Il richiamo del giorno
Il suono della sveglia interruppe il silenzio della stanza, e le note di I Know di Tom Odell riempirono l’aria. Elois Thomson allungò la mano in modo disordinato e colpì la sveglia con un pugno poco preciso. Il dispositivo volò giù dal comò con un suono secco, ma la musica non cessò. Con un sospiro, Elois si stiracchiò e, con uno slancio lento e pesante, si girò per spegnere finalmente l’odioso suono. Il letto la chiamava ancora, avvolgendola nella sua comodità, e per qualche secondo, chiuse gli occhi, godendosi l’illusione di non dover affrontare la giornata.
Tuttavia, la quiete non durò a lungo. Il pensiero della serata precedente la raggiunse quasi subito. Doveva esserci stato qualcosa di importante, ma la memoria sembrava opaca, confusa. Ancora una volta, il suo corpo si risvegliava prima della mente. Ricordava di aver lavorato fino alle quattro del mattino all’Underground, il suo rifugio notturno, dove il rumore della folla e la musica assordante la rendevano quasi invulnerabile. Ma quella notte, come tutte le altre, l’aveva esaurita. Un lavoro che amava, ma che le toglieva energie, che lasciava la sua mente in una sorta di torpore.
Quando aveva iniziato a lavorare nel bar, Elois aveva visto tutto come una sfida. A 18 anni aveva avuto il suo primo incontro con la libertà, una sbronza che le aveva dato la sensazione di poter affrontare il mondo. Ma la libertà aveva un prezzo, e lei lo stava pagando con gli occhi stanchi e l’assenza di un sogno a lungo termine. I suoi genitori non erano mai stati entusiasti della sua scelta, ma Elois non si era mai preoccupata troppo di fare felici gli altri. C’era qualcosa di liberatorio nell’indifferenza.
Alzò finalmente la testa dal cuscino e si trovò a fissare il soffitto bianco. Il suo appartamento a Clapham, con il suo stile moderno e minimalista, sembrava così vuoto, così inutile. La cucina, la sala, tutto sembrava perfetto per una famiglia, ma Elois non aveva mai avuto intenzione di costruirne una. Si sentiva più a suo agio da sola, nel suo spazio, ma quel vuoto le pesava, come un ricordo che non sapeva dove mettere. La stanza, luminosa con la sua finestra che prendeva tutta la parete, la faceva sentire libera, ma allo stesso tempo intrappolata in qualcosa che non poteva definire.
Il rumore del respiro profondo di qualcuno nel letto la riportò alla realtà. Un uomo, uno dei tanti, dormiva nel suo letto. I suoi occhi verdi si posarono su di lui, cercando di ricordare come fosse arrivato lì. Capelli scuri, tatuaggi che raccontavano storie che non le appartenevano. Non si ricordava nemmeno il suo nome. Era una presenza anonima, che si sarebbe dissolta nel corso della giornata.
Elois si alzò senza fare rumore, cercando di non svegliarlo. Si diresse verso il bagno, ma il suo pensiero continuò a vagare. Si chiedeva come fosse finita in quella situazione, come avesse cominciato a vivere così, accettando qualsiasi cosa per riempire il silenzio che portava dentro. Era sempre stata un po’ una sognatrice, ma i sogni sembravano sfuggirle, troppo distanti dalla realtà di un lavoro che non le dava né soddisfazione né futuro. Era come se avesse smesso di credere, anche se continuava a muoversi, a fare cose, a vivere in una sorta di modalità automatica.
Nel bagno, si guardò allo specchio. Il suo viso pallido, le occhiaie bluastre sotto gli occhi, non erano altro che il riflesso di una vita che si stava consumando troppo in fretta. I suoi capelli rossi, crespi e disordinati, sembravano una parte di lei che non riusciva più a controllare. Ma quel volto, così stanco, le ricordò che stava arrivando al limite. Quanto ancora avrebbe potuto continuare a vivere così, senza fermarsi a chiedersi davvero cosa volesse?
Si risciacquò il viso, cercando di scacciare quei pensieri pesanti. Musetto, il suo gatto dal manto grigio, era acciambellato sul davanzale della finestra, come se nulla fosse. Elois gli fece una carezza, cercando conforto in quel piccolo animale che sembrava vivere con una leggerezza che lei non riusciva più a provare.
Quando tornò in cucina, si accorse che era già tardi. L’uomo nel letto si era finalmente svegliato, ma non sembrava avere alcuna intenzione di lasciare la sua casa. Un altro momento imbarazzante, uno dei tanti che si ripetevano nella sua vita. Elois non voleva essere una di quelle donne che si attaccano a storie fugaci, ma a volte sembrava l’unico modo per fuggire dalla solitudine.
Il tipo si alzò, guardandola con uno sguardo che chiedeva un segno di interesse. «Non ricordi nemmeno il mio nome?» le chiese, un sorriso ironico sulle labbra. Ma Elois non si lasciò coinvolgere. «Ci si vede in giro?» rispose, senza alzare lo sguardo, mentre sbatteva le uova in padella. Non aveva più voglia di rispondere a quelle domande inutili.
Quando l’uomo se ne andò, Elois si sentì sollevata. Ma la sua mente non si fermò. Si guardò di nuovo allo specchio e non riconobbe la persona che vi vedeva. Un’altra notte, un altro uomo, un altro passo più lontano dalla felicità che sembrava sempre sfuggirle.
Il suo telefono vibrò, spezzando il silenzio. Lo raccolse distrattamente, aprendo l’sms con un’inerzia che ormai conosceva troppo bene. Ma quando vide il nome sullo schermo, il suo cuore fece un salto. Era un messaggio composto da tre sole lettere: SOS.
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