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50.


Il panico si impossessò di me quando capii che ero rimasta da sola.
Il corridoio che prima stavamo percorrendo si era sempre di più affollato di persone intenzionate a prendere il bis di qualunque cosa avessero mangiato.
Un grasso ed alto uomo dal lungo naso squadrato mi urtò per sbaglio e girandosi prese a urlarmi contro di fare più attenzione.

Come se qualcuno stesse cercando di farmi impazzire da un angolo partì la musica dell'orchestra. I violini suonavano note acute e continue che creavano sempre più confusione attorno a me. Mi sentii malissimo, tutto vorticava più velocemente di prima e la manica del mio vestito era diventata improvvisamente più calda e fastidiosa.

Arretrai un'altra volta, andando però a sbattere contro il sedere di una magra donna dai lunghi capelli biondi e lo sguardo spaventoso. Lei per dispetto mi schiacciò con rabbia il piede, utilizzando il tacco appuntito della sua scarpa.

Mi vidi così costretta a saltellare con l'altra gamba su quel morbido pavimento, ma così facendo colpii un'altra persona creando molta più confusione. Quegli esseri, una volta abbandonate le sedie, si erano rivelati assai più alti di quanto mi sarei immaginata. Ora le loro teste troneggiavano sopra di me con occhi intrisi di rabbia e di disgusto per la mia figura.

Fui spinta addosso alla vecchietta che prima aveva contribuito nel farmi dividere dai miei compagni. Lei si girò di colpo e con una dolce espressione di rimprovero tentò di pizzicarmi la guancia.

Il suo profumo dolciastro al papavero invase le mie narici e sentii il forte impulso di espellere tutta la saliva che si stava accumulando ai lati della mia bocca. Le braccia si fecero ancora più molli e senza accorgermene le lasciai scivolare verso il basso. Tentai di pronunciare parole di aiuto, ma tutto ciò che uscì dalla mia bocca fu un rantolo e un rivolo di saliva a lato dell'apertura.

La donna mi lasciò la guancia disgustata e con un urlo di spavento mi assestò un calcio allo stomaco.
Sentii appena il dolore sopra alla forte spinta che mi buttò quasi a terra. Percepii solo un rumore secco, come quello di un pallone che viene colpito con troppa forza. Quello che solo dopo pochi secondi ti rendi conto del bruciore che ti ha lasciato sulla mano arrossata.

Barcollai perdendo saliva e reggendomi lo stomaco con un gesto involontario. Sembravo essere in preda ad un'allucinazione, era tutto surreale, niente di più che una semplice illusione. Rumori sordi giungevano alle mie orecchie, voci delle persone che si scostavano da me e piatti e bicchieri che si rompevano al suolo, i violini che coprivano tutto con il loro ritmo.

Indietreggiai di qualche passo prima di girarmi e correre a grandi balzi verso il centro della stanza. I miei erano barcollanti passi pesanti. Non sapevo dove stavo andando, ma qualsiasi posto sarebbe stato meglio di quello.

La mia mente era vuota, nessun pensiero era razionale. Vaghe nozioni di sopravvivenza si affollarono in modo confuso nel mio cervello, ma erano tutte troppo opache per poter essere viste. Ricordai vagamente come fossi brava a fare lo slalom tra i carrelli della spesa lasciati in giro nei supermercati, avevo un vero talento per queste cose.

Lasciavi il corpo molle e facevi andare velocemente le gambe di un passo avanti in modo che spostassero anche il busto nella giusta direzione. Dovevi però essere sempre pronto ad arrestarti all'improvviso nel caso un carrello cambiasse all'ultimo la postazione. In questo momento per esempio non avevo nessun controllo del corpo e stavo andando troppo veloce per fermarmi.

Finii per andare a sbattere contro un tavolo, ma le mie gambe non sembravano volere stare ferme nemmeno quando mi accasciai aggrappata alla lastra di legno coperta di cibo. Mi si rovesciò addosso un piatto di unti peperoni rossi. Essi colarono sui miei lunghi capelli rendendoli intrisi dell'appestante odore di fritto.

I colori nella stanza erano diventati se possibile ancora più intensi, come pure l'aria consumata. Le luci del soffitto mi accecavano con le loro sfumature di giallo pastello e il colore del parquet molliccio non aiutava affatto.
Ormai il mio corpo era mosso da convulsioni improvvise che non riuscivo a controllare. La mia vista si faceva via via più sfocata e iniziavo a perdere la cognizione del tempo oltre che dello spazio.

Qualcosa mi toccò la spalla, e io, come reagendo a un ordine superiore, afferrai la prima cosa che mi capitò a tiro e con essa colpii la fonte di quel contatto. Sentii l'oggetto sprofondare dolcemente in quella elastica sostanza, non incontrai molta resistenza da parte di essa. Ci fu solo uno strano momento quando colpì qualcosa di resistente, ma ormai dell'oggetto rimaneva fuori solo il piccolo manico d'argento.

In un istante tutto il vorticare e la confusione erano spariti. I miei affanni erano l'unico rumore che arrivava chiaro al mio cervello, insieme anche ai rantoli soffocati della ragazza. Stavo stringendo con forza il manico di un coltello da dieci centimetri. Le nocche delle mani erano sbiancate per la forza utilizzata e le robuste unghie erano conficcate con un impeto di foga nei miei palmi.

La sua mano scattò veloce sulla mia e con rapidi e decisi movimenti la spinse via estraendo sconvolta il coltello dal suo collo. Un fiotto color vermiglio schizzò dalla ferita larga appena un pollice e mezzo, niente più di tre centimetri. I suoi e i miei abiti caddero vittima di quella doccia di sangue, neanche il mio viso fu risparmiato da quella crudele sorte. Il sapore ferroso di quel liquido caldo estraneo mi pervase la bocca che fino ad ora era rimasta aperta, incapace di registrare le azioni compiute.

Lei si alzò, spinta da non so quali intenzioni, e barcollando a tentoni all'indietro inciampò contro il bordo della grande fontana. Cadde al suo interno, finendo per gettare l'acqua anche sul pavimento. Non si dimenò nel processo, ormai non era più capace di farlo.

Finì tutto in una manciata di secondi, ne bastarono cinque perché la sua coscienza la abbandonasse e dodici per diventare niente più di un corpo morto. L'acqua intorno a lei si tinse di rosso porpora e i feroci pesci iniziarono a sbocconcellare voracemente il suo cadavere.

I suoi capelli chiari si muovevano a ritmo con il ribollire dell'acqua agitata dalla miriade di pinne squamate. La sua bocca pallida da cui era da poco uscito un urlo soffocato era ora aperta e sommersa dall'acqua colorata. Gli occhi erano spalancati in un'espressione di terrore e la luce che li aveva sempre accompagnati adesso si era spenta. Nulla aveva intaccato il loro particolare colore, ma la sensazione che esprimevano era di pura tristezza.

I vestiti si erano riempiti d'acqua e appesantivano il suo corpo ormai privo di vita. La sua chiara carnagione era quasi irriconoscibile a causa delle bocche dei mostruosi esseri marini che ne dilaniavano le carni.

Senza alcun controllo il mio corpo si alzò e lentamente si avvicinò alla fontana per osservare la scena.
Le mie umide labbra si muovevano in cerca delle parole giuste per descrivere ciò che era successo, ma senza trovare alcun termine adatto.

«Sei un mostro.», concluse una profonda voce rimbalzando sulle pareti della grande stanza dalla forma cubica, senza però ottenere da me nessuna reazione. «Siete tutti mostri.»

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