-14: "L'Amico È" o: "La nascita del gruppo"-
Al momento dell'intervallo, Micaela andò a cercare Denise insieme a Lucia e Gabriele. Come al solito, i professori volevano che lui le facesse da guardia.
"Ci ho provato, piccola... ma questi sono duri di comprendonio!" sussurrò il custode.
"Non importa... almeno ho te come guardia del corpo!" lo confortò Micaela.
Questo fu decisamente un sollievo, per lui... era un segno che a lei non dispiaceva affatto stargli vicino: al contrario, ne era felice!
Presero a camminare per i corridoi scolastici.
"Fate largo, fate largo!" prese a ripetere il custode, facendo ridere entrambe le ragazze.
Quando arrivarono alla classe di Denise, Micaela si sentì straziare il cuore. La ragazza se ne stava seduta lì, da sola, al primo banco... la ragazza lo sapeva, perché sentiva Barbara, l'insegnante di sostegno, che le parlava da un punto poco distante rispetto alla porta.
"Che cos'hai, Mica?" le chiese Lucia, preoccupata.
"No... no, non è niente... va tutto bene, davvero." mormorò lei.
Non ebbe il tempo di dire altro, perché Denise, riconoscendola, le andò incontro e le gettò le braccia al collo.
"Denise, che fai? Torna subito indietro!" le disse l'insegnante, ma né lei né Micaela si scomposero.
"Ciao!" esclamò Mica, sentendosi avvolgere dal suo abbraccio familiare.
"Ciao" ricambiò lei, sorridendo a sua volta.
"Come va? Ti senti un po' meglio?" chiese Mica.
"Sì... un pochino."
"Vieni, vorrei presentarti una mia amica." E detto questo, Micaela raggiunse Lucia, che era poco distante. "Lu, sei ancora qui, vero?"
"Certo" rispose Lucia, andando incontro a Micaela.
Quando le fu accanto, le posò una mano sulla spalla.
"Ah, eccoti! Lu, lei è Denise... Denise, lei è Lu."
"Lu e basta?" chiese Denise.
"No... si chiama Lucia... solo che io la chiamo Lu..."
"E a me non dà nessun fastidio, Mica" disse Lucia.
Afferrò la mano di Denise e la tenne stretta tra le sue. "Piacere di conoscerti, Denise" disse, stavolta rivolgendosi a lei.
"Piacere... ehm, Lu" ricambiò l'altra, timidamente.
Per la prima volta in vita sua, Lucia non provò la solita vergogna che le impediva di parlare.
In genere era lei quella che si vergognava di presentarsi, di spiccicare una sola parola... ma in quel momento, a quanto pareva, aveva a che fare con qualcuno che forse stava anche peggio di lei.
Per la prima volta in vita sua si sentiva utile a qualcuno: poteva far sentire a suo agio quella ragazza che quasi non conosceva.
Certo, Lucia era stata di supporto a qualcuno molto spesso, ma era la prima volta che se ne rendeva conto. Era la prima volta che non dovevano essere le persone che aveva aiutato a farle notare che era stata utile eccome!
Beh, c'era anche da dire che i signori Grimaldi facevano di tutto per farle credere il contrario!
Lucia iniziò a parlare con Denise, aiutandola a sciogliersi.
"Perché non andiamo tutti in cortile?" propose Gabriele. "Vi prometto che farò di tutto perché non ci prendano in giro."
"Non CI prendano?" ripeté Lucia.
"Guarda... se fossi un vostro compagno, per un motivo o per l'altro beccherebbero anche me."
"Accidenti!" sussurrò Micaela. Perché doveva sempre sentirsi abbattuta dalle cose che toccavano gli altri?
"Andiamo, non farci caso, Micaela. Va tutto bene, davvero" la rassicurò Gabriele.
Si recarono tutti in cortile, anche se Barbara, l'insegnante, li guardava in tralice.
"Preferite prendere l'ascensore o fare le scale?" chiese il custode.
"Le scale!" esclamò Denise, che dopo due ore di costrizione sulla sua sedia di metallo voleva camminare.
"Per te va bene, Micaela?" chiese di nuovo il custode.
"Ma certo, non c'è problema!" rispose lei. "Ho solo bisogno che qualcuno mi faccia capire da che parte andare."
"Ma certo!" esclamò lui. "E tu, Lucia?"
"Va bene" rispose anche l'ultima ragazza.
"Va bene anche per te, Gabriele?" chiese Micaela.
"Mi adeguo alla maggioranza" rispose scherzoso l'uomo. Per lui era indifferente, ma gli sembrava giuto chiedere, prima di scegliere una strada.
"Ma... per Denise e Micaela potrebbe essere un problema."
"N-non... non si preoccupi... professoressa" balbettò Micaela, che avvertiva un dolore terribile ai muscoli della faccia perché si stava trattenendo dal ridere. Denise, invece, si era rattristata.
"Ce le abbiamo, le gambe" rispose semplicemente, senza malizia.
"L'ascensore spetta a me!" esclamò un ragazzo, saettando fuori dalla sua classe senza che i professori potessero impedirlo. Sfrecciò accanto a loro con la sua sedia a rotelle ed esclamò: "Marameo!", in direzione della sua insegnante, che cercava di tenergli dietro, e, sorpresa, notava che lui era già davanti all'ascensore.
"Signor Gabriele, lo aiuti a scendere le scale!" esclamò allarmata la professoressa Barbara, alle loro spalle. "Quelle dell'ingresso non può scenderle da solo!"
Gabriele aveva detto mille volte ai professori e alla preside che se fosse stata messa una pedana apposita il ragazzo avrebbe potuto essere del tutto indipendente, ma erano tutti spaventati all'idea che potesse farsi male.
"È meglio... che... che andiamo" balbettò Micaela, che stava ancora soffrendo a causa delle risate trattenute a stento.
"Ore 12, ore 3, ore 12!" prese a dirle a raffica il custode. Micaela ci pensò un attimo. Dritto, destra, di nuovo dritto... ed ecco le scale! Micaela tese la mano sinistra verso il corrimano e, passando avanti, scese di corsa le scale, sotto lo sguardo divertito del custode e quello terrorizzato dell'insegnante.
"Va tutto bene, non si preoccupi!" esclamò Micaela, che in parte poteva anche capirla.
"Piano, Annalisa Minetti!" le gridò dietro il custode, mentre la ragazza continuava a cercare la rampa successiva facendo saettare il suo Toto da una parte all'altra. Finalmente la rotella urtò contro il metallo, facendo il solito: "Din", che lasciava intendere l'impatto.
Quando arrivarono al pianoterra, raggiunsero l'ingresso. Il ragazzo era rimasto fermo vicino alla porta. Non aveva più quel sorriso sornione che Micaela aveva immaginato sul suo viso.
"Nicolas!" chiamò Gabriele, vedendolo preoccupato.
"No... non importa, andrò fuori all'uscita... mi farò un giro per i piani e..."
"Ma non dire sciocchezze, Nico!"
L'uomo spalancò la porta.
"Lucia, puoi tenere fermo il portone, in modo che non si richiuda?" le disse.
Sapeva che, gracile com'era, Lucia avrebbe avuto difficoltà a spingere una carrozzina, ma per tener fermo un portone doveva appoggiarvisi contro... sarebbe stato più semplice.
"Denise, reggeresti un momento il bastone a Micaela?"
Denise prese Toto dalle mani di Micaela.
"Nico, fai un po' di rumore con la mano!" aggiunse l'uomo, e Nicolas aprì e chiuse il pugno. Micaela, che aveva capito, arrivò alle spalle del ragazzo.
"Tieniti forte!" gli disse. Spinse delicatamente la carrozzina fino alle scale, e Gabriele, che le stava davanti, l'aiutò a sollevarla. Nicolas si aggrappò saldamente ai braccioli e arrivarono insieme in cortile.
"Oh, ecco qua! Un po' d'aria fresca ti farà bene... sei pallido, Nico!" gli disse Gabriele. "E grazie alle mie fedeli assistenti!"
"Ah, tu sei il famoso Nicolas!" esclamò Micaela.
"E tu la famosa Micaela!" ricambiò il ragazzo.
"Mi hai fatto venire i crampi alla faccia dal ridere!"
"Ma quando, scusa?"
"Quando hai fatto a gara con la prof e le hai detto: "Marameo"!" rispose Micaela, sorridendo. "Come ti trovi in classe?"
"Beh... diciamo che non esisto" rispose Nicolas, pacato.
Micaela girò attorno alla sedia e raggiunse un punto del cortile in cui il calore del Sole per fortuna si faceva sentire.
Cercò di concentrarsi, per capire se Luca fosse in cortile con loro... ma a quanto pareva non c'era...
"Gabriele..." disse timidamente Mica. "Per caso hai visto Luca?"
"Quando sono venuto a prenderti, era ancora in classe..."
"Ah, accidenti... sembrerò esagerata, ma mi sto preoccupando..." sospirò la ragazza, agitata. "E se andassi a cercarlo?"
Luca era rimasto in silenzio, in disparte... per questo Micaela non se n'era accorta... ma quando si sentì nominare, si avvicinò silenziosamente per ascoltare meglio. Gabriele era di spalle e non l'aveva visto arrivare... fu quando sentì che Micaela diceva di essere preoccupata che decise di palesarsi.
"Non serve... sono dietro di te, Mica" le disse gentilmente, posandole entrambe le mani sulle spalle per cercare un contatto, più che per farsi notare da lei. Avendole parlato, non avrebbe avuto bisogno di fare anche quello, ma la voleva vicino.
"Come stai?" gli chiese semplicemente Micaela, voltandosi verso di lui per salutarlo.
"Sono ancora un po' arrabbiato... ma la ricreazione bisogna passarla con gli amici, e io e te siamo amici" rispose il ragazzo, circondandole la vita con le braccia.
Micaela sorrise quando sentì il corpo del ragazzo contro il suo. Gli abbracci di Luca le mettevano sempre un senso di pace, e al contempo le davano una carica pazzesca.
"Ma vuoi farti notare, incosciente? Questa povera creatura stava per prendersi una sgridata!" esclamò Gabriele, ma era chiaro che stava scherzando. Micaela e Luca lo sapevano bene che lui si arrabbiava di rado, ma quando accadeva lo faceva sul serio.
"Non l'avrei mai permesso." ribatté il ragazzo.
"Okay, va bene, non c'è bisogno!" disse Mica, sorridendo. "L'importante è che vada tutto bene, vi pare?"
"Tu sei troppo buona!" esclamarono in coro i due.
"Beh, almeno su una cosa siete d'accordo!" esultò Micaela, sciogliendo l'abbraccio e agitando le mani per mostrare che stava esultando.
"Ci vuole così poco per renderti felice?" chiese Luca, sorpreso.
"Bisogna saper essere felici per le piccole cose, per godere di quelle grandi o affrontarle se sono negative" rispose lei.
"La tua ragazza mi ha dato una mano ad uscire, oggi!" disse una voce alle loro spalle. "Insieme a Gabriele, ovvio..."
"Oh, no... non stiamo insieme..." balbettò Micaela. Anche se mi piacerebbe tanto, avrebbe voluto aggiungere, ma preferì tenere quel pensiero solo per sé.
"No... no, infatti" balbettò Luca. Non mi dispiacerebbe affatto, però, avrebbe voluto aggiungere, senza sapere che lei stava pensando lo stesso.
"Ah... piacere, Nicolas" disse il ragazzo, tendendo una mano verso Luca.
"Piacere mio. Io..."
"Luca Marzano!" esclamò Nicolas.
"Ah, certo... le foto!" sospirò lui.
"Le ho viste, ma ti conoscevo già... di solito me ne vado in giro per la scuola, a ricreazione... solo ogni tanto mi faccio dare una mano per uscire... pensa: quegli idioti mi hanno dato una classe al secondo piano, ma non hanno pensato di mettere una pedana per farmi scendere da solo... e ogni tanto mi fermo fuori dalla tua classe e ti sento cantare... sei forte! E per Micaela... c'ero anch'io, allo spettacolo... ho chiesto al professor Michele di procurarmi i biglietti quando l'ho saputo... è stato fantastico!"
"Sono contenta" disse Micaela, arrossendo. Anche Luca era diventato un po' rosso, perché aveva fatto parte anche lui dello spettacolo, in un certo senso. "Ma... per curiosità: non hai paura che i professori ti sentano? Voglio dire: li hai chiamati..."
"Idioti!" ripeté Nicolas, senza mezzi termini. "Tu magari eviti di dirlo perché sei troppo buona, ma non hai idea di quanto mi facciano rabbia."
"Perché sono un po' apprensivi?" chiese Micaela, cercando di addolcire un po' la pillola.
"Apprensivi, ma non si fanno problemi a mettermi in una classe al secondo piano... e se devo aspettare l'ascensore, chissenefrega? E poi parecchi di loro sono così noiosi... una volta ho detto alla mia prof di matematica: "Che ne dice? Ci facciamo una corsetta?" Mi ha guardato come se fossi fuori di testa! Possibile che non si possa neanche fare una battuta? Che noia!"
"Te l'ho detto: a me è piaciuta quella cosa che hai fatto oggi!" esclamò Micaela. "E poi... tranquillo, tanto anche a me dicono: "Sentire, toccare, tastare..." Tutto e il contrario di tutto, eccetto la parola: "Vedere"! Indice dei libri proibiti, scansati!"
Luca, Lucia, Denise, Nicolas e Gabriele scoppiarono a ridere.
"Dovevate conoscervi, voi due" disse Luca, sorridendo. "Magari qualche voce in più l'ascolteranno, i cari professori, no?"
"Perché non formiamo un gruppo?"
Kaleb, che era apparso dal nulla, li raggiunse. "Siamo in sette, contando anche Claudia... se lei è d'accordo, potremmo iniziare a creare un gruppo tipo Compagnia del Cigno, o la Banda dei Perdenti del libro di Stephen King."
"Abbiamo anche una Sara... solo che è molto più simpatica e meno irritante di lei!" esclamò Luca.
"Questa sì che è una soddisfazione!" esclamò lei. "L'immagine dei ciechi-carogne è vecchia come il cucco, basta!"
"Come... come potremmo chiamarlo?"
Claudia, che si era decisa ad avvicinarsi solo in quel momento, si sentiva leggermente in imbarazzo... ma la prospettiva di avere un gruppo le piaceva parecchio. Sette ragazzi, ognuno con la sua bella storia alle spalle, avrebbero formato sicuramente un bel gruppo.
"Gli Outsiders!" esclamò Nicolas.
"Oh, no, per favore!" intervenne Luca. "Tutto, ma non gli anglicismi!"
"I perdenti!" disse Carlotta, spuntando dal nulla.
"Ci avevamo pensato" disse Micaela, "ma questo nome è già stato usato in un romanzo. Se ci dobbiamo demolire, facciamolo in modo originale."
Fu Denise a dare l'idea: "Possiamo scegliere di non adattarci... visto che ci chiamano "i disadattati" potremmo... potremmo tipo... chiamarci: "Volontariamente disadattati"..."
"Ma tu sei un genio!" esclamò Nicolas, facendo strisciare la sua sedia a rotelle verso di lei e allungando le braccia. Denise non ebbe bisogno d'altro: gli gettò le braccia al collo, allungandosi sulla sedia, e sorrise.
"Secondo me ci vorrebbe entrare anche Andrea, nella nostra comitiva!" disse Luca, ridendo.
"Chiediamoglielo, prima" disse Nicolas, che aveva capito a quale "Andrea" alludeva il ragazzo.
La ragazza fu subito d'accordo.
"Dovreste inserire altri tre fenomeni!"
La voce di Roberto irritò Luca, che stava per scattare.
"Lascialo perdere!"
Micaela gli fu subito accanto per impedirgli di mettersi nei guai.
"Ragazzi... mi dispiace interrompervi, ma temo che dobbiamo avviarci." disse con calma Gabriele. Gli dispiaceva sul serio separarli in quel momento, ma sapeva che, tenendosi in contatto, i ragazzi si sarebbero sentiti meno soli, meno spaesati.
"Tieni, Mica" disse Lucia, restituendole Toto.
Micaela strinse nel pugno il suo Toto, lo mise davanti a sé e salì rapidamente le scale che portavano dentro l'edificio. Si spostò di lato, in modo che Luca e Kaleb, che avevano tirato su la carrozzina di Nicolas con il suo proprietario seduto sopra, potessero entrare agevolmente.
Luca e Kaleb non si dissero nulla mentre entravano a scuola, ma non ne ebbero bisogno. Si erano già scusati l'uno con l'altro, difendendosi a vicenda.
Le restanti ore di lezione risultarono meno gravose per i ragazzi... ora sapevano di non essere soli, sapevano di avere altre persone che potevano comprenderli. Sapevano che da soli sarebbero stati smarriti, ma insieme potevano farcela. Nonostante questo, però, la campanella che annunciava la fine delle lezioni fu un enorme sollievo per tutti.
Come sempre, Micaela e Lucia furono le ultime ad uscire dalla classe.
Luca e Kaleb le attesero, e quando le ragazze uscirono insieme a Gabriele le raggiunsero. Attesero anche Nico, Denise e Claudia, e per un tratto camminarono insieme, anche oltre il cancello scolastico.
Anche Andrea li raggiunse, dal cancello della sua scuola, e si presentò a Denise e Nicolas, gli unici che non conosceva.
"Lucia, tesoro" disse il professor Michele, raggiungendoli, "ti va di venire con noi o vuoi restare ancora un po' con i tuoi amici?"
"Ecco, io... potrei venire a casa più tardi?" chiese Lucia, esitante. "Se non è un problema, intendo."
"Ma certo, piccola" le rispose l'uomo. "Sono contento di vederti circondata da amici come loro."
Ed era vero. Era contento di vedere che Lucia, finalmente, non era sola... non doveva aver paura di perdere l'unica amica che aveva, perché, anche se forse definirli tutti "amici" era una cosa un po' azzardata, c'erano delle buone premesse. In qualche modo i ragazzi sembravano essere connessi, ma non perché erano "disadattati", come si definivano loro... piuttosto, perché avevano delle cicatrici che i canoni della società avevano procurato ad ognuno di loro... li guardava, sorridendo. Si sentiva una sorta di maestro Marioni al contrario, perché non si sarebbe mai azzardato a demolirli... professori così, secondo lui e i suoi ragazzi, era controproducente.
"Andiamo a prendere qualcosa fuori tutti insieme?" propose Nicolas.
Claudia lo guardò, smarrita. "Io... io veramente..." balbettò, incerta.
"Claudia, non devi preoccuparti di questo" disse Mica, che aveva capito cosa la turbava.
"No... no, è che..."
"Non ti devi vergognare, Claudia. Siamo una banda di disadattati, no? Se ci prendiamo in giro, al massimo, lo facciamo con noi stessi... e se lo facciamo tra di noi, siamo in grado di capire quando a qualcuno di noi può creare disagio." la tranquillizzò Luca.
"Va bene" disse infine la ragazza, seguendo gli altri.
Si recarono in un piccolo ristorante poco lontano dalla scuola. Dovettero trattenersi dal ridere, quando sentirono i commenti delle persone che erano lì.
"Sarà una manifestazione o qualcosa del genere." "Sicuro... quei tre ragazzi devono essere gli operatori." "Ma la giornata della... ehm... diversità, non era il 3 dicembre?" "Magari sarà diversità generica... uno dei ragazzi è di colore, avete visto?"
"Che dite? Dobbiamo spiegarglielo che siamo solo compagni di scuola, eccetto Andrea che è una nostra amica?" chiese sottovoce Micaela.
"No, lasciamoli con questa convinzione" disse Luca a bassa voce. "Lo so che a te cambia poco, ma hanno certe facce... e poi io voglio essere l'operatore!"
"E perché, scusa?" chiese Micaela.
"Perché mi voglio occupare di te" le rispose sottovoce lui.
Entrarono nel ristorante. Luca teneva per mano Micaela, Lucia e Kaleb li seguivano a ruota, Andrea era accanto a Denise e Claudia aveva tirato su la carrozzina di Nico.
Si accomodarono, l'uno accanto all'altro, e si misero a parlare del più e del meno. Persino Lucia, che in genere era molto silenziosa, fu piuttosto loquace. Anche con lei, Kaleb non ebbe bisogno di scusarsi.
"Peccato che non abbiamo inserito i nostri professori del cuore e Gabriele nel nostro gruppo" disse sorridendo Nicolas.
"Beh, tanto li rivedremo domani. Siamo sempre in tempo a chiederglielo." disse Micaela, sistemandosi meglio sulla sedia.
Una cameriera portò i menù al tavolo, guardandoli con una faccia a forma di punto interrogativo.
"Grazie" disse Nicolas, cercando d'impostare una voce calda e seducente.
Luca, accanto a Micaela, si stava trattenendo dal ridere.
"Ci sta guardando con una faccia strana, vero?" chiese Micaela sottovoce, quando la ragazza se ne fu andata.
"Sì... ma, uno: come hai fatto a capirlo? Due: come hai fatto a renderti conto di qual era il momento giusto per chiedermelo?" le chiese il ragazzo.
"Uno: stavi per scoppiarle a ridere in faccia. Due: ha i tacchi, anche se non sono alti, credo... perché, poverina, sarebbe un suicidio fare su e giù con i tacchi alti tutto il giorno."
"Lo facciamo leggere al nostro cantante, il menù?" propose Andrea, sorridendo. "Per tutti quanti, dico."
Micaela sorrise: era stato gentile da parte sua far leggere a tutti il menù tramite la voce di un solo membro del gruppo.
Luca iniziò a leggere ad alta voce il menù per tutti, giocando con la voce in un modo che fece ridere i suoi compagni. Alla fine decisero di prendere tutti un primo piatto.
"Ragazzi... vi posso confidare una cosa?" disse Mica, con un filo d'esitazione nella voce.
"Certo" rispose Andrea. "Siamo una squadra, no?"
"Non mi prendete per matta, ma io ho una piccola mania... i primi piatti preferisco mangiarli con il cucchiaio." disse Micaela. "Cioè, so usare la forchetta, non mi fraintendete, ma non mi ci trovo comoda, con i primi piatti... solo che non mi va di chiedere."
"Tutto qui, Mica?"
Claudia sorrise: la ragazza che l'aveva difesa le aveva fatto una grande tenerezza, in quel momento. Era una piccola cosa, ma non sembrava essere stato facile per lei aprirsi con il resto del gruppo.
"Mi scusi" disse Andrea, rivolta alla cameriera. "Ci può portare un cucchiaio, per favore?"
La donna tornò indietro e posò l'oggetto sul tavolo, accanto ad Andrea. Quest'ultima, seduta alla destra di Mica, lo spinse verso di lei.
"È una piccola cosa, Mica... e poi non ti devi mica vergognare. Siamo amici, no? Devi fare le cose come ti è più comodo" disse per rassicurarla.
"Grazie" rispose intimidita Micaela.
"Senza contare che io e te abbiamo un'altra cosa in comune... io sono astemio come te" disse Luca, mentre due lattine di Coca 0 venivano posizionate di fronte a loro, sul tavolo.
Durante tutta l'ora in cui rimasero lì dentro, compreso il momento del pasto, i ragazzi si misero a ridere e scherzare.
"Che ne dite di fare un brindisi?" propose Kaleb. "Ai volontariamente disadattati!"
Tutti si versarono le loro bibite nei bicchieri di vetro.
"AI VOLONTARIAMENTE DISADATTATI!" esclamarono all'unisono, facendo scontrare i bicchieri.
A Claudia venne da ridere: sua madre, fissata com'era con l'etichetta, non avrebbe approvato quel gesto, visto che secondo il rigoroso galateo i bicchieri non si battono, ma in quel momento non le importava di niente.
Si fecero portare il conto, ognuno di loro versò qualcosa, (tranne Andrea e Lucia: la prima perché non aveva fatto in tempo e la seconda perché non aveva avuto il coraggio di chiedere soldi al professor Michele e alla signora Giorgia, e si era ricordata che i suoi non le avevano dato nulla).
"Vi prometto che la prossima volta pagherò tutti!" esclamò, imbarazzata.
"E la prossima volta il mio conto voglio pagarlo io!" si aggregò Andrea.
"Dai, non vi dovete mica fare problemi... lasciatevi servire!"
Le ragazze non ribatterono più, al tono conciliante di Micaela, e tutti raccolsero le loro cose e si alzarono dal tavolo. Uscirono senza grosse difficoltà e fecero un tratto di strada tutti insieme... poi Luca e Andrea andarono da una parte, Kaleb dall'altra e Claudia, Nicolas e Denise presero strade diverse. Lucia, invece, volle accompagnare a casa Micaela.
"Ti giuro, mi dispiace un sacco." disse Lucia quando il gruppo fu abbastanza lontano.
"Per cosa ti dispiace, Lu?" chiese Micaela.
"Per il fatto che avete dovuto pagare al mio posto... mi dispiace davvero..."
"Dai, che vuoi che sia? Ti vogliamo bene, Lu... questo è il minimo, e..."
Loro non sapevano che i signori Grimaldi, completamente ubriachi in pieno giorno, erano in auto.
"Guarda... c'è Lucia con la sua amica... che dici, le vogliamo spaventare?" propose lui.
"Beh, accelera" accettò lei, e il signor Grimaldi diede gas.
In quel momento, Lucia e Micaela si presero sottobraccio per compiere insieme un attraversamento, quando un'auto sfrecciò loro davanti a tutta velocità.
"NO!" gridò Micaela, spingendo di lato Lucia. Il bastone le cadde di mano e la ragazza non fece in tempo a muoversi, perché la macchina la investì.
Lucia rimase paralizzata, davanti al marciapiede, mentre l'auto sfrecciava via... ma la riconobbe, e riuscì a decifrare anche il numero di targa... ma in quel momento non era abbastanza lucida da realizzare chi aveva appena travolto la sua migliore amica. Raccolse il suo bastone dalla strada lastricata, la raggiunse e le sfilò lo zaino, che le era caduto addosso.
"Mica! Mica, ti prego, rispondimi!" disse scuotendola dolcemente per un braccio. "Mica, ti prego... per favore!"
"Lucia... ehi, Lu, ma che è successo?"
Per fortuna Luca si era ricordato che aveva una commissione da fare prima di rientrare a casa ed era tornato indietro.
"È colpa mia... è colpa mia!" singhiozzò la ragazza, terrorizzata.
"Cosa le è successo?" chiese Luca, con la voce che gli tremava per la tensione.
"I-investita..." mormorò Lucia, premendosi una mano sul petto. "Ti scongiuro, aiutami!"
"Sì... sì, certo, stai tranquilla..." provò a rassicurarla il ragazzo. Afferrò il cellulare e chiamò i soccorsi. "Pronto? S-salve... ci serve aiuto... una ragazza... ha avuto un... un incidente!"
Lucia sentì il respiro del ragazzo bloccarsi. "Come sarebbe? L'ambulanza... non è possibile... ma... ma noi non... oh, al diavolo!" Luca chiuse la comunicazione. "Non ci sono ambulanze a disposizione, accidenti!" esclamò, mentre Lucia prendeva il polso dell'amica.
"È... v-viva!" balbettò, leggermente sollevata.
"Dobbiamo tirarla su" disse Luca, avvicinandosi per sollevare da terra la ragazza prima che un altro pirata della strada la travolgesse.
In quel momento, per fortuna, Gabriele comparve dal nulla, come un vero angelo custode.
"Luca, tu prendi il suo zaino e dai una mano a Lucia a salire a bordo. Ci penso io a Micaela" disse semplicemente. Il ragazzo obbedì, come in trance: raccolse lo zaino, prese per mano Lucia e l'aiutò a salire in auto... poi sentì che Gabriele assicurava strettamente Micaela al sedile anteriore con la cintura di sicurezza. Lucia si stringeva al bastone dell'amica come se fosse stato un suo amico e non riusciva a smettere di piangere.
Sperando che non accadesse altro, Gabriele accese il motore e si mise a correre. Abbassò il finestrino e, con tutta la forza che aveva in corpo prese a gridare: "C'è una ragazza svenuta a bordo, stiamo andando in ospedale!" Anche Lucia e Luca presero a fare lo stesso, fino a quando l'auto non si fermò di fronte all'ospedale.
Gabriele scese dall'auto, sganciò la cintura a Micaela e la prese in braccio senza sforzo.
Fu raggiunto da un'infermiera, che gli tolse la ragazza dalle braccia e la distese su una barella. Luca e Lucia, poco più indietro, erano in lacrime.
"Aiutatela... vi prego, aiutatela..."
Fu tutto quello che riuscirono a dire, prima che Gabriele li esortasse a camminare, spingendoli delicatamente.
"Coraggio, ragazzi" disse con dolcezza, anche se la voce gli tremava. "Non credo che... che Mica vorrebbe vederci così... no?"
Si sistemarono tutti e tre in sala d'attesa, agitati... nel frattempo Gabriele si trovò costretto ad avvertire i genitori della ragazza.
"Salve... Sofia... mi scusi, io... io devo dirle una cosa" balbettò, incerto.
"Oh, signor Gabriele... mi dica pure: cos'è successo?" chiese la donna. Sperava che il telefono di Mica si fosse scaricato, o che la ragazza, dopo il pranzo di gruppo del quale le aveva parlato, fosse stata portata al teatro per un altro spettacolo, ma la notizia che le venne data fu peggio di una valanga, nonostante il suo interlocutore stesse facendo di tutto per essere delicato.
"Micaela e Lucia stavano... stavano tornando a casa... ma... ma Micaela ha avuto un incidente" balbettò Gabriele.
Il cuore gli batteva ad una velocità impressionante mentre si sforzava di rimanere calmo. Udì un colpo secco: il cellulare era scivolato dalla mano di Sofia, che si era irrigidita. Per fortuna, udendo la voce di Gabriele, la donna comprese di aver attivato il VivaVoce... non aveva la forza di chinarsi a raccogliere il cellulare.
"Si sente male?" chiese l'uomo, preso dal panico.
"Sto... sto bene." balbettò la donna. "Dove... in quale ospedale...?"
Gabriele le diede l'indirizzo, mentre gli occhi iniziavano ad appannarsi.
"Certo... a-avverto mio... mio marito e vi raggiungiamo..."
Fu lui a chiudere la chiamata. Sofia si lasciò scivolare per terra: era pallida come un fantasma, le mani e il viso coperti di sudore freddo e gli occhi pieni di lacrime. Tirò su il cellulare, arrivò al bagno camminando sulle ginocchia e crollò sul water. Aveva un peso enorme sullo stomaco. Le bastò aprire la bocca e il dolore che provava si manifestò sotto forma di un conato di vomito. Quando il peso si fu sciolto, la donna si coprì il viso con le mani e con quelle soffocò un urlo... l'urlo di un nome... MICAELA! Si sentiva svenire, non ce la faceva ad alzarsi dal pavimento.
"Mamma..." Una voce lontana, che faceva eco, le giunse alle orecchie. "Mamma... non lasciarmi andare... non me ne voglio andare... vieni a prendermi!"
"Micaela..." ripeté la donna, incapace di pronunciare parole diverse dal nome di sua figlia.
"Vieni a prendermi, mamma!" ripeté lei.
A quel punto, tutta tremante, la donna si alzò dal pavimento. Si rimise in piedi, si gettò dell'acqua fredda sul viso e si lavò i denti per togliersi dalla bocca quel sapore quasi metallico. Raccolse il telefono, che era a terra accanto a lei, corse fuori dal condominio dimenticando tutto e chiamò suo marito.
"Sto venendo a prenderti" disse sbrigativa, "Micaela ha avuto un incidente."
Non ebbe la forza di dirlo con delicatezza. Era in crisi e rischiava di esplodere.
Non le fu mai chiaro come fosse riuscita a non schiantarsi o scontrarsi con un'altra macchina... era talmente stordita dalla notizia che aveva ricevuto che aveva a malapena il controllo sul volante. Il marito non stava molto meglio, ma riuscirono comunque a raggiungere l'ospedale.
Appena li vide, Lucia scattò in piedi, corse loro incontro e si gettò per terra.
"Perdono! Perdono" prese a ripetere, inconsolabile. "È stata colpa mia! Lei si era accorta della macchina... puntava verso di me... mi ha spinta e il suo Toto... ha perso il suo Toto!"
Lei stringeva ancora tra le mani il bastone bianco dell'amica, abbracciandolo come se al suo posto ci fosse stata proprio lei.
"Quella macchina puntava verso di me! Non si è distratta... non è perché ha scelto Toto, che è stata investita... è successo questo perché lei... lei... mi ha salvata..."
"Vieni qui, tesoro" disse con dolcezza Sofia. "Non è colpa tua, capito? Se la mia piccola ti ha salvato la vita, l'ha fatto perché ti vuole bene... e non vorrebbe vederti così, piccola mia... non piangere, ti prego... non piangere!"
La donna abbracciò forte la piccola Lucia, coccolandole la testa, e si avvolse attorno al polso il bastone di Micaela. Anche il padre della ragazza si avvicinò e abbracciò entrambe.
"Mi dispiace... mi dispiace tanto!"
"Non è colpa tua, tesoro... la colpa è di quella bestia che ha cercato d'investirvi e ha lasciato la mia piccola per terra!" esclamò Sofia, triste e infuriata allo stesso tempo.
In quel momento una dottoressa uscì da una camera.
"Mi scusi" disse in tono pacato, rivolgendosi a Gabriele, "lei ha portato qui una ragazza, giusto? Una... una ragazza..."
"Una ragazza cieca?" chiese Gabriele. Non gli venne in mente altro.
"Sì... come si chiama, la ragazza?"
"Micaela!" rispose Gabriele. "Micaela Ferrante... lì ci sono i genitori... e come sta la piccola?"
"Vedete... siamo riusciti a prenderla in tempo... ad operarla... ma... ma la ragazza è in coma" rispose la dottoressa.
La ragazza è in coma... quelle parole risuonarono per tutta la stanza.
L'eco prodotta da quella frase frastornò i presenti che presero a scambiarsi sguardi incerti, confusi e spaventati. Sofia crollò di nuovo in ginocchio, suo marito corse fuori, non riuscendo più a sopportare il sapore delle lacrime e del disinfettante i si mescolava in bocca, Lucia corse verso Gabriele, gettandogli le braccia al collo, e il suo pianto s'intensificò fino a spezzarle la voce, il pover'uomo, con gli occhi pieni di lacrime, prese a darle dei leggeri baci sulla testa... ma quello che stava peggio in quel momento era Luca. Guardava nel vuoto, si stringeva febbrilmente le mani e aveva la bocca spalancata in un urlo privo di qualunque suono.
"No... quello no... non è giusto..."
Non fu in grado di dire altro, perché crollò a terra e perse conoscenza.
"Accidenti!" saltò su Gabriele. "Luca! Coraggio, ragazzo, rispondi... ehi!"
"Stia tranquillo, ci penso io" disse la dottoressa. Gabriele l'aiutò a tirarlo su e il ragazzo fu adagiato su di una barella.
"Cosa gli è successo?" chiese preoccupata la signora Ferrante.
"Lui... da piccolo, è stato in coma per una settimana..." rispose l'uomo. In quel momento, per la prima volta, l'intero gruppo lo vide crollare.
Nel frattempo era arrivata anche Andrea, insieme ai genitori. Era letteralmente sconvolta, e tutti, compreso Gabriele che si trascinava sulle ginocchia, le andarono incontro.
"Come l'hai saputo?" chiese lui, con la voce che gli tremava.
"Vedi... la madre di Mica e la mia sono in contatto, anche se da poco, e quando l'abbiamo vista nel quartiere, ecco... ci siamo... ci siamo preoccupati utti e li abbiamo seguiti."
"Ma dov'è Luca?" chiese Miriam, la madre di Andrea.
"Si è sentito male" rispose Gabriele. "Spero solo che non sia come l'ultima volta."
Andrea e i suoi sapevano tutto della famosa "Ultima volta", e ritennero opportuno avvertire anche i familiari di Luca.
Com'era prevedibile, la signora Marzano, che fu la prima ad arrivare, era letteralmente terrorizzata. Voleva vedere il figlio e dovettero trattenerla in tre per impedirle di entrare prima che la dottoressa uscisse.
"Scusi" disse Gabriele, "la signora Anna Marzano... la madre di Luca: il ragazzo che era qui, quello che... che si è sentito male."
"Capisco" disse con calma la donna, "la prego, venga... suo figlio sta bene. È svenuto per un calo di pressione, si riprenderà a breve."
La donna tirò un sospiro di sollievo.
"Venga... camera 14. È quella accanto alla stanza dell'altra ragazza."
"E... e la bambina come sta?" chiese la donna, con la voce che le tremava.
La dottoressa non rispose: la donna era già abbastanza scossa per suo figlio.
Raggiunsero la camera in cui era Luca e la donna gli sedette accanto, prendendogli la mano. Forse fu il contatto della mano di sua madre a riscuoterlo, perché in quel momento il ragazzo aprì lentamente gli occhi.
"M-mam-ma..." mormorò il ragazzo, stringendole la mano.
"Amore mio... come ti senti?" chiese la donna, accarezzandogli i capelli.
Luca non rispose. Continuava a fissare la porta aperta della camera, cercando di raggiungere con lo sguardo la camera di Micaela... ma lui non sapeva nemmeno quale fosse, la sua camera!
"Lei... come me..."
Fu tutto quello che riuscì a dirle, ma lei non ebbe bisogno d'altro. Loro comunicavano così, con poche parole e molti abbracci.
"Lo so" disse piano la donna. Non gli fece promesse, non ne sarebbe stata in grado, ma gli prese il polso, quello al quale portava sempre il suo talismano, e lo accarezzò delicatamente, facendolo rilassare.
Ed ecco le prime lacrime. Luca strinse gli occhi per reprimerle, non voleva certo che sua madre la vedesse in quello stato, ma si sentiva troppo male per quella ragazza che in poco tempo aveva saputo conquistarsi uno spazio importante nel suo cuore.
"Appena sarà possibile farle visita, va' a parlare con lei" gli disse dopo un po' sua madre, abbracciandolo. "Io con te lo facevo."
Lui non provò a protestare... a quel punto valeva tutto.
Poco dopo anche il suo amico Gabriele fece il suo ingresso nella stanza.
"Ehi, giovanotto... sei tornato, finalmente!" disse, mostrando il suo sorriso migliore.
"Gabriele..." sussurrò Luca, ancora frastornato.
"Ci hai fatto prendere un bello spavento, sai?" gli disse il custode.
"L'ho preso anch'io, un bello spavento" ribatté il ragazzo, che aveva capito perfettamente che Gabriele stava scherzando, o meglio: ci provava, per tirargli un po' su il morale.
"Ti posso chiedere da dove hai tirato fuori questa forza?"
"Vedi, Luca... io sono il primo che sta male... no, forse il primo no... ci sono i genitori di Micaela che sono distrutti. Ma so con certezza una cosa: il mio angioletto non vorrebbe che le persone che ama stessero così... non può dirlo a voce, ma questo non è molto diverso da prima, perché anche qualche giorno fa le sarebbe costato un bel po', non credi?"
Luca fece solo un cenno affermativo con la testa. Gabriele aveva ragione... eppure lui si sentiva uno straccio... era come se quell'evento gli avesse portato via tutte le energie vitali.
"Lo capisco, Luca" disse Gabriele, guardandolo. "Non voglio insistere..."
Un'altra che risultava del tutto prosciugata di qualunque energia era la piccola Lucia... se ne stava lì, seduta su quella maledetta sedia di plastica, e aveva chiuso gli occhi, stringendo tra le braccia Toto come se stesse abbracciando lei. I signori Ferrante non se l'erano sentita di portarglielo via. Sofia camminava avanti e indietro, nervosamente, e il signor Fausto non riusciva a restare in sala d'attesa per più di due minuti. Lucia continuava a sentire la voce dell'amica che gridava quel: "NO!", nella sua testa... sentiva che il suo corpo veniva sbalzato via da una vigorosa spinta dell'amica... e poi lo schianto, la caduta della ragazza a faccia in avanti.
Le voci dei genitori le perforavano i timpani: "Sei inutile!" "Dovevamo liberarci di te!" "Sei un disastro!" "Perché devi sempre crearci problemi, stupida?" "Ora i libri te li porti così, asina idiota!"
E poi di nuovo la voce dolce di Micaela si fece spazio nella mente di Lucia. "Di nuovo, Lu? È successo di nuovo?" "Noi ti vogliamo bene, Lu!" "Non meriti di essere figlia di quella gente... meriti di meglio!" "Non è colpa tua, amica..."
Quelle parole dolci che l'amica ripeteva nella sua mente parvero calmarla un po', ma non poteva tenere per sé quello che aveva visto prima che l'auto sparisse.
"Lucia... tesoro... santo cielo, sei... sei così pallida!" esclamò Sofia, avvicinandosi a lei.
"Perché si preoccupa per me? Se Micaela è là dentro..." sussurrò Lucia, trattenendo a stento le lacrime.
La donna le appoggiò una mano sulla fronte. "Meno male... non hai la febbre" disse calma.
"Sono stata io!" esclamò lei, avvicinando le unghie alle sue stesse guance. Voleva farsi male, voleva graffiarsi, voleva provocarsi tanto dolore da urlare, ma Sofia la fermò all'istante.
"Io non so chi sia stato, Lucia... ma se c'è un colpevole, quella non sei tu."
Lucia strinse i pugni. Quel numero di targa, quell'auto... e quelle facce che aveva visto di sfuggita dai vetri, che non erano stati oscurati, continuavano a balenarle davanti agli occhi... ma non aveva il coraggio di dar voce ai suoi dubbi... cos'avrebbe fatto se avesse scoperto che i suoi erano effettivamente coinvolti? Cos'avrebbe fatto se avesse scoperto che era colpa loro se la sua migliore amica stava così?
"Lu... vuoi venire a prendere un po' d'aria? Non ti fa bene stare seduta lì a torturarti" disse premurosa Andrea.
"Certo, tesoro. Se ci dovessero essere novità, verremo a chiamarvi io o i medici, ragazze!" le incoraggiò Sofia.
"Non posso..." sussurrò Lucia.
"Ma sì che puoi, Lu" le disse Andrea. "Fallo per Micaela, se non vuoi farlo per te... e anche per me... mi fai preoccupare!"
Andrea aveva capito che l'unico modo per convincere Lucia a fare qualcosa per se stessa era far leva sul suo costante senso di colpa... la cosa non le piaceva, ma non aveva altra scelta. Anche lei aveva pianto in silenzio, per tutta la strada e fino a due minuti prima di avvicinarsi a Lucia... poi si era ripromessa di prendersi cura di Lucia non solo in quanto se stessa, ma anche facendo le veci di Micaela... almeno fincé l'amica non si fosse ripresa. L'aveva promesso a se stessa e anche a lei, alla sua migliore amica.
Come previsto, Lucia si convinse. Si alzò dalla sedia di plastica, barcollando, e Andrea le prese la mano. "Non mi dà nessun fastidio." le disse. "Mi piace tenere la mano alle persone alle quali voglio bene, Lu..."
Arrivarono nel cortile dell'ospedale e presero a camminare lungo tutto il perimetro, fino a giungere accanto ad una fontana. Andrea v'immerse la mano libera e la passò delicatamente sugli occhi gonfi e arrossati di Lucia.
"Scusa... lo so, è un po' fredda, ma... almeno così ti passerà un po' il dolore" disse piano.
Lucia in un primo momento rabbrividì, ma poi si rese conto che Andrea aveva ragione: l'acqua fredda le aveva dato un enorme sollievo.
"Ho paura" disse di punto in bianco Lucia, stringendo la mano che Andrea le stava ancora tenendo.
"Anch'io ho paura."
Lucia rimase molto sorpresa dalle parole di Andrea. È vero, l'aveva vista piangere a lungo per quello che era successo a Micaela... ma in quel momento sembrava così calma!
Eppure, a quanto pareva, anche lei era spaventata, e molto.
"Perché vi occupate tutti di me?" chiese. "Se non fosse per me, magari Mica sarebbe a casa... o con te alle prove..."
"Perché Micaela sa di chi fidarsi, e tu meriti di essere amata tanto quanto lei... e poi, sai come si dice? Io do una mano a te, tu dai una mano a me... tu non lo sai, ma la tua dolcezza spesso aiuta le persone che ti circondano. Non tutti riuscirebbero a perdonare anche le persone che hanno fatto loro le cose peggiori... tu invece ci riesci..."
Lucia non rispose, perché forse c'era una sola cosa che non avrebbe potuto perdonare ai suoi genitori: aver fatto del male alle persone che amava.
"Oh, meno male! C'è anche Michele!" esclamò Andrea, elettrizzata. Era contenta che ci fosse anche lui: era certa che avrebbe saputo rassicurare Lucia, che magari la sua amica avrebbe smesso di sentirsi in colpa per una cosa che non aveva fatto... che non era dipesa da lei.
"Ehi!" esclamò semplicemente l'uomo, andando incontro alle ragazze e abbracciandole.
Fu allora che Lucia si liberò del peso che aveva sul cuore.
"Professore, io..."
Il professor Michele la guardò con apprensione.
"Io vado dentro" disse Andrea, capendo che Lucia non se la sentiva di parlare davanti a lei... era normale: non la conosceva bene quanto Micaela... non avevano certo avuto lo stesso tempo da passare insieme, no?
"Cos'è successo, Lucia?" chiese con affetto il professore, prendendole le mani, che erano diventate improvvisamente gelide.
"Ho riconosciuto il numero di targa..."
"Quello della macchina che ha investito Micaela?"
"Sì... proprio quella, professore!"
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L'uomo avrebbe voluto esortarla a proseguire, ma preferì aspettare ch fosse lei a parlare.
"Sono... sono stati i miei genitori..."
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