Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

-5: Fuori Dalla Mia Finestra-

"Ragazzi!" La voce del professor Michele riscosse entrambi, che si staccarono di colpo.
"Scusi, professore" balbettò Micaela, arrossendo.
"Tutto bene?" chiese l'uomo, conciliante.
"Sì... sì, tutto bene..." continuò la ragazza.
"Se volete, potete entrare... in genere non si fa, ma stavolta ci hanno permesso di allestire un picnic. Per sollevare il morale a Lucia, mi ha detto il medico."
"Sì... sì, certo, professore... arriviamo" disse Luca, anche lui decisamente in imbarazzo.
Fece per prendere la mano di Micaela, ma poi cambiò idea.
Erano entrambi troppo imbarazzati per camminare fianco a fianco. Micaela stringeva l'impugnatura di Toto come un tesoro prezioso, cercando di non assimilare il contatto con le mani del ragazzo come se lui la stesse ancora abbracciando... ma fu praticamente inutile: la ragazza si sentiva ancora sfiorare, anche se in quel momento lei e Luca erano un po' distanti tra loro. Il suo tocco era leggero, delicato, e la sua presa era salda e rassicurante come nessun'altra. E quelle labbra che erano arrivate a pochissima distanza dalle sue... avrebbe tanto voluto che le loro labbra si toccassero... ma che diavolo stava dicendo? Sarebbe stato il suo primo bacio: non voleva darlo ad un ragazzo incontrato da poco, per buono che fosse.
Lei era una ragazza romantica, forse anche all'antica... non pensava che il suo primo bacio dovesse essere quello della persona che avrebbe sposato, ma di una cosa era certa: per fare certe cose bisogna essere sicuri di volerlo... ed era proprio quello che lei si chiedeva: era sicura di volerlo baciare?
Luca sembrava averlo capito. Si vergognava: era stato troppo impulsivo. Lei non era come le altre... era timida, riservata... forse le aveva messo paura, avvicinandosi in quel modo. E poi, maledizione, lui non sapeva se Micaela voleva che la baciasse... non sapeva se lo vedesse come un amico o come altro... e neanche lui era sicuro di poterla definire... sapeva solo che le voleva molto bene e non avrebbe mai imposto ad una persona di fare qualcosa, ancor meno di quel tipo.
Strinse gli occhi e continuò a camminare, cercando di non pensarci, ma più guardava le guance rosse di Micaela, più vergogna provava. Allo stesso tempo, però, starle vicino gli era piaciuto tantissimo... era come abbracciare una bambina, con quella sua innocenza, quel calore che solo lei dava e aveva, quella stretta forte e tenera... e, cavolo, starle così vicino, sentire il suo respiro sul viso, non gli era dispiaciuto affatto.
Rientrarono nella camera d'ospedale. Lucia sembrava essersi tranquillizzata ed era stato allestito un piccolo tavolino con delle vivande per lei e i suoi amici. Micaela, ancora immersa nelle sue sensazioni, andò a sbattere con il fianco contro uno spigolo del tavolo.
"Attenta!" le disse amorevolmente Gabriele. "Cosa ti succede? Non ti senti bene("
"Cosa? Oh, no... è che mi sono distratta" rispose lei, coprendosi il fianco con una mano.
"Ti sei fatta male?" le chiese gentilmente il custode, tirando indietro una sedia e aiutandola a sedersi.
"Solo un po'" rispose la ragazza, avvicinando la sedia al tavolino per stare più comoda.
"Qualcuno ti ha rubato il cuore, angioletto?" le chiese a bassa voce il custode, assicurandosi che solo lei potesse sentirlo.
"No... no, davvero" rispose la ragazza, ma in quel momento le venne qualche dubbio.
Andrea si mise a sedere accanto a lei e le prese la mano.
"Gli piaci" le disse a bassa voce. "E scommetto che anche lui ti piace."
Ed erano salite a quota due, le persone che le avevano instillato quel dubbio.
Micaela alzò la mano destra, facendo il gesto dell'Okay, poi Andrea le passò una scodella di plastica.
Per solidarietà nei confronti di Lucia, avevano preso tutti una pasta immersa in una brodaglia che non era fatta proprio benissimo... ma la compagnia compensava enormemento il cibo di quel convivio improvvisato.
Tutti, compresa Lucia, riuscirono a ridere e scherzare.
"Anche la professoressa Angelica dovrebbe essere inserita nel gruppo" disse Luca, all'improvviso.
"È vero... starebbe bene anche lei, con questo gruppo." si aggregò Kaleb.
Michele e Gabriele si scambiarono uno sguardo... era da un po' che pensavano di fare qualcosa per quei ragazzi... e forse, per certi versi, anche per loro stessi.
Quando fu il momento di andare si erano fatte le sei del pomeriggio.
Gli unici che ebbero il permesso di restare furono Michele e Giorgia, che facevano le veci dei genitori di Lucia... e, secondo Micaela, lo facevano meglio dei genitori biologici.
Micaela, Kaleb, Luca, Andrea e Gabriele salirono a bordo dell'auto e il custode accompagnò i ragazzi a casa, a turno.
Prima di scendere dall'auto, Kaleb appoggiò una mano sulla spalla di Micaela.
"Mi dispiace" disse piano. "Ti ho detto delle cattiverie... non volevo, davvero..."
"Sì, ma erano cattiverie a fin di bene... non mi è mai capitato che qualcuno non mi lanciasse insulti fini a se stessi..."
Kaleb rimase decisamente sorpreso da quelle parole, ma dal tono gentile di Micaela comprese che lei non era arrabbiata con lui... non in maniera irreparabile, almeno.
Luca e Andrea scesero in contemporanea dall'auto.
"Mica... ti posso consigliare un libro?" chiese Andrea, prima di andarsene.
"Certo" rispose Mica. "A me piace molto leggere."
"Si chiama: "Quello che ti rende speciale", di Marci Curtis Lyn" disse velocemente Andrea, stringendole la mano. "Sono sicura che ti sarà utile."
Le diede un bacio sulla guancia, sorridendo, e andò via insieme a Luca.
Micaela scrisse il titolo del libro e il nome dell'autrice in maniera approssimativa. Sperava di cuore che la lettura di quel libro la distraesse da un pensiero che la tormentava da quando aveva lasciato l'ospedale... e che per una volta riguardava lei. Soltanto lei.
"Sei assorta... va tutto bene, Mica?" le chiese Gabriele.
"Sì... sto bene, davvero" rispose lei. Ma lui, che conosceva fin troppo bene le inflessioni della voce della ragazza e il suo modo di tormentarsi le mani quando era nervosa, comprese che c'era qualcosa che non andava.
"A cosa stai pensando, piccola?" le chiese con calma.
"A domani... io non ho fatto niente di male, però... mi vergogno lo stesso."
"Il fatto che tu dica che non hai fatto niente di male è già un bel risultato. Ma... ti vergogni di quello che potrebbero dire di te i professori?"
"Sì... sinceramente sì. Preferisco essere una cieca invisibile, che una carogna che aggredisce a caso la gente quando la giornata le va male. Già m'immagino i sussurri in corridoio, come se fossi sorda invece di essere cieca... e già immagino le frecciatine dei professori... soprattutto quelle della Distasio. Mi credi se te lo dico? Ogni volta che quella donna e i miei compagni mi parlano, mi sento come se un manipolo di Dissennatori mi stesse portando via l'anima."
"Per crederti ti credo... solo che non ho la minima idea di cosa siano."
"Oh, scusami, è vero... sono delle creature di Harry Potter che si nutrono dei sentimenti felici... e alla fine, quando hanno banchettato, ti trovi praticamente senz'anima."
"A me sembri più Oliver Twist, quando qualcuno della scuola di cui non ti fidi si rivolge a te o cerca di diffamarti."
"Ah, certo... del tipo: "Pregate di non essere come Oliver"!" esclamò Micaela, imitando la voce di uno degli antagonisti, che esortava i bambini della "casa di lavoro" in cui abitava Oliver a pregare di non diventare mai come lui. "Comunque, la cosa che mi spaventa di più è l'idea di essere presente all'assemblea."
"Davvero? Guarda che dovresti esserne felice" le fece notare il custode. "Stando lì puoi ascoltare cosa dicono di te e difenderti... e comportarti dalla ragazza coraggiosa che sei."
"In questo caso temo che finirò per deluderti... io non sono coraggiosa..."
"No, non finirai per deludere proprio nessuno, piccola... a cominciare da me. E poi: tu sei molto coraggiosa, molto più di quanto credi. Quello che ti è successo oggi ne è la prova... un'altra avrebbe rinunciato a proteggere l'amica dopo essersi scontrata con quegli idioti che ha per genitori... che mi chiedo come abbiano fatto ad avere una figlia tanto buona."
"Me lo chiedo anch'io." si aggregò Micaela. "E, a proposito di genitori..." La ragazza si strinse il ginocchio: aveva sempre grosse difficoltà nel confidarsi. Cominciò a battersi freneticamente le dita sul ginocchio, poi si decise: "Loro hanno sempre fatto tanto per me... e io non voglio che pensino di non aver fatto nulla di buono... o che li prendano per quelli che difendono i figli a spada tratta, anche se sono degli stupidi bulli di quartiere."
"Per l'amor del cielo... dare a te della bulla di quartiere è semplicemente ridicolo!" esclamò Gabriele. "Devo tenermi il posto, altrimenti giuro che avrei qualcosa da dire ai professori."
"No, non farlo! Se ti mandano via, io come faccio?" gli disse istintivamente Micaela.
"Addirittura? E perché?" chiese lui.
"Perché... perché sei uno dei pochi veri amici che ho." gli rispose lei, in fretta, prima di tornare a chiudersi nel solito silenzio.
Lui non le disse nulla, ma quella confidenza gli aveva fatto piacere.
Quando arrivarono a casa di Micaela, il custode le lasciò un bacio sulla guancia ancora gonfia e le disse: "Copriti un po' il viso... no, non mi fraintendere, sei molto carina, ma non vorrei che i tuoi si spaventassero nel vedere questo... ne avrebbero anche dei buoni motivi, comunque..."
"Accidenti, è vero" dise tra sé Micaela, mentre Gabriele le schiacciava una ciocca di capelli sulla guancia.
"Vedrai, entro un paio di giorni sarà scomparso del tutto" le disse. "È già più sgonfio di prima... mi dispiace tanto di non essere arrivato in tempo."
"Non puoi essere ovunque... prima o poi doveva succedere anche questo" lo rassicurò lei. "Grazie... a domani."
Gli sorrise e scese dall'auto. Teneva stretto Toto così forte da rischiare di farsi male... ma era tesa: non sapeva cosa sarebbe successo se i suoi genitori avessero visto la sua faccia.
Estrasse le chiavi di casa dallo zaino, avendo cura di tenerlo davanti al viso, per sicurezza, aprì il portone e fece le rampe di scala praticamente di corsa.
Appena aperta la porta di casa, s'infilò dentro rapidamente, ma fu costretta a fermarsi sulla soglia quando riconobbe la voce di sua madre.
"Ciao, amore... com'è andata?" le chiese.
"Ciao, mamma... tutto bene... Lucia sta un po' meglio."
"Che cos'hai? Sei agitata?" chiese sua madre, preoccupata.
"No, va tutto bene" rispose Micaela, sorridendo. "Sono solo un po' stanca e gli ospedali non mi piacciono, lo sai."
Sofia era dubbiosa, ma conosceva bene Micaela... sapeva che c'era dell'altro, ma che non gliel'avrebbe detto per non farla preoccupare.
"Ti voglio bene, mamma!" disse senza preavviso, per poi filare in bagno, dimenticando di prendere un cambio, e gettarsi sotto la doccia. Le costava, ma si gettò dell'acqua gelata in faccia, sperando che il segno dello schiaffo rimpicciolisse ancora un po'. Se solo pensava che Lucia doveva sopportare quel dolore tutti i giorni il cuore le si stringeva fino allo stremo.
"Tesoro, hai dimenticato..." disse Sofia, entrando con un pigiama in mano, che le cadde quando vide di sfuggita la guancia rossa di Micaela. "Che ti è successo?"
"Oh, questo!" esclamò Micaela. "Non è nulla, davvero... fa un po' male, ma si sta già sgonfiando..."
"Chi te l'ha fatto, Mica?" chiese Sofia. Micaela tirò la tenda, per coprirsi, mentre sua madre si sedeva sulla cesta dei vestiti da lavare.
"Non importa... tanto sarà dietro le sbarre a breve, quell'animale." rispose Micaela, senza un minimo di compassione nella voce. Non poteva provare niente del genere per una persona che aveva riservato alla sua migliore amica il trattamento che aveva riservato a lei... con la differenza che quelle carognate Lucia doveva sorbirsele tutti i giorni.
"E sulle braccia? È stata sempre la stessa persona a riempirti di lividi?"
"No, mamma... è stato uno scontro tra streghe, quello" rispose Micaela, stavolta tranquillamente.
Per Carlotta sì che provava pena... era una bambina insicura, come lei, con la sola differenza che non lo esternava e finiva per esplodere facendo cattiverie.
"Piccola... non sai quanto mi dispiace" sussurrò Sofia, e Micaela la vide piangere, cosa che la donna non faceva da tanto tempo. "So cosa penserebbe la tua insegnante, se ti difendessi... ma non m'importa. Io lo so che non avresti mai alzato le mani su una ragazza, se non per difenderti..."
Micaela, per l'ennesima volta, ricollegò quella scena ad Harry Potter, lacrime a parte. "Tu sei innocente..." "E tu lo sai... questo è quello che conta." E, d'istinto, tese la mano bagnata verso sua madre, sorridendo, e disse: "Non mi deve importare di cosa pensano la Distasio e altri professori. Non tutti, ma quasi. In fondo, io a loro non voglio bene... invece di te m'importa, mamma... e non avrai bisogno di difendermi, domani. Andrà tutto bene."
Sofia era commossa: conoscendo Micaela quella storia le bruciava più dei lividi che aveva "collezionato" in due giorni, ma la sopportava con un sorriso, con ottimismo... e sembrava così tranquilla, anche se in realtà non lo era per niente.
Quella sera, infatti, Micaela fu tormentata da incubi al limite dell'assurdo. Sognò di essere addirittura in un'aula di tribunale, con la Distasio come giudice... e quando si svegliò, era nel panico più assoluto.
Il giorno dopo aveva una faccia stravolta, tanto che vi gettò sopra dell'acqua gelida per svegliarsi del tutto.
Suo padre non le fece domande sul segno. Sofia gli aveva già raccontato tutto, pregandolo di non dirle niente: doveva essere stata già abbastanza dura parlare con lei, dopo quello che aveva notato... e l'uomo fu molto discreto.
"Vuoi che ti accompagnamo, Mica? Visto che Lucia non c'è, voglio dire..." fu l'unica domanda che le fece.
"No, papà... grazie mille" rispose la ragazza, cercando di mostrarsi serena. "La scuola è a poca distanza... metterò il navigatore, così non sbaglierò strada... prima o poi sarebbe successo anche questo, no?"
I due si guardarono, indecisi... poi accettarono, ma decisero di seguirla a distanza. Micaela era nervosa e andarsene in giro da sola con una notte quasi insonne sulle spalle e l'ansia alle stelle non era il massimo.
Mentre usciva, Mica ricevette un messaggio.
Numero sconosciuto: "Ehi Mica, sono Andrea... Luca mi ha raccontato quello che è successo a scuola... non preoccuparti: tu non hai fatto niente di male... dovranno crederti per forza."
Mica scrisse velocemente una risposta.
"Ehi, ciao Andrea... grazie... sei stata carina a preoccuparti, ma non dovevi... io sto bene, davvero... spero di rivederti presto... ti mando un abbraccio enorme. Grazie."
"Accidenti, i libri!" esclamò Micaela, tornando indietro per prendere lo zaino con i libri. S'infilò il cappotto e si caricò lo zaino in spalla per poi impostare il navigatore e prendere Toto con la mano libera.
Appena uscita dal condominio, ebbe la sensazione che il gelo le attraversasse le ossa più del solito.
La voce asettica del navigatore le indicava la strada e lei seguiva le istruzioni meccanicamente. Era nervosa, più di quanto non volesse confessare persino a se stessa.

[Dovrebbe esserci un GIF o un video qui. Aggiorna l'app ora per vederlo.]

"Apro gli occhi e il Sole sta già qua
fuori dalla mia finestra.
Sento mille voci ridere
questa sera c'è una festa.
Gli uomini e le donne ballano,
con il pane e il vino brindano.
È la primavera o forse no,
è la guerra che finisce.
Apro gli occhi e tu sei qui con me
splendida giornata, questa.
Senti questa musica cos'è
questa sera c'è una festa.
Gli uomini e le donne balano,
io voglio ballare insieme a te.
È la primavera o forse no,
è la guerra che finisce.
Non so come si fa...
a salvare il mondo."
Mentre camminava, Micaela prese a ripetere le parole di quella canzone muovendo soltanto le labbra. Quelle parole riuscivano sempre a calmarla, specialmente il ritornello: "È questa la verità... solo l'amore ci salverà." Quando era nervosa per qualche motivo, nella sua playlist c'era sempre Alex Baroni con la sua: "Fuori dalla mia finestra", che le tirava su il morale.
"Fra duecento metri svoltare a destra."
Il navigatore riscosse Mica dai suoi pensieri. La ragazza s'infilò in un tratto di strada coperto da una fila di paletti, per evitare di trovarsi in mezzo alla strada, e si concentrò sui rumori che la circondavano: quello della rotellina di Toto contro i pali di ferro, lo sfrecciare delle auto, le voci dei passanti... la voce di Luca... ma... la voce di Luca?
"Non sta bene che una ragazza così carina e così dolce se ne vada a scuola tuta sola!" aveva esclamato il ragazzo... e sembrava che si stesse avvicinando a lei.
"Luca? Ma come...? Che cosa fai qui?"
"Sono venuto a prenderla, signorina Ferrante." rispose lui, facendola arrossire.
"Lo sai che sono pochi, quelli a cui concedo di chiamarmi per cognome, vero?"
"Per la precisione siamo solo in due... io e Gabriele."
"È vero... ma come fai a saperlo?"
"L'ho sentito che ti chiamava così, e tu non hai cambiato faccia... non in senso negativo, almeno..."
"Ma... perché sei venuto a prendermi?"
"Mi dispiaceva farti fare la strada da sola... o farti chiedere ai tuoi di accompagnarti... so che ti costa molto."
"Non gliel'ho chiesto" rispose lei esitante.
"No, infatti... ma avresti potuto farlo... e comunque sono un po' più indietro rispetto a noi."
Micaela sospirò. Avrebbe dovuto immaginarlo: in fondo avevano ragione... era la prima volta che usciva da sola, senza qualcuno che guardasse... e aveva apprezzato il fatto che i suoi l'avessero seguita a distanza.
"Coraggio, andiamo" le disse Luca, conciliante. "Se ti senti in imbarazzo, puoi anche proseguire con Toto... io ti camminerò accanto... d'accordo?"
"Va bene, Cavalier Aka7Even" rispose lei, sorridendogli. "Allora puoi camminarmi accanto."
Micaela immaginava che anche lui si sentisse leggermente in imbarazzo per quello che era successo il giorno prima.
Camminarono in silenzio fino all'entrata dell'edificio scolastico. I bisbigli all'arrivo di Micaela non tardarono a farsi sentire.
"Ma davvero? Davvero quella ragazzina ha fatto quelle cose?" "Hai capito la piccola cieca? Fa tanto la santarellina e poi..."
"Ignorali" sussurrò Luca. "Sono un branco di idioti..."
"Lo sto già facendo, tranquillo" rispose Mica. "Non ho bisogno di altri guai, adesso."
"Buongiorno, signorina Ferrante" disse una voce a poca distanza. "Ha visto chi è venuto a prenderla?"
"Signor... cioè, Gabriele! Buongiorno!" esclamò lei, sorridendogli.
"Come stai?" le chiese lui.
Micaela esitò: con lui non riusciva a fingere.
"Ti vedo allegra... ma scommetto che c'è dell'altro."
"Infatti è così. Voglio dire: sono felice che Andrea mi abbia scritto, che Luca sia venuto a prendermi, di avere un amico che mi tira sempre su il morale..." E strinse la mano all'uomo, per lasciargli intendere che l'ultima cosa era riferita a lui. "Però non sono allegra... cerco di non essere triste... ma non mi riesce bene."
"Credimi se te lo dico... vorrei combatterla al posto tuo, questa battaglia, ma sarebbe come voler litigare con i mulini a vento."
"Povero don Chisciotte!" esclamò Micaela, immaginando quella scena che aveva letto tante volte. "Anche se io mi sento più lui quando cerca di spiegare ai suoi cari che quel suo mondo folle lo faceva sentire vivo... e nessuno gli crede, poverino. La verità è che ho una paura tremenda. Sono una codarda."
"Ma, Micaela..." balbettò Luca. "Non è vero! Se qui c'è una codarda, quella è lei!" E, dimenticando che la ragazza non poteva vederlo, Luca puntò il dito in direzione di Carlotta. Poi, a voce alta, disse: "Di' un po', Malfoy al femminile, ti diverti tanto a dire bugie, ad inventare cose che  non esistono per umiliare gli altri?"
In un altro momento Micaela avrebbe riso di cuore a quell'uscita, ma quel giorno era preoccupata.
"Luca, lasciala perdere... tanto in ogni caso oggi si chiarirà tutto... in un modo o nell'altro."
"Nel modo giusto" la rimbeccò Luca. "Altrimenti la rivolto, questa scuola!"
"Va bene, d'accordo Luca, calmati" gli disse la ragazza, posandogli una mano sul braccio destro per trattenerlo.
Luca, quasi la ragazza avesse un'aura speciale, fu attraversato da un senso di calma quando Micaela gli toccò il braccio. Forse, il fatto che lei non facesse una piega, almeno all'esterno, nonostante stesse lottando con se stessa per non mettersi a gridare, gli diede l'impressione che se lui avesse agito d'impulso avrebbe buttato al vento gli sforzi che lei stava facendo.
"Lo vedi perché ti dico che questa signorina è un angelo sceso in terra?" gli disse Gabriele.
Micaela non rispose, ma ebbe l'impressione che i suoi amici le avrebbero dato la forza di affrontare il corpo docente e la famiglia di Carlotta.
"Ehm... salve..." disse una voce femminile che Micaela non conosceva bene, ma che le sembrava familiare. "Scusate, io... io volevo dire una cosa a Micaela..."
"Ciao..." ricambiò Micaela. "Scusami, però... ecco, io... io non ricordo..."
"Quando ci siamo incontrate" l'anticipò l'altra. "Io... io sono Claudia... quella che viene chiamata "palla da bowling"!"
Luca strinse i pugni. Ma chi gliel'aveva fatto fare, d'iscriversi a quel liceo di idioti spocchiosi che facevano i bulli di quartiere con chiunque non fosse fatto con lo stampino?
"Una volta mi hai difesa... e volevo che sapessi che io non credo a quella storia che raccontano in giro."
La ragazza stava tremando, e quando Micaela cercò la sua mano, lei parve sfuggirle, perché non voleva farle notare che aveva le mani sudate.
"Forse non te ne farai niente di quello che ti ho detto, ma..."
"Grazie" disse invece Micaela, sorridendo e riuscendo finalmente a prenderle la mano. "È molto importante, invece."
"Davvero?" chiese la ragazza.
"Ma certo!" rispose Micaela.
Claudia rimase lì ferma per un paio di secondi, poi sfilò la mano dalla stretta rassicurante della ragazza che, tempo prima, l'aveva difesa. Ricordava la frase che aveva usato: "Voi dovreste aver paura di quella che chiamate "palla da bowling", non deriderla... perché siete un branco di birilli." Loro naturalmente non capirono cosa intendesse, ma per la ragazza quella frase fu di grande conforto. Prima di tornare indietro, poi, Micaela aveva cercato la ragazza.
"Ehm... sei ancora lì, vero?" le aveva chiesto, non conoscendo il suo nome.
"Sì" aveva risposto lei, esitante. Micaela le si era avvicinata e le aveva detto: "Se riesci a fare ironia su te stessa, vedrai che non ti peserà come adesso."
Claudia ancora non ci riusciva, a fare dell'autoironia senza esitare, ma le era capitato di sentir parlare di Micaela proprio per questa. Ad eccezione di Carlotta, molti bulli avevano smesso di deriderla, vedendo che le prese in giro non le facevano effetto... non sul tema cecità, perlomeno.
"Hai visto, Micaela?" le disse Gabriele. "Non tutti ascoltano la campana sbagliata."
"Sì... e ne sono felicissima" rispose lei. "Grazie anche a voi... ad entrambi, voglio dire."
"Noi non sapremmo che fare senza di te." le disse Luca.
"Smettila, che me la fai cadere per terra, così!" gli disse Gabriele con il solito tono giocoso. "Luca, vai avanti con lei... io vi seguirò da lontano, così non cominceranno a fare il terzo grado a questa povera creatura." E appoggiò la mano sulla spalla di Micaela al: "Povera creatura", per farle intendere che si riferiva a lei, non tanto per gli occhi, ma perché era più sorvegliata di tutti i prigionieri di Azkaban messi insieme.
Nel corridoio i sussurri diventavano via via più insopportabili. Micaela cercò di estranearsi, ma ci riusciva a stento... e doveva anche trattenere Luca, che, avendo assistito alla scena, ad ogni parola cattiva rivolta a Micaela ribolliva di rabbia.
Arrivarono all'ingresso dell'aula di Luca, che, a malincuore, lasciò la mano della ragazza.
"Ore tre!" esclamò Gabriele, un po' lontano da lei. La ragazza ci pensò un attimo, poi si voltò verso destra e camminò spedita fino all'ingresso della sua classe.
"Ehi! Fa' finta di dover fare uno spettacolo... anche qui è buona la prima... la vita è un teatro. Pensa soltanto a come ti sei sentita l'altro giorno, d'accordo?"
"Grazie del consiglio, signor... oh, scusami, Gabriele!" gli disse Micaela. "Ma tu ci sarai, vero?"
Subito dopo si rese conto di aver detto una sciocchezza. Lui doveva lavorare, fare su e giù per la scuola come al solito, star dietro a tanti studenti... non poteva chiedergli di occuparsi esclusivamente di lei.
"Scusami" sussurrò, mentre sistemava lo zaino. "Io vorrei che i miei amici mi stessero accanto..."
"E questo è molto bello" le disse lui, sorridendo. "Farò il possibile... anzi: FAREMO il possibile. Non ti potrò portare Andrea, lei va in un'altra scuola, e Lucia è in ospedale, lo sai, ma io, Luca e Kaleb in qualche modo saremo lì con te..."
"No... no, dimentica tutto, davvero! Ci manca solo che anche voi tre finiate nei guai per colpa mia, no!"
Visto che nessuno si decideva ad entrare, Gabriele prese una sedia e si mise di fronte a lei.
"Per il peso che ti carichi sulle spalle in continuazione, amore mio, nessuno riuscirebbe a ridere e scherzare come fai tu... e comunque, è colpa dei veri ciechi, se qualcuno di noi finisce nei guai... se tu stessa sei finita nei guai."
"I... veri ciechi?"
"Sì... un saggio dice che il peggior cieco è chi non vuol vedere... e guardando te, vedo che è vero... accidenti, tu sei sempre così gentile, anche con una persona che ti ha fatto del male... mi puoi credere se te lo dico: io stesso avrei perso il controllo se qualcuno avesse detto delle cose del genere di me."
"Scusami, ma... un favore devo chiedertelo."
"Sarebbe a dire?"
"Luca e Kaleb... sono molto impulsivi e ho paura che si mettano nei guai. Kaleb è stato già sospeso, Luca è stato buttato fuori. Alla prossima manderanno a prendere i loro genitori con gli elicotteri."
"Stai tranquilla... farò del mio meglio per tenerli d'occhio... non ti garantisco niente, ma farò tutto il possibile... anzi: anche l'impossibile!"
"Grazie, grazie! Non so davvero come ringraziarti!" esclamò la ragazza, sentendosi decisamente sollevata.
"Mi raccomando: cerca di restare calma anche tu... so che lo farai, ma per sicurezza te lo devo dire."
"Promesso!" gli disse lei.
I ragazzi della quinta B stavano iniziando ad entrare e per la terza volta, alla vista di Micaela i sussurri si fecero sentire.
"Sei in un teatro... sulle tavole magiche..." pensò Mica, stringendosi forte le ginocchia con le mani. "È il primo spettacolo della tua vita... il primo in assoluto. Ti batte forte il cuore... e questi sussurri sono di un pubblico che non ti conosce."
Le parole che le dicevano la ferivano, ma immaginare il tutto in un teatro, anche se non aveva mai fatto uno spettacolo in tutta la sua vita, parve tranquillizzarla... le cose che ti appassionano, in fondo, sono quelle che ti permettono di superare gli ostacoli.
Per fortuna, in prima ora c'era la professoressa Angelica... sembrava che lei le credesse.
"Allora, ragazzi... mi sembra che Micaela senta lo stesso... parlate un po' più forte, per favore!" disse, per togliere dall'imbarazzo la ragazza. Si avvicinò al suo banco e le si mise di fronte. "Come stai, Micaela?"
"Sto bene, professoressa... grazie, davvero" rispose timidamente la ragazza.
"Ma perché lo chiede a lei, come sta?" chiese Carlotta. "Non ha visto cosa mi ha fatto?"
"Ho visto il segno che hai tu in faccia e quello che ha lei... a te l'hanno chiesto in tanti, come stai... qualcuno dovrà chiederlo a Micaela."
La ragazza si affrettò ad appiattirsi i capelli sulla guancia, ma ormai era tardi.
"Di' un po': ti ha schiaffeggiata tua madre o tuo padre per quello che hai fatto?" domandò Sabrina, la migliore amica di Carlotta.
"No, mi ha schiaffeggiata un estraneo" rispose la ragazza, "e non certo per la storia della povera Carlotta."
"E Lucia?" continuò Sabrina. "Non verrà neanche oggi?"
"Lucia è in ospedale!" rispose la professoressa Angelica, vedendo Micaela stringere i denti dalla rabbia.
"Ce l'ha mandata la povera non..." iniziò Carlotta, ma fu fermata appena in tempo.
"Non... un'altra parola su questa storia, Carlotta!" disse perentoria la professoressa. Non aveva alzato la voce, come era nel suo stile, ma quel tono glaciale, seppur calmo, fece ammutolire tutti.
Durante tutta la lezione di storia dell'arte non ci furono più cenni alla storia di Micaela e Carlotta e Mica ne fu decisamente sollevata.
L'ora di filosofia non fu altrettanto tranquilla.
La professoressa, che già di regola Micaela non sopportava, risultò ancora più antipatica del solito. Entrò in classe con il suo passo sicuro e, con quella voce stridula e nasale che il cielo le aveva dato, disse: "Buongiorno, ragazzi... oggi non verrete interrogati, perché ritengo che l'argomento di cui parleremo oggi sia molto più importante."
Naturalmente, dopo il: "Non verrete interrogati", tutti avevano tirato un sospiro di sollievo.
L'unica che non era riuscita a distrarsi era proprio Micaela... con quel tono, già immaginava dove la donna volesse andare a parare.
"Vi è mai capitato di avere a che fare con una persona... diversamente abile?"
Diversamente abile, Micaela non lo sapeva... ma di "diversamente intelligenti" ne conosceva a milioni!
"Ce l'abbiamo in classe" rispose Carlotta, che aveva trovato un'occasione per rigirare il dito nella piaga.
Micaela continuava a ripetersi tutti i consigli che aveva ricevuto dai suoi genitori e dai suoi amici, e quelli funzionavano a stento. Sentiva che se quel dannatissimo intervallo, durante il quale ci sarebbe stato l'incontro con i suoi genitori, non fosse arrivato il prima possibile, tutta la sua buona volontà se ne sarebbe andata a quel paese.
"Vorrei che sapeste che l'essere diversi non dà il diritto di fare quello che si vuole" continuò l'insegnante, e Micaela era certa che la stesse guardando mentre parlava, ma fece finta di non accorgersi di nulla.
La donna, imperterrita, andò avanti: "Avere un difetto non ci dà il diritto di mettere le mani addosso ad un'altra persona. Qualunque cosa accada, bisogna sempre cercare di evitare la violenza. Ma soprattutto: se una reazione del genere è immotivata, è ancora peggio..."
La donna stava letteralmente parlando a vanvera, ma Micaela fece caso ad un dettaglio: per lei la cecità era un "difetto", non una semplice caratteristica. Un difetto... lei era... difettosa... e anche se non aveva fatto niente di male, in quel momento sentiva che quelle parole erano vere. Lei era difettosa, non per gli occhi, ma perché era troppo fragile, troppo buona, troppo sciocca per riuscire ad andare avanti in quel contesto... era difettosa perché si vergognava di qualcosa che non aveva fatto... era difettosa perché permetteva al farfugliare di quella donna di martellarle con violenza nella testa e scavarle dentro fino a farle male... perché, sì, quelle parole le facevano terribilmente male.
Purtroppo per lei, la professoressa andò avanti in quel modo per tutta l'ora, con i compagni che, a turno, bisbigliavano: "Hai sentito, Micaela?"
Ogni volta che loro rimarcavano, quelle parole le provocavano dolore. Avrebbe voluto piangere, ma non poteva farlo... non voleva che i suoi compagni avessero anche la soddisfazione di vederla in lacrime. Continuò a far finta che quelle cose non riguardassero lei, ma ci fu un momento, verso la fine dell'ora, in cui non poté più far finta di essere una semplice spettatrice.
"Tu sei l'unica che non ha detto nulla, Micaela." disse la professoressa. "Hai forse la coda di paglia?"
"Direi di no, professoressa. Non intervengo semplicemente perché non lo ritengo opportuno... non ho nulla da esaminare."
"Nulla da esaminare?" ripeterono i compagni.
"Nulla da esaminare" ripeté tranquillamente Micaela. "E poi... io non sono religiosa, ma su una cosa sono d'accordo con il Vangelo: chi è senza peccato, scagli la prima pietra. Ora fate un po' voi... e, a proposito: non è molto cortese girare intorno alle cose!"
Quando giunse il momento dell'assemblea, Micaela estrasse Toto dallo zaino.
"Hai intenzione di tirarlo addosso a qualcun altro, quel coso?" chiese la professoressa.
"Niente del genere, professoressa... mi occorre semplicemente per camminare da sola." rispose Micaela, cercando di usare un linguaggio forbito e un tono pacato, anche se la donna si comportava come se non avesse mai visto una ragazza cieca in tutta la sua vita.
Raggiunsero il corridoio. Micaela era letteralmente terrorizzata e si sentiva addosso più sguardi di quanti ne potesse sopportare.
Poi, mentre camminava, percepì una mano fresca che si posava sul suo braccio... fresca, non fredda come quella della Distasio.
"Andrà tutto bene."
"Professoressa Angelica!" esclamò la ragazza, riconoscendo quella voce.
"Io non credo che tu abbia davvero fatto quelle cose, Micaela" disse sottovoce la donna. "Ti prometto che farò in modo che finisca nel migliore dei modi."
"Sono d'accordo anch'io" disse un'altra voce alle spalle della ragazza. Era il professor Michele!
"Grazie ad entrambi" sussurrò Mica. "A... a proposito... Lucia? Come sta? Come ha passato la notte?"
"Non ha avuto la febbre per metà della notte... per l'altra metà, non ha toccato temperature eccessive... sta molto meglio, tranquilla."
"Non sa niente di questa storia, vero?"
"No, non preoccuparti. So che si agita quando ti succede qualcosa. Non le ho detto nulla dell'incontro" la rassicurò il professore. "Coraggio, ora andiamo... i tuoi ci stanno aspettando."
"L'accompagnerò io" disse la Distasio, facendo l'atto di prendere la mano di Micaela... ma la ragazza si bloccò sul posto.
"Non scappo, se è questo che la preoccupa. Non voglio che mi accompagni" disse. Avrebbe voluto dire: "Non voglio che mi tocchi", ma era già nei guai... non avrebbe dovuto esporsi nemmeno in quel modo... ma, stranamente, la Distasio non le diede della maleducata per quello... eppure aveva punito degli studenti per molto meno!
Le camminò vicino: Micaela sentiva il gelo della sua presenza, ma non le prese la mano. Per evitare che la donna si girasse ogni tre secondi per vedere se era ancora lì, batté forte il bastone sul pavimento, per annunciare la sua presenza... e anche per sfogarsi.
"Perdonami, Toto."
Lo pensò soltanto, ovviamente... se l'avessero vista parlare con un oggetto, l'avrebbero ricoverata direttamente... ma Toto era parte di lei, quanto, e forse più di quanto avrebbe potuto esserlo un cane-guida... nel suo caso specifico, ovviamente.
Si fermarono all'ingresso della sala professori. La ragazza avvertì un calore familiare sulla spalla, ma prima che si voltasse per far capire che non era sicura di chi fosse, una voce gentile e con una leggerissima sfumatura roca le disse: "Va' dentro, Micaela... non hai niente di cui vergognarti. Io vado a tenere d'occhio i tuoi amici, tranquilla."
Micaela sorrise, rimanendo in silenzio, ma per il custode fu sufficiente.
Se Carlotta si era ispirata a qualche storia per adolescenti per orchestrare quella trappola per Micaela, aveva sbagliato i conti. La ragazza camminava a testa alta, sorrideva, anche se probabilmente il suo unico desiderio era scoppiare in lacrime... e continuava a preoccuparsi più per i suoi amici che per se stessa.
Tornò indietro, ma i due ragazzi non erano in classe.
"È già entrata, vero?" chiese Luca, stringendo gli occhi.
"Sì, è entrata" rispose Gabriele.
"Come sta?" chiese Kaleb.
"Come starebbe chiunque dopo una cosa del genere, Kal" rispose Gabriele.
"Io non la posso lasciare da sola!" esclamò Luca, scattando in avanti.
"Ma dove vuoi andare? Fermati, maledizione, fermati!" esclamò il custode, rincorrendolo insieme a Kaleb... ma Luca si era già appostato fuori dalla sala professori.
Micaela era entrata. L'avevano fatta sedere tra i suoi genitori, ma la ragazza non osava tendere le mani verso di loro per cercare aiuto. Non voleva che li considerassero dei rammolliti che difendono una figlia anche quando si comporta male.
"Immagino che voi sappiate perché siete qui... anche se forse non sapete come sono andate esattamente le cose" disse la Distasio.
"Micaela ce l'ha raccontato" disse Sofia, istintivamente. Guardò la figlia: la sua espressione era tesa e rigida, ma la ragazza se ne stava lì, tranquilla e composta, anche se quegli sguardi le davano fastidio.
"Allora non saprete tutto, probabilmente" disse la prof di filosofia.
"Ma chi si crede di es..." proruppe il padre della ragazza, ma lei rivolse il viso verso di lui e, con una calma spiazzante per i professori, disse: "Va tutto bene, papà... è giusto che ascoltiate l'altra campana."
Luca, dietro la porta, tratteneva il respiro. Si sentiva impotente, in quel momento... Micaela poteva cavarsela da sola, ma lui, che aveva assistito all'aggressione, non sopportava l'idea di non poter fare niente.
Gabriele e Kaleb, alle sue spalle, lo guardavano preoccupati.
"Per favore, Luca... spostati da lì!" sussurrò Kaleb cercando di tirarlo via. "Lo sai che quello che sentirai non ti farà piacere, spostati!"
E, come volevasi dimostrare, Charlotte iniziò a piangere e a raccontare che "Micaela le aveva chiesto di rimanere da sola con lei in classe, aveva iniziato ad insultarla pesantemente e le aveva lanciato contro il bastone... quello che usano i..."
"Maledetta stre..."
"Shhh" gli sussurrò l'amico, mentre Gabriele lo tratteneva per una spalla, impedendogli di entrare... ma non sarebbero bastate dieci persone a bloccare Luca, in quel momento.
Carlotta continuò a raccontare, dicendo che il bastone si era sfasciato perché lei l'aveva schivato, e Micaela si era arrabbiata a tal punto da afferrarla e tirarle uno schiaffo in pieno viso.
A quel punto Luca entrò come una furia e ci fu ben poco da trattenere.
"Bugiarda! Maledetta bugiarda! Non è vera una parola di quello che hai detto, strega!"
"Luca..." sussurrò Micaela, spaventata. "Che cosa ci fai qui?"
"Luca, vieni via!" lo richiamò Gabriele, ma il ragazzo non si mosse.
"Non posso permettere che questa piccola carogna continui a raccontare queste cose che non stanno né in cielo né in terra!" esclamò Luca, fuori di sé. "È stata lei a fer..."
"Marzano, fa' silenzio e vattene!"
La Distasio si alzò dalla sedia, puntandogli un dito contro.
"Luca... per favore, vai!" disse piano Micaela.
"Io non voglio che questa stre..."
"E finiscila, accidenti!" esclamò Kaleb, tirandolo indietro. "Non lo vedi che così la fai agitare? Vieni via di lì!"
"Non..."
Ma Gabriele l'aveva trattenuto per l'altro braccio.
Luca sembrava un folle: avrebbe ditrutto la sala professori, se non l'avessero fermato.
"Luca, va' con loro" disse piano Micaela. "Ti prometto che andrà tutto bene... vai... falo per me, per favore!"
A quelle parole il ragazzo finalmente si calmò e si lasciò portare fuori dai suoi amici, che lo reggevano come se fosse stato in trance.
Si chiusero nella classe di Luca e Kaleb, che era deserta.
"Ma che ti è preso? Ti ha dato di volta il cervello?" gli chiese con rabbia Gabriele. Luca rimase immobile: non gli era mai capitato di vederlo arrabbiato per qualcosa. "Ma non lo capisci che così peggiori le cose?"
Il ragazzo scoppiò in lacrime.
"Ehi... scusami, non volevo che..." gli disse incerto il custode. "È che fa rabbia anche a me e visto che mi capita raramente, quando succede faccio fatica a frenarmi... non volevo..."
"È colpa mia" disse Luca, tra un singhiozzo e l'altro. "Lo capite che è colpa mia? Quella serpe le ha dato addosso perché è mia amica... non è giusto!"
"Amico, non è colpa tua" gli fece notare Kaleb. "Quella ragazza è cotta di te e tu non sei il tipo che sta con una ragazza tanto per farlo... per questo Micaela ti vuole bene."
"Lo sapete cosa mi ha detto, prima che iniziassero le lezioni?" chiese con calma il custode. L'espressione contratta era completamente sparita e il suo viso era di nuovo disteso e illuminato da un sorriso benevolo, come i ragazzi lo ricordavano. "Mi ha chiesto di stare attento a voi... non vuole che qualcuno finisca nei guai per difenderla."
"Ti rendi conto?" singhiozzò Luca. "Lei si preoccupa per me... e io rovino sempre tutto, maledizione, tutto! Sono un disastro!"
"Sei una testa calda, più che un disastro... ma sei un bravissimo ragazzo. A un altro non sarebbe nemmeno passato per la testa di difendere una ragazza emarginata o trattata come una stupida, una criminale o... non lo so, accidenti! E se sapeste cosa voleva fare la vostra insegnante! La voleva tenere per la manina, per impedirle di andarsene... ha proprio ragione, povera Micaela: quella donna si ricorda che è cieca solo quando le fa comodo."
Detto questo, con calma, si avvicinò alla porta.
"Facciamo una cosa" disse, "se mi promettete di non fare mosse avventate torniamo lì, per sostenerla... che ne dite?"
I ragazzi si alzarono. Sapevano che avrebbero sentito cose che non sarebbero andate loro a genio, ma si fermarono comunque vicino alla porta. Gabriele, che avendone subite di tutti i colori in passato era riuscito a fornirsi di una buona dose di pazienza e lucidità, si occupò di tenere tranquilli gli altri due, nonostante la rabbia che provava nel sentire quello che si diceva di Micaela.
La ragazza, intanto, era rimasta sorpresa dal fatto che l'unica altra persona, oltre a lei e ai suoi genitori, che era rimasta in silenzio, era proprio la madre di Carlotta.
"Dovreste consultare uno psicologo." disse la Distasio. "Lo sportello della scuola è ottimo... e quanto alla punizione, suggerisco che venga sospesa dalla scuola e le vengano proibite le gite scolastiche."
In quel momento Micaela avrebbe voluto aver fatto veramente qualcosa di sbagliato, se non altro perché per lei essere esentata da quelle strazianti gite scolastiche sarebbe stato un sollievo, più che una punizione... non dover più sopportare descrizioni dalla durata interminabile, non doversi sentire un fardello sulle spalle dei compagni, non dover più sopportare che quasi tutti i professori, sia di ruolo che di sostegno, le stessero col fiato sul collo tutto il tempo, sarebbe stata una liberazione.
"Anch'io spingerei sulla psicologia" si aggregò l'insegnante di sostegno. "È come se non si accettasse... non ha neanche voluto la palla sonora, che per i ciechi è ottima."
Almeno le aveva fatto il favore di dire "ciechi" e non altre cose.
"Professoressa, la informo del fatto che non tutti i ragazzi solo uguali solo perché hanno una caratteristica in comune" disse Sofia. "Micaela non voleva quella cosa, e l'ha detto più volte, perché il rumore che faceva la mandava in confusione, invece di aiutarla... anche una palla che rotola sul pavimento o viene afferrata da qualcuno fa rumore... non c'è bisogno di campanellini. Invece non le avete procurato delle cose utili come una tavola periodica decente o una rappresentazione fatta bene del corpo umano... è stata costretta a portarsela da casa a scuola per mesi. E meno male che facevamo la collezione, altrimenti non avrebbe avuto modo di vedere quello che stava studiando..."
"Ma se voi stessi non accettate il fatto che la ragazza non veda, come pretendete che lo faccia lei? Perché le dite la parola "vedere"?" riprese con voce stridula la docente di sostegno.
"Ma siamo sicuri che tutte queste cose siano vere?" intervenne il professor Michele. "Micaela, potresti darmi un secondo il tuo bastone?"
La ragazza, che aveva torturato la corda fino all'inverosimile, tese la mano tremante che reggeva Toto. Non aveva osato rispondere a quelle teorie ridicole che quasi tutti i docenti avevano formulato in sua presenza, parlando di lei come se non fosse lì... ma sua madre, che la viveva ventiquattr'ore al giorno, aveva risposto per le rime, anche se sembrava che parlasse a vuoto.
Il professor Michele lanciò Toto contro il muro per poi raccoglierlo e restituirlo alla ragazza, perfettamente integro.
"Non conosciamo così bene gli oggetti di uso quotidiano di Micaela, a quanto pare" disse, puntandosi un dito sul petto, anche se il suo sguardo era rivolto agli altri docenti e a Carlotta, che continuava a singhiozzare in modo esagerato... fin troppo marcato, per i gusti di Micaela.
"Ha ragione" si aggregò la professoressa Angelica. "Un bastone che serve per segnalare ostacoli non si distrugge perché la sua proprietaria lo lancia addosso a qualcuno, sbagliando mira, tra l'altro."
"Lei che ne dice, signora?" chiese la Distasio, rivolta alla madre di Carlotta, che fino a quel momento era rimasta in silenzio.
"Dico che dovremmo smettere di parlare di questa ragazza come se non esistesse" disse con calma. "Dimmi, Micaela... il bastone che hai ora è lo stesso che avevi prima?"
"Sì, è lo stesso" rispose Micaela, non capendo perché.
"L'ha riparato qualcuno?" chiese la professoressa Angelica.
"Sì, l'ha riparato il..." iniziò la ragazza, prima che tre colpi battuti alla porta la esortassero a fermarsi.
"È permesso?" chiese una voce familiare.
"Gabriele!" esclamò Micaela, sorpresa.
"Scusate per l'irruzione di prima, ma vorremmo intervenire anche noi" continuò il custode, mentre anche altre due... anzi: tre persone, entravano nella stanza. "Io ho riparato il bastone di Micaela... e non è stato affatto lanciato." Tirò fuori da una tasca un oggetto... prese la mano di Micaela e glielo fece sfiorare. Erano i pezzi della vecchia corda che teneva insieme il suo Toto. "Questa è stata tagliata, non lanciata... e il bastone è un po' ammaccato, perché qualcuno ci ha camminato sopra... e oltre a questo..." Si avvicinò a Micaela e le scoprì il viso dai riccioli scomposti. "Ieri sera, in ospedale, sono venuti i genitori di Lucia... lei ha cercato di difenderla... e il padre di Lucia le ha fatto questo." Micaela poté udire distintamente il respiro di sua madre che si bloccava. "E questi lividi, poi...?" Gabriele fece per scoprirle le braccia, ma Micaela si alzò di scatto.
"No... no, ti prego, non voglio... mi vergogno di..."
"Va bene, se non vuoi non ti scoprirò le braccia... ma non hai niente di cui vergognarti... ce la fai a stare in piedi, Micaela?"
"Sì... sì, ce la faccio."
A sorpresa, la Distasio scattò, afferrò la ragazza per un braccio e le alzò le maniche del maglione.
"Mi lasci!" esclamò lei. "Non voglio che mi tocchi, mi lasci!"
"Di' un po': come te li sei fatti, questi?" chiese la donna, glaciale.
"Mi lasci!" esclamò la ragazza. Sentiva la stretta aumentare, anche se tecnicamente la donna non stava stringendo la presa.
Era come per Carlotta: Micaela si sentiva in trappola.
"Basta!" esclamò il padre di Micaela, vedendola agitarsi.
"Lo vuole sapere com'è andata(" chiese Gabriele. "Rovesci la storia che le ha raccontato Carlotta e lo saprà... è facile giudicare dalle apparenze, vero?" E, presa la mano di Micaela, ancora dolorante, le spalmò un fazzoletto bagnato sui lividi. "Non vengono via... lo vede anche lei."
"Andiamo, cara" disse la professoressa Angelica a Carlotta, che si mostrava ancora singhiozzante. "Va tutto bene, non piangere." E, a sua volta, le sfregò una salvietta struccante sul volto. Il segno dello schiaffo si sbiadì fino a sparire... la salvietta sporca fu sollevata in aria, in un gesto eloquente, in direzione dei professori.
"Hai qualcosa da dirci, Micaela Ferrante?" chiese la Distasio.
"No." rispose secca Micaela.
"Ma come...?"
La madre di Carlotta era in lacrime, senza ritegno. Sofia si alzò dal suo posto e le circondò le spalle.
"Non lo vede come sta quella donna?" saltò su Micaela, dopo aver perso ogni controllo. "Non le voglio raccontare quello che è successo... e non lo voglio raccontare a voi... eccetto qualcuno."
"Ma come ti permetti, ragazzina?" urlò la Distasio.
"Ma la vuole lasciare in pace?" disse piano Gabriele. "Non le è bastato?"
Carlotta guardava fissa Micaela... la ragazza tremava dalla testa ai piedi e si reggeva a malapena al suo Toto.
"Perché non l'hai detto subito, Micaela? È questo che fate voi ragazzi: vi coprite sempre a vicenda..."
"La smetta, vecchia strega insulsa che..." iniziò Luca, ma Kaleb gli tappò la bocca.
"Vuoi che ti sospenda, Marzano?"
"Non mi avreste creduto" rispose Micaela, con voce tremante... poi si lasciò scivolare all'indietro.
"Micaela!" esclamò Sofia, agitata.
"Volete smetterla di tormentarla o no?" chiese il custode, mentre afferrava al volo la ragazza e la teneva in piedi. Le sfiorò la fronte con una mano e, sorreggendola a stento, la portò fuori dalla stanza.
La ragazza non sentiva quasi più niente... le voci dei professori e quella di Carlotta le rimbombavano in testa... aveva represso troppe cose per troppo tempo... e, come volevasi dimostrare, il suo corpo aveva reagito manifestando quello che la ragazza aveva dentro.
"Non voglio parlare con loro... non voglio raccontare quella storia, non voglio..."
"È finita, piccola" disse calmo Gabriele. "Ora ti porto in infermeria, ti daranno qualcosa per la febbre... ti prometto che non dovrai raccontare nient'altro."
Arrivarono in infermeria e la dottoressa Marcella li fece entrare.
"Ma che è successo, Gabriele?" chiese preoccupata.
"Magari ne parliamo dopo..." rispose il custode, con la voce che gli tremava leggermente.
Micaela non riusciva a smettere di tremare, anche se s'imponeva di non agitarsi per non far agitare la dottoressa e quel pover'uomo che le stava accanto.
"Tesoro, tieni" disse la dottoressa, passandole un termometro. La ragazza, però, aveva le mani tremanti... il termometro le cadde di mano, finendo sul materasso accanto a lei. "Ci penso io."
Raccolse il termometro e lo infilò sotto il braccio di Micaela.
Dopo cinque minuti, la dottoressa estrasse il termometro da sotto il braccio della ragazza e lo guardò.
"Non pensavo che un crollo emotivo potesse far salire la febbre fino a questo punto. Trentanove e mezzo" disse, sorpresa e spaventata.
Le preparò una tachipirina e la ragazza la mandò giù, lentamente, ma la dottoressa dovette tenerle ferma la mano, per evitare che il bicchiere le cadesse.
"Dottoressa, devo chiederle un favore" disse Gabriele. "Esclusi Michele e Angelica, chieda agli altri professori di non avvicinarsi a lei... non voglio che la facciano agitare..."
Marcella avrebbe voluto chiedere perché, ma vedendo il volto pallido di Micaela, si limitò ad annuire.
"Grazie" le disse Gabriele, prima di andare via. "Io ora vado a prendere i ragazzi... a Mica farà piacere vedere i suoi amici."
I genitori di Mica entrarono nella stanza. Erano preoccupatissimi, e accanto a loro c'era la madre di Carlotta, ancora sconvolta. La figlia la seguiva, stando in silenzio. Non sopportava Micaela, ma non avrebbe mai immaginato che si sarebbe sentita male per quello che era successo quel giorno.
Sofia si mise a sedere accanto alla ragazza e le prese la mano bollente.
"Mi dispiace" le disse semplicemente.
"Dai, mamma... non potevi mica saperlo" le rispose Micaela, rivolgendole un sorriso stentato. "Vedi, il fatto è che io sono così: mi trattengo, mi trattengo e poi esplodo per una sciocchezza..."
"Dispiace anche a me" intervenne la madre di Carlotta, con la voce che le tremava. "Non ne sapevo niente... non credevo..."
"Non... non è niente" disse Mica, passandosi la mano libera sulla fronte, nel tentativo di attenuare un po' il mal di testa.  Sapeva che nessuno di loro le credeva, ma si proponeva continuamente di non mostrarsi fragile. Nonostante la febbre e un sedativo che la dottoressa le stava iniettando, la ragazza era perfettamente vigile e, come al solito, cercava di far finta di niente.
"Ma... Kaleb e Luca? Stanno bene, vero?" chiese dopo qualche attimo di silenzio. "Voglio dire: non li hanno puniti di nuovo... Kaleb ha già una sospensione e Luca è in bilico... non vorrei che..."
Ma non ebbe il tempo di finire la frase, perché quattro persone fecero il loro ingresso nella stanza. Una di loro che Micaela riconobbe all'istante corse verso il letto e vi si arrampicò, facendo quasi cadere Sofia, che si spostò appena in tempo.
"Perdonami" disse il ragazzo, con la voce rotta dal pianto. "Volevo solo aiutarti... e invece ti ho messa nei guai e ti ho fatta preoccupare."
"Io ero già nei guai" disse lei, che era scattata a sedere appena Luca e gli altri erano entrati. Tese le mani verso il suo viso, anche se il braccio sinistro, al quale era attaccata la flebo, le faceva piuttosto male, e arrivò a sfiorargli le guance. "E poi mi ha aiutato il fatto che tu sia intervenuto per difendermi. Tu sei una testa calda, come dice un nostro amico in comune, ma sei buono... buono come pochi. Anzi: pochissimi."
Carlotta lasciò l'infermeria, in silenzio. In quel momento, vedere quel ragazzo in lacrime per una ragazza che conosceva a malapena e che lei non sopportava, l'aveva destabilizzata... in più, Micaela non era una ragazza normale... non nel senso classico del termine, almeno.
Non tornò in classe. Girava per i corridoi, smarrita... fino a quando una voce calda e profonda non richiamò la sua attenzione.
"Carlotta... che ci fai in giro per la scuola?" chiese il professor Michele.
"Niente" rispose la ragazza, evasiva.
"Cercherò di evitare che tu venga punita... però vorrei chiederti una cosa, se te la senti di parlarne... potresti aspettarmi un attimo fuori da questa classe? Devo dare la traccia di un tema ai ragazzi."
"Non ha paura che copino?" chiese Carlotta.
"I sentimenti non si possono copiare e per il momento è su quelli che io do le tracce... e in ogni caso ho chiesto alla signora Carmela di sorvegliare la classe mentre non ci sono. Comunque, se qualcuno provasse a copiare adesso, si troverebbe in difficoltà agli esami... quelli non li scelgo certo io."
Il professor Michele entrò nell'aula e, accostando l'orecchio alla porta, Carlotta rimase sorpresa dal successo che riscuotevano le sue lezioni... addirittura i compiti in classe sembravano essere accolti come un'opportunità, piuttosto che come una punizione, cosa che con gli altri docenti non accadeva quasi mai... se non proprio mai.
Il professor Michele non leggeva mai i temi dei ragazzi ad alta voce, perché se si prendeva la briga di custodire i loro pensieri più nascosti, non aveva il diritto di esporli alla classe.
Per lui il tema non era un compito vero e proprio... voleva conoscere meglio i suoi alunni, e sapeva che non avrebbero mai rivelato direttamente quello che li affliggeva... scrivendo, potevano inventare delle storie per raccontare di sé senza esporsi troppo.
Quando l'uomo uscì dall'aula e la raggiunse, Carlotta aveva lo sguardo fisso sul pavimento.
"Vieni" disse gentilmente. "Vieni, Carlotta."
La ragazza si affrettò a seguirlo, tesa. Non sapeva perché il professore volesse parlare con lei, se non per punirla, ma lui non sembrava assolutamente averne l'intenzione.
Si recarono in una vecchia aula che non veniva più usata, assicurandosi di stare vicini alla porta per non correre rischi.
"Perché mi ha chiamata qui, se non vuole punirmi?" gli chiese d'istinto la ragazza.
"Perché sia tu che Micaela siete vittime di... giudizi affrettati."
"Chi, io e quella... e Micaela?" si corresse la ragazza, appena in tempo.
"Non farmi credere" disse l'uomo, "che sei così presuntuosa e vuota, perché nessun ragazzo lo è. Ho visto che ti sei preoccupata, quando Micaela ha avuto quella crisi."
"Non è vero!" esclamò lei.
"Va bene... allora diciamo che ti sei preoccupata delle conseguenze" disse l'uomo, assecondandola. "Però... ti ricordi quando vi ho assegnato quel tema sulla cosa peggiore che possa capitare in una famiglia? Tu hai scritto: "Avere un figlio anormale." Hai detto che la cosa portava un sacco di sofferenza inutile e che i genitori si sentono un peso troppo grande da sopportare, a volte. E quando lasciano andare questi figli, secondo te, vengono giudicati male... irresponsabili... privi di cuore... è come se tu sapessi di cosa stai parlando."
Carlotta s'irrigidì sul posto. Non le piaceva il fatto che il professore sapesse leggerle dentro così bene.
"Non è così" disse, mentendo spudoratamente. "È che mi capita spesso di leggere articoli su questo, e onestamente mi dà fastidio leggere che tutti dicano: "Ma che razza di genitore abbandona il proprio figlio"?"
"Lo vedi? Sei una ragazza sensibile. Una che magari va controcorrente, ma questo non vuol dire che tu non sia sensibile... non sei la ragazza frivola che fingi di essere. Perché non spieghi a Micaela che quella cosa ti turba molto?"
"Perché con quella e con i suoi simili io non voglio averci niente a che fare."
"Credimi: neanche lei lo vorrebbe" le fece notare il professor Michele.
"E allora perché... perché cerca di portarmi via Luca?"
"Tesoro, questo non dipende assolutamente da lei." le fece notare l'uomo. "A Luca  non piace andare dietro a tutte le ragazze che gli capitano a tiro. Tu sai che scrive musica? Sai che gli piace l'arte nel suo complesso?"
"No..." rispose Carlotta.
"E, scusa se m'intrometto, tesoro mio" disse calmo il professore, "ma per cosa ti ha attirato Luca, oltre all'aspetto fisico?"
Carlotta rimase lì, in silenzio. Luca le piaceva perché era un bel ragazzo... ma poi? Per cos'altro?
"Forse un po' frivola lo sono" gli disse Carlotta, facendo per alzarsi.
"No, aspetta un secondo, per favore" le disse l'uomo, appoggiando delicatamente una mano su quella della ragazza. "Sei sempre in tempo per non fermarti alle apparenze."
"E dovrei parlarne con Micaela?" chiese Carlotta.
"Non serve che ne parli con lei o con qualcun altro... ma smettila di fare la bulla... credimi: è una perdita di tempo e uno spreco di energie inutile... se Micaela non ti è simpatica, ignorala e basta. Del resto lei non ti ha cercata né niente... quindi, se tu pensi costantemente a lei, vuol dire che sei tu quella che ha bisogno di lei... o forse mi sbaglio?"
"Professore, ora devo proprio andare" disse sbrigativa Carlotta, scostando con forza la mano del professore.
"Tranquilla, tanto devo andare anch'io" disse l'uomo, sorridendo. Era inutile andare  oltre, farle pressione... ormai la pulce nell'orecchio gliel'aveva messa... magari le acque tra le due ragazze con il tempo si sarebbero calmate.
Nel frattempo, in infermeria, Luca e Kaleb erano stati costretti a tornare in classe e Gabriele era sul punto di andarsene per fare, per l'ennesima volta, il giro della scuola e consegnare i soliti moduli per studenti e insegnanti distratti quando si udirono le voci della dottoressa Marcella e... della Distasio.
"Professoressa, non è il caso che lei veda la ragazza adesso." cercò di trattenerla la dottoressa, ma la Distasio non le diede retta ed entrò pestando i tacchi.
Micaela, distesa sul letto, si era a malapena rilassata, ma teneva le orecchie tese e, riconoscendo quei passi, strinse la mano di sua madre.
"Allora? Come stai, Micaela?"
"Meglio, professoressa... grazie" disse la ragazza, con la solita voce sottile.
"Perché non mi racconti cos'è successo, allora?" chiese la donna. "Non mi vorrai dire che ti sei sentita male per l'assemblea, vero?"
"Per tante cose" rispose evasiva la ragazza. Ora che era più lucida di quando le aveva risposto con rabbia, si rendeva conto di non poter agire come prima... ma in ogni caso non aveva intenzione di aprirsi con quella donna.
"Oh, andiamo, Micaela... sai che è molto infantile scappare dai problemi." disse con freddezza la donna.
Micaela rimase in silenzio. Che la considerasse pure come voleva: infantile, sciocca... qualunque cosa, purché la lasciasse in pace.
"Perché non dici niente?" insisteva la donna, stavolta con un tono più calmo.
"Non mi va di parlarne... non con una persona che non conosco e che non vuole conoscermi a meno che non mi venga un colpo" disse Micaela. La rabbia era più che percettibile nel tono della sua voce.
"Mi dispiace che pensi questo, Micaela" disse la donna con voce gentile.
A Micaela, invece, non dispiaceva per niente. Non riusciva a provare dispiacere per una donna così austera, così prevenuta, così fredda... non provava dispiacere per il resto dei suoi insegnanti... non provava dispiacere per quello che aveva detto, perché era una cosa che covava da troppo tempo.
"Dottoressa... mi scusi" disse piano Micaela. "Domani potrò tornare a scuola, vero?"
"No, cara" disse la dottoressa. "E, perdonami, ma domani non potrai andare a trovare Lucia. Hai ancora la febbre... al massimo potrai tornare a casa, ma non voglio che ti strapazzi."
"Oh, quante storie!" esclamò la professoressa.
"Lo vede perché non ho intenzione di parlare con lei?" le disse Micaela. La dottoressa le staccò la flebo dal braccio e, appoggiandosi alla madre, si alzò dal letto, lentamente, e cercò di raccogliere Toto.
"Ci penso io" disse suo padre, afferrando il bastone prima di lei. "Vado a riprenderti lo zaino e..."
Ma a quello aveva pensato la professoressa Angelica. Raggiunse il padre di Micaela e gli passò lo zaino.
"Riguardati!" disse rivolgendosi alla ragazza.
"Arrivederci" disse in risposta Micaela. "Posso chiederle un favore?"
"Certo" rispose l'insegnante.
"Potrebbe salutare... il professor Michele, il signor Gabriele e i ragazzi da parte mia... per favore?"
"Oh, andiamo: è solo questo? Ma certo che posso... ora però vai a casa, e mi raccomando: riposati e rimettiti presto... per me e per le persone che hai appena nominato sei molto importante, tesoro."
Nel frattempo, in ospedale, Lucia sembrava decisamente preoccupata per qualcosa.
"Che cos'hai, tesoro mio?" chiese Giorgia, sedendosi sul letto accanto alla ragazza.
"Sono... sono preoccupata per Micaela" rispose Lucia. "Sembrava abbattuta... è successo qualcosa?"
"No, tesoro, non è successo niente" cercò di rassicurarla Giorgia. Non poteva certo dirle che Micaela era finita in un guaio.
"E il professor Michele? Perché non c'è?" chiese la ragazzina, agitata.
"Oh, amore mio, è a scuola... oggi era di turno, ma tornerà presto, tranquilla" disse amorevole Giorgia. "Vedrai che quando Micaela tornerà da scuola ti chiamerà o verrà a trovarti... ora però devi prendere le tue medicine, e tra poco il dottore verrà a controllarti la schiena... coraggio, piccola... so che la medicina non ti piace, ma ti fa bene."
Lucia si tirò su a sedere e afferrò il bicchiere con la medicina che Giorgia le tendeva.
Bevve tutto d'un fiato il liquido contenuto nel bicchiere, poi, trattenendo a stento un'espressione di puro disgusto chiese: "Com'è una mamma? Che cosa fa?"
Giorgia rimase un attimo sorpresa... quella bambina troppo piccola e al contempo troppo cresciuta le aveva fatto una domanda semplice... e maledettamente complicata.
"Una mamma... è quella che ti vuole bene... non è detto che ti porti in grembo, però... è sempre come se lo facesse. Una mamma potrei essere io. La tua mamma, per esempio... se vuoi."

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro