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10 - ISMEL (1)

Se un aereo fosse passato sopra Bologna in quel pomeriggio di metà giugno, i passeggeri e lo stesso pilota avrebbero sicuramente notato qualcosa di strano, a prescindere dal fatto che conoscessero o meno la città. Avrebbero scorto una grossa macchia scura, simile a un ovale, al posto di quello che era sempre stato il centro della città, una macchia ricoperta da un'enorme cupola arancione.

In realtà nessun aereo volava in cielo, né lì, né altrove.

La macchia, invece, c'era sul serio. Poteva risultare scura dall'alto, ma era verde in realtà, perchè interamente ricoperta di erba. Sorgeva al posto di uno dei centri storici più belli d'Italia, che ora non esisteva più. Dove prima svettavano le due famose torri, Palazzo Re Enzo, la Basilica di San Petronio, Piazza Maggiore, Palazzo d'Accursio, la statua del Nettuno, la Biblioteca Salaborsa e l'intera via Rizzoli, ora c'era un prato. E tutt'intorno una bolla, che si estendeva in altezza per almeno cinquanta metri.

Al centro di questo campo c'era una grossa palla viola, quattro altrettanto grossi pannelli, viola anch'essi, e una torre, sdraiata nell'erba. Era la Torre degli Asinelli, rimpicciolita, ammaccata in più punti (se viene concesso l'uso di questo termine, per una costruzione fatta in pietra), ma sostanzialmente integra. Di fatto l'unico elemento del centro di Bologna rimasto intatto, anche se ridimensionata alla grandezza di un modellino da esposizione. Tutte le macerie che avevano costituito fino a non molto prima i palazzi e la piazza, erano state polverizzate e ricoperte di erba. E lo stesso i cadaveri.

Una luce arancione avvolgeva la palla, intensa, senza sfumature, senza alcuna variazione. Non proiettava alcun riflesso, né sull'erba, né nell'aria. Si trovava esattamente intorno al contorno della sfera, svanendo appena la lasciava. Il suono, invece, si sentiva in ogni angolo della bolla.

Al di là, solo silenzio.

Se un ipotetico visitatore fosse stato nelle vicinanze, avrebbe percepito un ronzio, diverso da quello prodotto dagli insetti, diverso da quello emesso da un macchinario. Era gorgogliante ma compatto, assumeva i contorni di un ringhio, poi ne perdeva d'improvviso la ruvidezza e diventava quasi un rauco lamento. Sfrigolava come olio bollente, poi si acquetava e quasi spariva, a volte scintillava come le girandole di Capodanno, borbottava come bollicine gassose. Era continuo, senza pause. E non veniva da qualcosa, ma da qualcuno all'interno della palla.

All'ipotetico visitatore sarebbe parso molto evidente che quel qualcuno non era felice per niente, ma abbastanza deluso, piuttosto preoccupato, molto arrabbiato.

Quel qualcuno stava soffrendo...


Ismel non era il suo nome, perché lui non aveva nome, come non aveva un corpo.

Era un concentrato di energia senziente e pensante che emanava e irradiava riflessi di un arancione intensissimo, contenuta all'interno di un nucleo che altro non era se non la stessa energia, in grado di contenersi e non disperdersi.

Veniva da molto lontano e "molto lontano" era piuttosto limitante, come descrizione.

Nacque o, meglio, prese coscienza di esistere dopo una terribile esplosione di rabbia, non sua. Quella furia, anche se involontariamente, lo generò. E fu subito sofferenza. Fu colto all'istante, nello stesso momento in cui percepì la propria esistenza, da un senso di perdita quasi insopportabile, generato da qualcosa che si stava allontanando dal suo mondo e da lui e, andandosene sempre più lontano, si stava portando via una parte della sua essenza.

Un grande e doloroso conflitto lo affliggeva.

Due parti distinte, due nuclei diversi si erano fusi in lui, formando quell'unico centro arancio vivo, e lottavano disperatamente per ottenere il controllo sull'altro. Quello rosso pulsava di rabbia, invidia, disperazione; voleva emergere, ambiva a essere superiore a tutto e a tutti e predominava sull'altro; il giallo, che era pieno d'amore e di perdono, bramava la vita e, del tutto debole e insignificante per Ismel, veniva giustamente sopraffatto.

Ciò che si stava allontanando era energia rossa pura ed era stata scacciata e bandita. Sapeva perché. Il rosso che era in lui gli parlava, di continuo. Aveva avuto la stessa brama di potere e di dominio che grondava da lui, ma a qualcuno questo non era piaciuto.

"Chi?" aveva chiesto, ma questo l'energia non glielo diceva, non poteva dirglielo, perché ne era terrorizzata.

Si accorse subito di non essere solo. C'era qualcos'altro al suo fianco, qualcosa d'identico a lui in cui percepiva lo stesso conflitto, ma nessuna sofferenza, né rabbia e disperazione. Solo serenità e pace. La parte gialla ne aveva assunto subito il controllo, senza nessuna fatica. La debolezza prendeva il sopravvento sul potere. Si discostò con disprezzo. Anche quel nucleo irradiava riflessi arancioni, ma molto più sbiaditi, spenti, privi della forza che lui possedeva.

Attorno a loro due tutto era in subbuglio: c'era tensione e agitazione, scintille di energia ancora friggevano e l'eco di un potentissimo boato risuonava in ogni parte. Qualcosa di terribile e potente si era scatenato e si era appena concluso.

Un'enorme massa rosso giallastra troneggiava sopra di loro e la sua presenza sembrava incombere su tutto. Era lei a provocare il terrore che albergava nel suo nucleo, ma ciò che emanava in quel preciso momento era sofferenza e una debolezza improvvisa, nonostante le tracce evidenti di una recente furia, la causa del fragore la cui eco era ormai quasi del tutto dissolta.

I riflessi emanati dalla concentrazione di energia che la componeva, sfumavano verso un'ocra spento, triste, creando una patina che la ricopriva quasi interamente. Ma sotto quella coltre pulsava qualcosa di più puro e accecante, qualcosa che era stato contaminato ma che ancora non si era rassegnato a sparire. Loro venivano da lì.

Acquisendo sempre più coscienza di sé stesso, Ismel stava riuscendo a mitigare la paura, ereditata insieme all'energia rossa, e nello stesso tempo gli giungevano le informazioni che desiderava.

E scoprì che quella massa era loro padre.


Li stava esaminando.

Col suo potere poteva percepire, chiaramente e senza ostacoli, tutto quello che accadeva nei loro nuclei; poteva conoscere nel profondo i loro pensieri, le loro paure, le loro ambizioni.

Ismel si accorse subito che l'esaminato era solo lui e tutto fu ovvio. Era stato suo padre a cacciare il grosso grumo di rosso che ora vagava per l'Universo; ora avvertiva nel figlio gli stessi pensieri, le stesse ambizioni e, di conseguenza, lo stesso fastidioso pericolo.

Ismel decise di allontanarsi, rintanandosi nell'angolo più remoto del loro mondo, sperando così di riuscire a bloccare quella fastidiosa intrusione. Il padre era indebolito e affranto e risultò facile sfuggirgli. Ma si sarebbe ripreso, lui lo sapeva.

Si isolò, tentando con tutte le forze di celare i suoi più intimi desideri, ma la rabbia che provava di continuo, era troppo grande, e la sua ambizione era incontenibile. La voglia di potere guizzava in lui e gli instillava una frenesia irresistibile e, purtroppo, insopportabile.

Era quasi riuscito a eliminare la paura che aveva per il padre, ma era ben consapevole di essere molto più debole di lui. Così, quasi senza volerlo, spostò la sua attenzione sul gemello.

Era costituito più o meno dalla stessa quantità d'energia che c'era in lui, ma le sue scelte, i suoi desideri e quello che voleva essere, lo penalizzavano. Era solo un debole, incapace di qualsiasi atto di violenza, felice di quello che aveva e di quello che era. Cercava la perfetta armonia nella convivenza e perciò poteva essere sopraffatto in qualsiasi momento, senza il minimo sforzo. Per Ismel altro non era che energia da assimilare, da convertire e da controllare, per aumentare il proprio potere.

La cosa lo ingolosiva e gli fece dimenticare di essere controllato.

In segreto cominciò a pianificare. Lo avrebbe preso di sorpresa, l'avrebbe prima ammaliato con il suo fascino, per poi colpirlo e annientarlo. Quella patetica debolezza si sarebbe tramutata in forza dentro di lui e l'avrebbe fatto diventare un essere più potente. Il pensiero lo rendeva felice, la felicità lo rese impaziente, l'impazienza lo distrasse.

Si espose troppo e il padre lo scoprì, cogliendo tutta la sua meschinità e la sua cattiveria. La furia disperata esplose con il fragore di un milione di tuoni, ancora una volta, riempiendo ogni angolo del mondo; Ismel fu travolto e scaraventato fin quasi all'orlo più esterno. Al di là c'era solo freddo, oscurità e un infinito nulla, che opprimeva anche senza esserci immersi. Ma accadde l'inaspettato.

Il gemello si mise in mezzo, risplendendo di puri riflessi gialli, quasi bianchi tanto rilucevano, con un atto d'amore di un'intensità tale che dal nucleo, solamente per un istantaneo momento, traboccarono alcuni frammenti che, schizzando fuori, colpirono entrambi i due contendenti.

Il padre si bloccò, trafitto e circondato da quella passione tanto ardente quanto semplice, genuina e sincera, la stessa che riusciva a generare anche lui prima che l'invidia, la cieca ambizione e la rabbia da loro prodotta, sporcassero lui e il suo mondo. Ora, però, non gli apparteneva più.

E mentre suo figlio continuava a inviare impulsi d'amore e di perdono, la disperazione più totale s'impossessò di lui, perché sapeva che era tutta colpa sua. Il lamento che produsse fu di pari intensità alla furia che l'aveva pervaso e capì che ormai, per lui era giunta l'ora di sparire.

Ismel, intanto, in bilico sul confine tra il loro mondo e l'abisso, pulsava rabbia e rancore, non solo verso il padre ma anche e soprattutto verso colui che l'aveva appena salvato. Non poteva tollerare che quel potere, il suo potere, fosse sprecato in miseri e patetici sentimenti d'affetto e, ancora peggio, di mieloso e sdolcinato amore, umiliandolo terribilmente con un soccorso che non aveva richiesto, mentre rosolava nell'odio a un passo dal disastro.

Percepì la rabbia del padre acquetarsi e tramutarsi in compatimento, e questo gli fece ancora più male. Intuì all'istante cosa stava per accadere e piombò nel terrore più cupo, non potendo fare nulla per evitarlo.

L'insopportabile lamento si trasformò in un cupo rombo sordo che cominciò a mugolare, crescendo via, via d'intensità, accompagnato dal tremore che provocava tutt'intorno, fino a diventare un boato continuo, senza interruzioni, assordante.

Poi ci fu l'esplosione.

Il nucleo del padre si squarciò, rilasciando un bagliore giallo accecante che si sparse dappertutto, avvolgendo il gemello nella luce, mentre il rimbombo della deflagrazione si sommò al suono già presente. Esaurita la spinta, il tumulto cominciò a calare, di pari passo alla macchia di colore abbagliante giallo-bianca, finché sparì del tutto, quasi risucchiato, lasciandosi dietro un'eco lontana che dissipò nell'attimo stesso in cui la luce si dissolse.

E il silenzio che restò buttò addosso a Ismel la più terribile delle realtà.

Suo padre aveva volontariamente lacerato il proprio nucleo, trasmettendo tutta l'energia al gemello. Dopodiché era sparito per sempre.

Stettero uno di fronte all'altro per un tempo indefinito, mentre la furia di uno aumentava di pari passo all'amore che l'altro provava a inviare. Percepiva che il potere negatogli era finito all'interno del nucleo di quel misero essere che aveva davanti, e questo lo torturava. Non avrebbe più potuto affrontarlo; il gemello ora era più potente e poteva sopraffarlo come e quando avesse voluto. Non l'avrebbe mai fatto, ma Ismel sapeva che non gli avrebbe mai permesso di appropriarsene.

Scappò via, ignorando l'onda d'affetto che gli veniva inviata e si rintanò, pieno di rabbia, invidia e disperazione.


La solitudine a cui si costrinse acuì ancor di più il furioso livore che provava e nel vorticoso turbinio che tempestava il nucleo, l'energia rossa, ormai libera dalla paura, gli parlò, spiegandogli quello che doveva fare.

Nelle profonde oscurità dell'abisso, fuori dal suo mondo, c'era quello che voleva, quello che gli avrebbe permesso di distruggere quell'abominio e riprendersi quello che gli era stato sottratto. Là fuori c'era un piccolo pianeta, lontano, creato da quella stessa energia che era stata cacciata via con violenza e rabbia, generato da suo padre senza volerlo, ed era tanto indifeso quanto ambito ai suoi occhi.

Cominciò a progettare il piano.

Avrebbe dovuto correre enormi rischi, in primis quello di lasciare casa sua e non poter tornarci più, se avesse fallito.

Ma non sarebbe successo! Laggiù sarebbe stato lui l'essere più potente e nessuno l'avrebbe contrastato. Avrebbe succhiato tutto quel potere e sarebbe tornato per mostrare al suo insulso fratello chi era il più forte.

Il gemello tentò più volte di stabilire un contatto ma, affranto, desisté quando capì che dall'altra parte c'erano solo odio e rancore. Il disprezzo di Ismel nei suoi confronti aumentava senza sosta; lui aveva tutto il potere e, di fatto, era padrone di quello e di tutti i mondi esistenti; eppure, si comportava da debole, provava la compassione, la tristezza e cercava di risolvere tutto sempre e solo con l'amore e la dolcezza. Non era degno di essere quello che era!


Nel tempo che seguì Ismel lavorò duramente. Sfruttò a pieno l'energia rossa per dare corpo alle sue idee, mentre la parte gialla era stata ormai completamente domata e resa silente.

Creò una palla e quattro pannelli, fatti di pura energia solidificata, e cercò di tenerli il più possibile celati. Sarebbe stato molto più complicato nascondere gli altri oggetti che doveva creare, visto che ne servivano un numero elevatissimo. Aveva bisogno di un aiuto.

Così, scisse una parte di sé, conferendole un'identità propria, mantenendone però il controllo. Creò di fatto un servo e lo addestrò all'unico scopo che voleva svolgesse: andare sul pianeta, nascondere palla e pannelli, nascondere sé stesso e ciò che in realtà era, seguendo il suo preciso ordine.

Quando il servo partì si sentiva calmo, come se avesse depositato tutta la rabbia in quel piccolo nucleo che stava guardando allontanarsi e sparire nel nero profondo dello spazio.

Avrebbe riacquistato il giusto approccio durante il suo viaggio, per giungere laggiù con lo spirito adatto al suo scopo. Ormai era pronto anche lui.

Si era leggermente indebolito, essendosi dovuto separare da una parte importante di energia per mettere in pratica i suoi piani, ma la cosa non lo preoccupava. Avrebbe riassorbito tutto, una volta conclusa la sua missione, quando già sarebbe stato potentissimo, là, dove stava per andare.

Un brivido di eccitazione gli ribollì dentro, irrorandolo di sottile piacere, qualcosa di estremamente simile alla gioia, sensazione che fino a quel momento, per lui, era stata sconosciuta. Il giallo che era in lui ebbe un sussulto e, solo per quella volta, provò, titubante, a imporsi. Ismel sentì quasi la tentazione di andare a cercare il gemello e contraccambiare l'affetto che lui aveva provato a inviargli. Ma intorno a lui regnava il silenzio più assoluto; c'era stato pressoché sempre e solo silenzio in quel mondo, tranne durante gli scontri col padre. Poteva andare a cercarlo...

No! Decise che non aveva poi questa gran voglia di confrontarsi con lui, che pareva comunque sparito. In effetti da un po' non percepiva la sua presenza. Meglio così! Dopotutto, lo odiava.

Doveva pensare solo alla missione: una volta conclusa, avrebbe dimostrato a tutto l'Universo chi era. E il gemello sarebbe stato polverizzato.

L'energia rossa riprese prepotentemente il controllo e il giallo tornò a nascondersi, incapace d'imporsi.


Partì!

Si voltò un'ultima volta, rimirando cosa stava lasciando, convinto di fare la cosa giusta e che nessun rimpianto avrebbe rallentato la sua missione.

Avrebbe seguito il percorso del suo servo, per arrivare nel luogo del pianeta dove si era nascosto. La strategia era di lasciarsi guidare dall'istinto, per cui non aveva scelto un preciso punto d'arrivo; ovunque fosse finito, su quel piccolo pianeta, avrebbe raggiunto i suoi obiettivi.

Ma si accorse subito che qualcosa non andava.

La via che stava seguendo non era stata tracciata dal servo, e prima di capire cosa stesse succedendo, la stava già percorrendo. All'iniziale sorpresa subentrò subito l'inquietudine.

Provò a uscire, ma non poteva e il senso di impotenza lo fece arrabbiare. C'era un potere in quel sentiero quasi invisibile, e che emanava un'attrazione irresistibile.

Chi poteva essere in grado di comandarlo, fuori dal suo mondo? Chi era in grado di lasciare una traccia così evanescente, eppure così persuasiva? Era evidente che chiunque fosse, era più forte di lui. E conosceva solo un essere superiore a lui. Ma era impossibile!

Il suo gemello non poteva lasciare la loro casa; era legato a essa, molto più di quanto lo fosse lui. Inoltre, se se ne fosse andato... caspita! Se ne sarebbe accorto. Ereditando tutta l'energia del padre, aveva assunto anche il controllo del loro mondo, che esisteva proprio perché c'era lui.

Questo era quello che aveva percepito e di cui era fermamente convinto.

Quindi, chi aveva tracciato quella via? Poteva essere stato il rosso esiliato? Sì, lui ne sarebbe stato capace. Era molto potente e il mondo che aveva creato e verso il quale lui stava andando, ne era la prova.

Ma il potere che lo incatenava a quella via era diverso.

Decise che non era il momento di farsi venire dubbi e preoccupazioni. Doveva giungere sul pianeta e questo stava facendo. Tutto il resto non contava.

Scacciò quindi quel preoccupante pensiero e si lasciò guidare.

Si avvicinava velocemente alla sua meta e qualcos'altro stava accadendo. Cominciò ad avvertire la presenza del pianeta o, per meglio dire, avvertiva l'energia rossa di cui era composto. Ne era saturo! Del tutto saturo! La sentiva, la bramava e lei pareva chiamarlo con insistenza; la voleva, con ogni singola particella, il desiderio era irresistibile. Ce n'era una quantità enorme laggiù, più di quella che si sarebbe aspettato. Sarebbe diventato potentissimo una volta recuperata.

Sarebbe tornato; sapeva che con tutta quella potenza sarebbe riuscito a rientrare nel suo mondo e avrebbe ristabilito il giusto ordine delle cose.

Ma quell'immensa massa verso cui era diretto lo stava anche comprimendo sempre di più e non capiva cosa stesse succedendo. Si sentiva "spinto" da tutte le parti e provava nuove sensazioni: durezza, forma, consistenza. Cominciava a percepire il "vedere", il "sentire", il "toccare". Nuove informazioni spuntarono all'improvviso in lui, nuove conoscenze, nuovi accessi.

Stava già assimilando il potere di quel mondo? Possibile?

L'energia rossa che pulsava da quella palla di terra lo stava "plasmando".

Era appagante, eccitante, ma faceva male, terribilmente male!


L'oscurità cominciò a schiarirsi, il silenzio divenne suono, il nulla si convertiva in qualcosa.

Percepiva, sentiva e poi, in un crescendo incontrollabile di piacere e dolore, cominciò a vedere.

Squarciò quella che sembrava un'esile cortina di fumo, e penetrò nel pianeta.

Intorno a lui... "aria" e... "pioggia". Sotto... "montagne".

Si trovava ancora dentro la stessa via, ma ora era tutto più chiaro, dentro e fuori di lui, e l'inquietante dubbio che gli era venuto divenne un'atroce verità. Era stato ingannato e questo era un male. O si era ingannato da solo, e questo era peggio.

Il sentiero era stato tracciato da... sua sorella.

Come? Il gemello era una lei? Questa nuova informazione lo colse di sorpresa, ma non ebbe tempo di assimilarla.

Era stata lì prima di lui. Lo capiva bene osservando la via davanti e didietro, ora che aveva gli occhi e poteva... vedere, e non più solo percepire. Era stata plasmata con lo stesso potere che c'era in lui (quell'arancione che in lei era così... scialbo e sbiadito), ma solo quello non sarebbe bastato per obbligarlo a seguirla. Quell'arancio così smorto, così debole, era striato, solo a tratti, da riflessi intensi di giallo puro, quasi bianco. Era suo padre che, tramite lei, continuava a imporsi.

Ismel comprese ancora meglio quanto sua sorella fosse potente e quanto la sua missione fosse a rischio.

Ma quando era arrivata? E perché?

Non poteva lasciare il loro mondo. Continuava a ripeterselo, convinto che fosse vero. Ma era sicuro fosse proprio così? Se lei era più forte di lui, non poteva allora fargli credere tutto quello che voleva? E non era in grado di fare cose che lui riteneva impossibili? Poteva diventare tutto più complicato se...

Ma ormai importava poco. Era lì e doveva agire.

E avrebbe agito.


Guardò in giù e vide i suoi... "piedi" che si posavano su... "erba" e la via si dissolse.

Il dolore persisteva. Si sentiva schiacciato, come se l'avessero infilato in una... "scatola" troppo piccola. Comprese che per stare lì, doveva esistere! Doveva esserci, avere una forma. Non poteva più essere solamente pura energia pensante.

Davanti a lui c'era una... "grotta".

Ovunque girasse lo sguardo vedeva cose sconosciute, ma nello stesso istante in cui i suoi occhi vedevano, imparava. I nomi balenavano davanti a lui, le informazioni gli entravano in... "testa". Era l'energia rossa!

Quando era ancora nel suo mondo gli aveva mostrato cosa doveva fare e come prepararsi; ora, connessa con quella del pianeta, stava insegnando! Aveva creato una forma e adesso la stava riempiendo.

Il dolore, la sensazione di schiacciamento veniva da qui; ma c'era anche un sottile piacere, una sorta di soddisfazione recondita che pulsava, pulsava, cresceva a ogni nuova cosa vedesse.

Poi fu un'esplosione! Un'ondata di piacere lo travolse con tale impeto che si dovette piegare sulle ginocchia. Nello stesso momento in cui la parola... "orgasmo" gli brillò davanti, ne arrivò un'altra, più potente, che lo fece rialzare di scatto, la testa rovesciata, lo sguardo al cielo. Un urlo si formò nelle sue viscere, risalì a velocità folle e uscì fuori, riecheggiando per tutta la vallata, trasportato lontano dall'eco.

Poi tutto finì. Tornò il dolore, tornò il senso di oppressione e una nuova sensazione... "freddo". Restò immobile e tremante. Sentì qualcosa scivolargli in faccia: "lacrime".

Si sdraiò, rannicchiandosi. Aveva gli occhi aperti, fissi sulle montagne che aveva di fronte. Il freddo lo sferzava, ma tra le pieghe del dolore che provava, sentiva scorrere qualcosa di nuovo e inaspettato. Poteva dire di sentirsi felice in quel momento? Forse sì. Si sentiva in pace con sé stesso e con tutto quello che lo circondava. Poteva distruggere tutto questo? Voleva veramente portare avanti i suoi folli progetti? Prosciugare un pianeta che regalava sensazioni così meravigliose e ridurlo a un desolato guscio vuoto? No, assolutamente no! Sarebbe rimasto lì per sempre e si sarebbe immerso del tutto in quella meraviglia. Sarebbe stato bene!

Si rialzò tremando e si guardò. Era... "nudo".

Improvvisamente la bellezza si spense. Provò un nuovo disagio... "vergogna" e... "frustrazione". Il dolore cambiava, si trasformava e ora aveva... "paura".

Cosa gli succedeva? Come poteva un essere potente e superiore come lui sentirsi così, su un pianeta misero come quello? La sofferenza stava diventando intollerabile e la rabbia riapparve.

"Come si può provare dolore in un posto così bello? È un mondo ingannatore, ecco cos'è! Attrae col suo grande fascino, poi ferisce senza pietà e forse... uccide."

Come il... "ragno" e la sua... "ragnatela".

Poteva l'energia proveniente dal suo stesso mondo, essere così malvagia? Con lui? Non riusciva a crederlo. Non voleva crederlo. Era stata plagiata, in qualche modo. Era stata tradita e ingannata. Erano stati quegli... "uomini" che lei stessa aveva creato: le si erano rivoltati contro, l'avevano sedotta e lei aveva ceduto. Maledetti!

Provò a rivestirsi di energia, ma riuscì a sprigionare solo una misera patina arancione che allentava di poco la compressione. Era faticosissimo. Quel... "corpo" in cui era stato ficcato faceva da scudo. Un nuovo senso di disperazione lo colse. Non controllava più l'energia rossa. Come avrebbe fatto ad assorbirla? Si rese conto di non essere pronto, di essersi illuso che tutto sarebbe stato facile.

"Non abbatterti alle prime difficoltà!"

Era la sua parte rossa che gli parlava? Non era più sicuro di nulla, e raggiunto il picco di disperazione, confusione e vero terrore, incredibilmente ritrovò la lucidità. C'era solo un modo per porre fine a tutti i dubbi! O almeno, capire se avrebbe potuto vincere la sua guerra. Andare avanti!

Entrò nella grotta. L'antro era debolmente illuminato dall'opaca e grigia luce che proveniva dal cielo ed esauriva in fretta il suo debole riflesso, coperta dall'oscurità sempre più fitta via, via che ci si addentrava.

La luce che lo avvolgeva era fredda e non emetteva nessun bagliore, nessun calore. Il disagio aumentava sempre più, perché qualcuno era già stato lì tanto tempo prima, molto prima del servo. Le tracce erano evidenti, lampanti e non lasciavano nessun dubbio su chi fosse. Un'eco sembrava essere rimasta incollata a quelle cavernose pareti, silente, immobile, in attesa di risvegliarsi per lui. Il suo... "cuore" martellava forte.

Volò giù per la stretta galleria e trovò quello che cercava. Il servo era stato bravo.


Una palla viola uscì dalla grotta, lentamente, seguita da quattro pannelli rettangolari. Erano di poco sollevati da terra, ma non appena sbucarono all'esterno volarono in cielo, fino a raggiungere la cima della montagna, dove si arrestarono, emettendo un impercettibile ronzio.

All'interno della sfera Ismel era riuscito a espandere la sua energia, fino a ricoprire per intero la miserabile forma che aveva assunto al suo arrivo. Sapeva che sarebbe successo; lì dentro era come se fosse tornato nel suo mondo, poteva riprendere il controllo della sua parte di energia rossa, mentre il cuore pulsante del pianeta rallentava la sua presa. Il dolore era cessato quasi del tutto e con lui si erano un po' attenuate anche le preoccupazioni. In quel momento, si sentiva abbastanza bene.

Uscendo dalla caverna percepì di sfuggita una presenza con un che di famigliare.

La sensazione svanì subito e mentre raggiungeva la cima della montagna, non c'era già più; ma rimase sospeso nell'aria, leggero, il presentimento che qualcuno lo stesse osservando.

Lei? Era l'unica risposta sensata, ma ancora, ostinato, voleva convincersi che sua sorella non fosse lì.

Aveva lasciato nella grotta la parte essenziale per i suoi progetti. L'avrebbe recuperata successivamente. Non c'era fretta. Per prima cosa era necessario far capire loro con chi avessero a che fare. E intanto... certo! Anche punirli! Avrebbe sprecato un po' del suo bottino, ma veramente una quantità di poco conto. Pazienza! Non sarebbe cambiato nulla per lui. E si sarebbe divertito.

Concentrò un po' d'energia sulla palla e sulle quattro tavole. Avvolte da quella luce fredda cominciarono a ingrandirsi con velocità, fermandosi quando, enormi, troneggiavano sulla vetta.

Ismel sorrise. Ora aveva una faccia, aveva le braccia e aveva le gambe. Il suo piano prevedeva che, come corpo, avrebbe preso in prestito qualcosa di loro, qualcosa che li avrebbe terrorizzati, atterriti.

Una figura si formò davanti ai suoi occhi, suggerita, come sempre, dall'energia. Una figura che loro associavano ai... "bambini"! Interessante! Loro amavano questi bambini. E cosa c'è di più terrificante dell'essere attaccati da una cosa che ami? Aveva già tutto, serviva una... "torre". E ce n'era una perfetta, non lontanissimo da dove si trovava.

Già si era dimenticato della misteriosa presenza.

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