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Le radici e i legami


L’evento ha lasciato la popolazione di Winchester senza parole.

Caroline Grey fissava quella frase sul monitor, le dita sospese sulla tastiera. Per cinque minuti buoni non si mosse, poi sospirò e premette il tasto canc. Doveva ricominciare daccapo.

Scrivere di tragedie la metteva sempre in crisi, anche dopo anni di lavoro. Le parole portavano con sé il peso di chi restava, e lei finiva per assorbire quel dolore. La sua Marlboro Light giaceva accesa nel posacenere alla sua destra. La prese con calma, aspirandola mentre si girava verso la finestra che dava su St Peter St.

Fuori, Winchester scorreva placida, con la sua solita calma. Caroline aveva amato quella città dal primo giorno in cui vi si era trasferita, subito dopo il liceo. Era diversa da Londra, meno caotica, meno invadente, quasi protettiva. Ed era quello di cui aveva avuto bisogno, allora: protezione.

Aveva lasciato Londra con un segreto che cresceva dentro di lei. Non avrebbe mai permesso che Mia crescesse in un quartiere dove ogni sguardo indiscreto le ricordasse quel che era successo al ballo di fine anno. Era stata dura: trasferirsi, studiare la notte, lavorare di giorno, accudire una neonata che sembrava avere il doppio della forza che Care sentiva di possedere. Ma ce l’avevano fatta.

Mia era nata prematura, con due chili e trecento grammi e una massa di capelli scuri come quelli di Will. Caroline scacciò quel pensiero e si concentrò sul monitor del computer. Prese un respiro profondo e digitò:

Ieri, la popolazione di Winchester è rimasta senza fiato nell’apprendere la dipartita del consigliere McTouch.

Rilesse la frase, la modificò, la migliorò. Due parole in più potevano cambiare tutto, rendere il suono della frase più armonioso, più incisivo. Quando alla fine cliccò su Invia, tirò un sospiro di sollievo. Aveva chiuso un altro lavoro.

Si stiracchiò e si alzò dalla sedia girevole, ma il rumore delle chiavi nella toppa la ridestò dai pensieri.

«Mamma, scusa il ritardo! Mi sono fermata a parlare con Elen sulle scale!»

La voce chiara di Mia riempì l’appartamento ancor prima che comparisse sulla porta della sala. Caroline si voltò, spegnendo il computer.

Mia, dieci anni e l’anima di un’adulta, entrò nella stanza buttando la borsa sulla poltrona. Indossava una felpa scura con la scritta “I’m an angel” e jeans strappati sulle ginocchia. Caroline la guardò con un misto di tenerezza e stupore. Erano solo loro due da tanto, e a volte Care si chiedeva come sarebbe stata la sua vita senza quella piccola presenza che le riempiva ogni angolo di cuore.

Mia la abbracciò forte, e Care prese un respiro profondo, lasciandosi avvolgere dall’odore del suo shampoo al gelsomino. La sua bambina era cresciuta troppo in fretta.

«Elen non poteva salire per il pranzo?» chiese Care con un sorriso.

«Sua madre è a casa,» rispose Mia, già trafficando con i cassetti dell’armadio.

Caroline si girò verso la cucina. Accese il fuoco sotto un sugo pronto, ma il cellulare iniziò a vibrare sul tavolo. Lo afferrò distrattamente e lesse il nome: Sam. Il messaggio era breve: Mi manchi.

Il sorriso che le scappò fu involontario. Sam era un’ancora, una presenza che le aveva restituito il coraggio di credere che l’amore potesse esistere anche per lei. Ma il telefono vibrò di nuovo, attirando la sua attenzione. Questa volta, il messaggio era diverso.

Tre lettere: SOS.

Care sentì il cuore fermarsi per un istante. Non vedeva quel messaggio da più di dieci anni. Era il loro vecchio codice, quello che lei, Georgia ed Eloise usavano quando una di loro aveva bisogno. Era un grido d’aiuto, un “lascia tutto e corri”.

Rimase a fissare lo schermo, le dita tremanti. Esitò solo per un momento, poi iniziò a digitare:

“Che succede?”

Qualunque cosa fosse, non poteva ignorare un SOS. Nemmeno dopo tutto quel tempo.

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