-9: Fragile.-
"Micaela, svegliati!" esclamò Luca cercando di scuoterla. Era nel panico: non aveva mai visto nessuno svenire. "Mica... ti prego, per favore, svegliati!"
"Mica!" esclamò Andrea. Lei e Gabriele corsero incontro a Luca, Kaleb e Micaela.
"Ragazzi, spostatevi da lì, non statele addosso!" disse quest'ultimo notando che sia Luca che Kaleb erano chini su di lei, troppo vicini, tanto che sembravano impedirle di respirare.
"Sì... sì, scusa!" saltò su Kaleb, facendo un passo indietro e dando una leggera spinta all'amico, che sembrava in trance.
"Luca, va' a prendere dell'acqua alla fontana, presto!" esclamò Gabriele. Luca si alzò da terra, prese la sua borraccia dallo zaino di scuola che aveva dimenticato di sfilarsi e la riempì d'acqua. "Bene... dammi qua, coraggio!" aggiunse il custode prendendogli di mano la borraccia. Iniziò a versarne un po' sul viso della ragazza, che lentamente parve tornare alla realtà.
"Eccola, eccola, si sta svegliando!" si lasciò sfuggire Kaleb.
Un piccolo gemito venne fuori dalle labbra di Micaela.
"Piccola" disse con calma Gabriele, chinandosi sulla ragazza. "Mi riconosci?"
"Gabriele..." rispose piano la ragazza.
"Brava! Dammi la mano... prova a stringere." le disse il custode. Micaela, obbediente, gli prese la mano e la strinse, cercando un conforto che stavolta non riuscì a trovare nemmeno in lui: nel suo amico, il suo gigante buono. I suoi occhi brillavano di lacrime. La ragazza fece per alzarsi, ma lui le mise un braccio davanti al corpo. "Non così di scatto, Micaela... vieni qui... fa' piano, ti tengo io."
La ragazza si alzò, aggrappandosi a lui con tutte le sue forze. Luca le prese l'altra mano e l'aiutò a rimettersi in piedi.
Rientrarono in ospedale. Gabriele continuava a guardarla, preoccupato, e la ragazza non protestò quando lui le chiese di farsi controllare, per sicurezza.
Raggiunsero tutti insieme una stanza e un medico fece accomodare Micaela, le si mise di fronte e iniziò a farle domande, mentre le toccava delicatamente la testa.
"Come ti chiami?"
"Micaela. Micaela Ferrante."
"Quanti anni hai?"
"Diciotto... compiuti ad aprile."
"Molto bene! Ricordi quello che è successo prima che perdessi i sensi?"
A quella domanda Micaela sentì che le sue spalle s'irrigidivano.
"Lucia" esclamò d'istinto. "L'hanno portata via... lei non voleva, ne sono sicura!"
Al dottore fu chiaro che la ragazza ricordava bene cosa le era successo, ma gli fu altrettanto chiaro che non sarebbe riuscita a parlarne.
"Lei è il padre della ragazza?" chiese rivolgendosi a Gabriele, che per tutto il tempo le aveva tenuto le mani sulle spalle.
"No... mi piacerebbe molto, ma non sono io" rispose il custode, facendola sorridere.
"La ragazza sembra stare bene, e dato che, anche se un po' barcollante, è venuta qui con le sue gambe, non credo abbia subito conseguenze gravi... a meno che..."
Il dottore si avvicinò a Micaela, le puntò una luce in faccia e la sua espressione s'incupì drasticamente quando vide che lei non reagiva agli stimoli della luce. Gabriele dovette mordersi leggermente le labbra per non scoppiare a ridere.
Resasi conto di quello che il dottore cercava di fare, poiché le agitava una mano davanti alla faccia, Micaela disse: "Oh, no, dottore... io... io sono sempre stata cieca!"
"Capisco" disse il medico, scoppiando a ridere. "Scusa, ma mi stavo già immaginando come avrei potuto dirtelo... cioè: sei così giovane... non mi avrebbe fatto piacere... ecco..."
"Capisco... non si preoccupi, dottore."
Dopo aver dato alcune istruzioni a Micaela e agli altri per la notte ed averle prescritto un antipiretico per la febbre, l'uomo li congedò gentilmente e tutti e cinque lasciarono la stanza.
La professoressa Angelica, che era tornata indietro per vedere come stavano il suo collega e sua moglie, raggiunse il resto del gruppo.
"Dimetteranno Michele oggi stesso" disse in fretta a Gabriele. "Non so se sia un bene, per la verità. È fuori di sé per quello che è successo a Lucia."
"Professoressa" sussurrò Micaela, "ma lei... lei ha sentito quello che ha detto quella donna a Lucia, non è vero?"
"No... non ho sentito cosa le ha detto. Non tutto... ho sentito solo la fine: "O vieni con me, o quel vecchio finirà i suoi giorni in un ospizio, e il tuo amato professore perderà il posto o finirà in galera"!" esclamò la professoressa Angelica, trattenendosi a stento dal tirare un pugno alla parete... poi si rese conto dello stato in cui era la ragazza. "Ma... santo cielo, tesoro... sei tutta rossa... e hai un bernoccolo in testa! Cos'è successo?"
"È colpa di quell'idiota di Grimaldi" rispose Gabriele, stringendo i denti. "A momenti la investe solo perché questa povera creatura ha cercato di proteggere sua figlia... e se penso a quello che le ha detto, poi..."
"Però forse ha ragione" sussurrò Micaela. "Non ho potuto fare niente."
"Non hai potuto fare niente solo perché quei due imbecilli hanno fatto l'impossibile per impedirtelo!" obiettò Luca, furioso.
"Nemmeno io sono riuscito a fermarli, Micaela" disse Kaleb, con una voce che non sembrava la sua per quanto tremava. "E il colore della pelle di solito non rallenta i movimenti."
"Sapete una cosa? Vorrei averli, due occhi decenti, solo per il tempo necessario a mandare in prigione quei due!" disse Micaela, reggendosi al bastone come ad un'ancora di salvezza.
"Micaela, tesoro... vuoi che ti accompagnamo a casa?" chiese la professoressa Angelica, accarezzandole amorevolmente una guancia... quella che, qualche giorno prima, il signor Grimaldi aveva colpito.
"No, professoressa, grazie" rispose lei con voce tremante. "Siete tutti molto gentili, davvero, ma io... io ho bisogno di camminare... e non voglio disturbarvi."
"Non ti possiamo lasciare da sola dopo quello che è successo, angioletto" le disse teneramente il custode. "Facciamo una cosa: arriviamo fino alla scuola... io e te, a piedi, se vuoi... io devo recuperare la macchina che ho lasciato nel parcheggio... magari ti prendo qualcosa ad un bar, per reintegrare gli zuccheri... scusami, ma non me lo perdonerei mai, se ti capitasse qualcosa mentre sei per strada, e poi lo sai che mi piace avere compagnia... specialmente se è quella della mia signorina!"
"Se volete... visto che devo fare bene o male la stessa strada, potrei venire anch'io" si aggregò Andrea.
Micaela esitò: avrebbe tanto voluto camminare da sola, ma sapeva che nessuno del gruppo l'avrebbe lasciata andare via da sola... e se le fossero venute le vertigini in mezzo alla strada? A lei, onestamente, non importava poi molto, perché emotivamente si sentiva sotto un treno. Conosceva i suoi amici, però: loro probabilmente sarebbero stati in pena per lei.
"Va bene" si decise a rispondere, con il cuore in tumulto.
Anche Luca avrebbe voluto andare con loro, ma se fossero andati via in tre la ragazza si sarebbe sentita sorvegliata, e poi era preoccupato per Kaleb... era troppo calmo, ma il ragazzo lo conosceva bene: non sarebbe andata avanti così ancora per molto.
"Luca" disse piano Micaela, togliendolo dall'imbarazzo di scegliere, "va' con lui... è un tuo amico, ha bisogno di te... e sono sicura che anche Lucia si sentirebbe più tranquilla, se tu rimanessi con lui."
Istintivamente Luca si avvicinò a Micaela e l'abbracciò stretta.
Lei, che in quel momento sembrava così fragile, stava ancora una volta dimostrando di essere molto forte.
"Va bene... ma quando sarai a casa, mi devi promettere che me lo farai sapere, d'accordo?"
La ragazza fece un cenno d'assenso contro il suo petto, e Luca, come avrebbe fatto il suo amico Gabriele, le alzò delicatamente il viso e le diede un bacio sulla fronte. "Io ti prometto che farò di tutto perché Lucia non sia costretta a restare in quella casa. Te lo giuro."
Luca affiancò Kaleb. La professoressa Angelica andò a raggiungere il professor Michele e la signora Giorgia e Luca e Kaleb la seguirono.
Nel frattempo, Micaela, Andrea e Gabriele si diressero in cortile. In ogni caso avrebbero rivisto presto Angelica, perché la donna avrebbe accompagnato il professore e la moglie per un tratto. Michele era debilitato e non era il caso che facesse un lungo tratto da solo.
In teoria lo era anche Micaela, con la sua febbre e lo svenimento di poco prima, senza contare che non aveva toccato cibo dalla mattina presto, ma lei aveva bisogno di concentrarsi su qualcosa come lo stare in equilibrio.
Raggiunsero il cortile e si diressero lentamente verso l'esterno... poi Micaela urtò qualcosa che era rimasto lì.
"La sedia..." disse piano, con il cuore che le martellava nel petto. Rimase lì, immobile. Era dannatamente preoccupata. Cosa ne sarebbe stato di Lucia, senza le cure necessarie? Cosa le avrebbero fatto i suoi genitori? "Devo fargliela riavere" disse esitante.
"No... tu non ti devi avvicinare a quella casa, tesoro" le disse Gabriele.
"Ma non la posso lasciare così! Devo riportarle la sedia a rotelle... ne ha ancora bisogno."
"Ci penserò io" la rassicurò l'uomo. Afferrò la carrozzina e iniziò a trascinarla. Andrea, dal canto suo, prese per mano Micaela. La ragazza era troppo agitata, barcollava e si sentiva debole.
La stretta della mano sottile della sua amica era decisamente rassicurante. Micaela percepì un calore piacevole percorrerle la pelle del braccio. Le risultava impossibile non fidarsi di quella ragazza: aveva qualcosa di speciale che ti lasciava subito intendere che potevi fidarti di lei ad occhi chiusi.
E Micaela, quanto ad occhi chiusi, era una vera veterana.
"Non dovresti tenerti tutto dentro, Micaela" le disse amorevolmente Andrea.
"Non ci riesco" rispose Micaela, "e non so se è perché mi vergogno o perché sono talmente arrabbiata che non riesco neanche a mettermi a piangere. Se l'avessi sentita, quella vecchia megera, come urlava contro la mia amica... non riesco a non pensare alle cose assurde che le ha detto! "Ma chi vuoi che desideri averti come figlia?" Maledetta strega!" Micaela era così nervosa che il bastone le sfuggì di mano. "Oh, no, accidenti! E adesso che faccio?"
"Calma, va tutto bene" intervenne Gabriele. Si fermò in mezzo alla strada, raccolse il bastone e glielo rese gentilmente. "Ecco qua il tuo Toto... calmati, Micaela... credimi: così non riuscirai a risolvere niente."
Micaela strinse nel pugno il suo Toto.
"Hai ragione... non dovrei arrabbiarmi. Ho bisogno di stare bene, se voglio sperare di proteggere la mia amica almeno da quegli avvoltoi della scuola..." disse Micaela, facendo un respiro profondo. "Oh, scusami tanto, Gabriele... io... io lo so che non ti piace che ci si parli così tra ragazzi, ma ti giuro che..."
Ma stavolta l'uomo non obiettò. "Ho visto una scena veramente orribile."
"Di che stai parlando?" chiese Andrea.
"Di una ragazzina che chiama due sue compagne di classe "scherzi della natura"!" rispose Gabriele. "Tu sai a cosa mi riferisco, Micaela."
"Certo che lo so... io ero uno degli scherzi della natura per quel gargoyle!"
E questa volta fu Andrea a tremare, e pochi secondi dopo scoppiò a piangere.
Micaela si fermò di scatto, sorpresa, e Gabriele fece altrettanto.
"Piccolina..." disse piano Gabriele, fermando la sedia e raggiungendo le due ragazze. "Ehi... mi dispiace, non volevo."
"Non è stata colpa tua" intervenne Micaela. "Sono stata io... non dovevo essere così dura... lei è molto sensibile, e di persone così non ne ho conosciute tante. Mi dispiace tanto, Andrea... davvero. Io... non volevo."
"No" mormorò Andrea, con il viso premuto contro il petto di Micaela. La ragazza l'abbracciò stretta, cercando di calmarla. Anche Gabriele si avvicinò alle due ragazze e le accolse in un abbraccio.
"Oh, andiamo... voi siete due piccole guerriere! Basta con quelle facce tristi!" disse amorevolmente. "Tutto si può risolvere, in qualche modo... e fidatevi, che un modo lo troveremo insieme... va bene sentirsi un po' abbattuti per un giorno, due, anche tre... ma dopo il quarto bisogna tornare in pista, o meglio: sul palco."
"Certo che ci torneremo!" esclamò Micaela. "Parola di ciclope!"
"Sì..." sussurrò a sua volta Andrea, alzando lentamente la testa. Micaela cercò il suo viso e, con delicatezza, le asciugò le lacrime.
"Stai meglio, vero? Ti senti meglio?" chiese gentilmente, sciogliendo l'abbraccio.
"Sì... mi sento meglio, grazie" rispose Andrea. "Ma, vedi, il fatto è che quando sento raccontare queste cose... mi prende un dolore qui, al petto." E prese la mano di Micaela, per farle capire in che punto avvertiva quel dolore. "Io ne so qualcosa e questo mi fa rabbia e... e mi fa anche male, perché non poso fare niente..."
"Lo sai che in questo ti sbagli di grosso?" le disse Micaela. "Guarda che solo tenendomi la mano... e con la reazione che hai avuto, hai fatto molto più di quello che credi."
La ragazza sembrava sollevata. Micaela poté sentire il suo corpo rilassarsi, a contatto con il suo fianco, e anche lei provò sollievo. Non capiva bene come mai, ma quella ragazza era una delle persone a cui teneva di più e le era decisamente dispiaciuto vederla piangere per quello che le era successo.
Per un tratto di strada rimasero in silenzio, poi, quando raggiunsero l'auto, Micaela chiese: "Ti posso aiutare... a caricare la sedia nel portabagagli?"
"E dire che in genere mi dicono che mi fa bene fare esercizio!" esclamò Gabriele. "Ma non devi preoccuparti, tesoro, ce la faccio."
"Lo so che ce la fai... hai tirato su anche me quando ero mezza svenuta!" gli dise Micaela. "Ma mi dispiace farti fare tutto da solo... dai, ti prego, ti prego..."
"Se ti posso vedere così spigliata più spesso, allora va bene... vieni, ti faccio vedere come si fa... ma attenta a non farti male..."
"Certo... starò attenta come ogni degno pipistrello!" esclamò Mica.
"Lasciami Toto, te lo tengo io." disse gentilmente Andrea. "E lasciami anche lo zaino."
"Ma... sei sicura?"
"Voglio rendermi utile anch'io!" le rispose l'amica.
Gabriele la prese per mano e le fece vedere come smontare i braccioli della carrozzina, poi piegarono la struttura e, lui da una parte e lei dall'altra, la tirarono su e la caricarono nel portabagagli.
"Sei forte, angioletto!" le disse il custode, chiudendo il portabagagli.
Lei sapeva che il suo amico non si riferiva solo alla forza fisica. Stava pensando ad un altro tipo di forza.
Lei non credeva di avere quella forza, per la verità... era sicura che quel suo essere ipersensibile non fosse una cosa buona, perché ogni volta che accadeva qualcosa di brutto a qualcuno a cui teneva, si sentiva svuotata, un po' come il povero John Coffey del Miglio Verde, che sentiva il dolore presente nel mondo. "È come avere pezzi di vetro conficcati in testa sempre." Quella frase non le era mai sembrata così vera.
"Micaela! Ehi! Se resti lì ferma ti porteranno a San Gregorio Armeno come statua di un angelo!" la riscosse il custode, posandole una mano calda sulla spalla.
"Oddio, scusate, mi sono distratta!" si riscosse Micaela, facendo l'atto di cercare una delle portiere dell'auto.
"Eh no! Tu hai aiutato me e ora è il caso che mi lasci ricambiare il favore." disse il custode, prendendole una mano.
Le fece fare qualche passo in avanti. Raggiunsero una delle portiere e l'uomo, da degno cavaliere quale era, l'aprì per farvi entrare la ragazza.
Andrea si mise a sedere accanto a Micaela e le rese Toto e lo zaino. Tempo qualche minuto e la professoressa Angelica li raggiunse.
"Ah, ecco l'altra metà dei Volontariamente Disadattati! Ci siamo tutti!" esclamò il custode. Ovviamente non era un insulto, e dal suo tono di voce fu chiaro all'intero gruppo. "Fratellone... cognatina... mi fate l'onore di salire a bordo?"
Michele e Giorgia erano molto preoccupati per Lucia, ma apprezzarono il tentativo del custode di tirarli su. Aveva gli occhi spenti anche lui e non faceva altro che tormentare il suo medaglione, ma stava cercando di non mostrarsi fragile davanti a loro... non per fare il gradasso, ma perché sapeva che avevano già troppe cose a cui pensare.
"Ma certo, cognato" rispose Giorgia, sorridendogli con dolcezza.
"Bene... Kaleb e Luca invece li accompagno io!" disse la professoressa Angelica. "E non accetto un no come risposta, perché sta per..."
Non fece in tempo a dire altro, perché un tuono scosse tutti.
"Sta per piovere." concluse, e, tempo tre secondi, scoppiò un temporale.
"Grazie, professoressa" disse sorridendo Luca.
"No... bro, non voglio!" saltò su Kaleb.
"Ti ho detto che non accetto un no come risposta, altrimenti ti abbasso il voto!" lo rimproverò la professoressa Angelica, scherzosamente. "Non vorrai rovinarti la media e rischiare un raffreddore lo stesso giorno?"
"Ma come potete pensare a queste cose mentre Lucia è tornata nelle grinfie di quelle due carogne?"
"Kaleb, smettila!" esclamò Luca, cercando di trattenerlo. Il professor Michele e la signora Giorgia si scambiarono un'occhiata: avevano sentito una fitta tremenda al cuore al sentir pronunciare quelle parole.
"E lasciami, anche tu! Tanto non puoi capire!" sbottò Kaleb, dandogli una spinta.
"Kaleb, aspetta!" lo chiamò Luca, ma il ragazzo si stava già allontanando. "Ti prego, Kal..."
"Vado io" disse Micaela, afferrando Toto e scendendo dall'auto prima che qualcuno potesse fermarla.
Non aveva l'ombrello e doveva concentrarsi il doppio per capire dove stesse andando Kaleb... ma per fortuna non le fu difficile riconoscere i suoi singhiozzi.
"Kal! Ehi!" lo richiamò gentilmente. Lui continuò a camminare, per cui, sperando di non fare più danni che altro, affrettò il passo. Ormai sia lei che il suo Toto erano completamente fradici. D'improvviso, però, non rendendosi conto di una pozzanghera, la ragazza scivolò e rischiò di finire per terra.
"Accidenti!" esclamò, piantando per terra il bastone per recuperare l'equilibrio.
"Micaela!" Kaleb finalmente si decise a tornare indietro.
La ragazza strinse i denti: la caviglia destra le faceva decisamente male, ma per fortuna non tanto da impedirle di restare in piedi.
"Lo so che sei preoccupato" disse a stento, mordendosi le labbra per non maledire Basilischi, Gargoyle e Platani Picchiatori. "Tutti siamo preoccupati, credimi. Ma non è continuando a pensarci, e non in questi termini, che risolveremo le cose, capisci? Dobbiamo mantenerci ottimisti e cercare di fare in modo che Lucia non si senta sola... e soprattutto: non possiamo fare passi falsi. Il signor Fausto rischia di finire in una casa di riposo o qualcosa del genere, il professor Michele e la signora Giorgia potrebbero essere denunciato per sequestro di minore, e se non stiamo attenti quei due mostri ci allontaneranno da Lucia anche a scuola... e tu non vuoi che accada questo, non è vero?"
"Mi spieghi da dove prendi la forza?" chiese Kaleb.
"Penso al fatto che io due genitori che mi vogliono bene in modo incondizionato ce li ho... loro si fanno in quattro per starmi accanto e soprattutto non mi hanno abbandonata per... per questo." E Micaela si portò una mano agli occhi. "Molti bambini non sono così fortunati... pensa se fossi nata io, al posto di Lucia! Hai sentito come mi ha chiamata il signor... Grimaldi! Signore, poi! Quel coso! E invece io... io sono stata fortunata... e poi ci sono i nostri amici... gli unici due professori decenti, la moglie di uno di loro, il nostro angelo custode... "Solo custode", direbbe lui... e poi Luca, Andrea, la stessa Lucia... ma adesso devo chiedertela io, una cosa. Tu sei innamorato di lei?"
A quell'affermazione calò un silenzio imbarazzante tra i due. Kaleb era completamente cotto di Lucia, ma non l'aveva mai detto ad alta voce.
"Non sai quanto!" si lasciò sfuggire dopo qualche secondo di silenzio. "Non puoi immaginare quanto mi ha fatto male vederla con le braccia piene di lividi, e la schiena tutta bendata, e quando si è spaventata per il fatto che la Distasio mi stava cercando... non..." Ma non riuscì a finire la frase, perché scoppiò in lacrime. Anche Micaela avrebbe voluto farlo, ma ricordò i suoi genitori, il ragazzo di cui era innamorata, il suo amico Gabriele... tutti loro sapevano mostrarsi forti, in caso di necessità.
La ragazza gli tese una mano. Lui l'afferrò e gliela strinse. Era scosso dai singhiozzi: una cosa che tre quarti dei loro compagni avrebbero giudicato decisamente poco virile... ma Micaela non era tra quelli.
"Scusami" disse con un filo di voce, ma lei non stava ridendo... gli stava sorridendo.
"Non c'è bisogno." disse lei, affettuosa. "Guarda che fa bene piangere... dopo ti senti più forte e riesci ad affrontare meglio le cose. Va tutto bene, credimi."
Rimasero lì per qualche minuto, poi, finalmente, Kaleb si calmò.
"Dai, ora torniamo dagli altri... santo cielo, s-sei tutto bagnato come un pulcino!" balbettò Micaela, battendo i denti per il freddo mentre gli sfiorava il braccio.
"Io? E tu, allora? Ti verrà un malanno, se restiamo qui ancora un po'!"
"Sì, ma io sono più un polipo immerso nell'acqua che un pulcino!" ribatté lei, girandosi lentamente e aggrappandosi al suo Toto per cercare di camminare. Le faceva male premere sulla caviglia dolorante, ma era decisamente troppo orgogliosa per chiedergli aiuto.
Raggiunsero le due auto.
"Ah, meno male! Ce l'hai fatta a convincere questo testone a tornare!" esclamò Luca. "Guarda che se Micaela si ammala è con te che me la prenderò!"
"Oh, andiamo, Luca... n-non ti d-devi preoccupa-are per me..." lo rassicurò lei, tutta tremante. Aveva il cappotto, certo, ma non era quello impermeabile, e naturalmente aveva dimenticato di coprirsi la testa, per quanto era scesa di fretta. "Oh, scusami Gabriele... adesso ti sporcherò l'auto, accidenti!"
"Sei bagnata, non infangata... e comunque, mi sembra che tu abbia difficoltà a camminare, Micaela. Coraggio, vieni!" la tranquillizzò l'uomo.
Micaela gli diede ascolto, ma si mise letteralmente a sedere sulle sue stesse mani e appoggiò la schiena al suo zaino, (quello era impermeabile), perché le dispiaceva bagnare il sedile.
"Dai, tesoro, non preoccuparti" le disse Gabriele. "Mettiti comoda, ti prego... e poi è più importante che arriviamo a casa presto... non me lo perdonerei mai, se ti ammalassi!"
"Perché? Non è colpa di nessuno se piove." ribatté lei.
L'uomo le sorrise. Pensò che fosse meglio evitare di dirle che non doveva lasciar andare né lei né Kaleb sotto la pioggia. Allo stesso modo, si diceva che non avrebbe dovuto lasciare che Lucia se ne andasse insieme ai suoi genitori... e non era l'unico a tormentarsi con quei pensieri.
I due gruppi si salutarono e ognuna delle due auto prese la sua strada.
Nel frattempo, la piccola Lucia rimase decisamente sorpresa del fatto che, entrando nel condominio, suo padre l'avesse presa in braccio.
"Non ti ci abituare, idiota" le sussurrò all'orecchio l'uomo, mettendo su un sorriso di circostanza per i vicini.
Una volta che la signora Grimaldi ebbe chiuso la porta alle loro spalle, infatti, l'uomo gettò per terra la ragazza e le disse: "Ora farai meglio ad alzarti, o ti ci faccio tornare come paziente, all'ospedale, hai capito?"
La ragazza prese a tremare. Sapeva che i suoi genitori non avrebbero esitato a mettere in pratica le minacce... ma non era certa di riuscire a stare in piedi molto a lungo.
Fece leva sulle braccia e si alzò, sperando di reggere.
Doveva resistere... in fondo, il giorno stesso aveva percorso la sua classe due volte, insieme alla sua migliore amica... ma questa volta non c'era lei a tenerla, e non per sua scelta. L'aveva vista rincorrere la macchina dei suoi genitori, aveva visto Luca afferrarla un attimo prima che suo padre la investisse... l'aveva vista crollare a terra poco prima che l'auto fosse troppo lontana. E aveva visto anche Kaleb rincorrerla. Doveva farcela... doveva farlo per loro. I suoi genitori non le avrebbero fatto del male così facilmente come prima, perché ora aveva l'assoluta certezza di non essere sola... sapeva bene che non solo Micaela, ma un intero gruppo di persone le voleva bene... sapeva che i suoi genitori le avevano mentito per tutta la vita, facendole credere che a nessuno poteva importare qualcosa di lei. Questa volta non sarebbero riusciti a piegarla.
Malferma sulle gambe, mosse qualche passo per la stanza, appoggiandosi alla parete. Prese a contare, come Micaela aveva fatto apposta per lei. Arrivò a contare venti passi... pari al suo record della mattina... poi, però, la tensione e la debolezza fisica ebbero il sopravvento su di lei. La ragazza crollò a terra e si prese il viso tra le mani, pronta ad aspettarsi di tutto.
Qualcuno diceva che "occhio non vede, cuore non duole". La ragazza non ci credeva, perché aveva visto l'espressione contratta della sua amica quando quel mostro che aveva contribuito a farla nascere per poi tormentarla le aveva messo le mani addosso. Il cuore duole eccome, esattamente come il corpo. L'aveva capito perché la ragazza si era sentita ferita... non solo dallo schiaffo, ma anche dalle cattiverie che quell'uomo le aveva detto. Ad occhi chiusi, però, Lucia poteva evadere, far finta che la sua migliore amica, la ragazza che aveva rincorso l'auto dei suoi genitori fino a farsi quasi investire, fosse lì, insieme a lei, a dirle parole di conforto. "Va tutto bene, Lu... non sei sola." Poteva far finta che il signor Gabriele, gioviale come sempre, le sfilasse a sorpresa lo zaino rattoppato dalle spalle, o quello che Micaela le aveva prestato. "Uno scricciolo come te non dovrebbe portare tutta questa roba."
Poteva immaginare che Luca, l'amico del ragazzo che le piaceva, si fosse messo a cantare per rallegrare un po' il gruppo. Poteva immaginare che Andrea, la sua nuova conoscenza, le avesse preso le mani per ballare con lei, anche se alla rinfusa. Poteva immaginare lui: quel ragazzo dalla pelle scura, alto, protettivo, con le mani sempre calde, che la stringeva tra le braccia, come quella mattina nell'infermeria scolastica. Poteva immaginare la professoressa Angelica, l'insegnante d'arte, che nelle interrogazioni aveva l'abitudine di accompagnarla per mano, di fare in modo che i suoi compagni pensassero a tutt'altro per non farla sentire a disagio. Ma soprattutto: avrebbe potuto sentire vicine le due persone che, forse solo dopo i genitori di Micaela, per lei avevano rappresentato un papà e una mamma.
Tenne gli occhi chiusi, in attesa di uno schiaffo che però non arrivò mai.
"Portiamola nello scantinato" disse la signora Grimaldi. "È meglio non far insospettire i vicini, per adesso."
Il signor Grimaldi la trascinò di nuovo in piedi. La ragazza continuava a tenere gli occhi serrati.
"Apri gli occhi!" le ordinò l'uomo. "O vuoi farti passare per un'altra non ve..."
"NO!" gridò Lucia, ricordando che Micaela detestava quella parola con tutta se stessa.
"No cosa? Sei fuori di testa o cosa?" chiese la signora Grimaldi, afferrandola per un braccio mentre il padre le teneva l'altro.
Ma la ragazza non aggiunse altro. Quei due non potevano capire. Non potevano assolutamente capire.
La trascinarono giù, fino allo scantinato del condominio, e lì la rinchiusero.
"Buonanotte, Lucia" le soffiò sul viso suo padre. Quella voce così fredda e calma era anche peggio di un urlo. Lucia sapeva che questa volta quei due avrebbero fatto di tutto per distruggerla. Doveva fare in modo di andarsene da lì il prima possibile, ma come? Se le fosse venuto in mente di scappare di casa il signor Fausto, il professor Michele e la signora Giorgia ne avrebbero pagato le conseguenze anche se non era colpa loro.
La porta si chiuse, cigolando in modo sinistro. Lucia si raggomitolò su se stessa, sul pavimento polveroso.
Il buio la spaventava a morte. Non era come la sua amica, che ci doveva convivere. Cercò di far finta di nulla, ma il buio e il silenzio di quel posto erano una miscela micidiale.
Quella tortura, però, non durò molto.
"Lucia! Lucia, tesoro... sono io!"
La ragazza si alzò sulle ginocchia e, carponi, raggiunse la porta.
"Sta' indietro, ho le chiavi!" le disse il signor Fausto.
La ragazza rotolò di lato e si lasciò ricadere per terra. L'uomo aprì la porta, si chinò su di lei, reggendosi al bastone da passeggio, e la guardò intensamente.
"Maledizione! Non ho neanche la forza di tirarti su, altrimenti ti avrei portata con me, piccola" le disse amorevolmente.
"Va tutto bene, signor Fausto" lo rassicurò la ragazza. "E poi, non le avrei mai chiesto niente del genere, mi creda..."
"Mi dispiace, piccola. Ci ho provato. Ti giuro che ci ho provato... ma non sono attendibile! I tuoi te l'avranno detto" le sussurrò l'uomo.
Lucia non poté giurarci, ma per qualche attimo ebbe l'impressione di vedere il volto coperto di rughe dell'uomo rigarsi di lacrime. Lui aveva il pianto silenzioso, come Micaela, e non esternava facilmente quello che provava, quindi la ragazza si sentì lusingata e colpevole al tempo stesso.
"Signor Fausto..."
"Non è nulla, cara" la rassicurò lui. "È che sono vecchio e non mi danno retta... e detesto che succeda quando c'è di mezzo una povera creatura... oh, scusami... forse ti dà fastidio che io... che io dica... perdonami, Lucia."
"Lo so che non mi sta dando della debole" gli disse la ragazza, sentendosi rassicurata dalla presenza di quell'uomo curvo sotto il peso dell'esperienza.
Lui si sedette lentamente accanto a lei e le prese una mano, accarezzandogliela. La mano della piccola era tutta scorticata, perché i suoi genitori, a volte, la costringevano a fare tutti i lavori di casa da sola, come una moderna Cenerentola, con la differenza che era la sua stessa famiglia a maltrattarla... e quando rompevano qualcosa la obbligavano a raccogliere i vetri a mani nude. L'uomo tenne quella manina sottile tra le sue, se la portò sul viso e vi lasciò un bacio amichevole, come se questo servisse a curarla. Una volta Sofia, la madre di Micaela, le aveva detto che gli uomini che hanno l'abitudine di fare questo gesto sono quelli che non ti faranno mai del male... e la ragazza aveva sorriso, pensando che fino ad allora nessuno aveva mai fatto una cosa così gentile per lei... questo, ovviamente, prima di arrivare al liceo. Lì l'unico ad aver compiuto il gesto era stato Gabriele.
La ragazza teneva sempre le mani nascoste dietro la schiena... aveva fatto così per tutto il giorno, anche in classe, dove, per fortuna, aveva incrociato Micaela.
Era stata lei a presentarle il custode, all'uscita.
Lucia era decisamente scossa, perché la professoressa Distasio si era subito fatta riconoscere come una donna dura, fredda e ostile, e quanto ai compagni, le risatine non erano mancate a causa del suo imbarazzo... un imbarazzo iniziato la mattina, con l'appello.
"Micaela Ferrante" aveva detto la donna, nel suo tono glaciale.
"Presente" aveva risposto Mica, con la voce che le tremava leggermente.
Le era stato subito chiaro che quella donna non avrebbe reso loro le cose facili, e aveva preso la mano dell'amica per tranquillizzarla: Lucia lo sapeva bene, perché Mica aveva sempre avuto un istinto di protezione verso di lei... ricambiata, ovviamente.
"Lucia Grimaldi!" aveva detto la donna, scandendo bene quel nome come per imprimere nella testa della ragazza il modo in cui il suo nome sarebbe stato pronunciato. La ragazza fu scossa da un brivido e non riuscì a dire una sola parola. La bocca secca, il cuore in tumulto, le mani che tremavano e sudavano al contempo. "Sei sorda, Grimaldi? Vuoi rispondermi o no? Ti ho chiamata" la rimproverò l'insegnante.
"Sono... sono qui."
"Si dice "presente" e non "sono qui"!" la rimproverò l'insegnante.
"Pre... presente... professoressa..." balbettò la ragazza, con una voce distorta dal pianto in arrivo che alla sua amica non sfuggì assolutamente, tanto che la sentì tendere la mano libera dalla sua stretta per asciugarle le guance rigate di lacrime.
"Abbiamo una piagnucolona!" disse uno dei ragazzi, che a Micaela urtò immediatamente i nervi e a Lucia provocò un disagio ancora più evidente.
Quella sensazione non abbandonò Lucia per tutta la giornata.
"Vieni, Lu. Andiamo fuori, così ti presento una persona" propose Micaela, cercando di distrarre l'amica dai suoi pensieri.
Ma non ebbe bisogno di andare a cercare Gabriele. Fu lui ad andare in clase.
"Chi si rivede! La signorina Micaela" disse sorridendole, e, sorprendendola di molto, le prese la mano e improvvisò una riverenza, che ovviamente le fece vedere. Non la costrinse a toccargli il viso e non parve aspettarsi che lei glielo chiedesse. "E l'altra signorina chi è?"
"Lei... è una mia amica... la mia migliore amica" rispose Micaela. "Siamo in classe insieme, ma ci conosciamo da molto prima... si chiama Lucia."
"Ah... molto piacere, Lucia!" le disse con calore l'uomo, quasi fosse contento di vederla.
"Piacere... piacere mio..." sussurrò Lucia.
"Piccolina, non mi dirai che ti faccio paura? A me piace parlarci, con i ragazzi, non mangiarli!" le disse scherzosamente il custode.
"No... no, mi scusi tanto, io..." sussurrò Lucia.
"Era uno scherzo... va tutto bene, tesoro" le disse lui, notando il suo viso terrorizzato. La guardò: teneva le mani nascoste dietro la schiena, come per non mostrare qualcosa... ma, d'istinto, notando che lui si era addolcito all'istante quando lei aveva reagito al suo scherzo con ansia, tese una mano per presentarsi in modo decente.
"Mi scusi... sono stata molto scortese a non presentarmi."
"Sei timida, non scortese" ribatté il custode, prendendo la mano che lei gli tendeva e posandovi sopra un bacio, come un degno cavaliere.
A Lucia risuonarono in testa le parole di Sofia e in quel momento ebbe la certezza che l'uomo non le avrebbe mai fatto del male.
"Purtroppo non ti posso curare questi brutti tagli così... ma non sarò certo io a provocartene di simili, promesso."
E ora il signor Fausto aveva fatto la stessa cosa. Così, spontaneamente.
"Che succede, tesoro? Sei diventata così silenziosa, all'improvviso."
"Niente" rispose la ragazza, abbassando lo sguardo.
"Sicura? Forse ho fatto qualcosa che ti ha turbata?" le chiese l'uomo, continuando a tenerle la mano.
"No... vede, un mio amico ha fatto quello che ha fatto lei... e la mamma di Micaela... sa, la mia amica, quella con la quale ha parlato in ospedale, non so se la ricorda... ecco, sua mamma mi ha detto che quando un uomo ti dà un bacio sulla mano, potrai sapere per certo che non ti farà mai del male."
L'uomo le sorrise.
"Oh, il mio agnellino!" esclamò l'uomo, coccolandole la testa con una mano. "Non posso portarti con me, naturalmente... però posso rimanere qui, insieme a te... me ne andrò presto, così i tuoi genitori non mi vedranno..."
La ragazza non obiettò in alcun modo, perché sapeva che non sarebbe riuscita a fargli cambiare idea... ma quella era un'altra conferma: non era sola e non lo sarebbe mai stata...
Intanto Gabriele era giunto sotto casa di Micaela.
"Allora... mi raccomando, cerca di stare tranquilla, tesorino." le disse.
"Va bene... ci proverò, si... Gabriele." rispose Micaela, mostrandosi il più tranquilla possibile, anche se dentro di lei si era scatenata una vera e propria battaglia.
"Stai tranquilla... io so cosa possiamo fare per Lucia" la rassicurò l'uomo, facendolo anche per suo fratello e sua cognata, che erano completamente a terra.
"Grazie" disse lei.
"Aspetta... non credo sia niente di grave, ma ti si è un po' gonfiata la caviglia... lascia che ti accompagni... solo per stavolta."
"Ma... ma io..." si ritrasse Micaela, che non voleva chiedergli più del dovuto.
"Ti giuro che non lo faccio perché sei cieca" le disse lui prendendola per mano. "Lo faccio perché siamo amici."
"Va bene, allora." cedette infine lei, un po' a malincuore.
Gabriele la prese sottobraccio ed entrarono insieme nel condominio. L'uomo l'accompagnò fino all'ascensore, poi lei gli disse: "Qui va bene... ti giuro che ce la faccio... non ti sto cacciando via, te lo giuro... è che mi dispiace chiedere aiuto, anche al mio amico ed angelo custode."
"Sono solo un custode, non un angelo." le fece notare lui. "Va bene... allora vado. Aspetta, però... tu hai il numero del signor Fausto? Il vicino di Lucia."
Micaela esitò, poi prese a scavare nello zaino e ne estrasse un foglietto.
"Dovrebbe essere questo, spero." disse piano.
"No... mi hai dato un foglio in bianco" le disse l'uomo, sorridendo.
"Oh, scusami!" esclamò Micaela, scoppiando a ridere.
"Lascia, faccio io. Se permetti, ovviamente" le disse Gabriele.
"Certo... altrimenti resteremo qui fino a domani."
Gabriele scavò nello zainetto di Micaela e finalmente trovò il bigliettino giusto.
"Scusami di nuovo."
"Oh, andiamo: per un foglio sbagliato? È stato divertente vedere che comunque l'hai presa bene."
"Sì... beh, sai, sono i piccoli inconvenienti di Blindworld" rispose lei, continuando a ridere.
"Ma sei tremenda!" le fece notare lui. "Coraggio, Daredevil... ora va' a casa o i tuoi si preoccuperanno."
"Ma certo. A domani, allora... e grazie ancora per tutto" gli disse lei stringendogli leggermente una mano per salutarlo.
"A domani, piccola" ricambiò l'uomo.
Mica entrò in ascensore e lui tornò indietro, continuando a stringere tra le mani il biglietto da visita del signor Fausto: il vicino di casa di Lucia. Aveva bisogno del suo aiuto per portare avanti il piano che aveva in mente.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro