35.
«Merda», sussurrai tra i denti.
«Cos'è quello?», domandò l'uomo con la farfalla notando l'arma.
Avevo già in mente una buona scusa per quel coltello che mi era appena scivolato dalla tasca sotto al loro sguardo. Tutto sommato quella era una città piena di mostri e portarsi dietro un'arma non mi sembrava tanto sbagliato. Mi chinai lentamente a prenderlo mentre spiegavo questo, ma non appena mi rialzai sentii uno sparo.
«Sta giù!», urlò una voce dietro di me e Vulcano si buttò su di me, trascinandomi dietro a un grosso cestino lì a fianco.
Mi voltai per vedere dove fosse finito quel proiettile. L'uomo con la farfalla era adesso a terra riverso su un fianco. Qualcuno, e sospettavo già chi fosse il colpevole, gli aveva sparato alla testa. Un buco si era creato sul suo cranio appena sopra l'orecchio sinistro. La sua amata farfalla gli svolazzava attorno alla ferita, non volendosi posare su di lui.
L'uomo con gli occhiali da sole saltò di lato nascondendosi dietro una cassa abbandonata sul molo. Da quel punto si sporse e cominciò a sparare nella direzione da cui provenivano i colpi, dimenticandosi temporaneamente di noi.
Guardai Vulcano e gli feci notare che mi stava ancora schiacciando, ma lui mi ignorò, troppo concentrato sullo scontro per dar retta a me. Mi accucciai dietro al cestino e cercai di non fare troppo rumore per non ricordare al nemico della mia esistenza.
Marte non sembrava voler fare altro e Artemide ancora non si era vista. Temetti che non accadendo niente l'uomo si sarebbe voltato verso di noi, ma questo non accadde. Una freccia lo colpì dietro alla schiena, uscendogli successivamente dal petto.
Il signore lasciò cadere la pistola per toccare sconvolto l'asta che gli era apparsa nel corpo, ma non appena si mosse un proiettile lo colpì alla testa facendolo cadere sulla strada. Mentre scivolava a terra gli occhiali scuri si abbassarono mostrando due iridi nere che per una frazione di secondo mi guardarono con stupore.
Era successo tutto in meno di cinque minuti, proprio come l'uomo con l'orologio aveva previsto.
L'unica cosa che ormai si muoveva su quella strada era Biancospino, che sbatteva ancora le ali sulla ferita del padrone.
Artemide camminò tranquilla sui bianchi ciottoli e ci raggiunse con l'arco in mano. Era abbastanza calma per essere una persona che aveva appena contributo a un doppio omicidio, ma questo in fondo è il mondo in cui viviamo.
«Tutto bene?», domandò Vulcano.
«Sì, voi?», rispose lei.
«Bene. Ho solo preso una storta mentre mi lanciavo.», rivelò il ragazzo.
«Staremmo anche tutti bene se solo lei avesse svolto meglio il suo compito.», dichiarò Marte indicandomi mentre usciva dal vicolo e si avvicinava a noi.
«Andava tutto bene prima che tu iniziassi a sparare!», lo informai con una punta di nervosismo.
«Ma se ti stavano per uccidere!», ribatté lui. «Senza di noi saresti morta.»
«Senza di voi non sarei nemmeno qui!», sbottai arrabbiata girandomi dall'altra parte.
Sentii un altro sparo e sobbalzai per lo spavento. Mi voltai in fretta e vidi che Marte aveva di nuovo sparato all'uomo con l'orologio, ma questa volta nel farlo aveva colpito anche Biancospino. La bianca farfalla cadde sulla ferita del padrone e la sua ala, rimasta l'unica integra a causa del colpo di pistola, si tinse di rosso sangue.
«Perché l'hai fatto?!», esclamai.
«L'hai detto tu.», disse buttando a terra la sigaretta e schiacciandola con la punta dello stivale. «I mostri non muoiono mai subito.»
«La farfalla non era un mostro!», mi accanii.
«Tanto sarebbe vissuta ancora per poco.», replicò sbuffando infastidito.
E così quei temibili uomini mandati lì per ucciderci erano adesso cadaveri sulla strada e presto un vero mostro li avrebbe trovati e banchettato con le loro carni.
Ci allontanammo con la barca da quella città. Il sole stava lentamente salendo nel cielo e delle nuvole bianche iniziavano a vedersi attorno a lui. La bandiera issata sulla cima dell'albero maestro doveva essere la stessa del campo. Non era la più intelligente delle scelte quella di metterla in un luogo così visibile ai nemici, ma la colpa era forse data da un sentimento come l'onore.
Marte era di nuovo andato a prua e dava l'impressione di essere diventato la polena di quella piccola nave. Immobile e sospinto dal leggero vento se ne stava in piedi con una nuova sigaretta in bocca, probabilmente l'ultima di quel pacchetto. Artemide era al telefono con qualcuno e camminava avanti e indietro sul ponte della barca mentre discuteva. Vulcano invece era al timone ad osservare la mappa e contemporaneamente la bussola per non perdersi.
Mi dissi che in fondo la mia presenza lì era inutile e che tanto valeva fare quello in cui riesco meglio, cioè dormire. Mi sdraiai sul legno, in un posto dove non potevo dare fastidio a nessuno e, cercando di evitare le vampate di fumo che Marte si divertiva a far arrivare vicino a me, mi addormentai.
Sognai Biancospino.
Era esattamente come l'avevamo lasciato, privo di un'ala e rosso cremisi, ma nonostante questo riusciva comunque a volare. Mi arrivò vicino e si posò sul braccio che avevo teso in avanti per scacciarlo.
Mi trovavo nel negozio del mostro di pietra, ma tutti gli oggetti erano come offuscati, non riuscivo a vedere niente al di fuori della farfalla scarlatta. Quel colore mi infastidiva, sembrava che tutta la stanza prendesse quella sfumatura. La testa iniziava a girarmi.
La colpii, schiacciandola con l'altra mano libera. Subito me ne pentii e lentamente sollevai la mano per vedere in che condizioni fosse l'insetto. Rimasi poco sorpresa quando vidi che sul braccio c'era solo una grande pozza di sangue caldo che partiva da quel punto.
All'improvviso l'intera stanza del sogno prese a colare gocce di sangue sul terreno, picchiettandolo di tante piccole macchiette rosse.
La voce dell'uomo con l'orologio rimbalzava contro alle sporche pareti come un proiettile che ripetutamente mi colpiva alla testa.
«Dove sono?», chiedeva l'uomo. «Qualcuno mi aiuti! Non vedo niente, non sento niente. C'è qualcuno?». Continuava così la voce che entrava a forza nelle orecchie e faceva tremare il mio cranio.
Presi a incespicare e caddi seduta nel sangue perdendo l'equilibrio. Tutto girava attorno a me come in una giostra con cavalli domati da bambini in preda alla risata più forte mai sentita.
Cominciai a venire rapidamente sommersa da quel liquido vischioso, tanto che a un certo punto mi ritrovai con solo la faccia all'esterno.
Passò qualche secondo prima che mi rendessi conto di stare semplicemente osservando quella scena dall'alto.
Guardavo una piccola versione di me affogare nel sangue dentro al bicchiere che tenevo in mano. Si dimenava per non cadere sul fondo mentre io ruotavo l'oggetto creando piccole onde nella calda sostanza.
Arrivai anche al punto di chiedermi se fossi io a guardare quella piccola figura sprofondare o lei che si divertiva a farmi annegare nel sangue.
«Ti diverti a lottare?», chiesi, oppure fu lei a farlo.
«Lasciati andare.», dissi quasi in un sussurro. «Sai che non ha senso continuare farlo.»
Mi avvicinai di più all'altra me prima di continuare. Così facendo il rosso nel bicchiere si agitò trascinando al suo interno anche ciò che di me rimaneva ancora a galla.
«Va bene così, hai già fatto abbastanza.», conclusi sospirando. «Adesso dormi.»
Quando mi svegliai mi bruciavano gli occhi, le palpebre erano pesanti ed ero ancora stanca nonostante avessi dormito fino a quel momento.
«Finalmente ti sei svegliata!», esclamò una voce che avrei preferito non sentire per un bel po'.
Mi voltai solo per ritrovarmi con gli occhi ambrati di Ishtar a pochi centimetri dai miei.
«Ciao, amica.», mi salutò lei.
Tornai a voltarmi dall'altra parte, fingendo di non averla vista e sentita.
«Che fai, mi ignori?», insistette.
Richiusi gli occhi cercando di farli riposare visto il male che provavo ancora alle palpebre.
Il ponte della barca era scomodo e la spalla mi doleva per aver dormito rannicchiata su quel lato, ma pur di non vedere Ishtar rimasi in quella posizione.
Qualcosa mi colpì e fece rotolare lungo il duro ponte di legno. Alzai lo sguardo e vidi lo stivale di Marte ancora sospeso a mezz'aria.
«Alzati scansafatiche!», mi ruggì contro. «Devi lavorare.»
«Cosa intendi?», riuscii a bofonchiare prima di venire afferrata da entrambe le braccia da Artemide e Ishtar, e trascinata di peso giù dalla barca.
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