1 - IL MESSAGGIO (1)
Un suono lo svegliò.
Aprì gli occhi, ma c'era solo buio. Cercava di capire dove si trovasse, ma il suono glielo impediva. Eppure, era lontano; si capiva che veniva da lontano, lo sentiva nella testa. Era come avere una lama che sfiorasse appena la materia cerebrale, come se qualcuno gli avesse aperto il cranio, avesse appoggiato un coltello e avesse richiuso. Sembrava un fischio... Si portò le mani alla testa con la voglia di urlare. Ma il suono cessò di colpo e si aprì una porta. I muri della camera si rivestirono subito di luce.
«Papà, cos'è stato? Cos'era quel suono?»
Riccardo abbassò le mani mettendosi a sedere sul letto. Guardò sua figlia di undici anni, in piedi sulla soglia con la faccia spaventata. Rimase qualche secondo in silenzio, intontito dal brusco risveglio.
«Non lo so. Sembrava una specie di antifurto, ma era lontano!» biascicò. Non sapeva cos'era stato, ma di sicuro non era un antifurto. Gli era penetrato nella testa, e anche se non c'era più, lo sentiva ancora riecheggiare nelle orecchie. Un senso d'inquietudine lo pervase.
«Tranquilla, amore. Non è niente.» disse, alzandosi e tirando su la tapparella. La luce del sole gli fece strizzare gli occhi. Il suo riposino pomeridiano era evidentemente finito. Spense il condizionatore e uscì dalla camera, accarezzandole dolcemente una guancia.
«Ce l'avevo nella testa» disse lei, prendendogli la mano. Si guardarono negli occhi un momento. «Anche tu, vero?»
Veronica era identica a sua madre, nell'aspetto ma soprattutto nella capacità di accorgersi di tutto.
Riccardo era sempre stato un libro aperto per sua moglie, non era riuscito mai a nasconderle nulla. Al contrario di lei invece, che gli aveva taciuto la malattia fino a quando fu impossibile nasconderla. Era morta, lasciandolo con Veronica e con i suoi sensi di colpa. "Se me ne fossi accorto prima..." si ripeteva spesso. "Come? Come hai potuto non vedere? Non capire che lei si stava consumando? Brutto stronzo!"
Sapeva benissimo che non avrebbe potuto fare niente per lei, anche se l'avessero scoperto insieme.
«Era già a uno stadio molto avanzato quando l'ho diagnosticato» gli aveva risposto la dottoressa, una delle più care amiche di sua moglie, quando in lacrime e disperato le aveva chiesto perché non l'avesse detto subito anche a lui. «Ho rispettato la sua volontà di non dirlo a nessuno, soprattutto a te e a Veronica. Credo che in qualche maniera volesse proteggervi.»
L'aveva affrontato da sola finché aveva potuto, con il coraggio che sempre l'aveva contraddistinta. "A crepare di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio" cantava De André. Se n'era andata il giorno della Festa della Mamma. Erano passati già tre anni.
«Sì, ma non c'è niente di...» Un boato lontano rimbombò nell'aria; il palazzo in cui abitavano tremò leggermente. «Ma, che...?» Riccardo andò alla finestra.
C'era un ampio giardino condominiale davanti al loro ingresso, che faceva da piazzetta, oltre al suo, anche agli altri sei palazzi che lo circondavano. Ognuno dei sette condomìni era composto da tre edifici di quattro piani (compreso il piano terra). Ogni piano aveva due appartamenti per edificio. I due stabili obliqui erano rivolti verso l'interno e i balconi si affacciavano sul giardino, il terzo univa gli altri due, con i terrazzi affacciati sull'altro lato. Dall'alto, ogni palazzo, appariva come la metà esatta di un esagono. Tre palazzi su ogni lato lungo del parchetto, il settimo a congiungerli e, di fronte, il lato aperto che guardava verso il centro di Bologna. Da questo lato il giardino finiva con una ringhiera, parapetto per la rampa sottostante che portava ai garage dei sei condomìni affiancati. La rampa si univa perpendicolarmente con la strada che li divideva da un altro complesso di edifici, completamente diversi. Ai garage del settimo edificio si accedeva da un altro punto, posto alla destra del palazzo, se si guardava dando le spalle a Bologna.
Il giardino era pieno di persone e tutte avevano lo sguardo fisso in una direzione, indicando e parlando tra di loro visibilmente agitati.
Lo scoppio che seguì fu molto più potente del precedente. Era lontano anch'esso, ma tutti i vetri vibrarono. E diversi cani cominciarono ad abbaiare.
«Ma che succede?» Le persone nel giardino ora sembravano più agitate e altre se ne erano aggiunte.
«Scendo un attimo, amore. Dev'essere successo qualcosa. Forse è esploso qualcosa, da qualche parte.»
«Ma erano già tutti giù! Non sono scesi per lo scoppio. Forse anche loro hanno sentito il fischio.»
«Vado a chiedere.»
«Vengo anch'io. Non voglio stare da sola.»
Quell'improvvisa e inaspettata paura che aveva fatto irruzione in casa loro negli ultimi cinque minuti sembrava, in un attimo, aver interrotto e fatto regredire il processo di crescita della sua bambina. Processo che era iniziato tre anni prima, all'improvviso e troppo precocemente, dopo la morte di Erika.
Veronica era cambiata molto, in poco tempo, e questo era stato un ulteriore dolore per Riccardo, che la vedeva diventare donna quando ancora doveva essere una bambina.
Aveva undici anni ma ne dimostrava almeno tre in più. Alta già circa un metro e sessanta, longilinea, il seno che cominciava a svilupparsi. Le mestruazioni non erano ancora arrivate, ma sospettava fossero vicine, dopodiché in casa avrebbe avuto una donna. Aveva capelli meravigliosi; lunghi e lisci come seta, color rame, con sfumature arancio che si evidenziavano ancor di più quando la chioma veniva accarezzata da un raggio di sole. Non erano mai riusciti a spiegarsi da chi avesse ereditato un colore di capelli così raro. Riccardo era castano, Erika riccia e mora. Nessuno in famiglia ricordava qualcuno che sfoggiasse una tale capigliatura. Aveva sorpreso molti occhi maschili rimirarla, per strada, al ristorante o nei negozi e la cosa non gli piaceva. Proprio per niente!
Ma adesso vedeva nei suoi occhi lo stesso sguardo che aveva quando la recuperava dal suo lettino, da piccola, nelle notti in cui il temporale dava il meglio di sé, e lei si svegliava strillando, allo scoppio del tuono. La prendeva in braccio e lei gli si avvinghiava al collo mentre la portava nel loro letto, al sicuro.
Uscirono in giardino e si diressero verso Max, il loro vicino di appartamento.
«Riky...»
«Max! Che succede?»
Un terzo scoppio riecheggiò nell'aria. Meno intenso, ma più secco. Non aveva molto senso, ma a Riccardo venne in mente solo quella parola.
«Guardate! Là!»
Un fiume di parole, grida, urla, lo investì. Tutti guardavano in direzione di Bologna e quello che vide lo lasciò... anche lui non capiva il suo stato d'animo, perché quello che stava vedendo non aveva senso. Pareva la Torre degli Asinelli, sospesa in aria, sopra a una nuvola di fumo.
Abitavano a Ozzano dell'Emilia, distante poco più di dieci chilometri dal centro e da lì non si potevano vedere le due torri di Bologna. Troppa strada, troppi palazzi. Ma adesso la vedeva. Cazzo! Riccardo stava guardando la torre degli Asinelli! Piccola e lontana, ma impossibile da non riconoscere, almeno per un bolognese! Solo che era diversa. Sembrava penzolare sotto a una strana palla, e quattro... cose rettangolari si erano agganciate ai fianchi e sotto. Il fumo sembrò sparire di colpo, poi quella strana figura ripiombò giù. Il boato fu enorme, la terra vibrò, gli antifurti di molte auto cominciarono a suonare, i vetri di molte finestre si schiantarono, i cani abbaiavano disperatamente.
«Ma che cazzo è?»
«Papà, ho paura...» Veronica si era aggrappata a lui.
«Oh, mio Dio...» Alcuni cominciarono a urlare, altri corsero in casa, molti dei davanzali che davano sul giardino erano occupati da persone che guardavano, terrorizzate. E riprendevano tutto col cellulare. Nessuno sapeva cosa stesse succedendo, ma era chiaro che non era niente di bello.
«C'entra qualcosa con quel fischio?» Riccardo si rivolse a Max, mentre accarezzava la testa di sua figlia.
«L'hai sentito anche tu?»
«Perbacco! Stavo dormendo e mi ha svegliato!»
«C'erano cinque luci nel cielo, poco fa. Non le hai viste? Erano parecchio strane. Stavo guardando la tv, ho sentito gente che parlava in giardino, mi sono affacciato e le ho viste! E sono sceso.»
«Luci... nel cielo?»
«Sì. Dicono che sono comparse all'improvviso.»
Fu interrotto. Cominciarono a susseguirsi una serie di botti terribili. Altri vetri esplosero, altro fumo cominciò a sollevarsi dal centro. Veronica si strinse di più a suo padre che la cingeva, adesso, con entrambe le braccia. Una signora cadde a terra, alcuni si allontanarono correndo.
«Ma, santo Dio, che sta succedendo?»
Arrivarono altre persone. Il giardino era pieno di gente.
«SIAMO SOTT'ATTACCO!» gridava qualcuno.
«Terroristi, sicuro. Quelle erano bombe, te lo dico io! Hanno fatto esplodere qualcosa...»
«Sì, ma quella roba in aria? Cos'era? Non sembrava un kamikaze!»
«MERDA!!! Guardate qui... NON È POSSIBILE!!!»
Un ragazzo di fianco a loro aveva il cellulare in mano. Gli si formò subito un capannello di persone intorno, quasi tutte osservando lo schermo con una mano sulla bocca, sbigottiti, terrorizzati.
«Fallo ripartire» chiese Riccardo, accostandosi.
Era un video di Facebook, postato otto minuti prima da un amico del ragazzo che si trovava in Piazza Maggiore. La ripresa era stata fatta dagli scalini di San Petronio.
Si vedevano le cinque luci nel cielo che si avvicinavano velocemente, fino a ingrandirsi e a mostrarsi per quel che erano: una palla e quattro pannelli di forma rettangolare. Da quella posizione le torri non si vedevano, nascoste dal palazzo a destra della basilica, ma le "cose" si dovevano essere posizionate sopra. Erano enormi, soprattutto la palla, ed erano viola. Dallo schermo giungevano urla e gente che gridava il proprio stupore. «Non ho mai visto niente del genere...»
Poi dal video uscì il fischio, lo stesso penetrante suono che aveva svegliato Riccardo. Anche attraverso lo schermo penetrò come una lama nelle menti dei presenti. Quasi tutti si abbassarono d'istinto, tenendosi le mani sulle tempie. Il ragazzo del cellulare aveva abbassato le sue, girando la testa per il fastidio.
«Fammi vedere, dai!» Riccardo, con gli occhi semichiusi, stringendo più forte a sé la spaventatissima figlia, aveva strappato il cellulare dalle mani del giovane e si era rimesso a guardare, a fatica.
Nel video il telefono era scivolato a terra e si sentivano urla tutt'intorno. Si vedevano due ragazzi (uno dei due doveva essere colui che stava riprendendo) che si tenevano le mani sulla testa. Poi si udì il rumore di vetri che esplodevano, e il suono cessò. Una mano aveva raccolto il dispositivo e il viso del ragazzo era comparso sullo schermo. Era stravolto. «...quel suono mi ha spaccato la testa... mamma... gli alieni...» Il ragazzo era molto agitato e si stava allontanando. «...sono enormi... Oh, merda... ci sono dei feriti e... cadaveri...» Inquadrò delle persone sdraiate a terra, sanguinanti, colpite dai vetri, alcuni immobili. «Non so cosa stia succedendo. Ho paura...»
«Ma spegni quel cazzo di telefono e corri a salvarti! Cosa continui a riprendere?» Max aveva dato voce allo stesso pensiero che aveva appena attraversato la mente di Riccardo.
«È la moda dei giorni nostri.» aggiunse. «Qualsiasi cosa ti succeda devi metterla su Face...»
«LA GARISENDA!!! DIO MIO... LA GARISENDA!!!» C'era un altro gruppetto di persone a fianco, intenti a guardare probabilmente un altro video simile.
«Cosa?»
Il primo gruppetto si dissolse in un attimo e andò a rimpolpare il secondo. La ragazzina che teneva il cellulare in mano piangeva disperata. «DEVO CHIAMARLA... DEVO SENTIRE SE STA BENE...»
«Aspetta! Fammi vedere...»
Ma la ragazza stava già correndo verso l'ingresso del suo condominio.
«Cos'era? Cosa c'era in quel video?» chiese Riccardo, cercando di sovrastare il confuso vocio che si era creato.
Gli rispose una signora. «È crollata la Garisenda. L'amica della ragazzina stava riprendendo da via Rizzoli, all'altezza di via Indipendenza. La palla era appoggiata sull'Asinelli...»
«Ap... Appoggiata?» deglutì Riccardo. Subito pensò alla torre e a come l'aveva vista poco prima.
«Sì! Non so spiegarlo in un altro modo. Era appoggiata sulla guglia, girava su sé stessa e da sotto usciva una luce arancione, che ricopriva l'intera torre. Poi si è sentito il boato e tutto ha tremato. Poi un altro. Il video era confuso; la ragazza probabilmente si è messa a correre col telefono acceso, in mano. C'erano urla a non finire e qualcuno ha gridato che era caduta la Garisenda. Si è interrotto qui.»
«È caduta la Garisenda? Non riesco a crederci...» Riccardo aveva la mano sulla bocca. Veronica era impietrita a fianco.
«Sì, è vero!» Max lo raggiunse col telefono del primo ragazzo in mano. «Guarda...»
«Potreste ridarmi il mio cellulare, per favore?» sbuffò il giovane. Riccardo lo ignorò. Fece ripartire il video e lo posizionò più o meno dove si era interrotto. «...sa stia succedendo. Ho paura...»
Era fermo, ancora in Piazza Maggiore, ma all'estremità più lontana dalle torri, appoggiato a un muro. «La palla...» Poi aveva girato lo schermo, inquadrando la grossa sfera che girava su sé stessa, emanando quella dannata luce. Ci fu il primo schianto e tutto tremò. Il ragazzo si era spostato all'imboccatura di via D'Azeglio continuando a riprendere. Stava piangendo e continuava a ripetere «Cazzo è? Cazzo è?" Quando ci fu il secondo boato l'immagine tremò maledettamente e il ragazzo cominciò a correre urlando, su per la via. Si fermò dopo pochi secondi. «Ho paura... AIUTO! Una bomba...» singhiozzava. «Scusa? SCUSA?? Cos'è esploso? Lo sai?» Si era rivolto a qualcuno, fuori dal video. «Dicono sia crollata la Garisenda, dal lato di via Zamboni...» aveva detto la voce, trafelata. Poi il video si interruppe.
«Me lo ridai adesso?» Il telefono gli venne sfilato dalla mano. Il ragazzo diede un veloce sguardo a Veronica, che ricambiò di sfuggita, e corse via.
«Non può essere!» Riccardo e Max si stavano guardando, increduli.
«Quanta gente sarà morta? E gli altri scoppi cosa sono stati?» Stavano guardando verso Bologna: una densa colonna di fumo marciava verso il cielo, sempre più grigia, sempre più compatta. Un elicottero passò molto basso sopra le loro teste e altri si stavano avvicinando al centro da altre direzioni. In lontananza cominciarono a sentirsi le prime sirene. Intorno a loro era rimasta poca gente, bianca in volto, tutti a guardare la macchia grigia che stava colorando il cielo sopra la loro città.
«Andiamo in casa. In tv ne parleranno» disse Max, dando un colpetto sulla spalla a Riccardo.
«Vieni, amore.»
Si accorse che Veronica tremava dalla testa ai piedi. «Tranquilla, dai! Siamo al sicuro qui»
Ma non credeva davvero a quel che stava dicendo.
«Papà, ho paura! Sono gli extra-terrestri? Sono venuti per portarci via?»
«Non lo so, ma non ti succederà niente, non ti preoccupare. Ti proteggo io»
Sembrava realmente regredita di cinque anni.
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