA! BASTA!!!» Roberto l'aveva bloccata con forza. Andrea aveva fatto un passo indietro, spaventato dall'urlo di suo padre. Poi, abbassato lo sguardo sul telefono, lo accese.
La donna zittì di colpo e rimase a guardare il marito con lo sguardo terrorizzato. Tremava dalla testa ai piedi e gli occhi si gonfiarono all'istante di lacrime. Cominciò a singhiozzare come una bambina. Roberto la strinse a sé, forte, accarezzandole la testa.
«Dobbiamo stare calmi, amore. Andrà tutto bene. Sediamoci sul divano e decidiamo con calma cosa fare. Non sappiamo nemmeno con cosa o chi abbiamo a che fare.»
Ciò che aveva inquietato più Roberto ascoltando il messaggio, era stato il tono canzonatorio usato da quell'individuo, che aveva detto di chiamarsi Ismel.
Aveva ucciso probabilmente un migliaio di persone, chissà quanti bambini (il sabato pomeriggio il centro di Bologna era sempre pieno di bambini), donne incinte, coppie di ragazzini mano nella mano, innamorati, famiglie allegre che vanno a rilassarsi dopo la faticosa settimana lavorativa (e in quel periodo, con quel caldo, ancora di più), gruppi di adolescenti in giro solo per fare casino o gruppetti di ragazzine intente a fare shopping. La normale routine di una normale città del mondo spazzata via, in un lampo. Ma lui rideva, come se avesse appena fatto uno scherzo di cattivo gusto a un amico. Era sembrato addirittura scocciato dall'averlo fatto. "È stato necessario..." Così aveva detto. Aveva distrutto la vita delle persone, aveva distrutto una città, aveva ucciso mogli, mariti, figli, fratelli, sorelle, padri e madri, nipoti, amici, rovinando la vita anche di chi era rimasto... e rideva, scherzava! Era stato necessario, secondo lui. Questo disturbava Roberto molto più del fatto che Ismel potesse venire da un altro pianeta o che volesse qualcosa che loro possedevano. Era sempre stato abituato a non preoccuparsi più di tanto delle cose non ancora successe. Preferiva ponderare e analizzare le cose già avvenute, dove poteva trovare gli elementi per capire, ed eventualmente, la soluzione. Il passato è certezza, il futuro è congettura. Aveva letto o sentito questa frase da qualche parte una volta e l'aveva fatta subito sua. Magari l'aveva detta proprio lui!
Si sedettero. Lina si era un po' calmata, ma ancora piangeva e tremava. Roberto la cingeva col braccio, e l'altra mano stringeva le sue.
Andrea li raggiunse. «Non c'è campo, non c'è linea. Che succede?»
«Non lo so Andy, ma presumo sia stato lui. Su questo penso possiamo essere d'accordo. Si è introdotto nei dispositivi. Ha detto che ognuno lo stava ascoltando nella propria lingua; quindi, è ragionevole pensare che parliamo di tutti i dispositivi del mondo. Ma non so dirti come possa aver fatto. Non me ne intendo di questa roba. Forse la sua intromissione ha, in qualche modo, azzerato i nostri segnali...»
«Ma è impossibile! Come fa a raggiungere tutti i telefoni, tutte le televisioni... Accendi la tv.»
Roberto prese il telecomando e spinse il tasto di accensione. Apparve la scritta "ASSENZA DI SEGNALE. CONTATTARE L'ASSISTENZA", bianca, racchiusa in un rettangolo sopra a uno sfondo nero. Scorse gli altri canali, inutilmente. Roberto sospirò. «Niente di niente.»
Andrea imprecò. «Niente internet, niente telefono, niente tv... Ci sta rendendo sordi, ciechi e muti!»
«Non usare questi termini davanti a tua madre. E stai calmo. La mamma è già agitata, non la spaventare più del dovuto. È un problema momentaneo. Vedrai che adesso lo sistemeranno. Dobbiamo capire innanzitutto che intenzioni ha questo Ismel» disse Roberto.
«Mi sembrano piuttosto evidenti le sue intenzioni! Ha raso al suolo Bologna...» Sua moglie intervenne all'improvviso, soffiandosi il naso con un fazzoletto. Sembrava aver riacquistato un minimo di controllo, oltre al suo consueto sarcasmo.
«È vero, ma non è detto che lo rifaccia. Hai sentito cosa ha detto? Non vuole che risucceda.»
«E tu gli credi? Dopo che ha annientato la vita di chissà quante persone, gli vuoi dare fiducia? Cristo, Roby! Ha distrutto il centro di Bologna... Ti rendi conto? Magari là in mezzo c'erano dei nostri amici, potevano esserci i nostri genitori, poteva esserci nostro figlio! Cosa stai dicendo? Me lo spieghi per favore? Lo stai difendendo?»
«Calmati, amore. Non dobbiamo litigare in questo momento. Non lo difendo... assolutamente! È un pezzo di merda! Non lo so se è un alieno o uno scienziato pazzo o che altro. È un assassino bastardo! Ho solo detto di non prendere decisioni avventate. Vediamo che intenzioni ha intanto. Ha detto che qualcuno ci contatterà e che dobbiamo restituirgli qualcosa. Credo parlasse a livello generale, non individuale. A breve farà la sua richiesta, poi ci penseranno i governi. E comunque, se qualcuno o qualcosa si affaccia da queste parti, ci nascondiamo e cerchiamo di capire cosa vuole.»
«Forse vuole solo dei soldi, o dell'oro. Poi se ne andrà» intervenne Andrea.
«O magari vuole farci tutti schiavi, annientare il genere umano... E voi volete restare qui a vedere cosa succede? Ma siete impazziti? Se arriva qui e si rimette a distruggere cose... a quel punto che fate? Pensate forse che queste mura ci proteggeranno? Dove andreste a nascondervi? In cantina? Dobbiamo andarcene, e alla svelta. Andiamo a prendere i miei, tua madre e andiamo a rifugiarci da qualche parte. In montagna o che ne so... in qualche posto isolato. Quella casa dove andava sempre tuo padre... col suo amico... Come si chiama?»
Sentire sua moglie fare discorsi sull'annientamento del genere umano, alieni che fanno schiavi, quando solo mezz'ora prima stava guardando Meryl Streep vessare una ragazza nel "Diavolo veste Prada", caricò di irrealtà il momento, ancor più di quanto già non fosse. E ne era già bello carico!
Roberto le strinse un po' di più le mani. «I "Ginepri". Così si chiama. Ma non è casa nostra. Appartiene a quel vecchio, l'amico di papà. E se non siamo al sicuro qua, credo che non lo saremmo nemmeno là.»
«Non può avere il controllo di tutto il mondo! Non può arrivare ovunque!» Lina si stava agitando di nuovo.
«Mamma...» Andrea si era seduto al suo fianco. «Non bisogna scappare. Dobbiamo difenderci. Non siamo dei vigliacchi!»
«Se ti arriva addosso un robot alto cento metri con una torre come corpo, con cosa cazzo ti difendi? Sei in grado di dirmelo?»
Quando Lina passava alle parolacce significava che era arrivata al limite. Se le usava contro Andrea poi, la situazione era grave: mai gli si rivolgeva in quel modo.
Roberto lanciò uno sguardo a suo figlio che significava: "Fermati qua!" L'ultima cosa che serviva adesso era il testosterone adolescenziale. Ci voleva calma, per quanto fosse possibile, e bisognava riflettere. «Non sappiamo niente di questo Ismel quindi non tiriamo a indovinare. Ci stiamo mettendo paura da soli. Lina... per favore...»
«Beh... io ho già paura! E non me la sono messa da sola! Ci ha pensato quella macchina che ha disintegrato Bologna in dieci minuti. Mi sembra abbastanza chiaro che è in grado di farci quello che vuole. E ho paura che lo farà.»
Roberto girò lo sguardo verso la finestra; fuori si stavano rianimando le voci e il chiacchiericcio che il messaggio aveva momentaneamente interrotto. Continuavano a passare elicotteri e si sentivano ululare in lontananza le sirene. Sospirò mentre pensava a cosa fare.
Poi, all'improvviso, suonò il campanello.
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