I sogni di Georgia
«Studio medico del Dr. Brooks. In cosa posso esserle utile?»
Georgia Wells rispose prontamente al telefono. Era arrivata anche quella mattina presto, come al solito. Non era difficile, visto che lo studio medico si trovava in una zona tranquilla e ben frequentata, proprio a due passi da casa sua. South Kensington, con i suoi musei e il parco, era una zona viva, ma decisamente più calma rispetto al caos del centro città.
Mai avrebbe pensato di restare a Londra e lavorare come segretaria, ma la vita, si sa, non segue mai i piani che ci facciamo da adolescenti. I sogni di Georgia, quando era giovane, erano molto diversi dalla realtà. Sognava una casa, un marito, dei figli... e magari che il marito fosse Hamilton Stuart.
Aveva sempre fantasticato su di lui: capelli biondi come paglia, occhi celesti. Ma i suoi ventidue chili di troppo avevano fatto sì che Hamilton non la notasse mai. Era un mediano di rugby, uno di quei ragazzi che preferiva le ragazze taglia 42 e le tifose scatenate. Georgia Wells, agli occhi di Hamilton Stuart, era invisibile.
«Se vuole, posso fissarle un appuntamento per venerdì pomeriggio,» rispose Georgia, mentre annotava l'appuntamento per una signora al telefono. «Hmm, capisco. Che ne dice di lunedì? Purtroppo non posso offrirle altro, il Dr. Brooks ha una settimana piena!» aggiunse, con un sospiro. «Perfetto, lunedì alle 16:00 va benissimo?» Attese qualche secondo per la risposta, nel frattempo giocherellando con una penna.
«Bene. Allora, a lunedì, signora Dunn!» concluse, scrivendo rapidamente l'appuntamento nell'agenda.
Il telefono riprese a squillare quasi subito e Georgia sollevò la cornetta.
«Sì?» rispose.
«Georgia, potresti gentilmente non passarmi più chiamate? Ho delle ricette da preparare e non vorrei essere disturbato.»
La voce del Dr. Brooks, leggermente rauca a causa del raffreddore, giunse chiara e distintamente all'orecchio di Georgia.
«Nessun problema, Dr. Brooks.»
«Anzi, tra un'ora affacciati pure, mi servirebbe una mano con alcune scartoffie. E... Georgia? Non ti ho detto mille volte di chiamarmi Frank?»
«Sì, l'hai detto... cioè, sì, l'hai detto, Frank.»
«Bene, a dopo!»
Il suo capo era un tipo logorroico, sempre con una battuta pronta, ma, al contrario di lui, Georgia era una persona introversa, che si apriva solo con chi conosceva bene.
Non avendo lavoro urgente, Georgia prese il suo cellulare dalla borsa in pelle bordeaux e controllò le chiamate e i messaggi. Trovò tre chiamate perse da Adam e due messaggi. Era una routine ormai.
Nel primo messaggio Adam le scriveva: Perché non rispondi al telefono?
Nel secondo, continuava: Dove sei finita?
Georgia si accorse di aver accidentalmente disattivato la suoneria e chiamò subito Adam.
«Pronto?» rispose lui, visibilmente arrabbiato.
«Adam?»
«Georgia, dove ti eri cacciata?»
«Lavoro, come ogni mattina...» rispose, cercando di sembrare tranquilla.
«Non mi sembra il caso di ironizzare, lo so che lavori, ma avevamo detto che mi avresti scritto appena arrivata allo studio!» sbottò, senza darle il tempo di rispondere, come un treno in corsa.
«Sì, me ne sono dimenticata, Adam.»
«Ma è mai possibile che tu e il telefono siate due cose a parte?» chiese, frustrato.
Georgia sapeva che questo sfogo non era una novità. Finivano sempre così, a litigare.
«Adam, non l'ho sentito. Cosa vuoi che ti dica?» rispose con un sospiro di frustrazione. «Ora ti devo lasciare,» aggiunse, mentre iniziava a staccare la chiamata.
«Ok, poi ne riparliamo.»
E chiuse la chiamata con un clic deciso.
Georgia passò una mano fra i capelli, abbassando la testa e chiudendo gli occhi per un attimo. Non ce la faceva più. Il lavoro stressante, il capo esigente, Adam sempre iperprotettivo e geloso, i genitori che la chiamavano per ricordarle che aveva studiato per fare la segretaria... aveva bisogno di una pausa.
Rimase così per qualche istante, poi si rialzò, si sistemò i capelli neri in disordine e si concentrò sulla posta. Una nuova mail attirò la sua attenzione, ma non ebbe tempo di aprirla perché il telefono squillò di nuovo. La voce di Frank, il dottor Brooks, la chiamava nel suo studio per ultimare alcune pratiche.
Prese carta e penna e si diresse subito nel suo ufficio.
Dopo qualche ora, finalmente tornò alla sua scrivania, dimenticandosi della mail. Guardò l'orologio e si rese conto che era già passata l'una. Il suo stomaco iniziava a lamentarsi, e pensò che fosse ora di fare una pausa. Si alzò per mettere tutto in ordine e stava per spegnere il computer quando notò quel famoso messaggio di Chuck Lorens, un ex compagno di scuola.
Era il momento che temeva da tempo.
Prese il cellulare.
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