P-ossessione
Ho creduto dʼamarti
quella sera di ottobre
quando il tedio dellʼeterno
spartito tra le nostre carni
mʼè parso rifiorire bramosia
E dʼallora, a tormentarmi
sbocciate tra i fantasmi
di una languida baccante
le mie impudiche mancanze
avvezze ormai a mendicare
di quellʼardita, perversa follia
un altro assaggio ancora.
Da allora, a intrattenermi
vessato da miasmi inebrianti
e calchi di sculture diroccate
lʼeco spettrale di una stanza
che mai ha cessato dʼinventarti
dannato sui miei seni alla vaniglia
e divino nel disegno di sfregiarli
a schizzi di agonia e possessione.
Da allora, se tu mi rivedessi
non riconosceresti una carezza
neanche a ribaltare lʼoltretomba
E allora, a farti perdere la testa
lʼevanescenza di un angelo defunto
o lʼestasi sui fianchi dʼuna menade
che nellʼAde ti ha promesso
le chiavi dellʼempireo.
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