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Appuntamento col profiler

Se c'era una cosa che detestavo dal profondo del mio cuore e con ogni fibra del mio corpo erano le sedute con Maximus. Detestavo lui, i suoi modi gioviali e forzatamente amichevoli, il suo approccio alla vita e quell'irritante ottimismo, ma era impensabile che dopo quanto accaduto la notte precedente non mi mandasse a chiamare per valutare attentamente le mie condizioni mentali.

Ero seduta in sala d'attesa già da venti maledettissimi minuti ad attendere che mi facesse la grazia di ricevermi. A volte pensavo che lo facesse di proposito per farmi saltare i nervi, in modo da avere qualcosa da annotare, con la sua incomprensibile calligrafia, sul suo altrettanto fastidioso taccuino in pelle. Avevo tentato di calmarmi in ogni modo, sfogliando tutte le stupide riviste adagiate alla rinfusa sul tavolino di vetro, senza soffermarmi su nessuna pagina in particolare, leggendo ogni foglietto appeso in quella stanza, scandagliando attentamente ogni millimetro delle mie dita e unghie, oltre che della carta da parati a fiori, senza riuscirvi in alcun modo.

Quell'attesa mi stava facendo impazzire e sbuffare sonoramente a intervalli sempre più ravvicinati. Stavo per esplodere quando finalmente suonò il cellulare, distraendomi dalla voglia di andarmene da lì e mandare al diavolo il maledetto psicologo.

«Steel» risposi semplicemente, senza rendermi conto neanche di chi mi avesse chiamata, solo grata di aver qualcosa da fare per passare il tempo.

«Emma, dove sei?» la voce di Jack, non lo sentivo dalla sera in cui era stato ritrovato il cadavere di quell'agente dell'FBI e ora eccolo rispuntare fuori dal nulla, proprio quando i miei nervi erano sul punto di saltare.

«Burocrazia per il dipartimento» mentii, non volevo sapesse che la mia libertà era vincolata al giudizio di un ragazzino circa la mia sanità mentale.

Lui non rispose subito, aveva di sicuro intuito dal mio tono di voce che fossi sarcastica, ma non sembrò intenzionato ad approfondire la questione.

«Per quanto hai ancora da fare lì?» domandò senza dirmi perché mi avesse chiamata.

«Mi piacerebbe saperlo, te lo assicuro» ribattei acida e snervata.

«Appena ti liberi chiamami, dobbiamo discutere del caso.» La sua voce era calma e posata, era il solo a non avermi detto di lasciar perdere, sebbene le sue motivazioni fossero assolutamente egoistiche e per nulla inerenti a me. Nonostante ciò, pensare che in qualche modo volesse includermi nel caso aiutò a calmarmi e a distogliere i miei pensieri dallo psicologo.

«Hai scopeto qualcosa?» era proprio quello di cui avevo bisogno, ero riuscita a fare una copia dei rapporti quella mattina, prima che Tom me li facesse restituire e mi rimuovesse dall'indagine circa l'agente dell'FBI.

Recuperai le carte a tentoni dalla borsa e iniziai a dargli una rapida scorsa man mano che Jack parlava.

«L'uomo che hanno trovato era davvero un federale, si chiamava Jason Fitz, lo conoscevo.»

Non avevo riflettuto su quella eventualità, ma d'altronde era da aspettarselo che si conoscessero.

«Mi dispiace, Jack.» Non sapevo cosa dire, non ero brava ad affrontare queste cose, uno dei motivi per cui ero là quella mattina.

«Quando ti liberi fammi un colpo di telefono» mi ripetè semplicemente, non amava dilungarsi in chiacchiere, né tantomeno passare a telefono più del necessario.

«Va bene, ci sentiamo dopo» asserì con più calma, sperando solo che quel momento giungesse in fretta.

«Interrompo qualcosa?» domandò il mio sorridente psicologo fermo sotto l'arco della porta, intento a osservarmi metter via il telefono e i fogli che tenevo tra le mani.

«No, avevo finito.» Non era certo il genere di conversazione di cui volevo metterlo a parte, soprattutto visto che mi era stato espressamente ordinato di restare fuori dal caso.

«Telefonata di lavoro o di piacere?» insisté lui continuando a sorridermi con tranquillità.

«Non pensi di avermi fatta aspettare abbastanza qui fuori?» ribattei seccata, cambiando discorso, e lui si spostò dalla porta indicandomela con un cenno.

«Lo sai che non c'è bisogno di essere così riservata con me, puoi dirmi tutto quello che vuoi» lo ripeteva sempre, a ogni seduta e ogni volta io gli restituivo la stessa risposta.

«So che posso dirti tutto quello che voglio.» Che era più o meno pari a niente.

«Ma non ti va ancora di farlo.» Lo sapeva benissimo anche lui, ma non per questo smetteva di tentare, dopotutto era pur sempre il suo lavoro.

«Se ti dicessi tutto subito saresti disoccupato, dovresti ringraziarmi perché ti do da lavorare» bofonchiai sarcasticamente e imprimendo nella mia voce tutto il fastidio provato in precedenza.

Aveva uno studio davvero piccolo, con posto per appena un divano, in pelle, sistemato di fianco alla porta di ingresso, un paio di sedie in pelle nere, di fronte all'entrata, una scrivania in mogano, e qualche porta documenti su cui teneva numerose cianfrusaglie.

Prese posto all'altro capo della scrivania, su di una poltroncina che faceva paio con il resto della mobilia, mentre recuperava un pallone da football con cui solitamente giocava per tutto il tempo della nostra seduta. Ho sempre pensato che tutto in quella stanza e nel suo modo di fare denunciassero una profonda insicurezza, forse dovuta alla sua giovane età e al suo aspetto da ragazzino, che gli creavano sicuramente difficoltà nel farsi prendere sul serio. Ero anche abbastanza sicura che non avesse mai giocato a football, quelli che siedono da quel lato della scrivania solitamente non sono mai molto sportivi.

«Dopo tutto questo tempo ti siedi ancora a sinistra?» mi chiese osservandomi da sopra il suo pallone.

Lo avevo fatto per così tanto tempo che ormai era diventato quasi un riflesso lasciare a Jack il suo posto accanto alla finestra.

«Ho bisogno che mi firmi una carta in cui mi autorizzi a prendere parte ai casi Animal» risposi bruscamente evitando la domanda; non avevo intenzione di girarci intorno, volevo solo andare via da lì con quanto fossi andata a recuperare.

«Certamente» mi rispose con i suoi modi gentili e accomodanti, poggiando il pallone sulla scrivania e coprendolo con entrambe le mani. «Hai già qualche ipotesi sull'omicidio di questa notte?» Faceva sempre così, si mostrava accondiscendente e benevolo per farmi parlare e usava ogni mio gesto, smorfia, espressione o parola per scandagliarmi la mente; mi metteva una tale ansia da rendermi aggressiva.

«Se mi permetti di partecipare alle indagini forse l'avrò» replicai ostentando un sorriso palesemente falso e opportunistico.

Lui annuì meditabondo facendo oscillare i riccioli castani che gli cadevano sugli occhi color cioccolato, stringendo appena le labbra carnose. Mi prendeva altrettanto palesemente in giro, visto che ero più che sicura che lui avesse già un'idea molto più che precisa sul da farsi. Non era un caso se alla sua giovane età era già uno degli strizzacervelli più in vista del Maryland, solo che il suo aspetto e i suoi modi sembravano fatti a posta per portare il suo interlocutore a sottovalutarlo.

«Sembra un caso complicato» osservò mordendosi l'interno del labbro inferiore, facendomi di rimando saltare i nervi.

«Come ogni caso, Maximus» ribattei a tono, cercando di non lasciargli spazio per leggermi la mente, ero terrorizzata all'idea che vedesse come stessi davvero e capisse cosa fosse realmente accaduto nel mio appartamento.

«Non è molto comune ritrovare un agente federale completamente scorticato.» Ero consapevole che sapesse tutto, sia del caso che di quello che era accaduto a casa mia.

«È solo un caso, poteva essere benissimo un fornaio o un postino, lo sai che Animal non bada a queste cose.» Stavo mentendo e speravo solo che lui non lo notasse.

Non era un caso che fosse un agente quello che era stato ritrovato, la scelta della vittima era stata ben precisa questa volta e sospettavo che il motivo per cui la sua vittima era andata incontro a una morte prematura non aveva niente a che vedere con un animale; era la prima volta che cambiava il suo modus operandi.

«Sì, è vero, di solito i seriali sono metodici, però poi avviene qualcosa che li destabilizza, che crea un irrisolto, e sentono il bisogno spasmodico di portare a compimento quello che hanno in sospeso.» Si appoggiò allo schienale facendolo scricchiolare leggermente per poi poggiare i gomiti al tavolo e intrecciare le dita con fare meditabondo. Il contrasto tra la sua pelle chiara e il rosso della parete alle sue spalle faceva in modo che riuscisse a catturare tutta l'attenzione visiva del suo interlocutore, senza lasciare spazio a distrazioni di sorta.

«Non mi risulta che qualche federale sia sfuggito ad Animal.» Avevo capito dove volesse andare a parare e la cosa non mi piaceva affatto.

«Infatti, Emma, nessun federale è mai sfuggito ad Animal.» Lo disse con tono freddo e agghiacciante che mi diede i brividi e anche la mia espressione sarcastica e altezzosa venne meno, portandomi a deglutire il groppo in gola che iniziava a formarsi. «Come vanno i tuoi incubi, sogni ancora quell'ombra?» mi chiese tenendomi gli occhi scuri addosso senza celare il suo profondo interesse nei riguardi della mia storia.

Non risposi subito, ricambiando il suo sguardo. «No.» Questa volta stavo dicendo la verità, notte dopo notte le ombre si stavano diradando, trasformandosi in immagini sempre più nitide, non che ne avessi bisogno, sapevo cosa mi era successo e chi era il ragazzo che vedevo morire tutte le notti, era tutto il resto a essere nella nebbia.

Sospirò e distolse brevemente lo sguardo, era evidente che non mi credesse. «Vuoi sapere quello che penso io su questo caso? Te lo dirò, ma in cambio voglio che tu mi dica almeno una cosa che sia vera» mi propose. «Può interessarti?»

«Una cosa che sia vera?» domandai fingendomi offesa.

«Una cosa che vuoi dirmi di tua iniziativa, senza che io debba chiedertela, una cosa qualsiasi» precisò, cercando di non offendermi.

Ci riflettei, mi interessava davvero sapere la sua opinione? Avrei tanto voluto dire di no, ma la verità era che quel moccioso era dannatamente bravo e la sua opinione poteva tornarmi utile, inoltre volevo che fosse ben disposto verso di me per cui decisi di fare un passo nella sua direzione, come dichiarazione di buona volontà.

«Mi firmerai l'autorizzazione?» chiesi infatti di rimando.

«Solo per questo caso, ma ci metterò una condizionale, voglio che tu lo sappia.» Strinse le labbra e poi tornò a sorridere.

«E sarebbe?» Non c'era verso, quel tipo non mi andava a genio per niente, per quanto mi sforzassi di sopportarlo.

«Mi racconterai di questa notte e verrai a visita da me tutti i giorni.» Allargò il sorriso compiaciuto. «Inoltre, il caso non sarà nelle tue mani, ma potrai affiancare l'agente che se ne occupa.»

«Queste sono tre» precisai infastidita.

«Non sono mai stato forte in matematica.» Si divertiva e sapeva bene che sia se avessi rifiutato che se avessi accettato lui avrebbe vinto lo stesso.

«Una volta a settimana.» Provai a contrattare con uno sbuffo frustrato.

«Tre»

«Due o non accetto» lo minacciai.

«Credo che accetteresti qualunque proposta io ti facessi, ma va bene, e siano due, così magari con questa manifestazione di buone intenzioni per te sarà più facile aprirti.» Sorrise e mi venne voglia di prenderlo a pugni.

Non risposi, ma lo guardai malissimo, cosa che probabilmente lo persuase a mettere per iscritto tutto e firmare, senza tuttavia accennare a dami quel maledetto foglio.

«Cosa è successo questa notte?» mi domandò a bruciapelo, senza girarci intorno, intrecciando le mani sulla scrivania.

Distolsi lo sguardo da lui, soffermandomi su oggetti a caso e in particolare su di una foto ritraente un gatto. Ne aveva diverse sulla scrivania, appartenenti a due esemplari, entrambi dal pelo bianchissimo: un siberiano e una specie di persiano a pelo corto. Anche la prima volta che entrai in quello studio, quattro anni prima, fui colpita da quel dettaglio, o meglio fu Jack ad attirare la mia attenzione sulla passione del dottore per i felini.



15 Maggio 2013

«Dov'è che stiamo andando?» domandai seguendolo, tanto per cambiare non aveva minimamente preso in considerazione la possibilità di dirmi cosa gli passasse per la testa.

«Tra poco lo scoprirai» rispose con un sorrisetto divertito. «Non farti ingannare dal suo aspetto però, è molto più capace di quanto possa apparire» mi avvertì lasciandomi ancora più perplessa circa la nostra destinazione.

«Immagino abbia a che fare con il caso.» Erano davvero poche le cose che Jack faceva e che non fossero in qualche modo legate al lavoro.

«Immagini bene.» Annuì senza peraltro voltarsi a guardarmi, mentre prendevamo l'ascensore per raggiungere il terzo piano di una banalissima e comunissima palazzina, posta in una banalissima e comunissima zona di Baltimora. Persino l'ascensore era banale, di quelli monocolore, con porte a battente. «Siamo in un vicolo cieco e abbiamo bisogno di un'altra prospettiva.»

«E pensi che la troveremo in questo luogo» affermai fingendo di sapere di cosa stesse parlando.

«Credimi, non c'è luogo migliore per aprire la mente.» Si voltò appena verso di me, sollevando un angolo delle labbra, divertito dal lasciarmi sulle spine a tentare di indovinare i suoi progetti.

«Stiamo per caso andando a fare yoga?» Per il suo intrattenimento non capivo dove volesse andare a parare. Jack non provava stima per nessun essere vivente al di fuori di se stesso, quindi dubitavo seriamente che in quell'insulso palazzotto potesse esserci qualcuno che potesse aiutarci.

«Non direi, anzi il contrario, la persona presso cui ci stiamo recando potrebbe facilmente farmi saltare i nervi.» Eppure il suo umore non sembrava così infastidito, sebbene c'era da dire che fosse davvero un vero asso quando si trattava di dissimulare emozioni e sembrare completamente freddo e padrone della situazione.

Appena le porte si aprirono mi guardai intorno, cercando indizi delle sue intenzioni, ma non vidi altro che porte in legno, tutte uguali, e qua e là zerbini e portaombrelli. Cercai di soffermarmi sui nomi incisi sulle targhette in ottone e notai che quella dinanzi a cui ci stavamo fermando riportava il nome di Dr. Lionell Maximus.

«Un dottore?» 

Mi chiedevo che genere di straordinarie capacità potesse avere, visto che godevamo già di un medico legale piuttosto capace al dipartimento, e perché il suo punto di vista fosse così importante per il mio collega e per il caso dello scorticato; avevamo già scoperto l'identità della vittima e avevamo stabilito la causa della morte, cos'altro poteva dirci quell'uomo?

Nella mia mente si dipinse l'immagine di un signore di mezza età, con alle spalle decenni di esperienza; doveva essere un uomo che ne aveva viste tante nella vita e con un ampio bagaglio di casi alle spalle, a cui potevamo attingere. Lo immaginai brillante e forse anche piacente, con i capelli ingrigiti dal tempo e la barba brizzolata, forse simile allo stesso Jack di cui sembrava goderne la stima.

«Maximus è uno psicanalista, tra le varie cose, e collabora con il distretto come psicologo forense e profiler; è veramente bravo quando si tratta di entrare nelle teste delle persone, anche se alle volte non desidereresti altro che spaccare la sua.»

La porta si aprì con il suono di un meccanismo automatico, attivato probabilmente dall'interruttore del citofono, lasciandoci entrare senza che il nostro ospite venisse ad accoglierci.

Il mio partner si muoveva con sicurezza, mostrando di orientarsi bene, segno che non fosse certo la prima volta che ricorresse ai servigi del dottore. 

Lo seguii in quella che aveva tutta l'aria di essere una sala d'attesa, anche se era completamente vuota.

«Jack, perché siamo qui?» domandai osservando l'orribile carta da parati a fiori e i divanetti verde scuro che costeggiavano le pareti.

«Perché ci serve una mano a decifrare il messaggio nella bottiglia.» Puntò lo sguardo su di una porta color panna, chiusa, e dal quale non si sentiva provenire alcun suono, senza il minimo cenno di volersi sedere.

Portai anche io in automatico lo sguardo sul vano chiuso che era intento a osservare con tanta attenzione; con ogni probabilità doveva essere lo studio del dottore e mi chiesi perché non ci accomodassimo o andassimo a bussare, invece di restarcene imbambolati al centro della stanza in attesa della sua probabile apparizione.

«Sei proprio convinto che lo scorticato nasconda qualcosa.» A dire il vero aveva persuaso anche me e il fatto che non riuscissimo a trovare indizi che collegassero i casi o che rivelassero qualcosa dell'assassino aveva iniziato a diventare piuttosto frustrante.

«Sono convinto che ci sia un filo che colleghi tutti i nostri casi irrisolti e che al momento ci sfugga, forse Maximus riuscirà a vedere ciò che a noi è occulto.» Era strano sentirlo parlare così di qualcuno, soprattutto di un individuo che non avevo mai sentito nominare prima nel corso dei due anni in cui collaboravamo.

La porta si aprii e fece capolino da dentro un ragazzo che sembrava a malapena ventenne, con morbidi riccioli castano scuri e il viso sbarbato da cherubino.

«Jack,» lo salutò entusiasta allargando le labbra carnose in un sorriso «è sempre un piacere rivederti qui, ma potevi avvertirmi.»

Spostai lo sguardo confuso su entrambi, mi aspettavo un uomo sulla cinquantina, con barba ed esperienza di decenni alle spalle, non certo un ragazzino.

«È lui il dottore?» domandai a un più che divertito partner.

«Emma, ti presento il Dr. Lionell Maximus, il nostro psicologo forense.» Aveva stampato sul viso quel suo sorrisetto di divertito sarcasmo, segno che si stesse godendo la mia incredulità. «Maximus, l'agente Emma Steal, la mia partner.»

Finì le presentazioni e quella fu la prima volta che disse ad alta voce davanti a qualcuno che ruolo rivestissi. Difatti, non riuscii a trattenere un'espressione stupita, subito registrata dal ragazzo che, senza interrompere la sua espressione gioviale, aveva spostato rapidamente lo sguardo, intriso di interesse, su di me.

«Finalmente ti conosco, Emma» mi disse cordialmente allungando la mano verso di me per stringere la mia.

Osservai confusa Jack, mi risultava davvero difficile credere che avesse parlato di me a qualcuno, visto quanto fosse riservato su praticamente ogni aspetto della sua vita.

«No, no,» si affrettò ad aggiungere il dottore, ritirando la mano che non gli avevo stretto «Jack non mi ha parlato di te, ma era piuttosto palese che qualcosa fosse cambiato nella sua vita e bhè, sai... perché non vi accomodate?» Tossicchiò imbarazzato, nel tentativo di cambiare argomento a seguito di un'occhiataccia del mio collega, per poi sollevare le mani, stringendole platealmente a pugno, e serrare le labbra, conscio di aver detto più di quanto fosse necessario all'occorrenza.

Avrei imparato presto che uno dei difetti di Maximus era il non sapere mai quando stare zitto.

Il mio partner entrò senza lasciarselo ripetere e prese posto vicino alla finestra che fiancheggiava la scrivania, lasciandomi vuota l'altra sedia; preferiva stare laddove potesse avere il controllo su tutto, così mi accomodai al suo fianco, sul lato sinistro.

Prese tra le mani una delle numerose foto, ritraenti sempre lo stesso gatto dal pelo bianco corto, e la scrutò con il suo solito sorrisetto arrogante compiaciuto.

«Come sta Palla di neve?» domandò riferendosi al soggetto ritratto.

«Fiocco di neve» lo corresse il dottore. «Ha avuto un po' di cheratite, ma adesso sta molto meglio» rispose orgoglioso, quasi si parlasse di un figlio e non di un semplice gatto.

«Dovresti iniziare a uscire e a frequentare le donne piuttosto che i gatti» lo punzecchiò Jack osservandolo da sopra la foto che il dottore si affrettò a recuperare e a rimettere a posto.

«Come mai siete qui?» domandò spostando lo sguardo su entrambi, intento a studiarci. «Seduta di coppia?» propose con entusiasmo, sperando invano in una risposta affermativa da parte nostra che potesse soddisfare la curiosità che stentava a tenere a freno.

«Hai ricevuto il fascicolo del caso?» domandò a bruciapelo Jack.

«Quello della mano monca?»

A quel punto mi voltai verso il mio partner, non ne sapevo niente di quel caso.

«Esatto, è stata ritrovata questa mattina, hai avuto tempo di leggere il rapporto?» chiese ignorando la mia espressione a metà tra lo stupito e il deluso.

«Credo che qui ci sia qualche problema di fiducia,» osservò infatti il ragazzino «che ne dite se ne parliamo insieme?» propose ancora, continuando a comportarsi come se fossimo tutti e tre grandi amici da sempre.

«Sono piuttosto sicuro che sia connesso agli altri» ribatté il mio collega, ignorando entrambi.

«Perché non me ne hai parlato?» lo interruppi risentita, visto che dopo due anni quello era un comportamento quanto meno sleale da parte sua.

«Il rapporto è arrivato stamattina, ho iniziato a leggerlo mentre ti aspettavo» spiegò brevemente senza guardarmi, come se quello fosse un dettaglio che non avesse nessuna importanza nel quadro generale della discussione. «Sono convinto che ci sia un legame con i casi precedenti» continuò infatti senza perdere d'occhio Maximus e attendendo da lui una risposta quanto meno concisa ed esaustiva.

Non insistetti nel chiedere spiegazioni, anzi distolsi lo sguardo da lui portandolo sugli oggetti posti sulla scrivania, per cercare di dissimulare delusione e frustrazione; avrei ripreso il discorso una volta rimasti soli. Il dottore, tuttavia, seguì me con lo sguardo, tergiversando nella risposta.

«Perché credi che ci sia un legame?» domandò con voce piatta, senza distogliere l'attenzione da me, studiandomi con gli occhi ridotti a una fessura.

Quando era così concentrato sembrava cambiare completamente la sua personalità, perdeva ogni traccia di giovialità, diventando freddo e analitico, quasi una macchina intenta a registrare ed elaborare una gran mole di dati in brevissimo tempo.

«Perché la mano che abbiamo ritrovato era senza corpo e nessuno si è preso la briga di cancellare le sue impronte o di nasconderla per bene. Chi l'ha tagliata voleva che fosse trovata» spiegò Jack sistemandosi meglio contro lo schienale della poltroncina in pelle nera su cui eravamo seduti.

Il dottore riportò prontamente lo sguardo su di lui, forse soddisfatto dalle informazioni raccolte su di me o forse più interessato a quelle che gli stava dando il mio partner.

«La mano era mezza mangiucchiata e potrebbe benissimo averla disseppellita un cane o qualche altro animale» gli fece notare il dottore guardando il ragazzo che aveva di fronte con lo stesso interesse con cui fino a poco prima era intento a studiare me.

«Gli animali non scavano molto in profondità, se l'hanno disseppellita è perché l'hanno fiutata e non credo che qualcuno si prenderebbe la briga di tagliare la mano di qualcuno, portarla lontano dal resto del corpo, scavare una buca per occultarla, per poi lasciare che degli animali la trovino.» Entrambi sembravano aver studiato alla perfezione quel rapporto, di cui io neanche ero ancora a conoscenza, in un lasso di tempo terribilmente breve.

«Se ho capito i casi a cui ti riferisci, stiamo parlando di una persona molto meticolosa, con un controllo direi quanto meno perfetto sulle sue azioni, sugli scenari, sugli elementi di disturbo, qualcuno che ha studiato nel dettaglio ogni singola minuzia e interferenza. Perché avrebbe fatto qualcosa di così grossolano come lasciare una mano a portata di tartufo?» domandò poggiando i gomiti sul tavolo e intrecciando le dita.

La sua espressione era cambiata, tradiva un profondo interesse per l'argomento trattato e per le possibilità di elucubrazioni che offriva. Anche se non ne dava l'impressione, Maximus era attratto, esattamente come Jack, da tutto ciò che rappresentasse una sfida per la loro mente acuta e da tutti coloro che gli consentivano di metterla alla prova.

«Quindi credi anche tu nella presenza di un serial killer nel Maryland» diedi voce a quello che nessuno lì dentro aveva ancora avuto il coraggio di esprimere, portando alla luce la più nefasta delle possibilità.

«Sì, credo che ci sia qualcuno responsabile di più di un omicidio, ma non me la sento ancora di dargli quell'appellativo. Vedi, Emma, la mente è qualcosa di estremamente complesso e imprevedibile, non segue un filo logico prestabilito, è come un bell'orologio con un ingranaggio terribilmente sofisticato, e quindi delicato, basta un niente a mandare fuori fase un sistema che sembra perfetto» mi spiegò senza staccare gli occhi da Jack.

«Questo non è un errore, Max, questo è un messaggio e tu devi aiutarci a decifrarlo, dobbiamo capire cosa lega tutti gli omicidi, come fare per riconoscere la sua firma, e devi aiutarci a tracciare un profilo dell'assassino, in modo che possiamo fermarlo.»

Ci fu un momento di silenzio in cui entrambi si scrutarono e studiarono nel dettaglio, in cui Jack provava a convincerlo con l'intensità del suo sguardo e Maximus provava a capire se poteva o meno condividere quell'idea.

«Mi stai chiedendo di aprire il "caso Animal"?» domandò infatti il dottore, intuendo finalmente quale fosse la vera richiesta di Jack.

Se lui avesse tracciato un profilo, che in qualche modo collegasse tutti gli omicidi irrisolti, Jack avrebbe potuto finalmente aprire un caso ufficiale di cui prendere il controllo e cominciare la vera caccia all'uomo.

«Tracciami un profilo, qualcosa che possa utilizzare per aprire un'indagine e dargli la caccia» confermò le sue intuizioni «e ti prometto che avrai un posto d'onore in questo caso e la possibilità di studiare la persona che più di tutti ti affascina e l'artefice di tutti questi omicidi irrisolti.»

Finalmente scoprì le carte, trasformando il consulto in una trattativa.

Maximus spostò lo sguardo su di me, accennando un sorriso per poi tornare su di lui.

«È per questo che l'hai portata, vero?» domandò riprendendo la sua espressione gioviale e divertita e recuperando un pallone da football. «Allora, spiegami un po' che idea ti sei fatto del caso.» Strinse il pallone tra le dita e si appoggiò completamente allo schienale della sedia facendolo reclinare leggermente e scricchiolare.

«Fingerai di sapere come si usa per tutto il tempo?» domandò il mio collega sollevando un sopracciglio nella direzione del pallone.

«Mi aiuta a concentrarmi» spiegò il dottore con una smorfia, spostando l'attenzione su entrambi. «Allora, cosa è successo questa mattina?»



«Emma? Cosa è successo questa notte?» ripeté gentile vedendomi assorta e riportandomi bruscamente alla realtà.

«Come sta Fiocco di neve?» chiesi distogliendo lo sguardo dalle foto e ignorando la sua domanda.

«Fiocco di neve?» mi chiese di rimando osservandomi perplesso.

«Il tuo gatto, si chiama così, vero?» domandai indicando la foto.

«Emma... Fiocco di neve è morto a settembre dell'anno scorso, lo ha investito Jack con la sua auto... per sbaglio... non te lo ricordi?» domandò osservandomi attentamente e vedendomi sinceramente confusa.

«No... non me lo ricordo.» Non ricordavo niente di tutto l'anno che precedeva l'incidente nell'acquedotto. «Jack era qui?» Non me lo aveva detto, tipico di lui, non mi diceva mai niente.

«Avremo tempo per discuterne nelle prossime sedute, ma ora non siamo qui per questo. Se vuoi quell'autorizzazione allora dovrai raccontarmi cosa è successo questa notte. Non posso affidarti al caso senza consegnare anche un rapporto completo sulle tue condizioni, lo capisci, vero?» chiese gentile stringendo con finto rammarico le labbra, in realtà non vedeva l'ora di curiosare nella mia testa.

Sospirai per il fastidio di dovermi sottoporre a quella tortura e iniziai a raccontare, tenendo sott'occhio la carta firmata per cui ero lì.

«Stavo dormendo...»

«Cosa sognavi?» mi interruppe subito lui.

«Non lo so, immagini confuse che ho dimenticato al risveglio.» Mentii, non volevo parlargli dei miei incubi, se avesse saputo che ogni notte mi trovavo in quell'acquedotto con Animal, se avesse saputo che ogni qualvolta chiudevo gli occhi il mio partner moriva e a me fratturavano la testa, non mi avrebbe assegnata proprio a nessun caso.

«Non riesci a ricordare proprio niente? Neanche un piccolo dettaglio?» insistette lui e io scossi la testa in risposta.

«Ricordo solo il suono del cellulare e la voce di Tom che mi chiedeva di chiudere tutte le entrate e non aprire a nessuno fino all'arrivo di Alan e Mitch.» Distolsi lo sguardo, concentrandomi sulla finestra, non volevo che trovasse sul mio viso traccia delle mie bugie, sebbene fossi abbastanza sicura di aver imparato a controllare più che bene ogni minima espressione.

«Ti ha spaventata?» chiese con tono neutro.

«Tu che dici?» risposi con sarcasmo rigirandogli la domanda. «Non è certo piacevole ricevere una telefonata allarmata nel cuore della notte in cui ti dicono che è stato trovato un cadavere di un agente e che la prossima potresti essere tu.» Ero stata fin troppo pungente e mi pentì del tono di voce appena usato, facilmente fraintendibile.

«Tom ti ha detto che qualcuno stava venendo a ucciderti?» Sembrava molto interessato alla questione e a scandagliare ogni sua minima parte.

«No, ma era quello che mi ha fatto intendere chiedendomi di chiudermi dentro.» Odiavo quelle dannate sedute e pensare che gliene avevo promesse due a settimane mi faceva saltare i nervi, letteralmente.

«Perché pensi che voglia ucciderti?» Quella era esattamente la domanda che più di tutte volevo evitare.

«Non lo so, forse perché sono sopravvissuta» ammisi mio malgrado.

«Ti senti in colpa per questo?»

Mi sentivo in colpa? Forse sì. Mi sentivo in colpa per molte cose e forse anche per quello. Era morta una persona molto importante per me, anche se non la ricordavo bene, me lo avevano raccontato e me lo sentivo dentro che era così, e la colpa di tutto era solo mia.

«Questa storia ha un solo colpevole, Maximus, ed è nostro compito fermarlo.» Non volevo che sapesse come mi sentissi in realtà e quanto fragile fossi dietro la corazza che mostravo. Dovevo sembrare un buon agente, il resto non doveva interferire con i miei piani.

Non mi credeva, era evidente, ma decise comunque di lasciar correre e non insistere per questa volta.

«Cosa hai fatto dopo che Tom ti ha chiamata?» Continuò con le sue domande, senza smettere di osservarmi.

«Quanto mi aveva chiesto, ho controllato gli ingressi.» Non feci menzione del coltello e delle ripetute chiamate a Jack, se non me lo chiedeva espressamente magari non ne era a conoscenza e non c'era nessun bisogno che lo mettessi a parte proprio io.

Lui annuì in risposta, come se fosse un comportamento normale. «Hai avuto paura?»

«No» mentii «ma quando mi sono accorta che la porta non era chiusa a chiave ho lasciato l'appartamento per sicurezza. Essendo disarmata, mi è sembrata la cosa migliore da fare.»

«Un comportamento piuttosto freddo e lucido, data la circostanza.» Qualcosa non gli tornava e non lo nascondeva. «Non hai pensato di potertelo trovare di fronte lasciando l'appartamento?»

«Ho sentito dei rumori in casa» ammisi per motivare la mia scelta e sentendomi sciocca già nel solo dirlo a voce alta.

«Pensavi fosse in casa tua?» chiese sollevando un sopracciglio.

«Senti, Maximus, non lo so cosa mi è sembrato, d'accordo? Ho sentito dei rumori, ero disarmata e ho pensato che fosse meglio andare incontro ai ragazzi, tutto qua.»

Non sembrava convinto, anzi, aveva tutte le intenzioni di andare in fondo alla questione.

Fui salvata dal suono del campanello che sembrò interrompere il filo dei suoi pensieri riportandolo alla realtà.

«Scusami, l'appuntamento successivo deve essere in anticipo, ma torniamo a noi: credi davvero che Animal fosse nel tuo appartamento e che l'omicidio di questa notte sia opera sua?» rispose premendo il pulsante sul citofono, collegato con la porta.

La domanda era piuttosto strana, soprattutto per quanto concerneva la seconda parte, visto che, a quanto ricordavo, era lui il profiler di Animal.

«Perché? Chi altro potrebbe essere?» Ero sicura che si trattasse della stessa persona e che stesse provando a mandarmi un messaggio, ma il tono usato dal dottore sembrava suggerire uno scenario diverso che faticavo a immaginare e a considerare plausibile.

Non era una coincidenza, ne ero sicura, ma in quel momento mi veniva offerta una possibilità: scegliere se impuntarmi sulla mia tesi, dimostrando la mia ossessione per Animal, o assecondare il dottore e condurre le mie indagini senza il suo aiuto.

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