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-13: Nero-

"Allora, Micaela?"
Gabriele, che l'aveva raggiunta in quel momento, la riscosse dai suoi pensieri.
"Ehi, Gabriele! Scusami, mi sono distratta... ah, aspetta... ecco il tuo medaglione!"
L'uomo sorrise mentre la ragazza gli rendeva il medaglione.
"Grazie, piccola... ma non c'era bisogno che ti agitassi tanto" le disse con affetto. "Allora? Come ti senti? Ti sei divertita?"
"È stato... è stato... luminoso e illuminante!" esclamò la ragazza.
"Accidenti, detto da te è un complimento coi fiocchi!" le disse lui, dandole un bacio sulla guancia.
"Ma forse per gli altri e per te non sarà stato così. Ho paura di non essere stata molto..." iniziò lei.
"Mi prendi in giro, furbetta? Guarda che tre quarti del gruppo hanno pensato: "La ragazzina è arrivata fresca fresca e ha spaccato tutto"!" la stuzzicò Gabriele.
La ragazza, rossa in faccia dall'imbarazzo nonostante avesse capito che lui stava scherzando, abbassò drasticamente il viso.
"Ehi, non ti devi vergognare! Sei stata bravissima!" le disse il custode.
La ragazza tese le braccia in avanti, come per cercarlo. Si mosse leggermente e, senza chiedere permesso, lo abbracciò forte.
"Ti voglio bene!" gli disse, senza esitare.
"Anch'io, piccola."
In quel momento Andrea li raggiunse.
"Sta bene, vestita da angelo, vero?" si affrettò a dire, appoggiando le mani sulle spalle dell'amica e abbracciandola da dietro.
"Non potrebbe essere altrimenti... lei È un angelo!" esclamò Gabriele. "E quando si vedrà, non si riconoscerà. Scommettiamo?"
"Accidenti, ho paura... non mi posso guardare!" esclamò Micaela.
"Sì, lo so che non ti puoi guardare!" le disse lui.
"Ma no, non in quel senso... scusa, non volevo!" esclamò la ragazza, scoppiando a ridere. ""Non mi posso guardare" nel senso che... che mi fa strano vedermi quando faccio qualcosa... non riesco a piacermi!" Questo lo disse tra una risata e l'altra. "Ora... oh cavolo... dovrei togliermi questo costume di scena..."
"Sì! Certo, vieni" le disse Andrea, conducendola in camerino. "Tanto devo cambiarmi anch'io... e poi ti aiuto a struccarti."
Micaela non era stata truccata quasi per niente: ce l'aveva già, la faccia d'angelo, da quello che aveva detto Gabriele, ma quando Andrea le ripulì il viso da quel filo di trucco, la ragazza si sentì decisamente meglio.
"L'unica cosa che mi viene difficile è sopportare il trucco" disse, "ma a parte questo mi sono divertita tanto."
"E ti sei anche commossa un bel po'! Niente male, come debutto!" esclamò Andrea, aiutandola a sfilarsi il vestito da angelo. "Tu e Luca avete chiarito, da quello che ho visto, vero?"
"Sì, abbiamo chiarito" rispose Mica. Le sue guance si fecero di nuovo rosse, al sentir nominare quel ragazzo. Andrea le sorrise e non fece domande. Non voleva certo metterla in imbarazzo!
"Posso aiutarti in qualche modo, Andrea?" chiese Mica, timidamente.
"No, tranquilla, ho finito" rispose l'altra, sorridendo.
Aveva già piegato con cura Toto e l'aveva inserito nella sua custodia, per poi passarlo a Micaela. "Lo so che puoi fare anche da sola... ma se per te non è un problema, io vorrei camminare con te" le disse con dolcezza.
Quella era una grande prova di fiducia per entrambe le ragazze. Andrea aveva dato fiducia a Micaela attraverso un contatto ravvicinato, tra amiche, mostrandole la parte più fragile di sé con alcune confidenze dietro le quinte, mentre Micaela, accettando di farsi guidare da lei, le lasciava intendere che si fidava di lei. In genere entrambe le ragazze tendevano a studiare le persone con le quali avevano a che fare, ma non avevano avuto bisogno di farlo l'una con l'altra... era stato istantaneo, come accade con i bambini. Un bambino non ha bisogno di tempo per aprirsi con te: se può darti la sua fiducia lo capisce al volo, e per loro era stato esattamente così... si erano legate praticamente subito.
Micaela tese la mano verso Andrea, senza esitazioni, e insieme si diressero verso l'uscita del camerino. Lì furono entrambe portate in trionfo: Andrea, che si poteva quasi dire che in teatro c'era nata, si dimostrava di volta in volta una scoperta. Quanto a Micaela, era stata una vera sorpresa: per una che non aveva mai avuto prima un approccio al teatro come attrice, se l'era cavata egregiamente.
"Starai con noi anche nei prossimi spettacoli, spero!" le disse Riccardo.
"Se nessuno di voi vuole che mi tolga di torno, con piacere!" rispose la ragazza, entusiasta all'idea di ripetere quell'esperienza: ansia inclusa, se il risultato era quello.
Subito dopo furono raggiunti anche da buona parte del pubblico in sala. Micaela non conosceva più della metà di loro, ma fu contenta che rivolgessero la parola anche a lei. Una donna, a sorpresa, le si avvicinò e la strinse in un caloroso abbraccio, dicendole: "Sai, il mio Luca aveva proprio ragione: sei una ragazza speciale." Questo fu tutto, e quelle poche parole a Mica scaldarono il cuore come se le avesse proferite un angelo.
"Signora Marzano!"
Fu tutto quello che le venne in mente di dire... era imbarazzata, ma felice.
"Anna. Mi puoi chiamare Anna" la corresse la donna, stringendo le mani della ragazza tra le sue.
Micaela non sapeva bene perché, ma sentiva che la donna proteggeva Luca in modo speciale, come se avesse avuto paura di perderlo per sempre, in passato... ma non fece domande. In fondo, Luca non le aveva mai raccontato molto del suo passato, esclusi gli episodi di bullismo... se avesse voluto farlo, in futuro, lei l'avrebbe ascoltato, e con piacere... ma non aveva intenzione di costringerlo ad aprirsi con lei, perché sapeva quanto fosse controproducente. Lei stessa aveva difficoltà, quando era costretta a rivelare una parte di sé a qualcuno del quale non si fidava completamente.
Quella sera, la compagnia celebrò il risultato dello spettacolo con una cena in gruppo, alla quale si unirono anche i genitori delle ragazze, Michele, Giorgia, Lucia, Kaleb con la sua famiglia, Angelica e la famiglia Marzano al completo. Insomma: era un bel gruppo consistente.
"Ci siamo anche noi!" esclamò Sofia, rivolgendosi a Gabriele.
"Che bello, mi fa piacere!" dise quest'ultimo, sorridendole.
"Solo... io mi devo allontanare un attimo... voi andate avanti!" disse il padre di Micaela.
"Come vuole, Capo" gli disse il custode.
L'uomo, che non aveva previsto di unirsi al gruppo, andò a prelevare, ma dovette allontanarsi parecchio per trovare uno sportello.
Nel frattempo, la signora Ferrante, che era stata messa a sedere accanto a Gabriele, gli disse: "Grazie mille... per tutto quello che ha fatto per Micaela. Mi dice meraviglie di lei e del resto della compagnia..."
"Non abbiamo fatto niente di più di quello che merita un angioletto" rispose il custode. "Lei è così... è molto timida e silenziosa, ma è impossibile non volerle bene! E vedesse quanto impegno ha messo in quello che faceva, anche quando era triste per qualcos'altro!"
Micaela, dal lato opposto del tavolo, li stava ascoltando.
"Io sottoscrivo" le disse una voce familiare. La ragazza riconobbe il rumore di una sedia che batteva delicatamente sul pavimento e un ginocchio che entrava a contatto con il suo... e quella voce!
"Luca..." disse piano, imbarazzata.
"In persona!" esclamò il ragazzo.
Non si dissero altro, perché in quel momento il padre di Micaela fu di ritorno, e insieme a lui li raggiunse il cameriere, che veniva a prendere le ordinazioni.
Il resto della sera fu letteralmente una festa, per l'intero gruppo: erano tutti intenti a scherzare, parlare del più e del meno, e la serata scivolò loro addosso senza che se ne rendessero conto. Sarebbe stata decisamente dura, tornare alla realtà, ma in quel momento ognuno di loro sapeva che quel ritorno sarebbe stato meno gravoso, meno doloroso, se il ricordo di quella sera fosse rimasto vivo.
Quella sera, prima di lasciarla andare, Luca si avvicinò a Micaela e le diede un leggero bacio sulla guancia.
"Sono contento che abbiamo chiarito" le disse semplicemente.
"Anch'io" ricambiò lei.
Erano così... non avevano bisogno di grandi discorsi: comunicavano con l'arte... e con gli abbracci.
Kaleb non fu tanto clemente come Mica.
Le parole che Luca gli aveva detto un mese prima erano impresse a fuoco nella sua mente.
Lucia, che per un tratto di strada era andata con lui, aveva cercato timidamente di farlo ragionare: sapeva che Luca era buono e, come le sirene del libro: "Il siero dell'uomopesce", che aveva letto su consiglio di Micaela, estraeva "l'ago dall'indice della mano destra" solo per difendersi, ma Kaleb non sembrava ave! voglia di allentare un po' la presa.
"Dai, Kal... è il tuo migliore amico."
"Ex migliore amico, Lu."
"Ma... ma lui... ti è stato vicino quando il resto della scuola t'ignorava... lo sai che lì sono quasi tutti fissati con i canoni della normalità, come li chiamano loro... a lui non è importato. Ti vuole bene..."
"E allora perché non mi ha creduto?"
"Parli come se non sapessi quanto può essere brutto non potersi fidare delle persone che ti circondano, Kaleb."
Questa volta il tono di Lucia non era accondiscendente... la ragazza era seria e voleva che Kaleb capisse quanto era fortunato ad avere un amico disposto a tornare indietro, ad ammettere di aver sbagliato, anche se poteva costargli molta fatica.
"Io non sono Micaela! Se lei è tanto buona e l'ha perdonato, io non lo sono, d'accordo?" sbottò lui, furioso.
"S-scusami... io... io volevo solo..." balbettò Lucia, allontanandosi in fretta da lui, con gli occhi che le bruciavano. Tutto quello che aveva passato l'aveva resa fragile: attraversava le difficoltà, ma nella sua vita le lacrime non mancavano mai.
"Lu, aspetta!" provò a rimediare Kaleb, rincorrendola, ma lei non si voltò nemmeno a guardarlo.
Corse via, con la vista appannata dalle prime lacrime, e raggiunse Giorgia.
"Lucia... tesoro, ma che è successo?" le chiese la donna.
"Sbaglio sempre tutto, signora Giorgia... tutto!" rispose Lucia, stringendola forte a sé.
Lei non fece domande. Aiutò la piccola a salire in macchina, chiuse la portiera e sedette accanto a lei, sui sedili posteriori.
"Va tutto bene, tesoro" la rassicurò facendole posare la testa sulle sue ginocchia. "Vedrai: qualunque cosa sia accaduta, in qualche modo si risolverà."
Michele e Gabriele le raggiunsero in quel preciso momento. In parte, Gabriele sapeva che cosa era successo a Lucia: aveva visto Kaleb poco prima e l'aveva sentito parlare con Andrea.
La ragazzina, passandogli accanto, gli aveva detto: "E meno male che è Luca quello che parla a sproposito!"
"Aspetta... che vuoi dire?" le chiese il ragazzo.
"Ti sembra il modo di trattare una ragazza che non solo ha fatto una cosa più grande di lei, cercando di farti ragionare, ma ha vissuto l'inferno a causa di persone che le urlavano contro in continuazione?"
"Ho provato a chiederle scusa! E poi, che ne vuoi sapere tu?"
"Molto più di quanto ne sai tu, Kaleb. Io sono stata accanto a Luca per ttutto il tempo in cui non ci sei stato tu, ed è stato malissimo... possibile che tu sia così duro con uno dei pochi veri amici che sei riuscito a farti in quella maledetta scuola? Lo so: questo non è dipeso da te... ma io gli amici più cari me li tengo stretti, non li perdo per uno stupido malinteso!" E, senza dargli il tempo di ribattere, la ragazza aveva raggiunto i suoi ed era tornata a casa.
Michele non sapeva cosa fosse successo, ma gli faceva male vedere Lucia in quelle condizioni.
Durante tutto il viaggio di ritorno, in auto regnò un silenzio interrotto soo dal costante rumore del motore. Fu Gabriele a romperlo.
"Siamo arrivati!" disse semplicemente.
Lucia scese dall'auto, tremante, e mormorò un semplice: "Grazie."
"Non hai nulla di cui ringraziare, piccola... e non ti preoccupare per quella cosa... Kaleb è testardo, ma è anche un ragazzo molto intelligente... vedrai: gli passerà prima che te ne accorga."
Poi si rivolse a Michele: "Posso parlarti un attimo?"
Il professore si limitò ad annuire.
"Vieni, Lucia... è meglio che tu vada a sdraiarti un po'."
"M-ma... io..."
"Vedrai, piccola: domani ti sentirai meglio... se vuoi resto con te finché non ti addormenti." Queste ultime parole, la donna le disse a bassa voce. Sapeva che Lucia aveva ancora gbi incubi e sapeva anche che si vergognava di chiedere aiuto.
Entrarono nel condominio, mentre Gabriele e Michele rimanevano fuori, a scambiarsi sguardi incerti.
"Di cosa volevi parlarmi, Gabriele?" chiese il primogenito.
"Ho visto come guardavi quello che facevamo, Michele."
"Lo spettacolo, intendi?" chiese il docente.
"Sì... voglio dire: non ti farebbe piacere... tornare a recitare, Michele? Non ti manca per niente, quello che facevi?"
L'uomo non rispose.
Accidenti, se gli mancava il palco! Gli mancava il rumore dei passi sul legno, gli mancava lo scorrere del sipario, gli mancavano i momenti di panico prima del "Chi è di scena?", gli mancavano quelle luci talmente forti che per non lasciarti accecare ti devi schermare gli occhi con una mano. Gli mancavano le risate in prova, le lacrime, gli abracci, gli applausi della gente... era una piccola compagnia, quella in cui erano Michele e Gabriele, ma tutti, chi in un modo, chi in un altro, si erano messi d'impegno, avevano studiato quell'arte, in maniera più o meno amatoriale. Michele, con quella voce da doppiatore, incantava chiunque.
"Non posso... dovevo rinunciare a qualcosa di molto importante per me, dopo quello che è successo ad Alex." sospirò l'uomo.
"Scusami... io non voglio assolutamente forzare la mano, ma forse... Alex non vuole punirti per quello che è successo... è vero che c'eri tu alla guida, ma... ma non stavi pensando agli affari tuoi... stavi guardando la strada... non potevi prevedere quello che stava per succedere." La voce del custode s'incrinò, al pensiero del nipote.
"Non so se ne avrò il coraggio... ma è da una vita che penso ad una cosa... i miei ragazzi, quelli della scuola. A loro servirebbe tanto, il teatro..."
"Ci ho pensato anch'io, tante volte... Micaela, Luca, Kaleb, Lucia, Claudia, e ce ne sono anche molti altri... come quella ragazza di terza... Denise..."
Denise... una ragazzina che amava tantissimo gli abbracci e veniva costantemente derisa per il suo modo di parlare un po' strascicato e per i suoi lineamenti.
Il professor Michele sospirò.
"Io... io devo andare... grazie di tutto, Gabriele!" disse.
"Non devi ringraziarmi di niente. Siamo fratelli... io ci sono per te come tu ci sei stato per me" rispose il custode.
Michele sorrise. Il suo fratello minore si era dimostrato più grande di lui, non solo fisicamente, ma soprattutto emotivamente. Era lui a portare avanti e indietro fratello e cognata, era stato lui ad organizzare i suoi orari con la compagnia per evitare categoricamente le prove di mattina, era stato lui a cercare un lavoro al liceo, per stargli vicino dopo quello che era successo... ed era stato lui, l'unico della famiglia a capirlo. Dopo l'incidente, per mesi Michele non aveva avuto nemmeno la forza di alzarsi dal letto... i suoi, seppure in buona fede, non facevano che rimproverarlo, farlo sentire in colpa per Giorgia, che aveva ripreso a lavorare sia in sartoria che all'ospedale per guadagnare abbastanza per entrambi... ma Gabriele non aveva mai smesso di prenderlo con le buone, di aiutarlo a rimettersi in sesto fin dove era possibile.
"Sei pallido... non ti piacerebbe andare a prendere un po' d'aria?" gli chiedeva ogni giorno, amabilmente.
"Non vale la pena... sono un relitto..." rispondeva sempre Michele.
Poi, un giorno, all'uomo era venuta l'ispirazione.
"Se ti senti un relitto, lo sai che di solito i relitti nascondono dei tesori? Però, se non provi a ricominciare a vivere, non potrai mai scoprire il tesoro che hai dentro di te."
Michele non aveva potuto fare a meno di sorridere. Il suo fratellino, quelo che a scuola veniva tormentato dai bulli, non esattamente timido, ma che si vergognava di mostrarsi, non solo aveva realizzato i suoi sogni, ma era tornato indietro a recuperare il fratello che per anni l'aveva protetto come poteva dalle sabbie mobili in cui si era ritrovato. Era stato tenace, ma mai invadente... così come lo era con i ragazzi del liceo... e finalmente si era deciso. Si era rimesso in sesto, aveva tagliato quella barba lasciata crescere troppo ed era uscito insieme al fratello. Non aveva più avuto la forza di mettersi al volante, ma aveva ripreso a lavorare a scuola... grazie al perseverare del fratello e alle cure della moglie, che non si stancava mai di proteggerlo, aveva deciso di provarci... di ritornare alla vita.
Quando rientrò a casa, dopo aver salutato Gabriele, raggiunse la camera che un tempo era stata di Alex... ora l'avevano risistemata perché Lucia potesse dormirvi, e in quel momento la piccola riposava tranquilla, avvolta dall'abbraccio materno di Giorgia.
Poi, un calore familiare lo avvolse completamente, mentre si lasciava cadere, vestito com'era, su una poltrona lì accanto.
"Grazie, papà..." diceva una voce nella sua testa, mentre una figura indistinta gli passava attraverso, allontanandosi lentamente. "Mi hai fatto tornare a casa... ti voglio bene."
Michele non sapeva se stava sognando o meno, ma, per l'ennesima volta, guardando gli occhi verdi di Lucia, gli parve di vedervi, come in uno specchio, l'immagine di Alex. Era come se lui, da dietro le palpebre di Lucia, si stesse specchiando davvero.
"Resterai qui, se lo vorrai, angelo mio... te lo giuro."
Passò tutto il fine-settimana. Micaela trascorse molto tempo insieme a Luca, Andrea e Lucia. Kaleb, troppo imbarazzato per cercare Lucia e troppo arrabbiato con Luca, non si era più fatto vivo.
Il ritorno a scuola, però, arrivò come un pugno dritto nello stomaco dei ragazzi.
Naturalmente, all'andata Lucia non faceva più avanti e indietro: andava con Gabriele, Michele e Giorgia. Quest'ultima le aveva comprato uno zaino semplice, ma nuovo di zecca, e dei vestiti, per poi farsi portare quelli che Micaela le aveva regalato, e avevano messo su un piccolo guardaroba.
Le prese in giro naturalmente non sarebbero finite, a causa dell'indole ipersensibile di Lucia, ma almeno ora sapeva di essere importante per qualcuno... per quei due coniugi che facevano a turno per vegliarla, la notte, che le stringevano la mano quando aveva paura, che la rassicuravano quando era triste.
Quella mattina, all'ingresso all'inferno... o meglio: a scuola, Micaela conobbe un'altra compagna esclusa dai canoni voluti dai suoi compagni.
Quando raggiunse il cortile, un corpicino gracile e scosso dai brividi le crollò addosso, e la ragazza si sentì stringere una morsa attorno al cuore quando udì i singhiozzi della sconosciuta.
"Ehi..." le disse gentilmente, cercando di spostare lateralmente Toto.
La ragazza fece per staccarsi, come se pensasse di aver sbagliato ad abbracciarla, ma Mica la trattenne.
"Cosa ti è successo?" le chiese garbatamente.
"M-m-mi hanno chia-ama-ta... mo-o-on-golo-o-ide!"
In quel momento le raggiunsero anche Luca e Gabriele. La ragazzina, che già conosceva Luca, si voltò verso di lui e lo abbracciò come aveva fatto con Micaela. Luca non le fece domande: aveva sentito tutto.
"Piccola... non te la prendere, dai, non ne vale la pena. E poi la Mongolia è un paese, mica un insulto!" le disse.
Ma la ragazzina era inconsolabile.
"Lo sai? A me danno del ciclone... e sbagliano, perché si dice "ciclope"!"
Luca voltò lo sguardo in direzione di Micaela, e vedendo che lei stessa rideva, capì che non se ne faceva un cruccio.
"Non è co-o-olpa mia, se sono co-osì" mormorò l'altra, con gli occhi ancora pieni di lacrime.
"Perché? Come sei?" le chiese Micaela, andandole vicino.
"È molto bella" le disse Gabriele, "ma si preoccupa troppo di quello che pensano gli altri... non è vero, Denise?"
"Ah, ti chiami Denise! Piacere: io sono Micaela, ma puoi chiamarmi Mica, se vuoi!" le disse Micaela, entusiasta, tendendole la mano destra per presentarsi.
"Scu-u-sa" balbettò Denise, calmandosi lentamente. "Io... non... volevo..."
"A me piacciono gli abbracci... solo che... faccio un po' fatica a darli per prima, sai?" le disse gentilmente Micaela. "Facciamo una cosa: io sono in quinta B... se mi fai sapere in che classe sei, se ti va, ci rivediamo all'intervallo. Che ne dici: vuoi?"
Luca e Gabriele la guardarono con ammirazione. Anche loro di solito facevano così: si occupavano di chi, in quel momento, ne aveva bisogno... ma chissà come sarebbe stato, avere qualcunoche lo facesse per loro, a scuola? Gabriele quel periodo, fortunatamente durato solo fino alla fine delle elementari, se l'era lasciato alle spalle... ma Luca non ne era ancora uscito del tutto, e quel giorno anche al liceo il bullismo sarebbe tornato a fargli visita, con prepotenza.
"Terza H" disse Denise.
"Va bene. Allora mi farò dire dov'è e ti verrò a prendere, va bene?"
"Ma tu... come... come fai?" chiese Denise.
"Tranquilla, che un modo lo trovo. Come dice un mio amico: a tutto c'è rimedio!" esclamò lei, sorridendo timidamente.
"Ora è meglio che andiamo... ma tu non pensare a loro, Denise... non hanno niente da fare e vanno a seccare gente a caso." le disse Luca.
"Io credo che sia meglio che Denise resti ancora un po' qui" disse Gabriele. "Che ne dici di fare tu da cavaliere, oggi, guerriero Marzano?"
"Con piacere, generale Ferreri!" rispose a tono Luca.
"Bene... la lascio in buone mani, signorina Ferrante" disse Gabriele, e, in un gesto cavalleresco, le prese una mano e vi lasciò un bacio sul dorso, facendo arrossire Micaela.
"Ehm... grazie" gli disse lei.
"Posso tenerti la mano? Lo so che te la cavi da sola, ma io oggi ho freddo." le disse Luca, mentre procedevano  lungo il corridoio gremito di studenti.
"Va bene... come vuoi tu, Olaf, ma attento a non scioglierti!" scherzò lei. Ma, nonostante si mostrasse allegra come sempre, a Luca non sfuggì che qualcosa la turbava.
"Che ti prende, Mica?" le chiese, mentre sgomitava tra gli studenti per aprirle la strada, non notando che, al loro passaggio, molti ridevano sotto i baffi.
"Niente... mi chiedo come si possa essere così cattivi da dire certe cose" rispose lei. "Più lo vedo succedere, a me o ad altri, più me lo chiedo."
"Lascia perdere" le disse lui. "Questo è uno degli arcani che non sveleremo mai, probabilmente."
"Ma che cavolo poteva aver mai fatto di male, quella povera ragazza, per essere trattata così?" saltò su Micaela. "Vorrei vedere come la prenderebbero se una cosa del genere capitasse a loro!"
"Ah, guarda chi si vede! La talpa e il castorino!" esclamò una voce maschile. Era un compagno di classe di Luca, tanto studioso quanto perfido.
"Che cosa vuoi, Roberto?" chiese Luca, serrando i denti.
"Ora non farai più faville con le ragazze... se non con le non..."
"Non... ti permettere, Carlotta!" sbottò ancora lui.
"Di' un po', Castorino: i denti rotti non li hai più?" lo stuzzicò lei, che aveva perso qualsiasi interesse per lui, ma non aveva mai tollerato di non piacere ad un ragazzo.
In quel momento Luca si voltò e vide le pareti del corridoio tappezzate di foto di quando era bambino.
"I castori costruiscono le dighe... una rana provò a gonfiarsi come un bue ed esplose, Roberto... e un corvo si mascherò da pavone e fu cacciato a beccate, Carlotta!"
"Che stai dicendo?"
"Oh, Charlotte! È un modo per dire che lui vale molto più di tutti e due messi insieme!" esclamò Micaela, stringendogli la mano per impedirgli di scattare in avanti. "Vieni con me, Luca... non ne vale la pena..."
E, tirando fendenti a destra e a manca in stile Lady Oscar, Micaela recuperò il suo Toto e, cercando di concentrarsi, raggiunse la classe.
Micaela chiuse la porta e fece accomodare il suo amico accanto a sé.
"Sei sconvolto" gli disse piano. "Vuoi parlarmene, Luca?"
"Quando ero piccolo... io... io ballavo... cioè, ci provavo... volevo... volevo impressionare una ragazzina e... e per farlo sono caduto e mi sono spezzato due denti..."
"Ma eri andato da un dentista quando sei venuto in questa scuola, non è vero? Non mi fraintendere: te lo chiedo perché... insomma, questa scuola è un nido di serpenti... se l'avessero notato, capirai!"
"Sì... due anni fa, vedi, ho provato ad entrare in un talent e... e non ci volevo andare con i denti rotti. Quell'anno ho cambiato scuola e sono venuto qui. Per questo nessuno ne sapeva niente..."
Micaela, in quel momento, fece una cosa che non aveva mai fatto. Cercò il viso del ragazzo, lo sfiorò dolcemente e sentì le prime lacrime di lui bagnarle le mani.
"Va bene... così va bene. Non ti devi vergognare, Luca... non con me" lo rassicurò, asciugandogli il viso.
"Io... io non me lo merito, questo!" mormorò il ragazzo.
"No, non te lo meriti... nessuno se lo merita, e tu meno che mai!" gli disse Micaela. "Ma tu non sai chi può aver portato queste foto a scuola? Non ne hai la minima idea?" Lei voleva trovare una soluzione, voleva che quegli idioti ci dessero un taglio. In fondo quelle erano tutte copie...
"L'unico che ha quelle foto è... no, è impossibile!" esclamò il ragazzo.
"Per l'amor del cielo, Luca: chi ha quelle foto?" gli chiese Micaela.
La consapevolezza gli arrivò come un pugno allo stomaco.
"Kaleb..." mormorò.
"Kaleb ha quelle foto?" ripeté lei. "Ma è impossibile!"
E infatti la colpa non era di Kaleb. Il povero ragazzo aveva semplicemente portato un album di foto nel quale c'erano diversi ricordi, tra cui le foto di classe. Lì, purtroppo, si vedeva per forza la dentatura di Luca, che veniva letteralmente costretto a mostrare un sorriso. Nonostante non lo ammettesse nemmeno a se stesso, il suo amico gli mancava... ma nel fine-settimana, da solo al parco, aveva appoggiato lo zaino su una panchina. Roberto l'aveva trovato e riconosciuto, e giusto per stuzzicare i ragazzi, aveva trovato quel quaderno molto interessante. Aveva avuto bisogno solo di due o tre di quelle foto, da scattare con il cellulare... poi le aveva mandate ad un amico, che ne aveva fatto diverse copie per poi svilupparle.
"Ora.. ora devo tornare in classe... ci manca solo che attiri l'attenzione arrivando in ritardo" sospirò Luca, spostando le mani delicate di Micaela dal suo viso.
"A dopo... ehi, mi raccomando... non importa quello che dicono... tanto sono poco più che sconosciuti per te!"
Luca accennò un sorriso, riconoscente, poi lasciò la classe.
In quel momento Lucia raggiunse la sua migliore amica e si mise a sedere al suo fianco, sorridendo.
"Ehi, Mica!" esclamò, felice di vederla. "È la prima volta che arrivo a scuola sulle mie gambe, sai? E con uno zaino nuovo... e..."
Ma la ragazzina si fermò di scatto, vedendo il viso triste dell'amica.
"Che ti succede?" le chiese preoccupata.
"La verità è che mi sento come John Coffey nel Miglio Verde" rispose lei, passandosi a turno le mani sulla fronte come per farsi passare l'emicrania.
"È per Luca, vero?" le disse. "Scusami, io... io ero andata a cercare Kaleb... per la discussione, sai? Quella dell'altro giorno... per quello non ti ho raggiunta subito. Ero contenta... ma quando ho visto Luca di sfuggita mi è sembrato un po' abbattuto."
Micaela sospirò: non voleva certo far sì che l'amica non si godesse il primo giorno senza ansie della sua vita!
"Non importa, dai!"
"No, Mica... raccontami: che è successo?"
"È venuta fuori una cosa del passato di Luca... una sciocchezza, ma ora tutti lo stanno deridendo per quello."
"Cosa? Ecco di chi erano, le foto appese alle pareti!"
Micaela si strinse nelle spalle.
"Che? Appese alle pareti? E i professori non hanno fatto assolutamente niente?" chiese, sconvolta.
"I ragazzi le stavano già togliendo... non so se le hanno viste... ma ce n'erano alcune sparse per le pareti, fuori dalla sua classe e dalla nostra."
"Spero che i professori facciano qualcosa, perché questa è una carognata bella e buona!"
Il resto della classe entrò di gran carriera. Erano tutti intenti a ridere, guardando qualche meme sul cellulare, del quale Micaela immaginava il contenuto.
"Che c'è, tesoro? Ti dispiace non poter vedere il tuo Castorino?" le chiese Carlotta, neanche le avesse letto nel pensiero.
"Sì, mi dispiace di non poter vedere un castoro... e anche di non poter vedere Luca... però sono contenta di non poter vedere te, oca dei miei stivali!" rispose secca lei.
"Beh, state bene insieme... siete due roditori, no? La talpa e il castoro!"
"Oh, certo! Ha parlato quella che faceva tante smancerie a Luca, e visto che non le piace non ottenere quello che vuole, ad esempio un ragazzo, decide di cambiare tattica e umiliarlo, vero? Sei il manifesto della coerenza, Charlotte!"
Nella classe adiacente, Kaleb si era avvicinato di corsa a Luca.
"Non sono stato io! Non ho idea di che cosa sia successo!"
Luca lo guardò, sorpreso. Era sicuro del fatto che lui non c'entrasse, ma non credeva che gli sarebbe corso incontro in quel modo... non dopo quello che era successo.
"Ho imparato la lezione" gli disse a bassa voce. "Ti credo, Kal... anche se ce l'hai con me, so che non saresti capace di farmi una cosa del genere..."
"Non... non..." balbettò Kaleb, guardandolo fisso... non era arrabbiato.
Aveva smesso di essere arrabbiato proprio quel giorno, quando aveva visto il corridoio tappezzato di foto della scuola, tagliate a regola d'arte, che raffiguravano solo Luca con i denti spezzati.
"Lo sai? Stavo per dargli addosso! Mi ha fermato Mica." mormorò Luca. Non sapeva perché, ma voleva confidarsi con il suo migliore amico, come ai vecchi tempi. "E ho pianto davanti a lei come un idiota!"
"Luca, io credo che lei sia stata contenta di vedere anche il tuo lato fragile!" ribatté Kaleb. "Micaela non è il tipo che ti considera poco uomo perché esplodi: al contrario! Credo che lei ti voglia bene proprio perché sei forte e sensibile... e non un debole dal cuore di pietra che finge di essere forte."
Anche gli altri entrarono in classe prima del suono della campanella.
"Di' un po': come te li sei rotti, i denti? Mordendo il collo di una statua, Dracula?" chiese Roberto.
Luca strinse forte il banco, ma fece finta di non aver sentito.
"No... forse voleva fare l'acrobata per impressioare qualcuno... magari un ragazzo!"
Luca si raggelò quando udì la sua voce in un video registrato con un cellulare. Roberta, un'altra ragazza della classe, si era fermata lì fuori ad ascoltare mentre lui raccontava del suo breve passato di ballerino. Ma in fondo, era tutta la vita che gli davano dello "sfigato" e soprattutto lo chiamavano "gay" come fosse un insulto. Una volta in più, una in meno, non gli avrebbe rovinato la vita, no? L'unica cosa che lo faceva innervosire era sapere che quegli idioti pensavano che chiamare "gay" una persona fosse una cosa negativa... lui di amici gay ne aveva, e in realtà alcuni lo manifestavano apertamente, altri, che non per questo amavano trucchi e cose estrose, vevano  l'aato palesato a lui solo perché volevano farlo.
"Hai capito? Il nostro Luca aveva un passato da ballerino... e chi facevi, il cigno che muore o cosa?"
"Nel caso "La morte del cigno", e comunque quella parte non avrei certo potuto farla io!" esclamò Luca.
"Di' un po': la tua cieca di Sorrento non è ancora scappata?" chiese Domenico, un ragazzo che si chiamava come suo fratello, ma non aveva un briciolo di cervello, al contrario di lui. "Tu solo una come lei, potresti attirare!"
"Ah, grazie al cielo!" ribatté Luca. "Le vipere di questa scuola mi fanno venire la nausea... preferisco delle ragazze vere, come Micaela, alle Barbie che studiano qua!"
"Di' un po': hai solo amici anormali, Marzano?" chiese Giovanni.
A quel punto Kaleb scattò in piedi, furibondo, e gli saltò praticamente addosso.
"Kaleb! NO!" urlò Luca, alzandosi a sua volta e mettendosi in mezzo.
I due ragazzi presero ad azzuffarsi, e Luca d'improvviso ricevette un pugno sul naso.
"Ma che fate? SMETTETELA SUBITO!" esclamò il professor Michele. "Kaleb, fermati! Smettila!"
Luca si portò una mano al viso: gli si erano rotti i capillari e il sangue zampillava come l'acqua di un rubinetto.
"Ma che vi è preso? Siete impazziti?" chiese il professor Michele. "Non avete visto che avete fatto ad un vostro compagno?"
Appoggiata alla porta c'era Micaela. La Distasio non era ancora entrata e lei, sentendo quel frastuono, si era alzata di scatto ed era uscita per capirci qualcosa.
"Coraggio, Luca... appoggiati a me, da bravo. Tirati su."
Il professor Michele gli si avvicinò.
"Vieni, Micaela... vieni a darmi una mano, per favore" le disse il professore. "Hai una salvietta imbevuta, o comunque qualcosa di freddo da mettergli in faccia?"
"Sì... sì, ce l'ho" rispose Mica, estraendo dalla tasca un fazzoletto.
Bisognava bagnarlo, ovviamente, ma Kaleb rimediò versandovi sopra un po' della sua acqua.
"Grazie!" mormorò Micaela.
"Non vi manderò in presidenza, per questa volta." disse il professor Michele. "Ma non vi azzardate a rifarlo! Non potrò coprirvi di nuovo!"
Spostò la sedia che avrebbe dovuto usare lui, quella dietro la cattedra. A Luca girava terribilmente la testa, dopo il pugno in faccia, per cui l'uomo lo guidò fino a fargli raggiungere la sedia.
"Appoggiati allo schienale" disse Micaela, mettendogli il fazzoletto davanti alle narici. "Tieni su la testa... così va bene... bravo... oh, accidenti, il vero Dracula sarebbe molto contento!"
"Non sarebbe meglio che lo curasse qualcun altro?" finse di preoccuparsi Barbara, un'altra compagna di classe.
"Non voglio nessuno di voi, vicino!" si agitò Luca. "Lei è l'unica di cui mi fido... ah-aaah!" Per l'enfasi si era portato le mani alla faccia, provocandosi dolore.
"Tranquillo, va tutto bene" lo rassicurò Micaela, mentre il professore lo ammoniva con uno sguardo. "Professore, sembra che il flusso stia rallentando..."
"Sì, un pochino" le confermò lui. "Cambia il fazzoletto... Kaleb, vai a prendere un freddino dal congelatore del bar... bisogna mettere qualcosa alla radice, per farlo smettere del tutto."
Kaleb corse fuori e tornò due minuti dopo.
"Tieni fermo il fazzoletto, Luca" disse Micaela, mentre Kaleb le passava il freddino.
Lei mise l'oggetto alla radice del naso di lui, e mentre lo reggeva con una mano, gli teneva l'altra sotto il mento, per assicurarsi che tenesse su la testa.
Quando l'emorragia si fu fermata, Mica tolse il tutto, delicatamente. Tastò delicatamente il viso del ragazzo, provocandogli solo un piccolo sussulto, e disse: "È un po' gonfio, ma ho paura che per quello ci vorrà più tempo... ti fa male quando ti tocco?"
Il ragazzo strinse i denti, sofferente.
"Ahi! Accidenti, scusami!" esclamò la ragazza, ritirando di scatto le mani.
"No, tranquilla, va tutto bene" provò a rassicurarla Luca.
"Vieni, Micaela... ti accompagno in classe, così non avrai problemi con la professoressa..."
"Oh, no! La Distasio, accidenti... se arrivo in ritardo mi farà a fette!" saltò su la ragazza.
"Non esagerare!" la stuzzicò il professor Michele. "Vieni, ti accompagno in classe."
"Stai bene?" ripeté Micaela, rivolgendosi a Luca.
"Ho la migliore infermiera del mondo... come potrei non stare bene?" le chiese Luca.
"Del mondo no. Del pianoterra... anzi, la seconda: la prima è la dottoressa Marcella!" disse Micaela, sorridendo.
"No, proprio del mondo... e poi Marcella è una dottoressa, non un'infermiera!" la rimbeccò il ragazzo.
Quando arrivarono in classe, la professoressa Distasio iniziò subito a sbraitare, ma il professor Michele la stroncò sul nascere: "Se non ci fosse stata Micaela, Luca sarebbe svenuto, per quanto sangue stava perdendo... mi ha aiutato lei, perché nella classe si stavano accapigliando!"
"Luca Marzano? Perché, che è successo? Ah, certo... ha fatto a botte, quel piccolo delinquente!"
"Luca? Macché! Ha cercato di dividere due persone che sono venute alle mani e ci è andato di mezzo, tutto qui. Ma per fortuna ora si sono calmati..."
"Non li hai mandati dal preside, vero?"
"No, non ce li ho mandati... e non ho intenzione di farlo, per questa volta."
"Certo che tu sai come farti rispettare, Michele!"
Lo sapeva eccome! Micaela dovette contare fino a dove ricordava, per non risponderle in malo modo.
"Che io lo sappia o no, non importa" le fece notare l'uomo.
Detto questo, mentre Micaela prendeva posto, tornò nella sua classe... per fortuna i ragazzi non avevano approfittato della sua assenza per tornare ad accapigliarsi.
Era l'ultima volta che avrebbero visto la Distasio prima di Natale, e la donna non mancò di ricordarlo riempiendoli di compiti. Micaela, mentre cercava di starle dietro e annotare tutto quello che avrebbe dovuto studiare, non poté non tornare a pensare a lui... il ragazzo che l'aveva ferita solo una volta, ma solo perché credeva che anche lei l'avesse fatto... quel ragazzo che per il resto l'aveva sempre sostenuta e protetta, che si era lasciato proteggere soltanto da lei... che si era fidato di lei, raccontandole il segreto che lo accompagnava da quando era bambino. Quel ragazzo che tendeva a sorridere per gli altri, anche se dentro stava crollando... quel ragazzo che, a modo suo, sapeva chiedere scusa. Più pensava a lui, più si chiedeva come si potesse essere tanto cattivi con un ragazzo tanto buono?
Quando finalmente la donna se ne fu andata, Lucia si avvicinò all'orecchio di Micaela.
"Ehi, Mica!" disse sottovoce. "Come stai? Sei un po' più tranquilla?"
La ragazza, non volendo rovinare il primo giorno di "libertà" all'amica, sorrise e rispose: "Sì, Lu... va meglio, tranquilla."
Quando il professor Michele entrò in classe, Micaela alzò immediatamente la mano.
"Professore... mi scusi, io... ecco... volevo chiederle una cosa..."
L'uomo, capendo cosa voleva sapere la ragazza, si avvicinò al suo banco.
"Luca sta bene." le disse in un soffio.
"Davvero, professore? Davvero sta bene?" chiese Micaela.
"Sì, tranquilla: ha smesso di sanguinare, i ragazzi si sono calmati per un'oretta... e ora c'è la mia collega."
Certo, la Distasio. Per una volta, Micaela fu felice che ci fosse lei, nella classe di Luca... almeno, in sua presenza, i compagni del suo amico non avrebbero provato ad insultarlo per quella stupida storia dei denti spezzati. Tutti erano terrorizzati dalla professoressa d'inglese: quando c'era lei non volava una mosca, fatta eccezione per il momento delle interrogazioni, nel quale un poveretto camminava lentamente verso la cattedra, con un'espressione equiparabile a quella del condannato davanti al patibolo, si voltava verso la classe e arrancava nel rispondere alle domande, anche perché in genere la donna aveva la pessima abitudine di parlargli sopra.
Neanche nella classe di Micaela ci furono allusioni a Luca o alle foto appese in corridoio.
Quel giorno, il professore volle far leggere ai ragazzi il racconto di Verga: "Rosso Malpelo". I ragazzi non sapevano perché, ma sentivano che quel racconto non era stato scelto a caso.
Furono assegnati i personaggi da leggere ad alcune ragazze: Micaela era la voce narrante, Carlotta sarebbe stata Rosso Malpelo Lucia avrebbe fatto Ranocchio e Sabrina le voci degli altri minatori. Quel giorno Micaela mise tutta se stessa nella lettura. Da quando era stata sul palco la lettura ad alta voce la entusiasmava di più.
Finita la lettura, il professore non volle spiegare perché aveva scelto proprio quel testo. Fu Carlotta a chiederglielo.
"Professore, mi scusi... perché ci ha fatto leggere Rosso Malpelo?" chiese. "Non abbiamo ancora fatto Verga..."
"Non mi piace seguire il programma per filo e per segno... soprattutto se devo far notare che qualcosa di cui si parlava in passato, sfortunatamente, succede ancora..."
"Nel senso che ancora oggi si parla di minatori?"
"Micaela, potresti rileggere l'inizio?"
"Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi, e aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone." rilesse la ragazza.
"Aveva i capelli rossi perché era un ragazzo cattivo... pensateci: vi sembra normale che ancora oggi esistano pregiudizi simili?"
"Infatti non esistono."
"Un ragazzo che non fa lo spavaldo con le ragazze, al quale piace ballare e cantare, è considerato automaticamente gay. È normale, questo, nel ventunesimo secolo? Qualcuno viene deriso perché in alcune foto da bambino aveva i denti rotti... vi sembra una cosa normale? Ad una ragazza viene detto: "Non puoi fare questo o quest'altro!", perché è cieca, sorda, muta o qualunque altra cosa... senza che le sia dato nemmeno il beneficio del dubbio. Un ragazzo viene insultato e bollato come ladro o chissà che altro perché è straniero e viene provocato a tal punto che alla fine si trova costretto a reagire, con il risultato che finisce per dar ragione a chi l'ha insultato... e ovviamente, se si difende, chi gli crede? Come accade a Malpelo, che non si difendeva dalle accuse anche quando quello che accadeva non era colpa sua rispondendo: "E a chi giova? Sono Malpelo!" Luca non ribatte perché non gli dareste retta... Kaleb non ribatte perché sradicare i pregiudizi è impossibile... Micaela non ribatte quando viene accusata di qualcosa che non ha fatto perché tanto tre quarti dei professori, e anche dei compagni di classe, non le credono... Lucia, Claudia e Denise non ribattono perché non ne hanno più la forza, come il povero Ranocchio... è per questo che vi ho fatto leggere questo racconto adesso... pensateci, e vediamo di non generarne una caterva, di moderni Rosso Malpelo e Ranocchio... uno troppo debole per mostrare le sue fragilità e l'altro troppo buono per sopravvivere in una società come quella dell'epoca."
E, nonostante mancassero venti minuti, il professor Michele non assegnò compiti né altro. Si limitò ad uscire silenziosamente dalla classe, fermandosi sulla porta... sperava che Verga, a suo modo, potesse scuotere quei ragazzi che si comportavano come coloro che circondavano Malpelo... una vittima che, per fare il bene di un ragazzo, l'aveva stroncato. Certo, sapeva che Luca, Micaela e Kaleb non avrebbero mai fatto a Claudia, Lucia e Denise quello che Malpelo aveva fatto a Ranocchio... ma sapeva anche che tutti e tre erano stanchi, sfiduciati, che non avevano più la forza di difendersi. Per cosa, poi? Per non essere creduti o essere umiliati?
No, meglio lasciar perdere!
Meglio mostrare un sorriso a chi voleva loro bene e mostrarsi impenetrabili agli altri... meglio non far capire quello che avevano dentro.

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