53.
Sollevò l'oggetto davanti a sé e lo tenne con tutte e tre le mani libere. Adesso che la sua mente era più rilassata si accorse di una presenza che stava in piedi di fronte a lui. I suoi occhi erano peggiorati negli ultimi giorni, arrivando anche al punto di non vederci più.
Riconobbe immediatamente il forte odore di fumo e il rumore dei vecchi stivali a contatto con il suolo. Alzò di più la testa e posizionò lo sguardo dove pensava ci fosse quello dell'altro uomo.
«Questa è la fine!», esclamò volgendo il pericoloso oggetto contro l'uomo dal braccio di metallo.
«Sì», affermò l'altro con fare malinconico. «Per noi lo è.»
La spada lo attraversò da parte a parte passando per il cuore. Come per incanto lo specchio indistruttibile si riempì di crepe fino a ché non si creò al suo interno un varco verso la carne del possessore. Le sue fiamme si spensero con un soffio leggero, tornando così lunghi capelli di un bianco puro. Le braccia si lasciarono scivolare debolmente al suolo.
Nei suoi occhi si formarono perle d'acqua dagli splendidi riflessi che rimasero lì come incastrate nelle due cavità, sgranate per lo stupore e cariche di paura e comprensione. Si lasciò poi cadere delicatamente a terra vicino al suo specchio rotto e al cucchiaio d'argento che stringeva in mano. Il suo ultimo respiro raggiunse me, lo sguardo puntato nella mia direzione.
Immaginai come Marte dovesse sentirsi in quel momento, aveva appena ucciso un compagno. Durante il processo né Artemide né io avevamo osato proferire parola, ma quando anche l'Esperto d'armi si accasciò a terra la sentii urlare.
Mi trascinai verso i due corpi per capire meglio la situazione. Sul pavimento lasciai dietro di me una lunga scia di sangue. Marte era caduto in ginocchio, le braccia posate sulle cosce e i palmi delle mani verso l'alto.
La spada trasparente era davanti a lui, ancora conficcata nel corpo morto di Tiwaz.
«Tutto bene?», domandai quando lo ebbi raggiunto.
«Ti sembra che vada tutto bene?», sbottò.
Dalla sua mano destra partiva la stessa sostanza nera che in punto di morte aveva divorato la pelle di Hester. Si muoveva lentamente e cercava di espandersi su tutto il braccio.
«Cosa ti sta succedendo?!», esclamai non appena la vidi.
«Sto morendo.», rispose Marte.
«Perché?!», chiesi stupidamente.
«Non ero la persona adatta a usare Xeròbio, non sono degno di impugnare quell'arma.», spiegò.
«TU? Un Esperto d'armi che non può usare un'arma?», insistetti.
«Divertente, no?», pronunciò con un'amara risata. «Probabilmente bisogna essere un Protagonista per poterla usare.»
La sostanza nera avanzava e lui fu costretto a piegarsi a terra.
«Non puoi andartene!», continuai ignorando la sua ultima osservazione. «Come faranno gli altri senza di te, li lascerai a morire?!»
«Dovranno imparare a cavarsela da soli d'ora in poi. Nessuno al di fuori di me li potrà mai aiutare.», decretò.
«Tagliati via il braccio!», proposi in un impeto di follia.
«Non funzionerebbe, ormai è anche all'interno.», mormorò girandosi a pancia in su e alzandosi a fatica la maglietta.
Sotto di essa, tra il fianco e l'ombelico, c'era il tatuaggio di un cavallo quasi del tutto coperto dalla nera sostanza. Marte si lasciò ricadere la testa sul pavimento e prese a guardare il soffitto bucato.
«Ci sono ancora così tante cose che non ho fatto, posti che non ho visto e armi che non ho mai impugnato. Avrei certo potuto fare di meglio con questa vita. Ma ti dirò una cosa...», raccontò estraendo una sigaretta dal suo pacchetto. «Io ho vissuto momenti per cui altri hanno dato la vita, e di questo ne sono più che felice.»
Si accese la sigaretta con un accendino color nicotina, che ripose nella tasca del suo sudicio giaccone da aviatore.
«La vita che mi sono scelto non è mai stata davvero mia, ma è stata mia la scelta di renderla indimenticabile.», continuò mettendosi in bocca la lunga sigaretta spiegazzata. «Non mi pento di nulla di ciò che ho fatto e neanche di ciò che mi lascerò dietro.»
Si portò una mano alla testa, forse per tirarsi giù il cappello per un'ultima volta, ma lì l'indumento non ci stava, allora la riappoggiò a terra.
Senza rendermene conto gli afferrai il braccio di metallo che debolmente si sfilò da sotto al giubbotto aperto e venne via dal suo corpo.
«Sono già morto una volta in fondo. Un'altra che sarà mai?», finì.
La sostanza mostruosa raggiunse il suo viso. Avevo ancora delle domande da fargli ma capii che non sarebbe servito a niente dirle, probabilmente lui non avrebbe saputo rispondermi o non lo avrebbe comunque fatto. Mi ritrassi per paura di venir attaccata da quella cosa e con me portai via anche la protesi.
Artemide si era agitata così tanto da riuscire a rompere la veste e cadere a terra. Nei pochi secondi che impiegò per raggiungerci già non rimaneva che una sola persona in vita.
Le sue lacrime erano state la cosa più breve e sincera a cui avevo assistito quel giorno. Durarono poco, forse perché non si voleva mostrare di nuovo troppo vulnerabile davanti a me, o forse perché aveva capito che la priorità in quel momento era quella di verificare le esatte perdite subite.
In fretta si rialzò e corse a vedere in che stato si trovasse Vulcano. Gli controllò il polso e lo scosse più volte per fargli riprendere conoscenza, cosa che sembrò funzionare.
Io rimasi ancora un po' ad ammirare il corpo di Marte che spariva divorato dal nero, poi, quando non ci fu più niente la sostanza sparì da sola con un moto autodistruttivo. Rimase solo il cadavere di Tiwaz... o Agni, il cucchiaio e la spada di cristallo.
La mia fu un'azione molto stupida, ma estrassi comunque la pericolosa arma da quel corpo. Il sangue fresco gocciolava dall'elsa della spada, ma in poco tempo si ritrovò tutto sul pavimento. Sull'arma non c'era più alcun segno di lotta, era come tornata pulita per magia.
La osservai più da vicino e mi accorsi che all'interno della trasparente lama vi erano delle nere ombre che parevano quasi muoversi. Quei movimenti erano ammalianti e per un attimo dimenticai la pesante giornata che avevo appena vissuto e mi concentrai solo su di essi.
Fu Vulcano a risvegliarmi, quando si avvicinò per vedere i resti della breve battaglia. Non disse niente, rimase semplicemente in silenzio, ma in esso potei sentire i suoi lamenti di dolore. Aveva la testa fasciata frettolosamente da una benda bianca. Lo sguardo era ancora un po' confuso e stralunato, ma per il resto sembrava essere ancora in grado di pensare.
«D-dob-bBia-mMo a-NdAre-e.», parlò a fatica.
Continuava a guardare in alto, come se sforzasse di ricordarsi come si facesse a parlare o come se cercasse di capire che cosa gli stesse succedendo.
«Non riesco bene a muovermi.», spiegai indicando le gambe. «Puoi darmi qualcosa per i tagli?»
Lui tentò di afferrare il suo strano sacchetto, ma ne mancò la presa di pochi centimetri. Confuso, riprovò a prenderlo e al secondo tentativo ci riuscì. Prese distrattamente delle fasce e piegandosi provò a medicarmi le ferite. Dovetti fermarlo, perché senza volerlo si stava legando le mani da solo. Finii di coprirmi le ferite e aspettai che qualcuno mi aiutasse ad alzare, ma in risposta Artemide mi squadrò da testa a piedi.
«Puoi farcela anche da sola. Tu non hai bisogno di aiuto, no?», disse con una nota fredda della voce. Afferrò poi il braccio del ragazzo ferito e lo aiutò a uscire dalla cattedrale.
Fu come se il vaso che era il mio corpo fosse stato riempito fino al bordo. La mia mente era in sovraccarico e mi ritrovai incapace di parlare. Ero stanca non solo a livello fisico, sentivo il cervello esplodere.
Di colpo mi sentii ancora una bambina, che non capiva perché gli altri la prendessero in giro. "Non hai degli insetti nella pelle, smettila di mentire!", urlavano gli adulti. Ma io li sentivo, e non potevo farci niente. Non era colpa mia se tutto il cibo che mangiavo sembrava sporco, se l'acqua era veleno e l'aria contaminata.
Davvero, non lo facevo apposta a farmi odiare da voi. Mi dispiace se non ho reagito come volevi aprendo il regalo, o se non capivo le regole del gioco. Non cercavo di inventare scuse quando spiegavo il perché avessi agito in quel modo. Perché mi metti in punizione? Io non merito di essere trattata così.
È davvero così sbagliato volere un po' di giustizia in questo mondo? Sarebbe bello dare fiducia alle persone, se solo non passassero il tempo a dire bugie. Viviamo in un universo che premia le menzogne e deride chi ci crede.
Mentire mi fa stare male, come se la mia bocca vomitasse sporco. Farlo però è l'unico modo che si ha per essere accettati. Se qualcuno domanda "Come ti senti?" è perché si aspetta una risposta positiva, non certo una onesta.
Sentii gli occhi farsi più umidi, il naso arrossarsi. Spinsi la lingua sul palato e guardai in alto. Non era questo il momento di piangere.
Quand'ero piccola sognavo di fare un lavoro che aiutasse a risolvere tutti i problemi. Ormai ho capito che nessuno vuole davvero una soluzione, altrimenti l'avrebbero già trovata.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro