Prologo
Volpe correva veloce come un lampo, solcando la neve con le sue enormi zampe e lasciando una scia evidente di impronte e di sangue.
Dietro di lei sentiva gli urli rabbiosi degli uomini che si confondevano con i ringhi dei cani da caccia.
Si stavano avvicinando.
Aumentò l'andatura, ben sapendo di essere ferita, consapevole di non disporre più delle forze per correre. Le sentiva scivolare via, insieme al sangue che scorreva veloce dalle ferite, aperte là dove era stata colpita dai dardi dei soldati imperiali.
Sentì i cani abbaiare, li sentì sempre più vicini.
Per un istante pensò di fermarsi, lasciare che la raggiungessero e facessero di lei ciò che volevano. Desiderò di morire, di farla finita, di smettere di scappare.
Eppure, un testardo istinto di sopravvivenza le intimava di andare avanti, di continuare a correre, di sfuggire per l'ennesima volta agli uomini che la volevano morta.
Era un istinto guidato da una rabbia sorda e antica, causata dall'incomprensione e dalla paura.
L'istinto vinceva sempre.
La rabbia vinceva sempre.
Ma il suo corpo poteva reggere fino ad un certo punto, e in quel momento, aveva raggiunto il limite.
Cadde e non riuscì più ad alzarsi.
La neve gelida circondava il suo corpo già freddo e dissanguato.
Stava morendo, lo sentiva.
Se ne stava andando, da sola, in mezzo alla foresta, in una notte d'inverno.
Si sentì in pace perchè, tutto sommato, sarebbe stato un buon modo per morire.
Avrebbe potuto finalmente riposare.
Sollevò gli occhi cercando, in uno spiraglio tra le fronde, la luce della luna; la trovò e si immerse in quel chiarore confortante che le era tanto familiare.
Vide il suo fiato condensarsi davanti ai suoi occhi, ma dopo capì che erano i suoi occhi che si stavano offuscando.
Stava sprofondando nel buio.
Prima di scivolare nell'oblio, sentì i cavalli, i cani e i soldati che la circondavano.
Voleva andarsene.
Guardò per un ultima volta verso la Luna ma una sagoma indistinta la oscurò.
Furono le ultime cose che vide, prima di scivolare nel freddo abbraccio della morte.
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