-3: Selene.-
"Una colomba mi ha riferito che il mio angioletto è triste" disse il custode, avvicinandosi alla ragazza, "e grazie a questo ho scoperto che qui abbiamo un'attrice dal talento inespresso."
"Beh, in effetti la colomba ci ha visto giusto." disse lei, alzandosi dal pavimento tutta tremante. "Ma qui ci sono solo io: dov'è l'attrice dal talento inespresso("
A quella domanda, il signor Gabriele non rispose. Lei aveva capito perfettamente a chi lui si stesse riferendo, ma non ci credeva... non credeva di essere né un'attrice, né una ragazza di talento.
"Fa' un po' vedere come stai, Micaela" le disse, ccon affetto, prendendole delicatamente le mani. La ragazza ebbe un sussulto quando le dita calde del suo amico si posarono sul suo polso. "Ti fa male, vero?" le chiese con un moto di tenerezza nella voce.
"Un po'... ma non è niente, davvero."
"Qui ci vorrebbe un po' di ghiaccio..."
"Sì, ma io... ecco, io non saprei dove prenderlo, il ghiaccio..." E dicendo quella frase, la ragazza, già agitata di suo, prese a tremare.
"Ehi, ehi, tranquilla... c'è bisogno di agitarsi per così poco? Ecco qua" le disse il signor Gabriele, appoggiandole un sacchetto sul polso.
La ragazza fu scossa da un brivido, a contatto con il materiale freddo, ma fu questione di un attimo: dopo l'iniziale "shock" assimilò la sensazione di gelo e si rilassò.
"Raccontami un po', chi è questo Hagrid?" chiese con calma l'uomo. "E gli altri tre di cui parlavi?"
"Ecco... sono dei personaggi di Harry Potter." spiegò la ragazza, con il solito filo di voce, mentre Gabriele le comprimeva il sacchetto sul braccio. "Diciamo che una di loro, Hermione, che è praticamente la studentessa più brava di tutta la scuola di Hogwarts... ha qualcosa che a molti maghi non sta bene. È diversa, come lo sono io... e il suo amico Ron cerca di difenderla, ma si fa del male da solo. Lei... nel film, almeno, giustamente ci resta male... ma è proprio Hagrid a consolarla. Hagrid è... è un gigante buono, è il... guardacaso, il custode delle chiavi di Hogwarts, e..."
"Aspetta, piano" la fermò il custode, "vedi, io so poco o niente di Harry Potter... solo che, se ho capito bene, mi hai paragonato a qualcuno... vero?"
"Sì... ad Hagrid, perché è il personaggio più buono e innocente di tutta la saga... per me, ovviamente."
Lui le sorrise: sapeva che lei faceva fatica a dire certe cose, a chiunque, e quel pensiero dolcissimo gli scaldò il cuore.
"Ma dimmi una cosa: non ti piacerebbe fare l'attrice?" le chiese curioso, cambiando argomento.
"L'attrice? Ma chi, io?" chiese la ragazza, arrossendo.
"Non ti piacerebbe?" chiese il signor Gabriele.
"Niente del genere. Anzi: è proprio il contrario... mi piacerebbe da matti, ma... se lo immagina? Io? Un'attrice? Sarebbe impossibile."
"Ah, addirittura impossibile! E di' un po', piccolo ciclope: chi te l'ha detto?"
Micaela abbassò il viso: aveva le guance in fiamme e provava un senso di pudore nel tirar fuori quella storia.
"No, va bene... non dirmelo, se non vuoi" le disse con calma il custode. "Però almeno il motivo puoi dirmelo, non credi?"
"I motivi... sono tre." specificò lei.
"Ovvero?" chiese l'uomo, sempre con il suo tono pacato.
"Chi vuole che si prenda la briga di badare ad una ragazza cieca, timida e complessata per insegnarle a fare l'attrice?"
Il signor Gabriele rise, ma non per prenderla in giro. Aveva una risata cristallina, spontanea, che gli era venuta fuori perché aveva capito che in quella frase qualcosa non andava.
"Queste non sono parole della mia signorina" le disse, sfiorandole il viso con l'impugnatura di una penna. "Tu non hai bisogno di qualcuno che "badi" a te... e poi, il nervo ottico è l'unica cosa che non funziona, nella tua testolina... sei una ragazza molto intelligente e non sei così arrendevole come ti stai mostrando."
"Oggi lo... lo sono stata, arrendevkle" balbettò lei facendo l'atto di coprirsi il viso con le mani, ma sussultò, scossa da una fitta al braccio destro.
"Vuoi parlarne?" le chiese lui. Non alludeva né ai sogni di Micaela né alla storia che lei aveva raccontato poco prima. Parlava di Carlotta, del suo stupido scatto d'ira per chissà cosa, della vergogna che, ne era certo, Micaela provava in quel momento.
"Ho combinato un disastro!" si lasciò sfuggire la ragazza mentre sentiva un nodo formarsi nella sua gola. Non aveva mai pianto davanti a lui, né a nessun altro della scuola, ma in quel momento le sue difese crollarono del tutto e lei si lasciò andare ad un pianto silenzioso da far pietà... l'ultima cosa che voleva, insomma. Prese un respiro profondo e disse: "Lei mi ha strattonata... io volevo soltanto liberarmi, glielo giuro... ma lei non mi lasciava... e per respingerla, l'ho colpita... ma non volevo, non volevo!"
E, non riuscendo più a reggere, lasciò che alle lacrime si aggiungessero anche i singhiozzi. Piangeva per la sua migliore amica, presa a pugni in faccia dalla vita tutti i santi giorni, sia a scuola che a casa. Piangeva per non essere riuscita a proteggerla, almeno quando era con lei. Piangeva per Luca, che non solo aveva assistito alla sua vergogna, ma se n'era anche sentito responsabile. Il pianto s'intensificò quando le vennero in mente i suoi genitori: pensava di averli delusi, di non essere stata in grado di rispondere ai pugni in faccia che la vita aveva dato a lei, quel giorno... e pianse anche per se stessa, per non essere riuscita a reagire, per il suo Toto, che giaceva sul suo banco, completamente distrutto... e per quell'uomo che le stava di fronte, che probabilmente la stava guardando, che cercava di consolarla. Avrebbe voluto voltarsi dall'altra parte, per non farsi vedere, ma sapeva che era inutile: lui l'aveva già vista e, se anche non fosse stato così, avrebbe capito ugualmente. Lui le prese le mani, aiutandola a mettersi in piedi, e la ragazza, senza pensarci, lo strinse a sé, in un abbraccio che richiedeva conforto.
Il custode ricambiò l'abbraccio e fece scorrere la mano sinistra dietro le spalle della ragazza. Lei era scossa dai singhiozzi e lui la teneva stretta a sé, come se fosse stata sua figlia... in quel momento, sembrava proprio Hagrid di Harry Potter intento a confortare la povera Hermione Granger.
"Brava, piccola" le disse dolcemente. "Fa bene sfogarsi."
"M-mi scusi" balbettò lei, lasciandosi avvolgere dall'abbraccio del custode.
"Per cosa?" chiese quest'ultimo.
"Sono debole... sono un disastro, mi scusi." singhiozzò la ragazza, cercando disperatamente di ricomporsi, ma senza successo.
"Non dire così." le disse il signor Gabriele, sciogliendo delicatamente la presa e mettendo un dito sotto il mento di Micaela. Le fece alzare la testa, per guardarla negli occhi, e le diede un leggero bacio sulla fronte. "Non c'è niente di cui vergognarsi. A volte, per farsi forza, è necessario concedersi un momento di debolezza."
E la ragazza rimase lì, a tirar fuori il suo malessere per altri cinque minuti, mentre il custode tornava a stringerla a sé per confortarla.
"Va meglio?" le chiese quando la ragazza smise di sussultare.
"Sì... va meglio... grazie" balbettò la ragazza, alzando la testa. "Oddio, mi perdoni... chissà che le ho fatto sulla maglietta..."
"Tesoro, è solo acqua." la rassicurò il signor Gabriele. Le alzò nuovamente il viso e le asciugò le guance, ancora umide di pianto.
"Grazie, signor Gabriele!" ripeté lei, sorridendogli.
"Grazie di cosa? Io non ho fatto ancora niente!" ribatté lui. "Per fare qualcosa per te, ti devo portare alla mia postazione. Coraggio, vieni, dammi la mano."
La ragazza fece l'atto di prendere lo zaino che era rimasto appeso alla sedia, ma il custode l'aveva preceduta. La prese per mano e raccolse i pezzi di cui era composto Toto.
"Perché li porta via? Non si possono riparare" sospirò Micaela.
"È un oggetto che ti sta molto a cuore" le fece notare il custode, "e quando si tiene a qualcosa, c'è sempre un modo per riparare... a meno che non sia uno specchio caduto per terra... ma non è questo il caso."
"Anche perché io di uno specchio che me ne faccio?" chiese Micaela.
"Ah, questa è la mia Micaela!" esclamò soddisfatto il custode. "Coraggio, vieni!"
Micaela strinse la mano del custode, e, mai come quel giorno, a contatto con lui si sentì decisamente rinvigorita. Arrivarono alla sua postazione in pochi minuti, perché la scuola era deserta.
"Prego, signorina Ferrante, si accomodi!" le disse, facendola sorridere. Il "lei" la metteva un po' in imbarazzo, ed essere chiamata per cognome, altrettanto, ma lui lo faceva apposta per distrarla dai brutti pensieri.
Micaela lo sentiva armeggiare con qualcosa. Cercava di capire cosa stesse facendo, ma non le era chiaro. Sapeva che c'entrava quel che restava del suo Toto, ma non sapeva cosa ci stesse facendo il custode.
"Ecco fatto!" esclamò l'uomo, dopo un po'.
"Fatto cosa?" chiese Micaela.
"Ti faccio vedere."
Le prese le mani, scaldandogliele, e le passò un oggetto.
Micaela vi fece scorrere le dita, delicatamente, e il suo viso s'illuminò.
"Toto!" esclamò, stringendoselo al petto come se si fosse trattato di un amico che aveva rischiato di non rivedere mai più.
"Esatto! Il tuo Toto" rispose Gabriele. "Questo filo è molto più difficile da tagliare, tranquilla. Ora prova a scomporlo, vediamo se si piega anche così."
La ragazza, senza troppa difficoltà, riuscì ad accorciare Toto.
"Ha fatto anche il cappieto in alto per tenerlo chiuso!" esclamò la ragazza, al settimo cielo. Poi, però, si rese conto del fatto che sarebbe sembrata ridicola, per quanto appariva entusiasta all'idea che il suo Toto fosse stato rimesso a nuovo.
"Sai, anch'io sono molto affezionato ad un oggetto." disse il signor Gabriele, come se le avesse letto nel pensiero. Le prese una mano e tirò fuori da sotto la maglietta un medaglione, che le fece sfiorare. "Qui dentro c'è una foto di qualcuno a cui tengo molto... è per questo che lo tengo sempre nascosto sotto la maglietta."
"Davvero?"
"Sì, davvero. Ci rimarrei come te, se dovessi perderlo."
"Non so davvero come ringraziarla. Grazie, grazie davvero, signor Gabriele!" esclamò Micaela, sentendosi decisamente più serena di quando era entrata a scuola quella mattina.
"Non devi fare niente, piccola" la rassicurò il custode facendola girare, in modo che fosse diretta verso l'uscita. "Vederti felice è tutto quello che mi serve. Ti fai voler bene, lo sai?"
"Però... però io... io vorrei fare qualcosa per lei..."
Il custode sorrise, dandole un pizzicotto affettuoso sul viso.
"Va bene... vediamo un po'... cosa potresti fare...? Ah, ecco, ci sono!"
"Di che si tratta?"
"Smettila di chiamarmi: "Signor Gabriele", per favore!" rispose semplicemente il custode. "Niente più signore, niente più lei. Io sono Gabriele... Gabriele e basta... anzi: se non vuoi, non chiamarmi per niente, ma non darmi del lei, va bene?"
"Ricevuto!" esclamò Micaela. "Farò del mio meglio per accontentarla... ehm, accontentarti."
"Bene, vedo che almeno ci stai provando." disse il custode. "E bravo il piccolo ciclope!"
Luca, appena uscito dall'aula, si era recato alla ricerca di Lucia, ma non l'aveva trovata da nessuna parte. Mentre vagava per la scuola, senza una meta precisa, qualcosa attirò la sua attenzione.
In una classe all'apparenza vuota, si udirono due voci che sussurravano.
Luca si avvicinò alla porta, senza toccarla, e chiuse gli occhi. Doveva concentrarsi su quel suono, proprio come faceva Micaela.
"Professoressa" singhiozzava Carlotta. "Io... io non..." Luca strinse i pugni, furioso. Che aveva da piangere, quella strega? Era stata lei ad aggredire Micaela, non il contrario!
"Coraggio, Carlotta, ora cerca di calmarti e raccontami tutto" le disse la Distasio.
"Micaela... ecco, è successo che Micaela mi ha chiesto di rimanere in classe... ha detto che voleva parlare con me..." farfugliò Carlotta.
Luca dovette coprirsi la bocca con tutt'e due le mani per non cacciare un urlo. Sembrava che Carlotta si stesse inventando tutto di sana pianta.
"Continua, coraggio!" la esortò la professoressa.
"Quando siamo rimaste sole, ha iniziato ad insultarmi... e poi mi ha tirato addosso il suo bastone... sa, quello che usano i non vedenti."
Ah, anche quello? Non solo l'aveva aggredita, ma adesso s'inventava quella storia chiamando Mica in quel modo!
"E...?" continuò ad esortarla l'insegnante.
"Io l'ho schivato e il bastone si è rotto... poi lei si è innervosita e... e mi ha afferrata..."
Luca stava per irrompere nella stanza e urlare contro Carlotta, ma si trattenne, ripetendosi per l'ennesima volta che doveva sapere cosa diavolo avesse in mente di fare, quell'arpia!
"Coraggio, mia cara... devi dirmi tutto!" disse ancora l'insegnante.
"Mi ha afferrata per le braccia... mi ha strattonata... e mi ha dato uno schiaffo..."
Luca fece per aprire la porta, ma qualcuno lo trattenne per una spalla, trascinandolo via.
"Fermo!" esclamò una voce alle sue spalle. Era Gabriele.
"Non posso! Devo dire alla prof che non è vero niente di quello che ha detto quella strega!" protestò il ragazzo.
"E risolveresti qualcosa?" chiese il custode, sospingendolo verso l'uscita. "Lo sai che non sei il fiore all'occhiello di quella donna, non ti crederebbe... e quella povera ragazza sta già rischiando di finire nei guai."
"Ma lei crede a Carlotta?" chiese Luca, stupito.
"Mi dai del lei, adesso, Marzano?" lo prese in giro Gabriele.
"Scusa... voglio dire: tu le credi?" si corresse Luca.
"No che non le credo!" rispose Gabriele. "Conosco Micaela, e non sa neanche come si fa a picchiare qualcuno. E poi... ecco Carlotta. Quel segno che ha in faccia è un trucco teatrale. Fatto molto bene, per carità, ma è finto."
La ragazza passò velocemente accanto a loro, con un sorriso che le andava da un orecchio all'altro. Luca stava per scattare di nuovo, ma Gabriele gli si mise davanti, impedendogli di scattare.
"Io vado a prendere Micaela... sperando che stia un po' meglio" disse, "tu va' in cortile e aspettaci lì, se non vuoi tornare a casa."
Rassegnato, Luca raggiunse il cortile mentre il custode raggiungeva la classe di Micaela.
Sedette sulle scale e prese una sigaretta dallo zaino. Non era un accanito fumatore, ma ogni tanto ne sentiva il bisogno.
Strinse la sigaretta e iniziò a rigirarsela tra le dita, tanto per passare il tempo e sfogare la rabbia. Non prese l'accendino, non aveva voglia di fumare, ma cominciò a giocare con il cilindro di carta e nicotina. Sospirò, pensando che doveva decisamente imparare a tenere la bocca chiusa. Forse, se Gabriele non l'avesse fermato, avrebbe veramente messo nei guai Micaela facendo una piazzata da manuale.
Tirò fuori la sua Selene, la chitarra, e mise via la sigaretta, ammaccata, ma ancora integra. Pizzicò delicatamente le corde e iniziò ad improvvisare qualche accordo. Poi, dal nulla, gli vennero fuori delle parole.
Estrasse dallo zaino anche il suo quaderno e una penna e iniziò ad appuntarsi gli accordi e le parole che gli venivano in mente. Fu tutto istantaneo: le parole gli scorrevano in testa come un fiume in piena. Scrisse di sé, di lei... scrisse di quanto avrebbe desiderato sentirsi chiedere: "Come stai?", e del fatto che avrebbe sicuramente risposto: "Bene!", anche se non era vero... come avrebbe senz'altro fatto la ragazza che occupava i suoi pensieri da un po' di tempo, quella che gli sorrideva, nonostante fosse stata umiliata, per non farlo preoccupare... e lui si era sentito così dannatamente in colpa per quello che le era successo!
Poi, finalmente, riconobbe una risata familiare e il rumore di una rotellina che saettava di qua e di là per la scalinata esterna all'edificio. Si alzò, ripose tutto con cura nello zaino e se lo mise sulle spalle, per poi andare incontro ad una raggiante Micaela, che stringeva nel pugno il suo bastone, come nuovo... come se nulla fosse successo.
"Ehi!" esclamò, stringendole la mano libera... ma ricordò che, in quel momento, la ragazza si stava arrangiando con la sinistra, perché la destra le faceva ancora un po' male. A farglielo tornare in mente fu un suo gemito trattenuto.
"Ehi, ciao!" salutò a sua volta Mica.
"Va meglio?" chiese Luca, sorridendole gentilmente.
"Sì, decisamente" rispose lei, sforzandosi di muovere agevolmente Toto anche con la mano sinistra, ma la cosa le procurava non poche difficoltà.
"Aspetta" disse Luca, togliendole di mano il bastone e prendendola sottobraccio. "Ti aiuto a scendere..."
"Hai capito che fortuna!" esclamò Gabriele, raggiungendoli. "Hai anche un cavaliere affidabile e pronto a sorreggerti, ora che sei in difficoltà."
"Tecnicamente ne ho due" ribatté lei, timidamente, "uno è lui... e un altro è il mio mitico angelo custode!"
"Addirittura?" le chiese Gabriele, stuzzicandole il mento con due dita.
"Lo sai che sembri una fenice?" le disse Luca, stringendole la mano per lasciarle intendere che ce l'aveva con lei.
"Una fenice? Perché?" chiese lei mentre, per la millesima volta da quella mattina, le sue guance diventavano di un bel rosso acceso.
"Sì... perché oggi ti ho vista rinascere dal tuo dolore" rispose lui.
"Ma che tenero!" esclamò Micaela. "Wow... ehm, grazie!"
"Questa scuola è una fabbrica di artisti!" intervenne Gabriele, raggiante. "Il poeta e cantante in erba, l'attrice invisibile..."
Micaela non rispose. Da quando aveva parlato con lui, il sogno di diventare un'attrice sembrava fare a pugni con il suo cuore, per quanta forza aveva, ma più ci pensava, più le sembrava impossibile realizzare quel desiderio.
"E se la portassi io, a casa?" chiese Luca, sorridendo. "A me fa piacere stare con Micaela."
"Lo devi chiedere a lei, non a me." gli fece notare Gabriele.
"Oddio, è vero! Scusa, Mica!"
"Tranquillo. Guarda che non sei il primo" lo rassicurò Micaela. "Praticamente chiunque abbia a che fare con me evita di parlarmi direttamente. Per esempio, vado a prendere qualcosa ad un bar con i miei... e cosa vorrei lo chiedono a loro... però da una parte è un vantaggio... io mi vergogno della mia stessa ombra e parlare con degli estranei mi agita... tantissimo..."
"Però in questo caso è proprio a te che devo chiedere." disse Luca. "Ti farebbe piacere se ti accompagnassi io?"
"Se qualcuno avverte Lucia che mi sono avviata e di raggiungermi a casa e se lei non avrà proble..." Micaela si tappò la bocca con la mano destra e si lanciò maledizioni in ostrogoto e visigoto contemporaneamente per la fitta di dolore che le trafisse il braccio.
"Lei?" ripeté Gabriele.
"Scusami... scusami tantissimo!" prese a farneticare Micaela. "Ti giuro che ci riuscirò, prima o poi, te lo giuro! Devo vedere il tramonto, se non è vero! Volevo dire: se non... ti... creo problemi, Gabriele... non voglio metterti nei guai..."
"Tranquilla" la rassicurò l'uomo. "Arriveremo al cancello... anzi: ci allontaneremo un pochino dalla scuola, e se i professori o la preside saranno ancora in giro, vi seguirò a distanza."
Questo, naturalmente, lo disse a bassa voce.
"Anche a me sta a cuore la sicurezza della mia amichetta" aggiunse, "per questo ti lascio andare con Luca e Lucia."
"Grazie." dise lei, abbassando il viso al sentirsi chiamare "amichetta". "Sono contenta che mi consideri un'amica."
Per fortuna aveva evitato di dire "lei", stavolta, quindi Gabriele avrebbe potuto far finta che gli avesse dato del tu, usando il presente indicativo, invece di dargli del lei con il congiuntivo.
"Però... un po' mi dispiace di dover per forza dipendere da qualcuno" sospirò, amareggiata.
"Ma non è una dipendenza a senso unico" disse Gabriele, mettendole un braccio intorno alle spalle. "La persona che ti sta accanto ti guida, da vicino o a distanza che sia, e tu sei un angioletto, riesci a confortare chi ti sta vicino e a farlo sentire sereno. Ad esempio, Luca ti accompagna a casa e tu gl'impedisci di fare colpi di testa e mettersi nei guai... mi sembra uno scambio equo, o no?"
"Messa così, credo sia una cosa giusta" rispose la ragazza.
"Oh, brava ragazza!" approvò il custode. "Ora è meglio andare... non preoccuparti per Lucia: lei sta bene... ora è con Kaleb..."
"Ma si è spaventata, vero?" chiese Micaela, preoccupata.
"Sì, mol..." cominciò Luca, ma Gabriele lo guardò di traverso. "Un po', ma ora sta meglio" si corresse.
Quando la scuola fu finalmente deserta, s'incamminarono tutti e tre verso il cancello. Micaela aveva ripreso il suo Toto e, pur serrando i denti per il dolore al polso, lo faceva saettare da una parte all'altra. Luca le camminava accanto, voltandosi ogni tanto per accertarsi che stesse bene. Avrebbe voluto darle la mano, se non altro per evitare che sforzasse la mano destra, (e anche perché gli piaceva il suo contatto), ma sapeva che le sarebbe costato troppo, essere portata per mano per tutta la strada. Quanto a Gabriele, come promesso, era rimasto in disparte, seguendoli da lontano. Si fidava di Luca e di Micaela, ma dopo quello che era accaduto quel pomeriggio voleva assicurarsi che la ragazza si fosse ripresa del tutto, a livello fisico ed emotivo.
Una volta varcato il cancello, però, Micaela andò a sbattere contro qualcuno.
"Oh, scusa..." disse la persona che aveva urtato, e dalla voce Micaela immaginò che fosse una ragazza.
"No... no, non fa niente... scusami tu, piuttosto... vedi, mi sono distratta e..."
"Andrea!" esclamarono all'unisono Luca e Gabriele.
"Ciao Luca! Ciao Gabriele!" salutò a sua volta la ragazzina.
"Ma... vi conoscete?" chiese Micaela, ma come sempre se ne pentì un attimo dopo. Che domanda stupida! Per forza si conoscevano da prima: si erano appena salutati!
"Sì, ci conosciamo" rispose Luca. "È la mia vicina di casa... e, sai, è capitata a pennello, perché avrei proprio voluto presentartela... specialmente dopo averti parlato."
"Oh, wow... allora tanto vale presentarci!" disse Micaela, tendendo la mano verso la ragazza.
"Aspetta, puoi anche darmi la sinistra" le propose Andrea.
"Ah, certo... piacere, io sono Micaela!"
"Piacere mio... io mi chiamo Andrea."
Rimasero in silenzio per un paio di secondi, poi Andrea esclamò: "Lo sai? Sei la prima che non mi dice che il mio è un nome da maschio..."
"Davvero? Beh, se ti può consolare, a me dicono che sembro una straniera, per via del mio nome" le fece eco Micaela, "ma sinceramente va bene anche così. Cioè, è un po' irritante, quando ci si presenta, sentirsi sempre chiedere: "Quando sei arrivata in Italia?", ma alla fine ci si abitua... e non ti dico cosa non s'inventano su questi!" E si portò due dita vicino agli occhi.
"Il maschiaccio e la straniera. Sembra il titolo di un film" disse Luca.
"Come va a scuola, tesoro?" le chiese il signor Gabriele.
"È un disastro" sospirò Andrea, passandosi una mano sulla fronte. "Praticamente sono l'agnello sacrificale, ma il rapporto con i miei compagni finisce lì. Lo sai, Gabriele? Non vedo l'ora che venga la sera per andare alle prove."
"Prove?" ripeté Micaela. "Quali prove?"
Poi le venne in mente quello che la ragazza aveva appena detto a proposito dei suoi compagni di scuola: "Accidenti, mi dispiace... sai, anche a me succede questo."
"Ah, bene" disse la ragazza, sorridendo gentilmente. "Beh, per la questione prove... io faccio teatro."
Micaela sentì le spalle irrigidirsi: possibile che fosse un segno del destino o qualcosa del genere? Prima Gabriele che l'ascoltava da dietro la porta dell'aula, poi quella simpatica ragazza che sosteneva di far parte dell'ambiente.
Accidenti, non poteva essere una coincidenza, no?
"Il richiamo del talento, Micaela?" le disse il signor Gabriele, posandole una mano sulla spalla sinistra... oh, maledizione: doveva smettere anche di pensarlo come "il signor Gabriele", se voleva sperare di riuscire a dargli del tu prima che finisse la scuola!
"Perché, anche tu fai teatro?" chiese Andrea, interessata.
"Io? No, non... non potrei farlo" le rispose Micaela, anche se sapeva con certezza che qualcuno avrebbe avuto da ridire su quell'affermazione.
"Come? Perché no?"
"Perché..." sussurrò la ragazza, passandosi le dita tra i riccioli. Quando era nervosa, li tirava piuttosto forte, tanto che Luca le si avvicinò e le fermò il polso.
"Perché le hanno detto un sacco di stupidaggini, e a forza di sentirle ripetere, chiunque finirebbe per crederci" le venne in aiuto il... o meglio: Gabriele.
"Posso portarti con me in un posto?" propose Andrea, che sembrava al settimo cielo. "Se ti fidi."
Come diavolo aveva fatto a capire che non le riusciva facile fidarsi delle persone? Anche se, a dire il vero, con lei era stato impossibile non fidarsi. Già quando le aveva preso la mano, non sapeva perché, ma quella ragazza che aveva giusto pochi anni meno di lei e nonostante questo sembrava avere tanto da raccontare, le era piaciuta subito.
Era stato come con Gabriele: le era bastato ascoltare la voce della ragazza e toccarle la mano per fidarsi di lei. E con lei le persone esterne alla famiglia di cui si fidava erano arrivate a cinque.
"Per fidarmi, mi fido" rispose Micaela. "Ma dove...?"
"Nel mio posto felice." rispose Andrea.
"Certo... va bene."
Avevano da poco superato un isolato, allontanandosi dalla scuola, quando Gabriele li salutò. Fece dei cenni a Luca e Andrea, poi strinse leggermente la mano di Micaela e le disse: "Ci vediamo domani, tesoro... mi raccomando: ti voglio sempre vedere così, come sei ora. D'accordo?"
"Parola di ciclope" rispose Micaela. "E poi, quando sto con le persone a cui voglio bene... io sto sempre bene!"
I tre ragazzi ripresero a camminare. Luca da una parte e Andrea dall'altra, coprivano Micaela, raccontandole di come si erano conosciuti e di quanto fossero legati.
"Ti fa male il braccio?" le chiese d'improvviso Andrea.
"Un po'... ma non è niente, tranquilla" le rispose Micaela continuando a lottare con una buca nella quale la rotellina del suo Toto si era incastrata. Quando riuscì a liberarla, il manico di Toto le si piazzò proprio in mezzo alle costole. "Ahi! Ci mancava solo questa, che botta! Prima o poi avrò una poltiglia di costole!"
"Vieni" disse gentilmente Luca, prendendo per mano la ragazza, mentre Andrea le prendeva dalle mani Toto.
"Grazie" disse intimidita Micaela.
"Ehi, ciao ragazzi!" salutò una voce alle loro spalle.
"Kal!" esclamò Luca, mentre Kaleb e Lucia li raggiungevano.
"Mica!" Lucia corse incontro alla sua migliore amica e le gettò le braccia al collo. Micaela, pur investita da una fitta di dolore, sorrise all'amica e, cercando di non forzare troppo la stretta, ricambiò l'abbraccio. "Stai bene, vero? Stai bene?"
"Lu, calmati" disse gentilmente Micaela. "Sto bene, non preoccuparti. Tu, invece, come stai?"
Lucia si calmò e, sentendosi più tranquilla, disse: "Va... va meglio... molto meglio, davvero."
"Che ne direste di venire tutti e quattro a casa mia?"
Micaela rimase stupita da se stessa, ma in quel momento quei quattro ragazzi le sembravano la cosa più bella che le fosse mai capitata.
"D'accordo" rispose Luca.
"Per me va bene" si aggregò Kaleb.
"Io... io ci dovevo essere comunque" le disse sottovoce Lucia. "Ma... ma sei sicura che non diiturbo?"
"E da quando la mia amica del cuore disturba?" chiese Micaela.
"Certo... il tempo di avvertire mia madre" si aggregò la nuova conoscenza: Andrea.
Quando, dopo pochi minuti, arrivarono a casa di Micaela, la ragazza si prodigò per preparare qualcosa. Alla fine la pasta con il pesto mise tutti d'accordo, e la ragazza, in due turni da venti minuti ciascuno, con un Bimbi analogico e una bilancia pesa-alimenti parlante, riuscì a preparare quattro piatti.
"E per te?" chiese Luca, premuroso.
"Oddio, scusa... mi hai fatto venire in mente Jovanotti." disse Micaela. "Comunque, tranquillo: ora metto su qualcosa anche per me."
Quando tutto fu pronto, misero su una tavola alla buona e iniziarono a parlare del più e del meno.
"Stai sempre da sola, dopo scuola?" chiese Luca. "Voglio dire: quando ad esempio Lucia non viene a scuola."
"Sì... non per molto, però" rispose Micaela. "I miei genitori torneranno tra un'oretta, più o meno."
"E fai tutto da sola?" chiese Kaleb.
"Quello che riesco a fare" rispose lei.
Non le sembrava che quello che sapeva fare fosse chissà cosa, anche perché alcune cose le faceva in modo diverso: prepararsi da mangiare, muoversi in autonomia, approcciarsi agli altri... eppure le persone che le volevano bene la facevano sentire importante anche per delle piccole cose.
"Luca... ti posso chiedere un favore?"
"Di che si tratta?"
"Ecco... se ti va, è ovvio... suoneresti qualcosa?" si decise a chiedere Micaela. Le sarebbe tanto piaciuto ascoltarlo, magari senza allungare il collo come una giraffa per farlo senza doverlo disturbare.
"Ti conviene?" la stuzzicò il ragazzo.
"Scherzi? Ovvio che mi conviene!" gli rispose Micaela, mentre iniziava a portar via alcuni dei piatti vuoti.
"Dai, non è il caso" disse Luca, modesto. In quello era proprio come Mica: non si sentiva all'altezza di quello che gli piaceva, e chiunque avrebbe potuto dirgli: "Bravo!": lui non ci avrebe creduto. "I vicini ti daranno problemi per rumori molesti."
"Senti un po', Luca Marzano... o prendi Selene e ci suoni qualcosa, o ti giuro che ti torturerò fino a quando non lo farai" intervenne Andrea, alzandosi e cingendo le spalle di Micaela, come per darle manforte.
"Poverino, non volevo mica metterlo alle strette, io!" saltò su l'altra, ma Andrea sorrise.
"Se glielo chiedo così di solito mi accontenta..." disse ad alta voce, poi, abbassando il tono in modo che solo Micaela potesse sentire, sussurrò: "Ma fidati che l'avrebbe fatto anche per te, se non fosse così modesto. Gli sono venuti gli occhi a cuoricino."
"Va bene." capitolò infine Luca. "Ma a una condizione: la padrona di casa canta con me, e voi tre ballate insieme o fate un coretto."
A quell'uscita, Lucia entrò letteralmente in crisi. Le piaceva molto ballare... anzi: le piaceva l'arte nel suo complesso, ma naturalmente i suoi genitori le stroncavano qualunque desiderio.
"Ma smettila di muoverti in quel modo! Sembri una scimmia!" "Cantare? Ma per favore! Con questa voce, al massimo, potresti grugnire!" "Ma figurati, un'attrice! Una scema come te non imparerebbe neanche una poesia di Natale! Ma non vedi che voti orribili prendi?" "E smettila con quegli scarabocchi!"
Micaela comprese al volo il suo silenzio e si diresse rapidamente verso di lei. "Anch'io mi vergogno da matti, ma gliel'ho chiesto io, di suonare e cantare... e comunque, qui loro non ci sono. Puoi fare quello che vuoi, quando stai con noi, d'accordo?"
Luca tirò fuori la sua chitarra e Micaela lo raggiunse.
"Conosci "Selene"?" chiese Luca. "La canzone di Modugno, dico."
"Aaaah,, ecco perché la tua chitarra si chiama così!" disse Micaela, cosciente del fatto che tutti i presenti nella stanza conoscevano quel dettaglio. "Comunque... la conosco, però... non proprio a memoria."
"Ti aiuto io" la rassicurò il ragazzo.
Iniziò a suonare qualche accordo, poi attaccò con la voce, e Micaela, sentendosi completamente libera per la seconda volta in quella giornata, lo accompagnò con piacere... ma non poté non notare con quanta gentilezza Andrea, la "nuova", diceva a Lucia: "Ti va di ballare con me?" Lucia aveva esitato, ma poi si era convinta, rassicurata dai modi gentili della ragazza. Poi Kaleb le aveva raggiunte, facendo da cavaliere un po' all'una e un po' all'altra.
Alla fine del brano, tutti, tranne Luca che reggeva ancora Selene, batterono le mani.
"Però!" esclamò Andrea. "Anche tu te la cavi molto bene, Micaela."
"A fare cosa?" chiese la ragazza.
"A cantare, dico" le rispose Andrea, circondandole di nuovo le spalle.
"E siamo a due!" esclamò Mica. "È la seconda volta, oggi, che qualcuno mi dice che sono brava in qualcosa."
"E l'altra persona chi è(" chiese Andrea.
"Il... oh, accidenti, non imparerò mai! Gabriele" rispose Micaela, ancora imbarazzata al ricordo di esere stata sorpresa a recitare e cantare a caso, in una scuola. "Io ho la mania di raccontare storie ad alta voce, quando sono triste, specie quelle di Harry Potter... ma oggi lui mi ha scoperta e..."
Micaela non poteva saperlo, ma il viso della sua interlocutrice s'illuminò e si aprì in un sorriso enorme. Visto che Micaela a quanto pareva era d'accordo, avrebbe chiesto se poteva farla assistere alle prove, e dopo magari l'avrebbe portata a fare un giretto dietro le quinte. Poteva solo immaginare cosa diavolo le avessero detto "quelli delle stupidaggini", per convincerla che non fosse in grado di seguire i suoi sogni e la cosa la irritava non poco. Non aveva mai sopportato le discriminazioni, che fossero dovute alla provenienza, alle condizioni economiche o a qualsiasi altra cosa.
"Oh no, accidenti!"
"Lucia... che ti prende?" chiese Kaleb, preoccupato.
"I miei genitori... se non torno a casa in tempo, loro..." balbettò la ragazza, agitatissima. Corse via, raggiungendo il bagno, ed indossò nuovamente i suoi vestiti rattoppati e cadenti, che ne avrebbero contenute almeno tre, di ragazze con la sua corporatura gracile.
"Lucia, aspetta!" esclamò Kaleb. "È presto... perché dovresti tornare a casa?"
Ma Micaela, che aveva capito l'agitazione dell'amica, gli posò una mano sul braccio: "No, Kaleb" disse. "Ascoltami: è meglio che torni a casa adesso."
"Ma perché?" chiese il ragazzo.
"Kal, ascoltami: se Lucia arriva in ritardo, finirà per mettersi nei guai."
Lucia rovesciò per terra lo zaino che Micaela le aveva prestato e iniziò ad ammassare i libri per portarseli via.
"Ma..." balbettò Kaleb, più confuso che mai.
"Aspetta, Lu" le disse Micaela, "almeno fatti aiutare a portarli."
"No!" esclamò Lucia, tirando su a fatica i libri, ammucchiati l'uno sull'altro. L'amica le spalancò la porta e, quando la ragazza fu abbastanza lontana, sussurrò: "Kal, per favore, accompagnala, ma cerca di non farti vedere... anzi: meglio... lo zaino riportaglielo... lo svuoterà quando sarà fuori dalla porta di casa... fammi questo favore, ti prego!"
"Va bene, ma perché tutti questi misteri?" chiese Kaleb, ma Luca gli piantò una gomitata nelle costole. Nemmeno lui sapeva con esattezza cosa stesse accadendo a Lucia e perché fosse così agitata, ma sapeva che Micaela non poteva svelare i segreti che la sua migliore amica le aveva confidato.
Kaleb, rassegnato, raggiunse Lucia, intenta a raccogliere i libri, che per l'ennesima volta le erano caduti.
"Lu, rimettili a posto... lo svuoterai fuori dalla porta di casa, lo zaino." sussurrò Kaleb.
Alla fine la ragazza accettò, pur essendo ancora terrorizzata. Non voleva che Kaleb le facesse domande, non voleva che provasse pena per lei... non voleva che la costringesse a parlare della sua più grande vergogna.
Il ragazzo, però, non fece domande. Si limitò ad accompagnarla fino alla porta di casa, avendo cura di non farsi vedere dai genitori di lei, e appena ebbe finito, svuotò lo zaino fuori dalla porta di casa sua. Lucia aprì con le sue chiavi e spinse dentro i libri, uno alla volta, per poi accatastarli su un cassettone.
"Grazie. Ciao" disse, per poi chiudere la porta prima che il ragazzo potesse rispondere.
Kaleb rimase per un pezzo lì, fermo accanto alla porta. Non capiva perché, di colpo, Lucia fosse diventata così schiva, perché avesse tanta fretta di chiudere la porta di casa sua... poteva solo immaginare cosa le facessero i suoi. Aveva visto i lividi, ma non sapeva fino a che punto si spingessero.
Dopo cinque minuti buoni che se ne stava lì, però, si risolse a raggiungere l'ascensore per andarsene via. Doveva tornare a casa anche lui, avvertire i suoi della punizione, o, nella peggiore delle ipotesi, sorbirsi le loro prediche, e schiaffare il viso sui libri per rimettersi in pari, almeno con i voti. Poi, però, fu colpito da un pensiero: "Non devo lamentarmi" disse tra sé. "Almeno so che i miei genitori mi vogliono bene. I genitori di Lucia, invece... ah, maledizione: ma come si fa a non volerle bene?"
Scrisse un veloce messaggio a Luca per avvisarlo che stava tornando a casa, poi si avviò, preparandosi ad una bella lavata di testa.
Nel frattempo, la madre di Micaela era rientrata dal lavoro, e la ragazza le aveva presentato Luca e Andrea. Erano rimasti un po' lì, a parlare del più e del meno, poi Andrea ricordò una cosa: "Accidenti, devo andare alle prove... Mica, ti andrebbe di venire con me?"
Micaela rimase per un attimo in silenzio, indecisa.
"Va' pure, piccola" le disse Sofia, togliendola dall'imbarazzo.
"Ehm... magari vado anch'io" disse Luca, ricordando che lo attendeva una maratona di appunti e pagine da studiare di chimica.
"A casa, intendi?" gli chiese Micaela.
"Sì... vedi, ho molto da studiare."
"Che materia?"
"Chimica."
"Ah, accidenti! Anche tu hai il professor Lucano?"
"Sì, purtroppo... e se non vado bene a quella sua dannata interrogazione mi farà nero" sospirò Luca, scrollando le spalle.
"Capisco... magari, se dovessi avere difficoltà, fammi sapere... così, se posso, ti aiuto..."
"Sei un angelo, Micaela!" le disse Luca, reverente.
"Anche tu!" esclamò Mica.
Sofia si propose di accompagnare i tre in macchina. Lasciò le due ragazze davanti al teatro e Luca poco lontano, all'angolo della strada.
Andrea strinse il braccio di Micaela, sorridendole gentilmente.
"Questo è il mio posto felice." le disse, spalancando il portone.
"Buonasera, gioiello!" esclamò una voce.
"Ciao, Tommaso!" salutò a sua volta la ragazza, mentre il suo viso gentile veniva illuminato da un ampio sorriso.
"E questa signorina da dove salta fuori?" chiese il famoso Tommaso.
"Lei è Micaela, una mia amica" rispose Andrea.
Amica? Al suono di quella parola, Micaela si sentì scaldare il cuore... Andrea non doveva essere una che diceva facilmente una parola tanto importante, e la ragazza, che la conosceva da appena qualche ora, si sentì molto onorata.
"Sei un'aspirante attrice?" le chiese Tommaso.
"No, io... io sono una spettatrice" gli rispose Micaela. Tese la mano verso di lui e gliela strinse. "Piacere."
"Beh... come mi chiamo lo sai... sono il custode del teatro." disse Tommaso.
"Wow! I custodi sono tutti così gentili?" chiese Micaela.
"Perché dici questo?" chiese lui.
"Perché anche il custode della mia scuola è molto buono... forse è uno degli uomini più buoni che abbia mai conosciuto, e... oh, accidenti!" La ragazza trattenne il respiro per qualche secondo: fuori dall'edificio si stava formando un bel gruppetto, e tra le varie voci ne spiccava una in particolare. "Andrea, ti gireresti un attimo? Quello non è il... voglio dire: Gabriele?"
"Te le ricordi bene, le voci, vero?" chiese proprio lui, arrivandole alle spalle. "Come stai, signorina? Va meglio?" Sulle ultime parole abbassò la voce, in modo che lo sentisse soltanto lei.
"Va... va meglio... davvero" balbettò lei. Beh, almeno sapeva che la sua proverbiale timidezza non era solo collegata ad una cotta. Lei era cotta di Luca, e anche a lui stentava a fare complimenti, escluso: "Sei un angelo!" A Gabriele voleva bene come ad un caro amico di famiglia o qualcosa di simile, e dopo aver detto quelle cose avrebbe voluto dissolversi.
"Ah, quindi se ho capito bene..."
"Ho anche un altro lavoro" rispose Gabriele, "e questa ragazza è una delle poche persone che me lo rendono sopportabile."
"L'ho portata qui per farle vedere cosa facciamo" intervenne Andrea, per togliere l'amica dall'imbarazzo. Anche lei era un po' così, anche se riusciva a nasconderlo meglio. "Non è un problema, vero?"
"No, certo che non è un problema... però prima vorrei che le mostrassi anche un'altra parte di questo posto."
"Le quinte?" chiese Andrea, che ci aveva già pensato.
"Esatto! Ti farebbe piacere, Micaela?"
"Oh, wow... se posso..."
"Perfetto! L'affido a te, piccolo prodigio" si raccomandò il custode, strizzando l'occhio ad Andrea.
Micaela fece l'atto di salire il gradino dell'ingresso per poi scenderne due dall'altro lato, ma l'amica le fermò delicatamente la mano.
"Vieni, ci penso io a te" le disse semplicemente. La prese per mano ed entrarono insieme nel suo "posto felice". Mentre camminavano, Micaela si rese conto del fatto che stavano girando praticamente intorno alla sala. Si girarono a sinistra e s'infilarono in un corridoio.
In quel momento, Micaela ebbe la sensazione che le gambe le cedessero. Non sapeva perché, ma appena era entrata lì dentro il suo corpo era stato scosso dai brividi.
"Qui è dove ci cambiamo. Ci sono due camerini, uno per gli uomini e uno per le donne" disse l'amica, facendo voltare la ragazza verso destra. Varcarono una porta e si trovarono in una piccola stanza. Micaela tese il braccio e si trovò a sfiorare una specie di scrivania, delle grucce e una sedia, anche piuttosto alta. "È piccolo, ma accogliente."
Mica rimase in silenzio, ma Andrea si sentì scaldare il cuore quando vide la sua espressione: aveva un sorriso che le andava da un orecchio all'altro, una faccia estasiata, come se avesse visto tutt'e sette le Meraviglie del Mondo nello stesso momento, e si lasciava guidare senza problemi.
"Dai, vieni! C'è ancora tanto da vedere!" le disse, e prima che potesse pentirsene, Micaela esclamò: "Che bello! Hai detto "vedere", senza crearti problemi..."
Riattraversarono il corridoio e arrivarono a tre gradini. Per cercare qualcosa a cui aggrapparsi, in modo da poter salire agevolmente, Micaela si trovò a sfiorare una specie di parete rivestita da una stoffa che non avrebbe saputo identificare.
"Le quinte" le spiegò l'amica. "Vedi? È così che sono fatte."
Le fece percorrere quelle pareti ricoperte di stoffa, che terminavano con una specie di colonna. Ovviamente Micaela sapeva cosa fossero le quinte e a cosa servissero, ma vederle da vicino, anzi: dall'interno, era tutt'altra cosa.
Mentre percorreva i contorni di quel rivestimento, avvertì una sorta di formicolio alle dita... era una sensazione piacevole e dolorosa allo stesso tempo. Era come se, da un lato, non vedesse l'ora di continuare a camminare per raggiungere il palco e dall'altro, terrorizzata com'era, non vedesse l'ora di tornare indietro.
"M-ma... non state tutti qui dietro nello stesso momento, no?" trovò il coraggio di chiedere. Non sapeva perché: non era quella la domanda che voleva porre, ma le venne fuori così, quasi senza che se ne rendesse conto. "Voglio dire: lo spazio è un po' stretto... non ci passerebbe... un tavolino, per esempio, se foste tutti ammassati qui dietro, non è vero?"
"No, infatti no. Hai presente quella panca che è in corridoio? Qualcuno si siede lì, altri sulle sedie, poi c'è chi sta in piedi, premuto contro il muro... solo chi entrerà a breve sta proprio qua dietro... e ovviamente ci sono più quinte, ma questo lo saprai già per conto tuo."
"Io penso che farei parte dell'ultimo gruppo... quelli che stanno in piedi con le spalle contro il muro!" esclamò Micaela. "Però forse dovrei mettermi a sedere di forza, per non ostruire il passaggio, dico..."
Poi si rese conto di quello che aveva appena detto. "Ma tanto non lo saprò mai..." aggiunse, simulando un tono tranquillo, anche se l'idea di non vivere appieno quell'esperienza e di non trovare qualcuno come quella ragazza che le aveva fatto da cicerone senza che lei glielo chiedesse, le dispiaceva parecchio... le sarebbe piaciuto vivere l'esperienza delle Tavole Magiche, ma le parole della Distasio, di Carlotta e di altri docenti le rimbombavano in testa. "Non puoi farlo, perché sei cieca." "Piccola, insulsa disabile." "Devi accettare la realtà, mia cara..."
"Non è detto! Aspetta: manca ancora il meglio" disse Andrea, riscuotendola dai suoi pensieri. Anche lei era tra quelli del: "Chi ti ha detto queste sciocchezze?", e voleva dimostrarle che, con qualche piccolo accorgimento, realizzare un sogno era possibile eccome! Si era sentita legata a lei fin dal primissimo momento, anche se tecnicamente non la conosceva da neanche un giorno... ma non avrebbe mostrato a chiunque il "dietro le quinte" del suo posto felice... e non era da tutti apprezzarlo come faceva quella ragazza, che difficilmente spiccicava parola, ma le si poteva leggere dentro come in un libro aperto alla pagina giusta. Quel: "Tanto non lo saprò mai", l'aveva detto con naturalezza, ma aveva stretto la mano dell'amica, come per darle ad intendere che la cosa la rammaricava.
Ora capiva perché Luca non facesse che parlare della "ragazza della classe accanto": aveva un che di speciale... e tacitamente le stava dando ad intendere che il sentimento era reciproco.
Andrea si spostò alle spale dell'amica e la spinse delicatamente in avanti. In quel momento, si affacciavano su quello che doveva essere il palco.
"Coraggio, vai avanti! Ci sono io, non ti succedeà niente" le disse amorevolmente... ma non era quello che aveva bloccato Micaela. Finché non era mai stata su un palco, aveva immaginato che non sarebbe stato un problema farne a meno... ma quando, esitante, si spostò in avanti e si concentrò sullo spazio aperto che aveva davanti e sul legno che in quel momento aveva sotto i piedi, fu nuovamente scossa dai brividi.
"Ti va di ballare insieme?" le propose l'amica, girandole intorno e prendendole entrambe le mani.
"Non sono capace... io..." balbettò Micaela, ma, prima di rendersene conto, si lasciò trasportare da una musica immaginaria.
Le parole della canzone di Modugno, quella che Luca aveva suonato poco prima, rimbombavano nella testa di entrambe le ragazze.
Ballavano a caso, ma a nessuna delle due importava. Poi, d'istinto, Micaela si gettò per terra, si distese su un fianco premendo l'orecchio contro le assi di legno del palco e batté qualche colpo per terra con la mano sinistra. Poi si alzò di nuovo, e, come se conoscesse quello spazio da tutta la vita, si mise a fare avanti e indietro.
"Sembra il battito di un cuore" commentò, raggiante.
"Intendi il rumore dei passi qui sopra?" chiese l'amica, raggiungendola. "Attenta, sei quasi arrivata al bordo."
"Sì... sì, quello... wow, grazie..." balbettò Micaela, e il suo cuore prese a martellare.
"Lo sai? Non ci avevo mai pensato." le confidò l'amica.
"È così che ci si sente... ad essere liberi?" chiese Micaela, allargando le braccia come se fossero state ali.
Ma Andrea non ebbe il tempo di risponderle, perché le due ragazze furono sorprese da qualcuno che le stava guardando. Per Micaela era la seconda volta.
"Non sapevo che fossi così scatenata" disse una voce. Micaela per poco non cadde all'indietro, riconoscendone il proprietario: Luca!
"Ma tu che ci fai qui?" chiese Andrea, venendole in soccorso. "Non dovevi studiare?"
"Sì... ma poi ho cambiato idea! Lo sai che anche a me piace il teatro. Anzi: mi piace l'arte in generale."
"Da quanto tempo ci spiavi?" gli chiese la ragazza, puntandogli scherzosamente un indice contro. Sapeva di poterlo stuzzicare, anche perché lui faceva lo stesso con lei.
"Abbastanza per capire perché un amico ti ha chiamata "attrice", Micaela" rispose il ragazzo, rivolgendosi però alla ragazza che non aveva aperto bocca da quando era entrato.
"N-no... non posso..." balbettò lei.
"E chi lo dice? Fammelo sapere, che lo spenno come un pollo!" esclamò Luca. Ed erano arrivati a quota tre, i Guerrieri che volevano aiutarla a lottare per i suoi sogni... quindi, forse, non era poi un'idea così assurda, il fatto che lei, lì sopra, si sentisse a casa, a prescindere dagli occhi tarocchi, dal carattere fin troppo introverso, dall'autostima non pervenuta.
Ma di quel pensiero che la rendeva così felice, Micaela non disse nulla. Recuperò Toto, che era stato infilato nel suo zaino, e si girò verso sinistra, lentamente, percorrendo il bordo del palco per trovare gli scalini.
Non conosceva bene il posto, ma non sembrava molto grande. Fece scorrere la rotellina del suo Toto accanto alle file di poltrone, raggiunse l'ultima e vi passò dietro per poi raggiungere l'angolo sinistro, quello più nascosto.
Si mise lì, con le braccia al petto, lo zaino che le copriva la faccia e il suo Toto sempre stretto nel pugno. I compagni di Andrea le passavano accanto, ma non dissero nulla... forse si era nascosta abbastanza da non farsi notare, ma evidentemente la cosa non valeva proprio per tutti... la ragazza, infatti, si sentì sfiorare la testa da una mano dal tocco familiare, ma ebbe ugualmente un sussulto.
"Calma, sono Gabriele." le disse sottovoce il custode, o l'attore, o qualunque cosa fosse in quel momento il suo amico.
"Mi scu... scusami, non... cioè, mi hai colta di sorpresa."
"Ti sei divertita?"
Divertita e basta sarebbe stato un po' poco... ma intanto, come avrebbe potuto spiegare come si era sentita, su quel palco? Poi Gabriele le premette una mano sulla spalla, e, come se quel gesto l'avesse aiutata a trovare qualcosa, disse piano: "È stato come se ci vedessi."
Lui non disse nulla in proposito, ma le strinse leggermente la spalla, sorridendo, prima di lasciarla andare e raggiungere il resto del gruppo.
Vedere le prove le risultò diverso, dopo l'esperienza sul palco. Ora si sentiva come se si trovasse lì in mezzo anche lei, nel gruppo che era sul palco in quel momento. L'udito, che già di per sé era il capomastro dei sensi, le si era amplificato ancora di più. Ascoltava i passi dei singoli su quelle tavole magiche, il loro modo di respirare, di parlare... come se stesse cercando di afferrare un tesoro prezioso che le sarebbe servito per imparare a raccontare.
Si strinse le braccia al petto: il cuore sembrava volerle esplodere, ma in quel momento non si sentiva un peso opprimente sulle spalle. Il cuore le si era allargato e si sentiva più leggera.
"Il peso sulla Luna è la metà della metà." Lei avrebbe detto: "Il peso sul palco", più che sulla Luna, perché si era sentita come se quasi non stesse toccando terra... come se avesse avuto le ali.
"Selene-ene, ah! Com'è bello stare qua! Selene-ene, ah! Con un salto arrivo là..." Con un salto? Forse anche di meno... e, sempre come diceva la canzone, lei non sapeva perché si sentisse così bene, lì, in quel momento.
Percepì una presenza al suo fianco e qualcuno che le toccava la spalla, ridestandola dai suoi pensieri.
"Sono Luca" sussurrò il ragazzo, rendendosi conto di essere arrivato troppo di soppiatto.
Rimasero lì, in silenzio, l'uno accanto all'altra... poi, istintivamente, il ragazzo le prese la mano e la tenne stretta tra le sue. Le sue mani calde, leggermente irruvidite dai calletti da chitarra e al contempo con le dita affusolate di un pianista, le trasmettevano una sensazione di pace. Lui era proprio come lei: incerto sul combattere o meno per un sogno... ma forse, se lui era riuscito a farlo, almeno davanti a lei, anche lei avrebe potuto lottare per i suoi desideri... per sentirsi leggera, come se si fosse trovata sulla Luna.
"Mano per mano noi ce ne andremo, come due piume leggere... sopra vulcani spenti da sempre, in questo mondo che tace... c'è tanta pace."
Quella strofa le si ripeteva nella mente. Forse quei due avevano bisogno di tenersi per mano, per raggiungere quei tanto sospirati sogni... per sentirsi leggeri come piume. Dovevano combattere contro quei vulcani spenti: la gente che non credeva in loro, che non voleva accendere il suo spirito per concedersi, e concedere anche a loro, la possibilità di sognare... dovevano combattere con se stessi, con la loro autostima. L'unica differenza era che il mondo del teatro non taceva: era costellato di suoni, rumori, risate... l'unica cosa che taceva, almeno lì dentro, erano i pregiudizi. Quel posto magico che era il palco era lo stesso per tutti coloro che lo calcavano: dava i brividi, infondeva energia, elettricità... e inoltre, i passi di chi lo percorreva facevano lo stesso rumore di un cuore che batte a mille.
Quando tutto fu finito, uscirono tutti insieme dalla sala e si fermarono fuori dall'edificio.
I componenti della compagnia si presentarono e, stranamente, a Micaela sembrò di prendere confidenza con loro abbastanza velocemente. Erano tutti molto gentili, spiritosi il giusto e molto più aperti dei suoi insegnanti.
Quando fu il momento di andare via, Micaela fece l'atto di estrarre il telefono per avvertire sua madre, ma per l'ennesima volta Gabriele le fermò il braccio.
"Non c'è bisogno" le disse. "Oggi vorrei fare un extra per i miei ragazzi. Devi solo darmi il tuo indirizzo, del resto me ne occupo io."
E cinque minuti dopo, Micaela, Andrea e Luca erano saliti a bordo. Luca era seduto davanti, accanto a Gabriele, mentre Andrea e Micaela erano sedute l'una accanto all'altra, sui sedili posteriori.
Come al solito, Micaela era rimasta in silenzio. Continuava a rivivere nella sua testa l'esperienza su quel palco, che per lei era magico. Non riusciva a farne a meno: in quel momento si era sentita completa, felice... libera. In quel momento aveva sentito che niente e nessuno avrebbe potuto farla soffrire, perché era immersa nella sua bolla incantata.
Luca e Andrea arrivarono prima di lei a destinazione. Quando scesero, Micaela fece lo stesso, per passare accanto al custode.
"Scusami, forse ti sto facendo perdere del tempo, ma mi dispiaceva lasciarti da solo." gli disse istintivamente.
"Che carina che sei!" le disse gentilmente il custode. La ragazza cercò la cintura di sicurezza, con le mani tremanti, e l'agganciò.
"Ti posso chiedere una cosa?"
"Quante ne vuoi, piccola."
"È normale... che quando tocchi con mano un sogno non riesci a pensare ad altro?"
"Parli della gita turistica dietro le quinte, vero?"
"Sì... è quello..."
"Certo che è normale... ed è anche normale averne paura. Lo sai, in un pre-spettacolo io vorrei mandare tutto al diavolo e andarmene... ma quello che viene dopo è talmente bello che vivere attimi di panico è un prezzo ragionevole da pagare."
La ragazza sorrise, passandosi una mano sul viso che il custode giudicò "angelico". Poi, però, per qualche strano motivo, le venne in mente qualcosa... o meglio: qualcuno... la sua amica Lucia.
"Ehi! Che ti prende, Micaela?"
"Sono preoccupata."
Erano praticamente arrivati, quando la ragazza disse quella frase. Sentì la portiera del lato opposto sbattere, poi fu aperta quella dalla sua parte e il custode l'aiutò a scendere dalla macchina.
"Perché sei preoccupata?" le chiese, stringendole la mano.
"Se te lo dico, mi prometti di non dire a Lucia che lo sai?" gli chiese, e, per la prima volta, gli diede del tu senza difficoltà.
"Mi vuoi parlare dei lividi che casualmente ha sulle braccia?" le venne in soccorso l'uomo.
Micaela, rendendosi conto del fatto che Gabriele aveva capito qualcosa, gli raccontò tutto, con la sua voce sottile e tremante. Lui la lasciò spiegare, senza fermarla, anche se sentire le cose che i genitori di Lucia dicevano lo feriva.
"Una volta li ho sentiti io stessa... e ti giuro che... che mi sento in colpa ancora oggi... perché non sono riuscita a fare niente, per proteggerla... non riesco mai a fare niente per proteggerla."
Si strinse un fianco con la mano libera, impedendosi di piangere. Due volte in un solo giorno, davanti alla stessa persona, era veramente troppo.
"Se ti fossi intromessa, forse le cose sarebbero andate anche peggio" la rassicurò Gabriele. "Magari, reagendo con rabbia e stando da sola, avresti potuto metterla nei guai e finirci tu stessa."
Non ebbero il tempo di dirsi altro, perché in quel momento entrambi furono spinti a voltarsi, Micaela da dei singhiozzi soffocati e Gabriele da un'ombra sottile che gli passava vicino.
Micaela allargò le braccia, istintivamente, e la sua migliore amica vi si gettò dentro, come in cerca di un rifugio. Mica la riconobbe dai singhiozzi, dagli abiti strappati e... bagnati! Aveva iniziato a piovere, ma quello che la ragazza sentiva sotto le dita non assomigliava affatto all'acqua.
"Lu.." disse con un filo di voce, sentendo le gambe che la reggevano a malapena. "Che ti è successo, tesoro?"
La ragazza non rispose. I vestiti le si erano appiccicati addosso, grattando contro le ferite che aveva sulla schiena, e lei tratteneva a malapena dei gemiti di dolore, tanto che Micaela allentò la stretta, preoccupata. Si girò verso sinistra, verso Gabriele, come per cercare una risposta.
"Se è quello che penso, dobbiamo andare in ospedale."
"No... no, per favore! Se i miei se ne accorgono, si arrabbieranno... non vogliono che io dica come mi hanno cresciuta" disse piano Lucia, terrorizzata.
In quel momento, Micaela ebbe la sensazione che Gabriele si stesse trattenendo dal manifestare la rabbia.
"Lu... amica, ascolta" le dise con calma, trattenendo la rabbia a sua volta, "ti prometto che farò in modo che i medici non ti chiedano come ti sei fatta male... ma tu devi farti visitare da qualcuno che ne capisca... le ferite potrebbero essersi infettate, è pericoloso."
"A chi importa, se me ne vado?"
A quell'uscita, sia Micaela che Gabriele si raggelarono. Lei, con movimenti lenti per evitare di spaventarla, alzò una mano e le asciugò le lacrime. Lui strinse un pugno lungo il fianco, si passò l'altra mano sul viso, per cercare di distenderlo il più possibile, e disse: "Non sai a quante persone importerebbe se ti accadesse qualcosa. Importa alla tua amica qui presente, ai suoi genitori, a me... al professor Michele, alla professoressa Angelica... e poi a Luca, Kaleb e Andrea, anche se vi conoscete da poco."
"Per tutti noi accetteresti di farti visitare, Lu? Non per te stessa, se non vuoi... per noi." sottolineò Micaela, tentando di convincerla. Non le aveva toccato la fronte, ma la sentiva decisamente accaldata.
Alla fine, non riuscendo a parlare, la ragazza si limitò ad annuire contro il petto dell'amica.
Tornarono a bordo dell'auto e Micaela avvisò sua madre del fatto che si sarebbe attardata, poi si sfilò il cappotto e lo mise addosso all'amica a mo' di coperta. La ragazza, bagnata, sporca e febbricitante, tremava tutta, come se non ci fosse un domani. Micaela la fece sdraiare sulle sue ginocchia, sperando che stesse più comoda.
Quando arrivarono all'ospedale, furono accolti da una volontaria, che però parve piuttosto stupita nel vederli.
"Gabriele!" esclamò, sorpresa. "Ma che è successo? E queste ragazze?"
"Ciao, Giorgia" la salutò lui, con una voce stanca e tremante, che non gli apparteneva veramente. "Sono allieve di Michele. Lei... lei è Lucia Grimaldi e ha delle ferite sulla schiena... potrebbero essersi infettate."
Giorgia si avvicinò alla ragazza e la prese delicatamente tra le braccia, adagiandola su una barella. Lucia, che sembrava essere caduta in una specie di torpore, batté le palpebre più volte e disse con un filo di voce: "Mamma... sono stata cattiva, mamma..." Dicendo quelle parole, guardava Giorgia. La donna strinse gli occhi, che sembravano sul punto di esplodere, e Micaela la sentì deglutire.
"No, piccola... la mamma non pensa che tu sia cattiva" l'assecondò, anche se la cosa sembrava costarle un bel po'.
La ragazzina fu portata via. Micaela rimase ad ascoltare il rumore delle ruote della barella che trasportava la sua amica, fino a quando quel suono non fu più a portata di udito. Si chiedeva perché quella donna avesse reagito in quel modo, come Gabriele facesse a conoscerla... perché Lucia l'avesse chiamata "mamma".
"È mia cognata" disse il custode, come se le leggesse nel pensiero. "Lei e mio fratello Michele hanno alle spalle un'esperienza molto dolorosa... anche troppo, direi. Ma tu devi stare tranquilla: Lucia è in ottime mani..."
Micaela rimase lì, ferma, in piedi, continuando a rigirarsi la corda di Toto tra le dita.
"Perché non ti siedi?" chiese Gabriele. "Se stai lì in mezzo qualcuno che passa di corsa potrebbe travolgerti."
"No.. non preoccuparti, davvero."
"Tesoro, vieni. Andrà tutto bene" provò a rassicurarla lui, prendendole la mano e facendola muovere all'indietro fino a raggiungere una sedia di plastica. La ragazza, alla fine, si arrese. Gabriele si mise a sedere accanto a lei e le strinse la mano sinistra.
"Tieni tanto a Lucia, vero?" chiese gentilmente.
Le voleva bene eccome! Quella ragazza era una delle pochissime amiche che aveva. Non la trattava con compassione, anzi: cercava rifugio in lei, le confidava tutto, e allo stesso tempo le stava accanto... il dolore che aveva dentro era decisamente troppo grande, perché lo sopportasse da sola.
Per questo Micaela si era ripromessa di aiutarla e proteggerla il più possibile... ma con il passare del tempo, si sentiva sempre più impotente. La voce della sua amica si spegneva di giorno in giorno, bastava un niente per farle male fisicamente o per farle venire un attacco di panico... e questo la portava a maledire se stessa, per non aver fatto nulla che tirasse fuori la sua amica dal baratro.
"Non è colpa tua, Micaela" le disse Gabriele, tracciando dei ghirigori sul dorso della sua mano tremante. Non dise altro, perché non avrebbe saputo in che modo spiegarle che non era colpa sua.
"Le voglio tanto bene, Gabriele. Se dovesse succederle qualcosa, non me lo perdonerei mai."
Rimasero in silenzio, l'uno accanto all'altra, tenendosi la mano. Lei, la piccola, imbranata Micaela, continuava a ripetersi mentalmente che sarebbe andato tutto bene, sfregando con le dita l'impugnatura del suo Toto come se fosse stato un'ancora di salvezza. Lui, Gabriele, che per Mica era il gigante buono, con un cuore così grande che non gli stava nel petto, si sentiva spaccato in due. Da un lato: la ragazza che gli sedeva accanto, con la testa rivolta al pavimento e un carico troppo pesante per lei... dall'altro: una bambina che non aveva scelto di nascere, ma che veniva insultata e maltrattata per questo, ricoverata in ospedale, e probabilmente spaventata. Avrebbe tanto voluto proteggere entrambe.
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