-6: Il Mio Momento-
Lucia rimase immobile, sorpresa. Quella donna voleva essere la sua mamma? Non riusciva a crederci! I suoi genitori le avevano sempre fatto capire che nessuno l'avrebbe voluta, e invece... aveva degli amici, un vicino premuroso... e una donna che desiderava farle da madre... possibile che non stesse solo sognando?
"Tesoro, scusami... forse ti ho turbata con quello che ti ho detto, però... ecco, vedi... io non so perché, ma mi sono affezionata subito a te, capisci? E poi mi hai chiamata "mamma" e... voglio dire... non puoi immaginare quanto mi abbia reso felice sapere che tu..." Si fermò: stava letteralmente parlando a vanvera.
"Non pensavo che qualcuno potesse desiderarmi come figlia" disse Lucia in un soffio, senza balbettare, per la prima volta in tutta la sua vita. L'unica con la quale riusciva a parlare tranquillamente era Micaela, e non era neanche detto che la cosa le riuscisse. Con quella donna, invece, per un attimo si era sentita sicura, protetta... era così che ci si sentiva, stando con la mamma?
"Sei convinta di quella cosa solo perché sei nata nella famiglia sbagliata." disse la donna, sorridendo. "Se fossi figlia delle persone giuste a quest'ora non saresti nemmeno qui. Non per delle ferite infette sulla schiena, almeno..."
Il dottore arrivò poco dopo.
"Allora? Come andiamo oggi, signorina?" chiese, in tono gioviale.
"Fa un po' male, ma va meglio." rispose la ragazza, portandosi una mano sottile sul fianco.
"Coraggio... girati lentamente" le disse con dolcezza il medico.
Lucia razionalmente sapeva che il dottore non le avrebbe mai fatto del male, ma mentre si voltava sulla schiena artigliò il lenzuolo ruvido che ricopriva il letto sul quale era distesa.
"Io... io però mi sento sporca" balbettò, e in parte era vero. Ovviamente aveva la possibilità di lavarsi tutti i giorni, con i dovuti accorgimenti, ma la sensazione che provava era più che altro interiore.
"Va bene, cara" disse il dottore. "Ce la fai ad alzarti?"
Lucia si sporse lentamente dal letto. Faceva fatica a stare in piedi, perché al massimo l'avevano fatta sedere o la portavano in braccio da una parte all'altra, a causa della febbre, ma voleva provare ad alzarsi... voleva pulirsi le ferite, strofinarsi con acqua e sapone sperando che la cosa le desse sollievo anche interiormente, come accadeva di solito.
"Vieni, piccola, ti tengo io." le disse Giorgia, facendola aggrappare alle sue braccia e sostenendola per le fragili spalle. La ragazza mosse qualche passo verso la porta del piccolo bagno, ma le gambe tremavano sotto il suo esiguo peso.
"Va bene" disse il medico, afferrandola prima che cadesse. "È normale avere le vertigini, dopo quello che ti è successo. Grazie, signora" disse rivolto a Giorgia, che aveva preso una sedia a rotelle posizionata in un angolo. "Facciamo così, piccola... per ripulirti la schiena torna sul letto, poi penseremo a tutto il resto."
La riprese in braccio e la fece sdraiare sul letto. Giorgia si posizionò accanto a lei e le prese la mano, per rassicurarla... sapeva che, se non l'avesse fatto, la piccola si sarebbe spaventata.
"Non è nulla, tesoro" le disse con dolcezza, mentre il medico, per non farle male, bagnava le bende e i cerotti con acqua tiepida. La ragazza sentì qualcosa di liquido e morbido, come del sapone, che le veniva passato sulla schiena... e al tocco del dottore ne era stato sostituito un altro.
La ragazza girò lentamente la testa, per quanto poteva, e vide Giorgia che faceva scorrere una mano sulla sua schiena, con delicatezza, mentre le stringeva l'altra per rassicurarla.
"Grazie" sussurrò la ragazza. Il lenzuolo si stava bagnando mentre Giorgia provvedeva a ripulirla... vide che accanto al letto era stata tirata una tenda e, voltandosi dall'altro lato, vide che il medico era girato di spalle e si era messo accanto alla porta, per non guardarla.
"Dottore" disse una voce da fuori, "una ragazza ha mandato delle cose a Lucia. Credo si tratti di un cambio."
Quando Giorgia ebbe finito di risciacquarla e passarle addosso un asciugamano di lino, in modo che le ferite non le facessero male, andò a prendere la borsa che l'infermiera aveva portato. Non era un cambio, ma ce n'erano diversi... evidentemente la prima volta l'amica aveva dimenticato di portarli.
"Tieni, piccola" disse rivolgendosi a Lucia. "Per ora non mettere la maglietta: il dottore deve medicarti le ferite, ma dopo ti sentirai meglio... anche perché queste cose te le manda un angelo."
Lucia si avvicinò e vide che al borsone era attaccato un biglietto. Su di esso c'era scritto solo: "M. Ferrante", con una grafia poco lineare, ma comprensibile. La ragazza sorrise: quelle cose che le erano state mandate gliele aveva prese la madre della sua migliore amica e lei si era preoccupata di fargliele avere.
"Va meglio?" chiese il dottore.
"Sì... decisamente" rispose Lucia, con un piccolo sorriso.
E si sentiva meglio per davvero. Fin da quando era piccola, i suoi genitori praticamente non si erano presi cura di lei in nessun modo. Era la prima volta in assoluto che qualcuno le faceva una coccola come quel "bagno improvvisato".
"Dottore... se la copro bene, posso farla uscire un po' in cortile?" chiese Giorgia, scaldando il cuore della ragazzina per l'ennesima volta.
"Certo! È così pallida, povera signorina... ha proprio bisogno di prendere un po' d'aria... e oggi, anche se fa un po' freddo, c'è un bel Sole... le farà bene." acconsentì il medico.
Stavolta rifare la medicazione fu decisamente meno doloroso e Giorgia notò che le ferite non solo avevano perso quel brutto color rosso acceso, ma si erano anche un po' ristrette. Qualche cicatrice le sarebbe rimasta, purtroppo... ma l'importante era che stesse guarendo, anche se lentamente.
Finita l'operazione cambio delle medicazioni, Giorgia aiutò Lucia ad indossare una maglietta, la prese in braccio senza alcuno sforzo e la fece accomodare sulla sedia a rotelle.
"Piano piano riuscirai anche ad alzarti in piedi" la rassicurò il dottore.
"Andiamo, tesoro?" le propose Giorgia.
"Va bene" rispose la ragazza, appoggiandosi allo schienale della sedia. Le ferite le pizzicavano, ma non le bruciavano più intensamente come era successo nei due giorni precedenti.
Giorgia si mise dietro la sedia a rotelle e le disse: "Che ne dici di fare una bella corsa, Lucia?"
"E se cadessi?"
Quella domanda le venne fuori prima che se ne accorgesse... poi si rese conto del fatto che non dare fiducia a quella donna poteva risultare una mancanza di rispetto.
"Mi scusi... non volevo offenderla... davvero, io..."
"È normale aver paura... quando sei nelle mani di qualcun altro è normale avere paura, ma ti prometto che se non ti piacerà andrò più lentamente." promise Giorgia, senza un filo d'irritazione nella voce. Lei la capiva... Lucia non lo sapeva, ma anche lei stava lottando con se stessa, con i suoi sentimenti... con la paura di sentire qualcuno come se fosse stato figlio suo... con la paura di perdere quel qualcuno.
La donna prese a correre, spingendo la sedia su cui era Lucia. Alla ragazza la velocità piaceva: si aggrappò ai braccioli della sedia per non perdere la stabilità, ma d'istinto gettò la testa all'indietro e chiuse gli occhi, lasciandosi andare ad una risata gioiosa, a piena voce... dimenticò di essere ricoverata in ospedale, dimenticò il terrore che aveva dei suoi genitori, di molti dei suoi insegnanti, della vita stessa... dimenticò di sentirsi un errore della natura.
"Ti piace?" chiese Giorgia, ridendo anche lei. La sua risata era dolce... era così che immaginava che ridesse una mamma... una vera, però... non una come la sua.
"Sì... mi piace tanto!" rispose lei, per la prima volta ad alta voce, senza provare il solito senso di vergogna che la contraddistingueva.
"Ah, sono proprio contenta, tesoro mio" disse Giorgia.
E, a dirla tutta, anche la ragazzina era contenta...
Appena rientrata a casa, come Lucia aveva immaginato, Micaela si era preoccupata per lei.
"Oh, maledizione! Ho dimenticato di portare dei vestiti di ricambio a Lu!" aveva esclamato, agitata. "Mamma, lo potresti fare tu per me, per favore?"
"Ma certo, piccola" le aveva risposto Sofia, per poi passarle un foglietto. "Scrivi la tua firma, così Lucia saprà che queste cose gliele hai mandate tu. Ne sarà felice, credimi."
"Ma io non riesco a scrivere bene."
"Non devi mica firmare un assegno."
Quell'affermazione aveva fatto sorridere la ragazza, che alla fine si era decisa a mettere la sua firma sul foglietto.
Si era messa a letto, su consiglio dell'infermiera, ma anche volendo non sarebbe riuscita a chiudere occhio.
Si passò entrambe le mani sul viso: il fatto di avere accanto degli amici meravigliosi l'aveva aiutata a sopportare meglio tutto quello che era successo quel giorno. Andrea, che a malapena la conosceva, le aveva scritto per farle capire che le era vicina. La piccola Lucia, dal suo letto d'ospedale, si era scusata per quello che il signor Grimaldi aveva fatto. Kaleb, dal canto suo, si era scusato per quello che le aveva detto in ospedale... e si era preoccupato per lei, durante quella dannata assemblea. Luca, l'istintivo, la testa calda, il cavaliere con qualche macchie e molte paure, ma con un ancora maggior coraggio, l'aveva difesa... e anche lui la conosceva a stento... aveva rischiato persino di farsi sospendere. Il professor Michele e la professoressa Angelica, senza scomporsi, l'avevano aiutata a rivelare la verità su Carlotta. La dottoressa si era preoccupata di proteggerla, anche se non gliene veniva niente in tasca. Poi c'era Claudia, che non era esattamente un'amica perché si erano parlate solo due volte, per caso, ma le aveva detto che non credeva che lei avesse aggredito Carlotta e si era preoccupata per lei.
E per finire c'era lui: il signor Gabriele, che si era prodigato per difenderla e per tenere i suoi amici lontani dai guai, senza però impedire loro di essere presenti all'incontro... anche se, naturalmente, non avevano potuto esserci per tutto il tempo.
Chissà se gli altri avevano avuto i suoi saluti? Le sarebbe tanto piaciuto salutarli di persona, uno ad uno... ma si sentiva debole e stanca... mentalmente, più che a livello fisico.
Per fortuna i ragazzi avevano ricevuto i saluti, e all'uscita da scuola si misero d'accordo per fare una sorpresa a Mica.
"Andiamo a prendere anche Andrea. Avrà finito la scuola anche lei, a quest'ora... e a Micaela farà piacere vederci, no?" disse Luca, saltellando da un piede all'altro.
"Ragazzi, con calma... prima dovremmo chiedere ai suoi genitori se è il caso... se loro ci daranno il via libera, andremo a fare un po' di clownterapia al nostro piccolo angelo, d'accordo?" disse Gabriele, cercando di calmare gli animi.
"Scusate..." intervenne nuovamente una voce piuttosto sottile. "Secondo voi... se mi unissi anch'io... ecco..."
Era Claudia: la ragazzina che quel giorno aveva parlato con Micaela per la seconda volta.
"Claudia... tesoro, certo che le farà piacere... ammesso che ti faccia entrare... potrebbe scambiarti per una bomba!" disse Sabrina, arrivando alle spalle della ragazza.
"Lo sai che tra fare dell'ironia e dire cattiverie c'è una bella differenza?" intervenne il custode.
"Signor Gabriele... io non volevo..."
"Lo so, non volevi" disse il custode, anche se non credeva a una sola parola di quello che la ragazza aveva detto.
Claudia corse via, in lacrime.
"Povera piccola" sospirò Gabriele per poi raggiungerla, ma senza correre... non voleva che la ragazza si sentisse pressata. Le aveva sperimentate anche lui, le prese in giro, da ragazzo... e sapeva che si desidera stare soli, che ci si vergogna.
"Forse ha ragione a dire questo!" disse Claudia, tra un singhiozzo e l'altro. "Forse a Micaela non farà piacere vedermi."
"No... così non le farà affatto piacere" le disse il custode. "Non sarà contenta di sapere che le parole di una ragazzina insicura possono farti così male."
"Ma... ma io non posso farci niente!"
Claudia lo disse come per giustificarsi, ma Gabriele le sorrise gentilmente.
"Non è un rimprovero, piccola. Senti... posso insegnarti un trucco?"
"Non capisco... che intende?"
"Lo sai qual è la cosa che un bullo non può assolutamente sopportare?"
"No... non lo so... cosa?"
"Il fatto che le sue prese in giro gli tornino indietro stile boomerang..."
"Boomerang? E come?"
"Pensaci bene... un esempio ce l'avevi davanti stamattina."
Claudia ci rifletté un attimo. Un esempio l'aveva avuto davanti quella mattina... ma certo... Micaela era l'esempio: ne era certa!
Una volta Carlotta l'aveva quasi fatta cadere, per poi dirle: "Scusami tanto, tesoro mio, non ti avevo vista", e, senza scomporsi, Micaela aveva risposto: "Che non ti veda io è normale... se tu non mi vedi però dovresti farti fare un paio di occhiali: non tanto per me... ma il bastone e lo zaino sono abbastanza visibili, no?" Poi, senza badare ulteriormente al digrignare di denti di Carlotta, si era girata di spalle ed era andata in cortile, sorridendo.
"Micaela..." disse a bassa voce Claudia.
"Sì, esatto!" rispose il custode.
"Ma anche lei... ci riesce, vero?" chiese Claudia.
"Ci ho messo un bel po', ma... per fortuna sì, ci riesco anch'io."
"Crede davvero che sarà contenta di vedermi... cioè, di..."
"No, non fare questa cosa davanti a lei... non ti dirà niente per gentilezza, ma quando le dici "vedere" si sente meno a disagio... e comunque, sarà molto felice di vederti."
Cinque minuti dopo, avendo ricevuto la conferma da Sofia, Luca, Kaleb, Andrea, Claudia e Gabriele erano saliti in auto e si stavano dirigendo verso casa Ferrante.
Luca, che se ne stava lì seduto con le braccia incrociate al petto, da un lato era felicissimo di vedere Mica, ma non riusciva a non pensare a quello che era successo, sia il giorno prima che quella mattina, all'assemblea. Era stato avventato entrambe le volte ed entrambe le volte la ragazza aveva cercato di farlo stare meglio, mettendo in secondo piano se stessa... era come se, in qualche modo, ci fosse abituata.
"Luca.. che ti prende?" chiese Andrea, posandogli una mano sul braccio destro.
"No, niente" rispose il ragazzo.
"Niente? Non venire a raccontarlo a me... di' che non ne vuoi parlare..."
"Andiamo, non lo sgridare, Andrea!" le disse Gabriele. "Ci ho già pensato io a fargli una lavata di testa, oggi, all'assemblea. A proposito: scusami di nuovo per prima... anch'io sono una testa calda e dovrei imparare a frenare la lingua."
Ogni volta che ci pensava, il custode si sentiva terribilmente in colpa. Non l'aveva reso molto felice aver alzato la voce con Luca, agitato com'era... ma le ingiustizie erano sempre state il suo punto debole, e non poteva certo insultare una ragazzina insicura, ma la faccia stravolta di Micaela dopo l'intervento di Luca era stata l'ultima goccia.
"Anche lui, però, dovrebbe darsi una calmata!" intervenne Kaleb.
"Senti chi parla!" ribatté Luca. "Quello che si è fatto sospendere per non aver risposto alle domande di quella strega."
"Aspettate" disse il custode, fermandosi all'improvviso. "Prima di andare a trovare la nostra amica, forse dovremmo sfogarci... per non portarle il nostro malumore..."
Scesero tutti dalla macchina e raggiunsero un parco che in quel momento era completamente deserto.
"Nessuno ci può sentire, qui." disse il custode, facendo un passo avanti.
"Che cosa...?" chiesero i ragazzi, decisamente confusi.
"Io lo so" disse Andrea, mettendosi accanto a lui... e, senza preavviso, gridò: "IO... SONO... LIBERAAAAAAAAAAA!"
"Non dovete dire per forza questo" li avvisò l'uomo. "Potete anche gridare e basta... senza parole, solo con un suono. Dopo vi farà un po' male la gola, ma vi sentirete meglio..."
E, senza preavviso, anche lui gridò: "VA' AL DIAVOLO, GRIMALDI!"
"Grimaldi?" chiese Claudia, curiosa.
"È il padre di Lucia" disse Kaleb stringendo i denti.
Luca si avvicinò agli altri due e prese un bel respiro per poi urlare: "CARLOTTA... È... UNA... STREEEEEEGAAAAAA!"
"L'hai presa proprio male, la storia di Micaela."
"Sì, Gabriele" disse Luca con un sospiro. "Mi brucia da matti... soprattutto il fatto che quella stupida non sia stata punita come meriterebbe."
"Non essere così duro con lei, Luca" lo rimbeccò il custode, ma senza usare un tono di rimprovero. "Se Micaela è riuscita a perdonarla, perché tu non dovresti?"
"Non capisco... vuoi dire che sono diventate amiche?"
"No, Luca, niente del genere... non la sopporta esattamente come prima... ma ha problemi più seri da gestire... troppi per preoccuparsi di una bulla insicura."
"Dovresti... anzi, no. Dovremmo prendere esempio da lei" disse Kaleb. "Scusate, ora un urlo lo voglio cacciare anch'io..."
E, detto questo, si fece avanti e urlò: "LA DISTASIO È UN'ARPIAAAAAA!"
Quasi cadde a terra per quanto aveva urlato, ma subito dopo si sentì decisamente meglio.
"Claudia, tocca a te" disse, massaggiandosi la gola... ma la ragazza non si mosse.
"No... non voglio."
"Coraggio, prova" la esortò Luca. "Dopo ti sentirai più leggera, Claudia... fidati."
"No! Non voglio... non voglio!" iniziò a balbettare Claudia.
"Va bene, basta così" intervenne Andrea. "Se non se la sente, non possiamo obbligarla. Magari lei ha un altro modo per sfogarsi."
Detto questo, risalirono tutti in auto e raggiunsero la casa di Micaela.
Qualcuno suonò al citofono e Micaela fece l'atto di andare ad aprire, ma sua madre la fermò.
"No, stai lì, tesoro mio" le disse Sofia. "Vado io."
Andò ad aprire, avendo cura di coprire il ricevitore per essere sicura che Micaela non sentisse. Le avevano detto della sorpresa che volevano fare alla ragazza e lei ne era stata entusiasta... infatti dovette trattenersi per non mostrarsi euforica.
Tempo un paio di minuti e la ragazza sentì una scampanellata ritmica... non poteva immaginare chi fosse la persona che suonava alla porta in quel modo.
"Ehm... chi è?"
"Apri la porta, tesoro... tranquilla." disse sua madre.
"Un... un pacco da Amazon per casa Ferrante!" improvvisò Luca, cercando di cambiarsi un po' la voce. Alla ragazza, però, quella voce era molto familiare.
E poi... da quando i corrieri di Amazon salivano fino a casa dei committenti? Ma soprattutto: chi aveva ordinato cosa?
Alla fine, però, si decise ad aprire la porta, lentamente. Se si fossero rivelati dei ladri, avrebbe sbattuto loro la porta in faccia.
"Tesoro, così mi metti in difficoltà, però" disse una voce familiare. La ragazza spalancò la porta e si ritrovò stretta tra le braccia di Gabriele.
"Non posso crederci!" esclamò, al settimo cielo. "Che bello! Ma che ci fate qui?"
"Siamo venuti a rinvigorire un po' un angioletto malato" rispose il custode, staccandosi lentamente dalla ragazzina per poi sentirle la fronte. "Ma sembra che vada un po' meglio, no?"
"Sì... va meglio... grazie, sono così contenta di vedervi" disse lei, facendosi da parte per far entrare tutti.
"Ciao, Mica!" esclamò Andrea, prendendole le mani.
"Ehi! Come va?" le chiese l'altra, sentendosi rinvigorita per davvero, da tutte quelle coccole. Era molto riservata, non le veniva facile dire certe cose ad alta voce, ma quanto poteva essere bello essere abbracciata dalle persone più care che aveva, compresi, naturalmente, i suoi genitori?
"Ciao... ecco, mi sono inserita anch'io... non ti dispiace?" le chiese una vocina sottile.
"Ma no... Claudia, giusto? Non ti preoccupare, entra."
La ragazzina sembrava spaventata, insicura... fuori posto. Micaela era rimasta immobile, in ascolto... e poteva sentire il respiro della ragazza accelerare e rallentare.
"Qui non ti devi vergognare" le disse con dolcezza. "Siamo tutti amici, sai? E... beh, chi più, chi meno, abbiamo tutti qualcosa di speciale o che ci porta ad essere derisi."
La ragazzina, tutta tremante, si decise finalmente ad entrare e Micaela cercò di mettere su qualcosa velocemente, per accogliere la sua piccola compagnia di angeli custodi.
"Ma... voialtri state bene, vero?" chiese timidamente.
"Certo" rispose Luca. "Ci è dispiaciuto solo per te."
La ragazza si coprì il viso con le mani: le dispiaceva far preoccupare le persone, specialmente se si trattava di persone alle quali teneva e che, a quanto pareva, tenevano a lei.
"Oh, andiamo, Mica! Non ti devi sentire in colpa per esserti sentita male" le fece notare Gabriele. "Ci siamo spaventati perché ti vogliamo bene... è normale."
"Sì, lo so" rispose la ragazza, cercando di disporre sul tavolo delle bibite.
"Claudia... non prendi niente?"
Claudia rimase ferma: come aveva fatto ad accorgersene?
"Io? No, grazie... non ho fame..."
"Ma come no?" chiese gentilmente Kaleb, premuroso. "Subito dopo cinque ore di scuola... voglio dire: si ha bisogno di energie."
"Sì, ma non per me" ribatté Claudia. "Grazie lo stesso."
"Aumenteranno i ricoveri in infermeria, quest'anno" disse il custode, e questa volta non c'era il minimo accenno del solito tono scherzoso. Aveva capito perfettamente la preoccupazione della piccola Micaela: non voleva che quella ragazza, Claudia, rischiasse di farsi del male per sfuggire alle prese in giro dei compagni di scuola.
"Oh, no! No... sto bene, sul serio" li rassicurò Claudia.
Le suonava così insolito, il fatto che quelle persone si preoccupassero tanto per lei. Non solo Micaela e Gabriele, ma anche Andrea, Luca e Kaleb la guardavano con apprensione.
Sua madre era una maniaca della perfezione fisica, e non mancava di farle notare, anche se in buona fede, che era "troppo grossa"! I ragazzi della scuola, invece, non cercavano di farle notare la cosa con gentilezza, come faceva sua madre... la prendevano in giro continuamente. Andare a scuola per lei era una tortura quotiniana... ogni giorno si augurava che accadesse qualcosa, qualunque cosa, che le impedisse di andarci. Carlotta, la compagna di classe di Micaela, era una di quelle che si accanivano di più su di lei... e Claudia sapeva che se l'avesse raccontato a Mica, lei non ne sarebbe rimasta sorpresa. La storia dell'aggressione, stavolta raccontata nella versione giusta, aveva fatto il giro della scuola persino più in fretta della versione precedente.
Claudia aveva saputo cos'era successo solo quando Micaela era andata via dall'infermeria della scuola... ma non aveva mai dubitato del fatto che la ragazza fosse innocente. Una che ti difende dai bulli senza neanche conoscerti non può essere la stessa persona che aggredisce una compagna di classe, per perfida che sia.
"Tesoro, siediti" disse Sofia, "ci penso io a portarvi qualcosa... più tardi però misurati la temperatura, d'accordo?"
"Oh... certo, mamma" rispose Mica sorridendo. "Grazie, davvero."
"La vuoi sapere una cosa?" le disse il custode. "Mi hai fatto venire la curiosità per Harry Potter... mi sono fatto prestare i libri da questo giovanotto che è seduto alla tua destra." E la ragazza comprese che si riferiva a Luca, che aveva appoggiato una mano leggermente scorticata sulla sua.
"Che ne dici? Ti piace?" chiese Micaela, curiosa.
"Per il momento sto cercando di capire dove diavolo fosse il tribunale dei minori d'Inghilterra, negli anni Novanta. Far dormire un ragazzino in un ripostiglio, umiliarlo e fargli portare degli occhiali attaccati con lo scotch perché il cugino bullo li ha rotti dandoti un pugno in faccia sono cose da manicomio."
"Sì... cose da San Bruto" rispose lei, ridendo. "Oh no... scusa... quello verrà un po' dopo."
"Mica... hai saputo qualcosa di Lucia, per caso?" chiese a bassa voce Kaleb.
"No... sinceramente no" rispose lei. "Le ho solo mandato dei... dei vestiti di ricambio."
"Ah, capisco... magari oggi passo in ospedale a trovarla, così ti aggiorno." disse Kaleb.
"D'accordo" disse lei. "Ma non dirle niente di quello che è successo oggi, ti prego... è ancora convalescente, non vorrei spaventarla."
"Ma... ti posso fare una domanda?" chiese di punto in bianco Luca.
"Certo... quale?" chiese a sua volta Micaela.
"Tu hai mai pensato a te stessa? Solo a te, a nessun altro" chiese Luca.
"Che? Certo... non dimenticare che sono un essere umano" lo rimbeccò lei, scherzosamente.
"Allora devi vedere meglio le tue origini. Secondo me sei veramente un angelo, non solo per modo di dire" disse Luca, ridendo.
"Tu, invece, hai mai pensato di partecipare a un talent?" chiese a sua volta Micaela, cogliendolo alla sprovvista.
"Ma figurati! Per quelli ci vogliono i soldi, e io sono... non dico povero in canna, ma non posso vivere di rendite" rispose il ragazzo. "Comunque, ti rivolto la domanda."
"In che senso?"
"Perché non entri a far parte di una scuola di recitazione o qualcosa di simile?"
"Te lo ripeto ancora una volta: dove lo trovo qualcuno disposto ad insegnare ad una..." disse, alzandosi e mimando le virgolette, ""povera cieca con complessi d'inferiorità"?"
"Senti, mi vuoi spiegare chi ti ha detto queste cose?" le chiese con rabbia Luca. Naturalmente non ce l'aveva con lei, ma con l'idiota che aveva detto quella sciocchezza.
"Lasciala stare, Marzano!" gli disse il custode, chiamandolo per cognome, come faceva con Micaela. "La signorina potrà venire a trovare me e Andrea ogni volta che le farà piacere." E strizzò l'occhio a Luca e ad Andrea. In qualche modo voleva farla star bene, lasciarle intendere che nessun sogno era impossibile.
"Ehi, amica, ti è piaciuto il libro che ti ho consigliato?" chiese Andrea, elettrizzata.
"Sì... l'ho letto un po' ieri notte... sai, prima dell'assemblea... Ben su certe cose ti somiglia: è sempre così allegro, così solare..."
"Sì, ma Maggie non somiglia a te, su questo... tu sei una ragazza gentile, lei è... scostante."
"Non la biasimo, però. Io sono nata ciclope... lei ci è diventata... quello che non hai mai avuto non lo puoi mica rimpiangere..."
"Touché!" esclamò Andrea, prendendo la mano di Micaela e facendole muovere il braccio come se tirasse di scherma.
"Quel gesto, se lo facessi con Toto, mi provocherebbe i sensi di colpa da qui ai prossimi trent'anni!" esclamò Micaela.
"Però ogni tanto ti verrebbe da colpire qualcuno, vero, piccola?" le chiese ridendo Gabriele.
"Sì, ma tu non sei incluso tra quelli che vorrei colpire."
"Sì, lo so" disse lui. "Me l'hai già detto."
"E a te, Claudia?"
La ragazza, riscossa dalla voce di Kaleb, si voltò.
"A me cosa?" chiese.
"A te cosa piacerebbe fare?" le chiese il ragazzo.
Claudia rimase in silenzio, guardando un punto davanti a sé. Anche a lei sarebbe piaciuto fare l'attrice... come a tutti i presenti nella stanza... o quasi...
"Lasciamo stare" si limitò a rispondere abbassando il viso.
"Non mi chiamate irriverente" disse Luca, "ma mi sono accorto di una cosa. Sembriamo una riunione degli alcolisti anonimi."
"Ciao... sono Micaela... ho diciotto anni e non sclero da mezz'ora!"
Finalmente l'atmosfera si sciolse e il gruppo iniziò a scherzare. Tutti loro sembravano conoscersi praticamente da sempre.
Sofia, da lontano, li guardava... e non poteva fare a meno di essere contenta. Per cercare degli amici, Micaela doveva cercare fuori dalla sua classe... esclusa Lucia, lì dentro non avrebbe trovato nient'altro.
I professori, lo sapeva, le avevano fatto terra bruciata intorno, in quel contesto... e naturalmente Carlotta, la nuova arrivata che Micaela aveva cercato di accogliere nel miglior modo possibile, aveva contribuito a creare il vuoto intorno a lei.
La sua Micaela non le era mai parsa così bella, con quel sorriso che le illuminava il volto.
Dal giorno dell'incontro a sorpresa passò esattamente una settimana. Micaela rimase a casa un paio di giorni, a causa della febbre, poi tornò a scuola. Quanto a Lucia, per lei ci volle più tempo... infatti aveva lasciato l'ospedale, ma ora si trovava a casa del professor Michele, che aveva deciso di prendersi cura di lei. Il signor Fausto aveva ufficialmente sporto denuncia contro i signori Grimaldi, i quali erano stati sottoposti ad un interrogatorio. Di pomeriggio Micaela passava a trovare la sua migliore amica, le portava i compiti e l'aiutava a svolgerli, con una pazienza senza limiti. Naturalmente, sconvolta e preoccupata com'era, Lucia faceva fatica a concentrarsi... ma con lei Micaela non si arrabbiava mai: sapeva che per lei era difficile, la situazione in cui si trovava, anche se sosteneva di non poterla comprendere.
Alle cinque e mezza del pomeriggio, però, il professor Michele l'accompagnava al piccolo teatro, e la piccola se ne stava lì, nel suo solito angolino in fondo alla sala, a vedere le prove. Ormai in compagnia la conoscevano tutti: lei era il perfetto esempio di pubblico, perché aveva una risata cristallina, riconoscibilissima, ed era sempre attenta, nonostante avesse visto le prove più e più volte. Certo, loro non potevano sapere che per lei ogni volta era come se fosse la prima... non potevano sapere che, poco alla volta, si stava trascrivendo l'intero copione, frammento per frammento... non potevano sapere quanto stare lì la facesse sognare.
Anche Kaleb andava spesso a trovare Lucia, ma non per i compiti. Cercava, come meglio poteva, di tenerle compagnia. Ogni volta che la vedeva, per lui era come la prima, se non meglio. Lucia era timidissima, e di certo il fatto di dover stare a letto e di non poter ancora camminare autonomamente la metteva ancora più a disagio, ma né Micaela né Kaleb le facevano pesare la cosa. Lei non lo sapeva, ovviamente, ma Micaela e Kaleb stavano cercando di organizzare qualcosa anche per lei.
Claudia non si faceva più vedere in giro. A scuola aveva cura di restarsene in classe per tutto il tempo, anche se per la verità era una tortura... ma non era abituata a delle persone che si preoccupassero per lei, e si vergognava di dire che aveva iniziato una "dieta" troppo drastica.
Quando Micaela andò a far visita a Lucia, proprio una settimana dopo il giorno dell'assemblea, per lei fu più difficile che mai concentrarsi.
"Quindi... per la regola dell'incrocio... dobbiamo scambiare le lettere, giusto?"
"I numeri, Lu" le fece notare l'amica.
"Non capisco... che vuol dire?"
"Il numero di ossidazione dell'ossigeno è meno due, ricordi?"
"Sì..."
"Quello dell'idrogeno è più uno... quindi, per ottenere una molecola d'acqua, come devi scrivere?"
"HO2" rispose lei in fretta.
"No, non proprio... ascolta, meno due più uno quanto fa?"
"Meno tre!" esclamò Lucia.
"No... facciamo così... due meno due fa...?"
"Zero."
"Brava! Ora prova a riflettere... se l'ossigeno è meno due e l'idrogeno è più uno, per unirli e formare una molecola d'acqua...?"
"Due... due atomi di... os... no! D'idrogeno!"
"Oh, bene!" esclamò Micaela, sorridendo.
"Accidenti... scusa tanto, Mica... non volevo farti perdere tempo, io... forse ha ragione la Distasio! Sono un completo disastro!"
"Non dire così, tesoro. Sei in convalescenza... vivi in un'altra casa... è normale sentirsi un po' storditi, non credi? Senti, facciamo una cosa: lasciamo perdere la chimica e proviamo a camminare un po'..."
Lucia s'irrigidì.
"Ho paura... e se cadessi?" chiese la ragazza, agitatissima.
"E io cosa ci sto a fare, qui?" chiese Micaela con dolcezza. "Anzi: per sicurezza proverò a chiamare anche il professor Michele, così se dovessi cadere sarai tranquilla..."
"No! Non voglio che mi veda, se dovessi cadere!"
"Va bene, d'accordo" la rassicurò Mica. "Allora facciamo una cosa..." Si alzò e si piegò leggermente sulle ginocchia, poiché il letto era basso. "Ora cerca di mettere giù le gambe e appoggiati alle mie spalle, d'accordo?"
Lucia trascinò giù le gambe. Barcollava anche da seduta: le risultava ancora difficile camminare.
"Vieni con il corpo verso di me... in avanti... così, brava!" disse Micaela, tenendole le mani intorno alla vita per capire con precisione quali fossero i suoi movimenti.
Lucia appoggiò le sue dita esili sulle spalle di Micaela.
"Bene" disse lei. "Ora ti tengo io... cerca di darti una spinta, coraggio..."
Lucia si diede una spinta con i piedi e si trovò in posizione eretta. Tutto il suo corpo era scosso dai brividi. Micaela la strinse a sé, per evitare che cadesse.
"Coraggio, seguimi" le disse con calma.
In genere non lo faceva, ma questa volta tenne mentalmente il conto dei passi... non per sé, ma per capire quanti progressi stava facendo la sua amica del cuore.
Uno... due... tre... Lucia tremava tutta, ma il suo equilibrio era ancora piuttosto stabile. Quattro... cinque... sei... Micaela la sentì stringere la presa sulla sua maglietta.
Sette... otto... nove... dai, amica mia... solo uno e avrai battuto il record, pensò Mica.
Dieci, undici, dodici... la ragazzina prese a barcollare. Micaela mise un ginocchio tra le sue gambe, strinse la presa attorno al suo busto e percorse velocemente il tragitto fino al letto, stavolta senza tenere il conto dei passi... aveva cambiato andatura ed era più che logico che fossero aumentati o diminuiti... non era un metodo di misura delle distanze così affidabile come le lasciava intendere la sua insegnante di sostegno... infatti, non si trovava mai al punto giusto quando usava quel metodo.
"Quanti ne ho fatti, Mica?" chiese Lucia, troppo concentrata nel reggersi sulle sue gambe per tenere il conto dei passi.
"Dodici, come gli Apostoli" rispose la ragazza. "Sei stata bravissima!"
"Dici? A me sembra di stare sempre allo stesso punto."
"Non è vero, Lu... piano piano ti stai allontanando dal letto, e quando ti sentirai più sicura riuscirai anche a staccarti da me... però non mi devi fare Speedy Gonzales... lui è un caso a parte, ma andando di corsa non si ottiene niente."
Era semplicemente incredibile! Micaela si sentiva strana, eppure, anche alla cieca, era diventata lei la guida della sua Lu... non aveva fatto nessun corso, come per il suo bastone... in quel caso aveva avuto giusto qualche ora di lezione: per il resto aveva imparato da sé a gestirsi... ma la vita le aveva insegnato a non lasciare indietro chi, come lei, camminava più lentamente. Si arrabbiava molto quando sentiva parlare qualcuno di ragazzi che mentalmente avevano un approccio diverso alle cose. Si arrabbiava quando veniva detto: "Tizio ci rallenta" o: "Questa è roba da insegnanti di sostegno!" Sapeva che le persone che parlavano in quel modo in genere non lo facevano con cattiveria, ma si arrabbiava comunque.
"Siete dolcissime!"
Una voce alle loro spalle le fece voltare di scatto.
"Professore!" esclamò Micaela, avendo riconosciuto quella voce.
Il professor Michele sorrideva: sembrava soddisfatto.
"Ti sembra così strano... il fatto di essere tu la guida, Micaela?" chiese, spostandole una ciocca di capelli che le aveva coperto la faccia.
"Cosa?" chiese lei.
Non sapeva come il professore avesse indovinato i suoi pensieri, ma quella sensazione le scaldava il cuore.
"Condurre qualcuno alla cieca, paradossalmente, a volte è molto più facile che farlo ad occhi aperti. Lucia non avrebbe potuto avere una compagna migliore di te."
Lucia sorrise a sua volta. Anche lei la pensava come il professor Michele. La sua amica era davvero straordinaria... non perché era cieca: quello era un dettaglio fisico come un altro... era sensibile. Quella sì che era una cosa straordinaria: le persone sensibili si contavano sulle dita di una mano... lei, perlomeno, non ne aveva conosciute molte.
"Mica..." sussurrò Lucia, "anche oggi vai a vedere le prove, non è vero?"
"Io... Lu... se... se non vuoi che ci vada... ecco..."
"Niente del genere, amica mia." rispose Lucia. "Però, mi chiedevo... perché non chiedi di farti inserire nella compagnia? Ti piace tanto stare lì, no? Voglio dire... Luca una volta mi ha raccontato di averti vista sul palco. Quando è venuto a trovarmi in ospedale, ricordi?"
"Sì... mi ricordo."
"Mi ha detto che ti sei messa a ballare con l'altra ragazza... quella così gentile che era a casa tua ed è venuta a trovarmi in ospedale... eri bellissima! Sembravi un'altra!"
"Forse sembravo me stessa" disse tra sé la ragazza. "Ma... non importa, davvero. Assistere alle prove per me sarà sufficiente."
"Dobbiamo andare... tu stai tranquilla, Lucia... vedrai che presto ti sentirai in piena forma e potrai uscire con la tua amica."
"Pensa a quello che ti ho detto." disse a bassa voce Lucia per farsi sentire soltanto da Micaela.
"Ciao, Lu" disse Micaela, dando un abbraccio all'amica, ma con delicatezza.
Lucia era minuta e fragile e Micaela, in cambio, era robusta, ma aveva una delicatezza incredibile nel contatto con le persone.
Mica sciolse l'abbraccio, prese il suo Toto, appoggiato in un angolo della stanza, e recuperò anche il suo zaino e il cappotto.
Michele le camminava accanto, sorridendo, e ogni tanto le indicava la strada o la prendeva sottobraccio per gli attraversamenti. Lui era l'unico che le dava retta, a proposito di Toto: l'unico che non lo avesse scambiato per un bastone da passeggio. Sapeva che le serviva per muoversi in perfetta autonomia, o quasi.
"Ecco, ci siamo!" le disse, dopo aver svoltato a destra per la seconda volta.
"Grazie, professore" gli disse timidamente la ragazza. Chissà se anche ad altri capitava di avere un rapporto simile con i docenti, anche fuori dalla scuola?
Micaela si avvicinò al portone socchiuso e, facendo attenzione a non fare rumore, salì il primo gradino e si apprestò a scendere gli altri due, quando...
Riconobbe le voci di alcuni dei ragazzi del gruppo. Stavano dicendo qualcosa a proposito di una di loro: una certa Marica... era stata una delle poche, anzi: l'unica, con la quale Micaela non aveva legato. A quanto pareva, le avevano offerto di prendere parte ad un cortometraggio e la ragazza non se l'era fatto ripetere e se n'era andata. Il bello... o meglio: il brutto, era che non aveva detto niente a nessuno di questa decisione, ed era semplicemente sparita.
"E adesso che facciamo?" chiese Andrea con un filo di voce.
"Non c'è molto tempo" rispose Gabriele. "La sua non è una parte tagliabile... o la passiamo ad un'altra persona e tagliamo qualche altro ruolo, o cambiamo direttamente tutto."
Cambiare direttamente tutto... rifare un lavoro di lettura, prove, montaggio di movimenti da zero... Micaela non era lì da molto tempo, ma li aveva visti impegnarsi fino allo sfinimento, (naturalmente concedendosi qualche risata e lavorando in armonia, in gruppo), per mettere in piedi il tutto, e pensare a tutto quell'impegno buttato al vento, le venne letteralmente un colpo al cuore.
Non sapendo nemmeno perché, prese a tremare in un modo che le parve assurdo, tanto che Toto le cadde dalle mani, provocando un gran frastuono a contatto con gli scalini.
"No, maledizione!" esclamò a denti stretti. S'inginocchiò a terra e, dopo aver percorso con le mani a mezz'aria le scale, riuscì finalmente a trovare Toto e lo raccolse con le dita che le tremavano.
"Ah, buonasera, cara" disse una voce a poca distanza da lei. Era il custode del teatro: il signor Tommaso. "Vuoi entrare?"
"Io... io non... n-non vorrei disturbare, ecco..."
"Ehi! Che bello rivederti, angioletto... tu non disturbi mai, entra!" le disse una voce decisamente familiare... e Micaela, che già provava un'ammirazione incredibile per Gabriele, rimase sorpresa nel constatare quanto riuscisse ad essere sempre gentile e accogliente, anche quando qualcosa lo turbava.
"Mi dispiace, io... non volevo interrompervi, davvero" disse incerta la ragazza, mentre lui le prendeva una mano per aiutarla a scendere i due gradini.
"Scherzi? Ti stavi congelando, lì fuori" le disse il suo amico, scaldandole la mano.
Quando entrarono nel piccolo teatro, Micaela si sentì avvolgere da quel piacevole calore che l'aveva avvolta il primo giorno e poi nei giorni seguenti.
Quel piccolo angolo di Paradiso era un po' come casa sua.
Si lasciò condurre da Gabriele all'interno e tutti si misero a sedere.
"Hai sentito tutto, vero?" chiese Andrea, mettendosi a sedere accanto all'amica.
"Sì... e mi dispiace tantissimo" rispose Micaela. "Però... se volete, ecco, io... potrei cercare qualcuno che possa sostituire la ragazza... ecco: ho scritto tutto." E mostrò loro un documento che aveva sul telefono. "Mentre stavate provando... ho trascritto il copione con il telefono e la macchinetta da scrivere... le didascalie non sono perfette, è ovvio... e magari ho sbagliato a scrivere qualcosa, ma bene o male c'è tutto quello che serve..."
Nella sala cadde un silenzio che Micaela non seppe interpretare. Non sapeva perché, ma era diventata rossa, le tremavano le mani e si stava dannatamente pentendo di aver detto quelle cose.
"Ma allora... è vero che sei un angelo" disse Mirko, uno dei ragazzi.
"Come dice il nostro capobanda!" si aggregò Riccardo, un altro membro della compagnia.
"Esatto... e dopo quello che ha fatto per noi, non mi sembra per niente giusto affidare il suo lavoro a qualcuno che non sia... lei stessa..." disse Gabriele, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo.
Micaela trattenne il respiro. Non sapeva se essere contenta di quella scelta o meno... strinse forte le dita attorno all'impugnatura del suo Toto, come per sfogare quell'energia che aveva dentro.
"Ma certo! Potrebbe prendere lei il posto di Marica!" esclamò Andrea, al settimo cielo.
"Ma... no, non ne sarò in grado!" esclamò Micaela, tesa... ma voleva veramente che quelle personedesistessero dall'intento di coinvolgerla?
"Facciamo una cosa" disse con calma Gabriele, "se siete tutti d'accordo, ci possiamo dedicare per un'ora alla memoria, con le cose che abbiamo stabilito... tu puoi tranquillamente leggere, per adesso, perché è il tuo Battesimo del Fuoco, oggi..." E detto questo appoggiò una mano sulla spalla di Mica, per lasciarle intendere che si riferiva a lei. "l'altra ora potremmo sfruttarla per insegnare i movimenti alla nostra Micaela e farle conoscere meglio il palco, se lei se la sente... e nel frattempo vedrete che le entreranno in testa velocemente, le battute... ha buona memoria, la ragazzina!"
"Ma... se non mi porto dietro Toto o se qualcuno non mi aiuta a spostarmi io rischio di cadere giù dal palco... e vi farei fare una pessima figura!"
"Cioè, fammi capire" le chiese Riccardo, "tu non ti preoccupi di fracassarti la testa se dovessi cadere giù dal palco, ma ti preoccupa l'idea di farci fare brutta figura?"
"Mi preoccupano tutt'e due le cose" rispose Micaela, scoppiando a ridere.
"Comunque io sono d'accordo" disse Martina, un'altra donna della compagnia.
Uno ad uno tutti risposero: "Anch'io" e Micaela, che non sapeva se fosse più elettrizzata o spaventata, rispose: "Grazie."
Come stabilito, la prima ora fu effettuata facendo una prova rapida del primo atto, nella quale Micaela si sarebbe limitata a leggere... poi venne il momento fatidico.
"Sei pronta?" chiese Andrea, gentilmente.
"Sì... no... non lo so." rispose Mica.
"Andrà tutto alla grande, ne sono sicura!" le disse l'amica prendendole la mano.
"Vuoi venire su con Toto?" le chiese Gabriele.
"Per stavolta... magari preferirei di sì" rispose lei. "Per capire com'è fatto il palco."
"Ma certo! Lo sai che non ti devi fare problemi." le disse lui, sorridendo.
Micaela, tutta tremante, lasciò lo zaino e il cappotto, strinse l'impugnatura di Toto e fece il giro della sala, fino a trovarsi accanto ai tre scalini che l'avrebbero portata su quel palco magico. Le gambe presero a tremarle e la mano che stringeva Toto divenne improvvisamente troppo fredda.
"Coraggio, Micaela" le disse Gabriele. "Io sono qui vicino... non aver paura, sali: ti guido io, se serve. È tutto a posto."
La ragazza, esitante, cambiò la mano con la quale teneva il suo Toto, allungò la mano destra e trovò una specie di corrimano.
Salì i tre gradini, poi riposizionò Toto davanti a sé.
"Prova a camminare" le disse gentilmente Gabriele, "davanti hai il tuo Toto, qui vicino ci sono io." E detto questo, salì anche lui sul palco, mettendosi accanto a lei. "Sei al sicuro. Vai avanti, fai un giro del palco... poi ti farò vedere dov'è il centro, d'accordo?"
Micaela percorse il palco. All'inizio esitava, tanto che, per farle capire che non se n'era andato, ogni tanto Gabriele le toccava la spalla con la punta delle dita... solo con quella, perché non voleva farla sentire come se la stesse marcando stretta. Quando ebbe acquistato un po' di sicurezza, Micaela iniziò ad accelerare il passo.
Si avvicinò alle quinte, istintivamente, si girò di un quarto e tese la mano sinistra, per percorrerne e capire la larghezza dei cinque ingressi.
"Molto bene!" esclamò il custode, sorridendo. "Ora girati ancora un po'... mettiti di lato rispetto alle quinte e torna indietro."
Lui stesso le si avvicinò e si mise alla sua destra, sempre tenendosi un po' distante da lei.
Micaela si mosse in avanti per un pezzo, poi Gabriele la fermò posandole una mano sul braccio che reggeva Toto.
"Sei al centro. Ora girati verso di me" le disse, aprendo e chiudendo il pugno con forza, per farle capire da che parte girarsi.
Micaela si girò di un quarto verso destra, trovandosi perfettamente di fronte alla platea.
"Vorresti lasciarmi Toto, piccola?" le chiese gentilmente.
Micaela esitò, ma alla fine gli passò Toto, che scivolò giù dal palco. Andrea si occupò di raccoglierlo e portarlo in un angolo della stanza.
Micaela si lasciò condurre, facendo di nuovo il giro di tutto il palco... ma stavolta si trovò dietro le quinte.
"Vuoi provare a uscire da lì dietro da sola?" le chiese con dolcezza Gabriele.
"Sì... mi piacerebbe." rispose Micaela, sorridendo a sua volta.
Attese qualche secondo, per dargli il tempo di spostarsi un po' dall'apertura della quinta... poi, esitante, mosse qualche passo all'esterno. Man mano che prendeva confidenza, sentiva la necessità di continuare a camminare, ma all'improvviso due mani calde le si posarono sulle spalle.
"Fermati qui, angioletto" disse il custode. "Se vai ancora un po' avanti cadrai giù davvero dal palco... e non mi puoi dare un dolore così grande!"
La ragazza sorrise, d'istinto.
Per fare quella "conoscenza" del palco, c'era voluto molto meno di quanto Micaela credesse: una decina di minuti al massimo. Per il resto del tempo, ripeterono parte della prova e, a turno, i membri della compagnia mostravano a Micaela i movimenti che avrebbe dovuto fare. La ragazza si sorprese di quanto le risultasse spontaneo immergersi nella storia per poi tornare se stessa ogni volta che qualcuno le faceva un appunto, che fosse per un movimento, un'intonazione o qualunque altra cosa.
Terminata la prova, la ragazza fu letteralmente ricoperta di complimenti.
"Ma veramente è la prima volta che sali su un palco?" le chiese Mirko.
"Sì... cioè, contando la prima volta in cui sono venuta qui, tecnicamente, sarebbe la seconda."
"Sei incredibile... parola mia!" esclamò Riccardo.
"Hai sbagliato persona" ribatté la ragazza. Lui non era tanto d'accordo, ma non disse nulla.
"Allora, tesoro, che mi dici?" chiese Gabriele. "Come credi sia andata?"
"Non sono mai stata meglio!" esclamò Micaela, questa volta senza balbettare.
"Ah, molto bene! Vedrai che man mano che acquisirai sicurezza andrà sempre meglio... intanto, ho un regalo per te... devi custodirlo bene, perché non mi è stato facile convincere il buon Tommaso..."
"Davvero? Che cos'è?" chiese Micaela, sorridendo.
"Dammi la mano." le rispose semplicemente Gabriele. La ragazza non se lo fece ripetere due volte: tese la mano libera da Toto verso di lui, con il palmo rivolto verso l'alto, e sentì qualcosa di freddo e rigido cadervi sopra. Micaela spostò Toto, attaccandoselo al braccio con la corda nuova, e prese a tastare l'oggetto... poi per poco non le cadde tutto di mano.
"Una chiave? Ma non sarà mica..." chiese, meravigliata ed estasiata allo stesso tempo, rigirandosela tra le mani, incredula.
"Coraggio, dillo!" la esortò Gabriele.
"La chiave del teatro!" esclamò la ragazza, con le dita strette attorno al piccolo oggetto.
"Esatto!" esclamò Gabriele. "Tommaso me lo ha concesso a patto che, quando sei da sola, tu richiuda la porta da dentro... per farlo stare tranquillo."
"Ma certo!" esclamò la ragazza. Strinse la chiave in una mano, si tolse lo zaino e ne estrasse le chiavi di casa sua.
"Mi potresti aiutare ad aprire l'anello che le tiene insieme?" chiese timidamente. Non le era mai riuscito, aprire quell'affare!
"Ma certo! Dammi le chiavi: ci penso io!" rispose il custode. Sganciò l'anello che teneva insieme le chiavi e un paio di ciondoli e vi agganciò anche la chiave del teatro, per poi chiuderlo strettamente, come prima. "Ecco qua... ora anche questa è un po' la tua casa."
Micaela sorrise. Era esattamente quello, il motivo per il quale aveva voluto agganciare la piccola chiave magica alle sue chiavi di casa. Quel posto era un po' come la sua seconda casa, la sua isola felice.
"Dai, ora vieni, ti accompagno a casa."
"Prima ti posso chiedere un favore?"
Mentre lo chiedeva, strinse le chiavi che lui le aveva restituito, soffermandosi sulla chiave magica.
"Uno, due, cento, mille... quanti ne vuoi, angioletto!"
"Posso darti un abbraccio?" chiese lei, timidamente.
"Ma non me lo devi chiedere! Vieni qui, piccola... fallo e basta!" E l'accolse tra le sue braccia, sfregandole una mano sulla schiena.
"Vedi, io... io non conosco un altro modo per ringraziarti." disse d'istinto Micaela.
"Perché? Di cosa?"
"Ti sei fidato di me... voglio dire... per uno spettacolo che rischia di saltare, chi vuoi che si rivolga ad una..."
"Ragazza di talento?" la bloccò Gabriele, senza sciogliere l'abbraccio. "Chiunque abbia un po' di cuore e di cervello... non ho fatto niente di speciale, piccola... e poi, se proprio vuoi ringraziare qualcuno, devi farlo con Andrea, non con me."
Lei non era d'accordo, ma sapeva che lui non avrebbe mai ammesso che il suo intervento era stato fondamentale.
Micaela recuperò lo zaino e il suo Toto, si strinse nel cappotto e raggiunse la porta. Gabriele le camminava vicino, le aprì la portiera dell'auto e le disse di abbassare la testa. Andrea era già lì, seduta sui sedili posteriori. Micaela si mise a sedere vicino a lei, al settimo cielo.
"Grazie!" disse velocemente, prendendole la mano.
"M-ma... ma io..." balbettò lei, poco convinta. Di che la stava ringraziando, Micaela? Lei non aveva fatto niente!
"Sei stata gentile, davvero... e... e gli altri ragazzi... io non so come fare per ricambiare quello che avete fatto per me, ecco."
"Te lo dico io, che cosa puoi fare." le disse Andrea, spostandole una ciocca di capelli dal viso. "Impegnarti come hai fatto oggi... e non pensare che il tuo sogno di diventare un'attrice sia impossibile..."
"No... ho smesso di pensarlo" rispose lei. Grazie a voi due, avrebbe voluto aggiungere, ma quel giorno si era esposta fin troppo. Ora, però, aveva sentito i brividi del palco: quelli che ti percorrono tutto il corpo, che ti fanno male e bene allo stesso tempo... quelli che ti fanno sentire male, così male che ti si chiude lo stomaco, i polmoni si stringono, non riesci a stare seduta eallo stesso tempo non riesci a reggerti sulle gambe... ma poi, quando inizi a muoverti, a parlare... a raccontare... cambia tutto: senti che tutto quel senso di malessere è un prezzo ragionevole da pagare, se la ricompensa sono due ali per volare... un sogno per cui combattere, da proteggere e vivere.
Micaela quasi non si accorse del fatto che Andrea l'aveva salutata e stava scendendo dall'auto.
Quando si riprese dal suo stato di trance, in imbarazzo, sorrise ed esclamò: "Accidenti, scusami tanto, Andrea... mi sono distratta."
"Ehi! Va tutto bene, non preoccuparti." disse la ragazza, sorridendo. "È normale, all'inizio, specialmente se non credi in te stessa. Io ne so qualcosa."
Quando arrivarono a casa di Micaela, la ragazza scese dall'auto e si sistemò lo zaino sulle spalle, stringendosi nel cappotto per scaldarsi.
"Dici che lo devo raccontare a Lucia?" chiese, esitante.
"È tua amica... lo devi decidere tu" le rispose Gabriele.
"Vedi... è che non vorrei che si sentisse piccola per questo... voglio dire... oggi si sentiva triste... perché non... non è riuscita a camminare molto più lontano dal letto... aveva una voce così spenta quando me l'ha detto che io..."
Gabriele si avvicinò a Micaela, le spostò i capelli dal viso e le lasciò un bacio sulla guancia.
"Lo vedi perché ti dico che sei un angioletto? Un'altra, al tuo posto, avrebbe pensato solo a raccontare questa storia a chiunque le capitasse a tiro... tu ti preoccupi di non far sentire triste la tua amica. Ma comunque, vedrai che sarà contenta."
"Lo sai che lei mi ha detto di andare a teatro?" chiese Micaela. "Dice che sono portata... che le piace l'idea che io... insomma, realizzi i miei sogni."
"E ci riuscirà anche lei, vedrai!" la rassicurò Gabriele. "E, chi può dirlo? Magari ci riuscirà proprio per merito tuo, no?"
Stavolta Micaela non disse che sarebbe stato impossibile: conosceva bene Gabriele e sapeva con certezza che, se avesse detto una cosa del genere, lui avrebbe fatto di tutto per dimostrarle che non era impossibile, a meno che lei non volesse. Le veniva da sorridere a pensarci. Sulla sua fobia per i cani, lui non aveva mai insistito, perché lei semplicemente non ne voleva sapere, non voleva averci a che fare... con il teatro, invece, aveva cercato di avvicinarla poco a poco a quel mondo, perché in quel caso lei desiderava entrarci, ma non se ne sentiva in grado.
"A domani, piccola" le disse il custode, riscuotendola dai suoi pensieri. "E stai tranquilla: vedrai che Lucia sarà contenta di questa novità... e tornerà presto a camminare come prima... anche perché ha una grande amica, che le vuole bene e fa di tutto per aiutarla."
"A domani" ricambiò lei. "Ti voglio tanto bene!"
"Anch'io, tesoro" le disse lui, mentre la ragazza, sentendosi al settimo cielo per essere riuscita a dirgli quella cosa, estraeva di nuovo le chiavi dal suo zaino. La vide soffermarsi, con le sue dita dal tocco gentile sulla piccola chiave del teatro. La vide sorridere, mentre accarezzava quell'oggetto e faceva altrettanto con il suo Toto. Rimase lì, a guardarla, mentre la ragazza spingeva il portone e raggiungeva le scale. Quando la vide rientrare, Gabriele si risolse ad andarsene... quella ragazzina era tanto riservata quanto piena di vita, e lui, che tecnicamente non aveva figli, le voleva bene come se lei lo fosse stata.
Micaela spinse il portone e raggiunse le scale. Avrebbe tanto voluto parlare con Toto, ma se l'avesse fatto le avrebbero detto tutti le solite cose... ma se lei non contestava a nessuno il fatto che fosse possibile affezionarsi ad un animale solo perché non era successo a lei, perché le persone che la circondavano non potevano capire che il suo Toto era parte di lei, come lo sarebbe stato un "amico speciale" per chi aveva optato per l'altra strada? Non potevano considerarlo... come un bambolotto per i bambini, visto che non era un essere vivente? Perché era tanto difficile?
"Ehi... cara, ti serve aiuto?" chiese una voce alle sue spalle.
"Oh, no... no, mi scusi... ero distratta" rispose lei, affrettandosi a raggiungere le scale. "Mi scusi di nuovo!" disse ad alta voce, ringraziando il cielo che quell'uomo non sapesse leggere nel pensiero. Se ne fosse stato in grado, maledizione, come minimo sarebbe stata ricoverata in qualche struttura specializzata... chiunque avrebbe pensato che la ragazza fosse matta!
Inserì la chiave di casa nella serratura e si trovò davanti sua madre. Così, d'istinto, senza neanche togliersi il cappotto, le gettò le braccia al collo.
"Ehi, ehi, piano... piano, piccola!" le disse Sofia, sorridendo. "Che succede? Cosa ti rende tanto felice?"
"Non è impossibile, mamma... capisci? Non è mai stato impossibile!" esclamò la ragazza.
"Cosa non è impossibile, piccola?"
"Recitare, mamma... posso farlo! Posso farlo anch'io!" rispose la ragazza, mettendosi a ridere e piangere allo stesso tempo. Sofia non ci capiva granché, ma l'abbracciò stretta, perché l'unica cosa che le fu perfettamente chiara era che Micaela non era mai stata così felice, prima.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro