Message in a corpse
«Emma, sta tranquilla, ci siamo qui noi, non gli permetteremo di farti ancora del male.» Alan cercava di confortarmi, ma sentivo i suoi muscoli tesi contro il mio corpo e lo sguardo incollato sulle scale, che non aveva mai perso di vista, sin dal momento in cui Mitch era salito a controllare il mio appartamento.
Ostentava calma per tranquillizzarmi, ma la mano che teneva poggiata sulla pistola, pronta a scattare e sparare al minimo segnale di pericolo, diceva esattamente il contrario.
Tenendomi stretta a sé, aveva indietreggiato, un passo alla volta, senza che me ne accorgessi, in modo che fossimo coperti dalla parete che faceva angolo alla guardiola, nel caso il mostro che viveva nei miei incubi si fosse dimostrato reale e fosse riuscito a sovrastare in nostro collega in avanscoperta.
Ero talmente attanagliata e soggiogata dal terrore da non riuscire a proferire parola. Sentivo la testa sul punto di esplodermi, mentre nella mia mente non faceva altro che ripetersi la stessa litania, che ormai risuonava come un mantra nei momenti in cui più vacillavo.
"Sta calma"
La sua voce, calda e ovattata, riemergeva dalla profonda oscurità dei miei ricordi e piano piano si materializzava diventando concreta.
"Sta calma e rifletti, Emma: è più furbo di così, lo sappiamo entrambi"
Chiusi gli occhi e mi strinsi di più ad Alan, immaginando braccia ben diverse da quelle del mio collega e che non mi avrebbero mai più potuta stringere e confortare. Il suono di quella voce, sebbene risuonasse solo nei miei ricordi, era straziante in quella circostanza, ma come sempre non riuscivo a non aggrapparmici, come fosse la mia unica ancora di salvezza.
"Pensaci, Emma: sapeva che la polizia stava arrivando. Animal è più furbo di così, non si sarebbe fatto prendere in questo modo."
Mi suggerì il fantasma che avevo evocato, in un sussurro, facendomi riflettere. Aveva ragione, aveva sempre ragione e quello che era accaduto l'anno precedente ne era la prova. Animal voleva finire il lavoro, ma non avrebbe mai rischiato di farsi catturare per farlo, non poteva essere nel mio appartamento.
Mi staccai da Alan e guardai verso la scala, domandandomi se dar retta alla voce e tornare di sopra o lasciare che per una volta la paura mi dominasse restandomene lì dov'ero, al sicuro.
«Emma?» chiese l'agente che mi abbracciava, vedendomi osservare il punto di accesso al piano superiore. «Non preoccuparti per Mitch, sa il fatto suo.»
«Anche noi lo sapevamo, Alan, ma questo non è bastato» risposi riferendomi a quanto accaduto l'anno precedente, per poi staccarmi definitivamente da lui, facendogli segno verso la scala. «Non credo sia davvero qui. La chiamata di Tom mi ha spaventata, ma non può essere qui, non avrebbe senso. Non è così che ragiona lui.»
Il corpo dell'agente dell'FBI era indubbiamente un messaggio, non poteva essere una coincidenza, doveva essere quello il mezzo che aveva scelto per comunicare con me e non si cerca di uccidere il destinatario subito dopo, senza lasciargli il tempo di riceverlo e interpretarlo; sarebbe stato illogico. Voleva solo essere sicuro che il suo messaggio mi fosse recapitato in fretta, non uccidermi, almeno per ora o almeno volevo convincermi di questo.
«Alan» chiamò infatti Mitch affacciandosi dal pianerottolo «Non c'è nessuno qui, l'appartamento è libero.»
Sapevo che la mia intuizione fosse corretta, ma solo dopo aver ascoltato le sue parole riuscii a tirare davvero un sospiro di sollievo, che non passò inosservato agli occhi di Alan.
In quello stesso istante la voce nella mia mente si dissolse e tornò il silenzio; mi era rimasto solo un gran mal di testa, che con ogni probabilità mi avrebbe accompagnata tutto il giorno successivo.
«Vieni, torniamo di sopra, prima che si svegli tutto il palazzo» mi suggerì con dolcezza Alan, prendendomi per il gomito e sospingendomi leggermente.
Annuì e solo mentre salivamo in silenzio le scale mi resi conto di quanto dovessi essere sembrata pazza quando mi avevano incontrata. Il terrore che fino a poco prima mi aveva stritolato le viscere, a causa di Animal, cedette il passo alla preoccupazione che quanto successo potesse essere segnalato a Maximus, lo psicologo che mi aveva in cura, e che lui potesse decidere di revocare il mio permesso di rientro in servizio. Non avrei potuto sopportarlo e non potevo permetterlo.
«Alan,» lo richiamai piuttosto nervosamente giunti al ballatoio del secondo piano «riguardo quello che è successo stasera, io credo di doverti spiegare.»
«Non ce n'è bisogno. Hai passato l'inferno, credo sia normale avere paura» cercò di rassicurarmi lui.
«No, non è questo... è solo che sono disarmata e quell'uomo è pericoloso, ma sono in grado di gestire la situazione... non voglio che mi tolgano il caso» confessai aggrottando la fronte per il disagio e la preoccupazione.
«Hai paura che faccia rapporto?» domandò con un sospiro, dando un'occhiata verso le scale che portavano al piano di sopra. «Se fossi stato da solo non avrei detto niente, lo sai, ma non posso chiedere a Mitch di mentire.»
«Alan, è importante: se penseranno che sono pazza mi rimanderanno in clinica. Non posso e non voglio tornarci. Animal mi ha portato via fin troppo, non voglio perdere altro.» Provai a essere quanto più convincente possibile, pensando che mostrarmi vulnerabile in quel frangente potesse aiutarmi a raggiungere il risultato sperato.
«Emma, nessuno crede che tu sia pazza, per quanto ne sappiamo potrebbe essere fuggito dopo essersi accorto di noi. Il fatto che non lo abbiamo trovato a prendere il thè su di una poltrona in casa tua, non significa niente.» Aveva un tono molto calmo e rassicurante, come se stesse tentando di convincermi che non ci fosse nessun uomo nero nel mio armadio. «Però, credo davvero che dovresti lasciare che qualcun altro si occupi di questo caso, tu ci sei troppo dentro e potrebbe essere pericoloso. Te lo dico come un amico, anzi, come qualcuno che tiene a te.» Mi poggiò una mano sulla spalla cercando di darmi conforto e rendere più reale la vicinanza di cui parlava.
«Non posso tirarmi fuori, sono l'unica a essersi avvicinata così tanto a lui e l'unica che può riuscirci ancora e fermarlo una volta per tutte. Cerca di capirmi, io lo devo a tutte le sue vittime». Non mi ritrassi, anche se sentivo il forte impulso di scrollarmi la sua mano di dosso, ma volevo a tutti i costi fargli credere che quella connessione esistesse, in modo che non scoprisse le mie reali intenzioni.
«Ho controllato il pianerottolo e i piani di sopra e sembra tutto tranquillo» ci avvisò Mitch scendendo le scale. «Ho avvertito la centrale di mandare qualche pattuglia per controllare l'isolato e bussare alle porte di tutto il palazzo, potrebbe benissimo essere entrato in casa di qualcuno per sfuggirci.» Neanche lui sembrava propenso a credere che fossi pazza. Forse la possibilità che Animal fosse stato davvero lì era più concreta di quanto io stessa pensassi.
«Molto bene, ti occupi tu allora dell'arrivo dei ragazzi?» domandò al collega prendendomi di nuovo per il gomito per portarmi di sopra, visto che, dato il trambusto, alcuni vicini iniziavano a fare capolino dalle proprie porte per cercare di capire cosa stesse succedendo.
«Me ne occupo io, tornatevene di sopra» confermò il ragazzone indicandoci le scale con un cenno della testa ed estraendo il distintivo. «Tornate nelle vostre case, gente, qui non c'è niente da vedere.»
«Andiamo» mi bisbigliò Alan, riprendendo a sospingermi con delicatezza per sottrarmi alle occhiate incuriosite dei condomini.
Non potei fare a meno di chiedermi cosa Mitch avrebbe raccontato loro. Qualunque fosse stata la scusa ufficiale usata, era probabile che non sarebbe piaciuta al padrone di casa che, con ogni probabilità sarebbe venuto a presentare le proprie lamentele nei giorni a venire. Dopotutto, come potevo dargli torto? Chi voleva avere una pazza braccata da un pericoloso serial killer nel proprio palazzo?
La porta del mio appartamento era aperta, esattamente come l'avevo lasciata durante la mia maldestra fuga e Alan se la richiuse alle spalle appena fummo dentro.
Diedi una rapida scorsa per cercare di capire se fosse tutto in ordine o se davvero qualcuno fosse stato lì. Non mi sembrò di vedere niente di strano e questo non escludeva nessuna delle due possibilità.
«Emma, che cosa è successo?» domandò il mio collega avvicinandosi a me.
«Non lo so» ammisi scuotendo la testa. «Tom mi ha svegliata dicendomi che era stato trovato un corpo di un agente dell'FBI non identificato e che potevo essere in pericolo» iniziai «e quando ho controllato la porta mi sono accorta che non fosse chiusa, poi ho sentito un rumore e sono scappata, senza sincerarmi di quale potesse esserne la causa.»
«Non devi rimproverarti niente» mi disse, notando il disappunto e il rimorso che esternavo, vergognandomi della mia codardia. «Eri disarmata e con un uomo pericoloso a darti la caccia alle calcagna, anche se quel rumore non fosse stato nulla, hai fatto bene ad allontanarti dall'appartamento.»
«Potrebbe essere scappato per causa mia» ammisi arrabbiata con me stessa.
«Emma, ci sono dei momenti in cui non è necessario essere per forza un eroe, va bene anche avere paura e pensare a come portare a casa la pelle. Chiunque avrebbe fatto lo stesso al tuo posto.» Era carino da parte sua provare a tranquillizzarmi, ma sapevo bene che l'unico parere che davvero contava era quello di Maximus e sospettavo che avrebbe avuto idee diverse da quelle del mio collega. «Non ricordi proprio niente di lui?» domandò poi a bruciapelo e io scossi il capo in segno di diniego.
«Qualcosa, ma in realtà non ricordo quasi niente di un intero anno, solo qualche frammento.» Scossi il capo, sentendo il mal di testa incalzare e il gocciolio dell'acqua che aveva ripreso a farsi largo nella mia mente. «Non ricordo il suo volto e, francamente, non sono neanche sicura di averlo mai visto. Potrei trovarmi Animal davanti, in qualunque momento, in una situazione anche normale e insospettabile, e non riconoscerlo.» Questa era la cosa che forse mi faceva più paura e che più mi faceva sentire indifesa e vulnerabile.
«Non dovresti restare sola» mi disse avvicinandosi ancora, ma adesso ero decisamente più calma e lucida di quanto lo ero prima e mi rendevo conto che la presenza di qualcuno a farmi la guardia non avrebbe cambiato la situazione: Animal avrebbe eliminato chiunque si fosse frapposto tra noi, non si sarebbe fermato fino a che non fossimo stati faccia a faccia. Accettare l'aiuto di qualcuno significava firmare la sua condanna a morte.
Scossi il capo in segno di diniego, sentendo come se una pallina da ping pong mi rimbalzasse nella testa.
«Non c'è bisogno, vedrai che lo prenderemo e così saremo tutti più sicuri.» Mi sforzai di esibirmi in uno dei miei sorrisi tirati per rassicurarlo, ma da come mi guardava, potevo ben capire di non esserci affatto riuscita.
«Lascia almeno che resti per questa notte, mi sentirei più tranquillo» si offrì, senza provare ad avvicinarsi ulteriormente a me.
Era piuttosto improbabile che Animal venisse a prendermi in quelle poche ore che ci separavano dal mattino e ormai ero abbastanza convinta che non lo avrebbe fatto comunque, fintanto che non avessi visto il suo messaggio. La presenza di Alan era inutile, ma, almeno per stavolta, ero certa che non avrebbe corso pericoli restandomi vicino.
«Non è necessario, sono al sicuro, palazzo e isolato sono pattugliati» risposi, osservando la sua espressione contrariata dalla mia ritrosia «ma se ti fa sentire meglio resta pure.»
Non lo volevo tra i piedi e, a dirla tutta, mi dava fastidio la presenza di qualcuno nella mia casa, ma, se fosse servito a convincerlo che fossi perfettamente sana di mente, avrei stretto i denti e lo avrei tollerato, tanto restavano ancora a malapena due o tre ore prima del mattino.
«Mi farebbe sentire meglio» confermò con un sorriso e io sentì la testa sul punto di esplodermi, cosa che non gli sfuggì. «Va tutto bene, Emma?» mi domandò preoccupato.
«Sì, ho solo un po' di mal di testa, per il risveglio un po' brusco. Dopo un analgesico sarò come nuova» lo rassicurai indicandogli il divano. «Immagino dovremo attendere i ragazzi, quindi mettiti pure comodo, io torno subito.»
Mi diressi verso il bagno, chiudendomi la porta alle spalle. Avevo bisogno di un po' di sana solitudine per rimettere in riga la mia mente, visto quanto ero andata vicina a perdere il controllo. Solo allora mi accorsi di stringere ancora tra le mani il cellulare che si era spento nella caduta. Lo riaccesi e vidi che c'erano diverse chiamate perse, tutte da uno stesso numero che mi accinsi a richiamare.
«Emma? Va tutto bene? Ti ho chiamata un sacco di volte, ma il cellulare era spento» rispose la voce preoccupata dall'altro lato del telefono.
«Sto bene, Jack. Sono con Alan e Mitch e stanno arrivando gli altri dalla centrale. Non c'è nessuno» gli confessai.
«Sto arrivando» mi annunciò categorico.
«Non è necessario, te l'ho detto: sto bene e non c'è nessun pericolo e poi sono con Alan, Mitch e diversi altri agenti, non serve che venga anche tu. Recati sulla scena del crimine piuttosto, lo sai che non mi fido molto degli altri agenti, non sono professionali quanto te.» Non avrei sopportato anche la sua presenza, in quella casa, per quella notte.
«Emma...»
«Va tutto bene, Jack, davvero.» Cercai di essere rassicurante e convincente.
«Mi dispiace... di non essere stato lì» confessò a voce bassa.
«Non avresti potuto fare niente comunque.» Anche se non potevo negare che il parlare a telefono con lui mi aveva aiutata. «Ci vediamo domani, sulla scena del crimine.»
«Forse dovresti prenderti una pausa e lasciar stare questo caso, è troppo pericoloso» mi suggerì anche lui, proprio come Alan.
«Non ne ho nessuna intenzione, sono l'unica che possa prenderlo»
«Sei anche l'unica che lo ha visto, anche se non te lo ricordi. Tu lo conosci, Emma, conosci Animal, sai chi è e quanto possa esserti vicino.»
Le sue parole mi diedero i brividi, perché avevano reso concreta la peggiore delle mie paure, che Animal potesse essere qualcuno che conoscevo bene.
12 Maggio 2013
«Eppure deve esserci un modo.» Jack iniziò a rivestirsi, intenzionato ad arrivare presto alla centrale per poter parlare con Tom. Aveva sempre un cambio a casa mia per quando decideva di fermarsi a dormire.
«Un modo per far cosa?» domandai da sotto le lenzuola, stiracchiandomi voluttuosa, godendomi il tepore della notte appena trascorsa.
«Per dimostrare che i casi sono connessi.» Il lavoro era tutto per lui, non riusciva a non pensare a ciò a cui stava lavorando. Mi chiedevo spesso se ci pensasse anche mentre dormiva o era a letto con me.
«La firma dell'assassino, dici?» chiesi cercando il coraggio di alzarmi.
«Sì, un elemento che li accomuni, che non faccia sembrare le nostre deduzioni circa il suo modus operandi circostanziali.» Si guardò nello specchio sistemandosi i capelli in un disordine perfettamente studiato.
«Non mi sembra che i casi seguiti fino a ora avessero qualche elemento comune. Le vittime venivano da parti diverse dello Stato, a volte possedevano animali domestici o da allevamento, altre invece no. Non avevano amicizie in comune, né tantomeno interessi o luoghi di frequentazione. La tipologia di vittime sembra del tutto casuale: non ci sono elementi comuni tra sesso, etnia, religione, orientamento sessuale, età. Niente di niente, Jack. L'unica cosa che hanno in comune è che non riusciamo a capirci niente e non ci sono indizi» riassunsi in breve a beneficio di entrambi mentre lo osservavo prepararsi, quasi incantata.
Jack era indubbiamente un bell'uomo e il fascino non gli mancava, nonostante il suo carattere spigoloso; però, quando come in quei momenti mi fermavo a osservarlo, sentivo che in me c'era qualcosa che andava ben oltre la semplice attrazione. Mi stavo legando a lui e volevo credere con tutta me stessa che fosse un qualcosa di reciproco.
«Eppure, sono indubbiamente riproduzioni dell'assassinio di animali.» Si voltò a osservarmi mentre me ne stavo ancora a poltrire a letto, con aria di rimprovero, vista l'ora.
«Difficile da dimostrare in aula, soprattutto senza una connessione tra animale, vittima e assassino» puntualizzai stiracchiandomi un'ultima volta prima di decidermi finalmente ad alzarmi.
«Allora è su questo che dovremmo lavorare, sulla connessione tra vittima e animale» rifletté accarezzandosi il pizzetto nero. «Se riuscissimo a dimostrare che in tutti i casi c'è una connessione tra umano e animale, allora avremmo il nostro elemento comune e potremmo finalmente ufficializzare l'ipotesi di serial killer.»
Mi diressi al bagno per darmi una rinfrescata, ma lasciai la porta aperta per continuare la discussione.
«Quindi come suggerisci di procedere? Abbiamo rivoltato quei corpi e le loro vite come calzini e non mi sembra di aver visto indizi interessanti»
«Forse sbagliamo a guardare» rispose affacciandosi alla porta per osservarmi mentre, mezza nuda, mi davo una rinfrescata.
«Cosa intendi?» Ricambiai per un attimo la sua occhiata e poi tornai alle mie abluzioni, ignorando il suo sguardo fisso su di me.
«Hai presente i messaggi che i naufraghi affidano al mare all'interno di una bottiglia?» mi chiese incrociando le braccia e poggiandosi allo stipite.
«Sì, quello che non capisco è che attinenza possa avere con Animal.» Presi un asciugamano e lo portai al seno per asciugarmi.
«La scelta delle vittime, se non è casuale e ha davvero a che fare con la morte di animali, rappresenta un messaggio che Animal sta cercando di far passare. Il problema è che noi ci stiamo focalizzando sulla bottiglia e non sul biglietto. Se vogliamo trovare il naufrago allora dobbiamo leggere il suo messaggio.» Affilò il sorriso, come se quella deduzione, che ancora non avevo ben capito, fosse del tutto ovvia.
«Sei davvero adorabile, Jack, quando pensi che io riesca a seguire queste tue elucubrazioni.» Posai l'asciugamano e iniziai a vestirmi con una semplice maglietta a mezze maniche e un paio di jeans.
Sospirò per la frustrazione del dovermi spiegare nel dettaglio il suo piano, ma ormai ci aveva fatto l'abitudine.
«Non dobbiamo cercare le prove nei cadaveri, ma negli assassinii emulati. Dobbiamo scandagliare giornali, notiziari locali, gruppi ambientalisti, pagine di social, blog, qualunque cosa che ci consenta di arrivare all'animale morto: è su loro che dobbiamo indagare se vogliamo prendere il nostro assassino.»
«Vuoi indagare sull'uccisione di animali?» chiesi dubbiosa, come se non avessi capito bene.
«Precisamente» confermò affilando il sorriso.
«Ti senti bene? C'è un assassino in giro e tu vuoi indagare su degli animali?» Aggrottai la fronte, mostrandogli tutto il mio disappunto per quell'idea balorda.
«Cerca di andare oltre l'apparenza e il ragionamento mediocre alla Alan» mi punzecchiò, visto che ultimamente avevo preso a scambiare qualche parola con il nostro collega durante le pause.
«Sbaglio o sento una punta di gelosia, mister Crow?» chiesi sghignazzando.
«Dovrebbe essere almeno al mio livello per potermi far ingelosire.» Ghignò a sua volta divertito. «Non distrarti, però. Il nostro seriale deve aver assistito in prima persona all'uccisione di quegli animali o comunque deve esserne venuto a conoscenza in qualche modo e scommetto che le vittime abbiano un nesso con l'episodio che ha scatenato la reazione del nostro S.I.; se troviamo la fonte, forse riusciremo anche a trovare il filo che accomuna tutti i casi e che porta a lui.»
«Credi sia un uomo?» domandai avvicinandomi e poggiandogli una mano sul petto per dissipare la gelosia che diceva di non provare.
«Non ne ho la certezza, ma ho la sensazione che sia così.» Abbassò lo sguardo sulle mie dita che percorrevano il suo addome, senza provare a fermarmi, come ipnotizzato da quel movimento lento.
«E da quando Jack Crow rincorre le sensazioni e non le prove?» domandai sorridendo, divertita dalla tensione che sentivo crescere in lui.
«Da quando le prove non portano da nessuna parte e la soluzione dell'enigma è il messaggio chiuso nella bottiglia.» Accorciò le distanze tra noi con un bacio.
Quella fu una delle poche mattine in cui gli feci fare tardi a lavoro.
Il messaggio nella bottiglia. Mi chiedevo quale potesse essere, anche se quello che mi aveva lasciato la notte precedente non doveva essere poi così difficile da decifrare: un agente dell'FBI morto, una tipologia di vittima che aveva già scelto una volta, con modalità che aveva già utilizzato in passato.
Era la prima volta che si ripeteva, forse voleva testare la mia ripresa e la mia capacità di interagire con lui o forse stava solo giocando; mi stava stuzzicando per farmi uscire allo scoperto, per capire quanto ricordassi di lui.
La verità era che non ricordavo molto dell'anno che precedeva l'incidente, visto che mi aveva fracassato la testa al nostro ultimo incontro, tra le altre cose, e io e il mio partner eravamo stati così sciocchi da non lasciare nessuna traccia scritta circa la sua identità, prima di infilarci nel luogo in cui ci avevano ritrovati. Lui non poteva sapere cosa ricordassi o no, forse quello era solo un test o forse volevo dare un significato che non c'era a tutta la faccenda.
Di certo non era un caso che poco dopo il mio rientro in servizio e l'arrivo di Jack, Animal avesse ripreso a uccidere e che la sua prima vittima fosse un agente dell'FBI. Il riferimento era piuttosto palese, era un avvertimento, ma perché aveva deciso di emulare proprio il caso dello scorticato? Questo faticavo ancora a capirlo.
Avevo messo i Police a palla, mentre guidavo verso il dipartimento, riascoltando in loop "Message in a bottle", come se quella canzone contenesse la soluzione alle mie domande senza risposta.
Avevo faticato non poco a convincere Alan a lasciarmi andare da sola, dopo che gli agenti se ne erano andati con le diverse deposizioni raccolte. Avevo bisogno di riflettere e schiarirmi le idee prima di andare a rapporto da Tom e non potevo riuscirci con lui tra i piedi, avevo bisogno solo di tempo e solitudine. Infatti, feci il giro lungo e mi fermai al drive di un fast-food per recuperare un caffè e una ciambella ai marshmallow, che mangiucchiai in macchina. Jack impazziva quando facevo così, la sua auto era sacra e non sopportava che la riempissi di briciole, ma per fortuna, da quando era partito, mi muovevo in completa autonomia e non dovevo preoccuparmi dei tappetini.
Cosa voleva dirmi Animal? Che sarei stata la prossima? Che Jack sarebbe stato il prossimo? Che ci avrebbe uccisi entrambi? Che avevamo tralasciato qualcosa in quel caso? Difficile a dirsi e né la musica, né il caffè mi stavano aiutando a trovare il bandolo della matassa.
Sospirai a malincuore, intuendo che non ci fosse altra scelta per me se non seppellire l'ascia di guerra e fare quattro chiacchiere con l'uomo con cui ora collaboravo, che ormai doveva essersi fatto un'idea ben precisa della situazione; ma prima, dovevo recuperare tutti i documenti del caso e parlare con Tom circa il rapporto degli agenti sulla notte appena trascorsa.
Parcheggiai l'auto fuori dal dipartimento e con un sospiro raccattai i resti della colazione e spensi la radio, decisa a smaltirli nel primo cestino che avessi incontrato.
Quando entrai percepii alcune occhiate curiose nei miei confronti, ma non avrei saputo dire se fossero stati reali o solo una mia suggestione, visto che da quando ero tornata non facevo che sentirmi osservata.
Scaricai la borsa sulla mia scrivania e mi diressi verso l'ufficio del capo. La porta era socchiusa e al suo interno stava discutendo con qualcuno.
«Quindi non era lì» concluse Tom con tono severo e forse un po' deluso.
«No, ma questo non significa niente, lo sai anche tu. Potrebbe aver usato un'uscita d'emergenza o comunque essersi nascosto per poi allontanarsi inosservato; dopotutto non sappiamo che aspetto abbia» rispose una voce maschile conosciuta.
«Non mi piace questa storia» borbottò brusco il capo facendo scattare l'ingranaggio dell'accendino per accendersi il sigaro, il cui odore pungente si diffuse rapidamente nell'ambiente, impregnandomi le narici.
«Neanche a me. Non può essere un caso che sia tornato in attività proprio quando Emma è tornata in servizio.» Era la voce di Alan e sembrava nervoso e preoccupato. «Le sta dando la caccia, Tom.»
«Quindi credi davvero che fosse lì?» insisté il capo.
«Emma ha sentito un rumore nel suo appartamento» asserì il mio collega.
«L'agente Steel ha avuto dei problemi di cui siamo tutti a conoscenza.» Tom non sembrava propenso quanto Alan a prendere per buone le mie affermazioni.
«Io le credo, ha dimostrato di aver superato bene l'incidente» il mio collega sembrava aver abboccato alla mia messa in scena, ma il capo rappresentava ancora un problema.
«È qui da meno di quindici giorni, mi sembra un po' presto per affermazioni simili.» Tom sembrava decisamente scettico circa la mia guarigione.
«E allora perché le hai permesso di tornare?» insistette il giovane agente.
«Perché ho una carta firmata da quel moccioso di uno strizzacervelli che dice che poteva tornare, oltre che una buona dose di pressioni dall'FBI per mettere al fresco quel figlio di puttana.» Tirò una profonda boccata per tranquillizzarsi.
«Era davvero un agente dell'FBI quello che avete trovato stanotte?» chiese Alan dopo qualche secondo di silenzio.
«Aveva il distintivo di Marcus O'Connel, l'agente che stavamo aspettando da una settimana. Il coroner confermerà l'identità in mattinata, ma credo proprio che sia lui. Quel figlio di puttana lo ha trascinato per mezzo Stato del Maryland.» Sentii la sedia di Tom scricchiolare, doveva averla reclinata leggermente appoggiandovi la schiena.
«Non è un caso, Tom. È il secondo agente affidato al caso che viene ucciso da Animal.» La nota di preoccupazione nella voce del mio collega sembrò intensificarsi.
«Sembra che quel bastardo voglia fare a pezzi chiunque si avvicini a Steel e metterci nei guai con i federali.» Quasi mi sembrò di sentirlo buffare dalle narici.
«Li hai già avvisati?» domandò Alan.
«Stanotte stessa, poi li sentirò più tardi, appena avrò i risultati della scientifica.»
«Come l'hanno presa?» Sembrava parecchio interessato alla questione, visto il suo tono di voce.
«Come cazzo dovevano prenderla? Sono furiosi. È il loro secondo agente ucciso nel nostro Stato in due anni e ancora non abbiamo idea di chi possa essere l'assassino» sbottò piuttosto infuriato.
«Cosa hanno intenzione di fare?» chiese Alan, quasi in ansia per la risposta.
«Mandare una squadra e probabilmente toglierci il caso. Sono cinque anni ormai che va avanti questa storia e la posta sta diventando troppo alta.» Non sembrava molto contento della possibilità.
«E tu hai intenzione di permetterglielo?»
«Ho le mani legate e forse per Emma è meglio così, ha bisogno di chiudere con il passato, andare avanti con la sua vita e dedicarsi alla sua famiglia.» Sentii l'amarezza nella sua voce e una stretta intorno al mio cuore.
«Non ci riuscirà se le toglieranno il caso. Io l'ho vista, Tom, ha bisogno di rendersi utile nella sua cattura, o avrà paura per tutta la vita.»
«E hai visto anche cosa è accaduto l'anno scorso e stanotte. Hai dimenticato cosa ci siamo trovati davanti in quell'acquedotto? Abbiamo perso un agente l'anno scorso e abbiamo quasi perso anche lei, cerchiamo di non rendere le cose più semplici per Animal.»
Sapevo che parlavano per il mio bene, ma Alan aveva ragione: quel caso era la mia sola ragione di vita e non avrei mai sopportato di essere esclusa dalle indagini o rinchiusa di nuovo.
«Allora nominami suo partner, lascia che le stia vicino e le guardi le spalle.» Si offrì lui.
«Sai bene che non farebbe nessuna differenza» rispose il capo con un po' più di freddezza nella voce.
«Sì che la farebbe, non permetterei mai che possa infilarsi da sola in un acquedotto semi dismesso.»
Le parole di Alan mi diedero da riflettere: e se lo scopo di Animal fosse stato proprio quello di attirarmi di nuovo lì per finire il lavoro?
Il gocciolio dell'acqua tornò a farsi prepotentemente largo nella mia mente e l'odore di acqua stagnata e sangue riemerse dai miei ricordi per impregnarmi le narici, provocandomi un conato che mi costrinse ad allontanarmi e a rimettere caffè e ciambella.
Dovevo trovare il modo di tenere a bada il terrore. Come potevo prendere Animal se il solo pensiero mi causava reazioni di panico?
Respirai con lentezza, premendo la fronte contro le mattonelle fredde del bagno, nel tentativo di calmarmi. Quando fui abbastanza certa che le gambe mi avrebbero sorretta mi alzai per andare a sciacquarmi bocca e viso. Fortuna che quel mattino non ero stata in vena di truccarmi o sarei uscita da quel bagno con sembianze decisamente preoccupanti.
Tornai verso l'ufficio di Tom e lo trovai da solo, Alan era già stato congedato.
«Tom, ti disturbo?» chiesi facendo capolino dalla porta.
Il capo sollevò lo sguardo dai fogli verso di me, stringendo tra i denti ciò che restava del sigaro.
«Se ti dicessi di sì andresti via?» domandò quasi speranzoso.
«Credo proprio di no» ammisi chiudendomi la porta alle spalle e accettando il suo invito con la mano a prendere posto dinanzi a lui.
«Cosa vuoi, Steel?» domandò, fingendo maggiore freddezza di quanta ne avesse avuta con Alan.
«Avere accesso ai documenti del caso dell'agente trovato stanotte» risposi seria, senza giri di parole. «Voglio che mi affidi il caso.»
«Non se ne parla nemmeno, sei fuori da questo caso, mi sembrava di essere già stato piuttosto chiaro su questo punto» replicò burbero senza staccare lo sguardo dai documenti che aveva dinanzi e che fingeva di leggere con attenzione.
«Andiamo, Tom. Sai meglio di me che questo assassinio non è un caso, è un messaggio per me e devi darmi l'accesso alla documentazione per poterlo decifrare» insistetti cercando di mantenere un tono di voce saldo.
«Che cosa non ti è chiaro, Steel, in "non se ne parla nemmeno"? Non ho nessuna intenzione di metterti a lavorare su un caso simile, proprio in virtù del fatto che esiste una connessione tra te e l'assassino. Quindi, se questo è tutto, quella è la porta, non sbatterla quando esci» parlò con lo stesso tono che avrebbe usato un padre con la figlia adolescente che ha avanzato una richiesta assurda.
«Non farò niente di stupido, Tom, voglio solo vedere i documenti. Puoi anche non farmi figurare nelle indagini, mi limiterò solo a dare la mia opinione, ma devi permettermi di vedere quei plichi o sono certa che Animal proverà a stabilire un nuovo contatto» minacciai, conscia che con ogni probabilità le cose sarebbero andate davvero così.
«Ma davvero? Se ne occuperanno gli agenti incaricati e questo è tutto. Se ti vedo lavorare a questo caso alle mie spalle ti sbatto fuori da questo distretto, sono stato chiaro?» mi avvisò spegnendo ciò che restava di quel sigaro puzzolente.
«Andiamo, Tom, deve esserci un modo per farti cambiare idea.» Lo pregai praticamente, sporgendomi verso di lui. «È troppo importante per me.»
«Ti assegnerò a questo caso solo e soltanto se quel moccioso di psicanalista che hai lo metterà per iscritto con una bella firma sotto, altrimenti questo è quanto» concluse indicandomi la porta che raggiunsi dopo un sonoro sospiro.
Sperava di scaricare la responsabilità su di lui, credendo che non mi avrebbe mai accordato il permesso e liberandosi al tempo stesso delle mie lamentele.
Non potevo più rimandare, dovevo vedere Maximus e farmi firmare quella maledetta carta.
Presi il cellulare e constatai che c'erano almeno tre chiamate dallo psicologo in questione e circa dieci da parte di mia madre. Probabilmente entrambi erano stati messi a parte di quanto accaduto quella notte.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro