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Capitolo 10 - L'elfo




«Aspetta! Vuoi andare dall'Yggdrasill? Adesso?» domandò lei, colta  alla sprovvista. Solo qualche ora prima aveva rischiato di morire  congelata ed ora Vidar si buttava tranquillamente nel mezzo di una  bufera di neve senza farsi nessun problema.

«Certo. Quando, altrimenti?» affermò quasi con disinteresse. Poi  sembrò ricordarsi di qualcosa e si fermò. «A proposito, hai detto che il  libro era sotto terra?»

Lei passò in rassegna il sogno che aveva avuto e poi annuì con sicurezza.

«Allora ci serviranno delle pale. Il fabbro che prima viveva qui ne aveva un paio?»

Lei gli indicò un baule all'angolo della stanza, dove erano riposti  gli attrezzi dell'uomo. Vidar vi rovistò per un po', tirando poi fuori  due pale, proprio ciò che cercavano. «Era ben fornito il nostro uomo»  scherzò lui, mentre aspettava che anche lei si bardasse prima di  porgergliene una.

Come Vidar fece per aprire la porta, Úlfur si tirò su dal giaciglio  di Silye su cui si era appisolato e corse da loro. «Lui viene con noi»  affermò la ladra in tono perentorio. Il ragazzo scrollò le spalle,  facendole intendere che non dava troppo peso alla faccenda. Silye, dopo  che Vidar ebbe aperto la porta e fu ben visibile la tempesta di neve,  che tuttavia era divenuta più leggera e sopportabile rispetto a quella  mattina, si strinse più forte nel pesante mantello, memore dell'orribile  esperienza vissuta la sera prima.

Non aveva bisogno della bussola per arrivare all'Yggdrasill, che si  trovava esattamente al centro del bosco, come aveva potuto constatare  negli anni. Riconobbe la strada solo guardando i tronchi e le forme  degli alberi, gli stessi che aveva osservato nel suo sogno e che ora  erano ricoperti di un candido bianco al posto dei vivaci colori dei  fiori. Impiegarono un quart'ora per giungere all'Yggdrasill, speso in un  silenzio tombale, interrotto solo dal rumore del vento che sferzava i  loro corpi e i loro indumenti. L'albero si stagliò davanti ai loro  occhi, fiero e possente. Nonostante nel suo sogno fosse splendido, ora  le sembrò ancora più bello, con i rami ricoperti di neve, che lo faceva  apparire più etereo e luminoso.

Ancorò la pala a terra e Vidar si voltò a guardarla, aspettando che  lei dicesse qualcosa. Silye interpetò quello sguardo come una tacita  domanda sulla posizione del libro. Si concentrò e fece qualche passo  verso le enormi radici dell'albero, ripercorrendo le mosse della sé  stessa onirica. «Qui» indicò un pezzo di terra proprio ai piedi della  grande pianta, lo stesso che nel sogno si era aperto per lasciarle  vedere il libro grigio.

Vidar le si avvicinò e fece per iniziare a scavare, quando sentì  qualcosa sferzare l'aria a grande rapidità. Si piegò appena in tempo per  evitare un dardo che si andò a conficcare a terra, accanto ad una  radice. Silye aveva già visto quella freccia prima di allora, nei  ricordi di Vidar... Prima che riuscisse a finire di formulare quel  pensiero, il ragazzo diede voce alle sue preoccupazioni: «Elfi. Dobbiamo  andarcene.» Si rialzò e prendendola per un braccio, si nascosero dietro  l'albero più vicino. Silye non riusciva a credere che gli stessi elfi  che aveva visto gioire e ridere insieme a Vidar nella visione ora li  stessero attaccando. Non li riteneva capaci di ferire un essere umano,  ma se erano davvero ostili allora potevano essere pericolosi, date le  grandi abilità che avevano ostentato nei ricordi del dio. Potevano  essere ovunque e coglierli impreparati in qualsiasi momento.

Poi un pensiero la folgorò. Úlfur! Non era con loro, era  rimasto accanto all'albero ad annusare la freccia. Fece per corrergli  incontro, ma Vidar la trattenne appena in tempo per fare evitare una  freccia che le sfiorò solo per poco l'orecchio.

Una figura calò accanto all'Yggdrasill con un salto aggraziato, tanto  che lo fece sembrare più un volo che una caduta. «Come osate  danneggiare l'Albero della Vita?» disse con voce cristallina, nonostante  il tono rabbioso. Silye si accorse che, sebbene parlasse bene la loro  lingua, poteva distinguere un accento che non aveva mia sentito prima di  allora. Era solo uno, ma potevano essercene altri appostati sugli  alberi. Vedendo le loro pale, doveva aver pensato che il loro intento  fosse di rovinare le radici dell'Yggdrasill, quando quella fosse  l'ultima cosa che volevano fare. Quello prese un'altra lunga freccia e  Silye temette che meditasse di uccidere il cane, ma per sua fortuna non  sembrava volerlo fare, anche se si fosse evidentemente già accorto della  sua presenza e del fatto che sarebbe potuto apparire un bersaglio  facile. Tutta la sua attenzione era concentrata su Silye e Vidar.

Quest'ultimo prese subito la parola. «Non erano queste le nostre intenzioni. Portiamo rispetto per l'Yggdrasill.»

Per  un po' non giunse nessuna risposta e Silye si sporse per vedere l'elfo.  Questo era rimasto immobile con un'espressione stupita in viso. «An i himnar ar stjǫrna!¹»  sussurrò poi in una strana lingua e, una volta svanita la rabbia, la  sua voce aveva i tratti di una melodia. «Vidar?» Una delle frecce gli  cadde dalle mani ed ora si stava avvicinando a loro.

«Elurín?» disse Vidar, come se stesse vedendo un morto che cammina. «Sei ancora vivo?»

«Solo per fortuna. Quando abbiamo visto il fuoco avanzare, ci siamo  rifuggiati nel bosco di Hoddmímir, l'unico luogo scampato al Ragnarok.  Eravamo in pochi ad essere sopravvissuti, ma gli altri che erano con me  sono stati uccisi dagli umani rigeneratisi dopo la catastrofe. Ci siamo  difesi come meglio potevamo per proteggere noi stessi e l'albero e siamo  riusciti a scacciarne in tanti, ma ora sono l'unico rimasto» nella sua  voce e nel suo viso traboccavano dolore e solitudine.

«Mi dispiace molto, vinir²» rispose il ragazzo, appoggiando una mano sulla spalla dell'elfo e stringendola forte, come a voler  trasmettergli un po' della sua forza e dimostrargli la sua compassione.

«Sa naa nain?³» chiese poi Elurín, rivolgendo lo sguardo su Silye, come se si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza.

La ragazza si sentì sotto pressione. Le sembrava quasi di essere un  terzo incomodo, comprendendo solo sprazzi della conversazione tra Vidar e  l'elfo, ed ora tutta l'attenzione si era spostata improvvisamente su di  lei. Vidar lo prese da parte, in modo che lei non potesse ascoltare ciò  che aveva da dirgli, quando lei non avrebbe comunque avuto modo di  capirlo, dato che non conosceva la lingua dell'elfo.

Sentì una scarica di collera, poiché era stata completamente ignorata  e tagliata fuori quando i due stavano evidentemente parlando di lei.  Decise di non rimanere con le mani in mano e andò a prendere la sua pala  per ricominciare il lavoro da dove era stato interrotto. Calò l'arnese  con forza nel terreno e, raccolto un mucchietto di neve, lo tirò da una  parte. Non dovette aspettare troppo prima che Vidar finisse di parlare  con l'elfo. Una volta terminato il suo discorso, Elurín annuì con fare  comprensivo. Si abbracciarono e Silye sentì l'elfo pronunciare: «Aa' stjǫrnor blíkja ar' skriða.⁴»

Quando si separarono, Vidar gli rispose: «Aa' fogr en lle coia orn n' omenta gurtha.⁵»

Silye non poteva afferrare il loro significato, ma dall'espressioni  dei due capì che dovevano essere delle frasi di saluto particolarmente  solenni.

Si stava accingendo a gettare altra neve mischiata a terra nella  montagnola che si era andata a formare, quando Elurín le si avvicinò. «Aa' strykir nora lanne'lle, Istar» disse con rispetto.

La ragazza rimase zitta, con sguardo confuso e affascinato allo  stesso tempo. Avrebbe tanto voluto essere in grado di capire quello che  le aveva appena detto e rispondere con qualcosa di altrettanto  significativo, ma non ne era in grado. Aprì la bocca come per dire  qualcosa, ma non le venne nulla in mente, così la richiuse di scatto.  Ora che l'elfo le era venuto più vicino, ebbe la possibilità di guardare  meglio il suo aspetto così diafano e selvaggio. Era molto simile agli  elfi della sua visione: pelle chiara, argentea, capelli dello stesso  colore del riflesso della luna sull'acqua, con diverse ciocche ribelli e  disordinate che gli coprivano la fronte e un viso dolce e giovane, per  nulla scalfito da anni e anni di vita. Ma ciò che più la sorprese furono  gli occhi, che non aveva avuto modo di osservare dal vivo e da vicino  nei ricordi di Vidar: un argento incredibilmente puro, trasparente, come  se dentro vi si potesse leggere ogni attimo della sua vita passata nel  fitto della natura. Occhi che avevano visto, amato e sofferto. Dentro di  essi si confondevano cieli stellati e boschi notturni, venti montani e  limpide acque.

Continuò ad osservarlo mentre si voltava, riprendeva la freccia che  prima aveva lasciato cadere e spariva nel folto della foresta con passo  felpato e senza aver emesso il minimo suono.

«Era un mio caro amico» disse poi Vidar, riscuotendosi. «Uno degli  elfi con cui condivisi tante giornate come quella che hai visto tra i  miei ricordi.»

«Che cosa mi ha detto prima di andarsene?» chiese Silye, certa che lui avesse assistito alla scena.

«Possa il vento gonfiare le tue vele, maga.»

Note:

¹ Per il cielo e per le stelle! in lingua elfica.

² Amico in lingua elfica.

³ Chi è lei? in lingua elfica

Che sempre le stelle brillino sul tuo cammino in lingua elfica.

Che le foglie del tuo Albero della Vita mai appassiscano in lingua elfica.


Le espressioni elfiche usate sono ispirate a quelle del romanzo Il Signore degli Anelli, di Tolkien. Per creare la lingua elfica, ho usato parole appartenenti a quella norrena.

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