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1-Incontro.

La mattina successiva il sole risplendeva radioso nel cielo e non potei fare a meno di invidiarlo perché sembrava più felice o almeno più radioso di me.

La notte precedente l'avevo passata insonne e il mio aspetto somigliava molto a quello di uno zombie.
Non facevo altro che guardarmi intorno, alla ricerca del ragazzo che, per non si sa quale motivo era riuscito ad entrarmi dentro.
E il problema è che non riuscivo neanche a capire perché fosse successo.
Era bastato uno sguardo, un sorriso ed era come se la mia ragione si fosse annebbiata.

Vagai tra i corridoi vuoti della scuola, alla ricerca di qualcosa da fare per perdere tempo.
C'erano due ragazzi che mi sorrisero maliziosi appena mi videro.
Sapevo già cosa volessero e glielo avrei concesso volentieri se non fosse stato per il mio umore pessimo.
Li superai velocemente senza degnarli di uno sguardo e mi avvicinai al gruppo di ragazze che erano solite frequentare.
Bastava una parola per descriverle alla perfezione: false.

Lo erano con tutti, senza distinzione di sesso e di età e non facevano altro che mentire. Lo facevano come se fosse una cosa naturale e con il tempo avevo cominciato a farlo anche io.
Erano quel genere di ragazze che prima ti illudevano di essere essere essenziali per loro, per poi buttarti via come se nulla fosse.
E la cosa buffa è che nonostante pensassi questo di loro, continuavo a frequentarle e a comportarmi esattamente come loro.
Il motivo?
Forse perché anche io ero un po' come loro.
Forse perché mi piaceva essere al centro dell'attenzione, perché mi piaceva illudere le persone, perché mi piaceva avere il controllo di qualcosa.

Mi avvicinai a loro e sorrisi falsamente.
Tutte mi sorrisero a loro volta e nessuno si accorse che c'era qualcosa che non andava.
Era sempre così.
Con loro, come con tutti, bastava anche un sorriso falso, tanto nessuno era in grado di vedere la differenza.

"Come è andata con Marcus?" chiese Janel, la più piccola del gruppo a Margot, la più stronza di tutte.

"Nulla di che, siamo usciti insieme e poi, sai come è, una cosa tira l'altra e siamo andati a letto insieme." ci disse con una scrollata di spalle.

"Wow." risposero in coro Janel e Hazel euforiche.

"Ma allora perché non stai già facendo i salti di gioia?" chiese poi confusa Hazel.

"Perché credevo che fosse migliore a letto, invece non è stato così." rispose lei con un sospiro.

Hazel stava per chiederle altro, ma il suono della campanella la fece bloccare di colpo e la fece sospirare.

"È meglio andare, siamo state già richiamate troppe volte per i nostri ritardi, non vorrei che prendessero provvedimenti seri." ci disse lei sotto il nostro sguardo annoiato e sorpreso per la sua assurda preoccupazione.
A nessuno di noi fregava molto dei richiami degli insegnanti o delle loro stupide punizioni. Tanto non le avremmo eseguite comunque.
Hazel però quel giorno non sembrava della stessa idea, infatti subito dopo aver detto quelle parole fuggì in classe come Usain Bolt.

"Che le prende?" chiese Margot accendendosi una canna.

"Spegnila, potrebbero vederti con quella roba." le dissi coprendole il braccio dove teneva la sigaretta.

"E allora?" mi rispose indifferente.

"E allora non voglio finire in galera." le risposi di rimando arrabbiata.
Sapevamo tutte come era fatta Margot.
Se fosse stata scoperta lei, avrebbe tirato a fondo anche noi.
E questa volta non mi andava di fare il suo giocattolino.

"Non finirai da nessuna parte. Fidati solo di me." fu la risposta di Margot prima di passarmi la canna che prontamente rifiutai. Lei storse il naso, ma non disse nulla e la passò alle altre che accettarono di buon grado.

Decidemmo di entrare in classe solo 20 minuti dopo, appena ci richiamò il bidello di turno.

Entrai in classe scocciata, con l'umore a pezzi e senza aver minimamente studiato. Sperai con tutta me stessa che il professore non chiamasse me e incrociai le dita nella speranza che le mie preghiere venissero esaurite.
Se avessi preso un brutto voto i miei non mi avrebbero fatto uscire di casa per giorni.

Il professore ci squadró tutte dalla testa ai piedi, ma non ci disse nulla.
Ormai si era abituato ai nostri ritardi.

"Ok, oggi chiamamo Hill." ci disse e avrei tanto voluto sotterrarmi.
Dopo più di una ventina di minuti di interrogatorio il prof segno un 2 sul registro e mi mandò a posto.
Sbuffai e mi lasciai cadere sulla sedia sconfitta.
Ora sicuramente non avrei potuto vedere Adam il giorno dopo, anche se dubitavo che potesse venire ancora.

I miei quando tornai a casa il pomeriggio, mi vietarono di fate tutto, per loro non era accettabile che una ragazza tanto intelligente come me potesse andare male a scuola.

Loro non mi capivano.
Nessuno era in grado di capirmi realmente.

Mi diedero così tante punizioni che ad un certo punto smisi di ascoltarli e dopo avergli consegnato tutto, mi rintanai in camera mia.

E pensai.
I miei mi avevano vietato tante cose, ma non di pensare e se c'era una cosa che stavo facendo spesso in quei mesi era proprio questo.
Pensare.

Mi stesi sul letto e mi chiesi che cosa avesse voluto dire Adam quel giorno.
Non potevano essere solo parole dette per caso.
Non erano da lui.
Lui diceva tutto per una ragione e se c'era una cosa che avevo capito è che voleva essere trovato.
E io volevo trovarlo e volevo farlo al più presto.

Mi aveva chiesto di sognare, di aprire il mio cuore, ma non era da me.
Non sapevo come si facesse.
Cosa dovevo fare di preciso?
C'era un manuale di istruzioni?
E se avessi sbagliato qualcosa?
Se avessi sofferto troppo poi?

Mi stesi sul grande letto matrimoniale disperata e non potei fare a meno di sentire i miei occhi lucidi.
Forse sono io il problema.
Forse il problema è che non riuscirò mai ad essere alla ricerca dei suoi stessi sogni.
Forse il problema è che non siamo destinati ad incrociarci ancora, siamo come la luna ed il sole noi.
Anche se sono legati da qualcosa di forte e profondo, sono destinati a non incontrarsi mai, a non amarsi mai.

Quando riapri gli occhi quasi mi venne un infarto.
Adam era davanti ai miei occhi.
I suoi capelli castani sembravano ancora meno ordinati del solito e il suo viso era contornato da due leggere occhiaie segno che non aveva dormito molto quel giorno.
Eppure sorrideva ancora e il suo sorriso era ancora il suo sorriso.

"Che ci fai qui?" chiesi fingendo indifferenza anche se morivo dalla voglia di sapere come fosse entrato in camera mia.

"Sono qui perché sei stata tu a chiamarmi, ho sentito la tua voce nel vento ed ho capito che avevi bisogno di me." mi rispose tranquillo mentre si guardava intorno curioso lasciando me ancora più perplessa.

Non avevano senso le sue parole, ma dette da lui sembravano quasi giuste e mi chiesi ancora una volta come facesse ad avere un simile controllo su tutto il mio essere.

"Io non ti ho chiamato." mi lasciai sfuggire poi sottovoce, ma lui lo sentí comunque e mi sorrise ancora.

"Ancora non sai come, ma mi hai chiamato. E se lo vorrai io ci sarò ancora, perché me ne vado solo se tu lo vuoi. Me ne vado solo quando i tuoi sogni seguiranno una linea diversa dai miei." mi disse e non potei fare a meno di guardarlo come se avesse detto una follia.

"Ma io non ero alla ricerca dei tuoi stessi sogni. E mi sono sforzata di capire cosa volesse dire questa frase ma non ci riesco." gli dissi poi sconfitta lasciandomi cadere sul letto.

Lui scosse la testa come esasperato per poi guardarmi come se la risposta alla mia domanda fosse la più scontata di sempre.
"Penso che sia proprio questo il problema, Sky. Dovresti smettere di pensare per una volta. Dovresti affidarti solo a questo per una volta." mi disse posando una mano sul mio cuore che cominciò a battere più forte tutto d'un colpo, quasi come se fosse stato scongelato dal ghiaccio.

Pochi secondi dopo la tolse e ritornò di muovo nella sua scomoda posizione in fondo alla stanza, quasi come se non volesse un contatto tra di noi.

"Vieni, siediti con me sul letto, non stai scomodo li?" chiesi di getto, arrossendo però subito dopo.
E non era da me neanche questo, di solito ero molto più disinvolta con i ragazzi, ma lui riusciva a tirare fuori tutta la mia timidezza, tutto il lato insicuro e timido che avevo cercato di tenere dentro per anni.

Lui parve pensare per un po' alla mia offerta e dopo un paio di secondi venne a sedersi sul letto accanto a me, sempre mantenendo una certa distanza tra di noi. Decisi però di non forzarlo, non volevo che le mie sciocche idee lo facessero fuggire via da me, come già era successo.

"Come sei entrato in camera mia?" gli chiesi poi curiosa come sempre, cercando una posizione più comoda.

"Devo andare adesso." mi disse lascivo, non rispondendo neanche alla mia domanda.

"Come, di già? Ma sei appena arrivato. Ti prego, resta." lo supplicai quasi, ma lui scosse la testa per poi alzarsi lentamente dal letto e raggiungere la porta della mia stanza.

"Ricorda Sky. Nulla è impossibile, tutto si può realizzare. Basta solo volerlo." mi disse lasciandomi ancora una volta un senso di vuoto nello stomaco, la bocca aperta e la testa piena di dubbi.

Spazio Autrice.
Ecco a voi il nuovo capitolo, si lo so, è passato tanto tempo dall'ultimo, ma tra le vacanze di Pasqua e le interrogazioni è difficile scrivere, soprattutto perché anche se non sembra questa storia è più difficile da scrivere rispetto alle altre e forse mi piace anche per questo.
Perché è una sfida costante e non ho intenzione di perdere.
Come avete visto il capitolo è più lungo del prologo e niente, spero possa piacervi.
Ah, se trovate degli errori grammaticali non esitate a farmelo sapere.
Detto questo vi saluto.
Bye, bye.

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