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CAPITOLO 5


Sprofondata sul sedile ascoltai distratta i discorsi degli altri. Posai lo zaino sul sedile di fianco e mi strinsi nel giubbotto, incrociando le braccia. Era stata una giornata intensa di emozioni per me e mi sentivo sfinita.

Appoggiai la testa pesante al finestrino e chiusi gli occhi. La corriera si fermò al semaforo rosso e il vetro vibrò, massaggiandomi le tempie in maniera incredibilmente rilassante. Il cielo era ancora chiaro, ma il sole si era ormai abbassato e il calore del mattino era diventato ora solo un fresco tepore.

Pensai... a Emma ... a Tony... a...

Prima che me ne rendessi conto non pensavo più a niente. Avevamo appena lasciato le mura della città alle spalle, che mi addormentai esausta.

La gente saliva e scendeva, senza disturbarmi e senza che me ne accorgessi. Di nuovo le colline toscane ci accompagnarono tranquille, tra fitti boschi, castelli medioevali, chiese e vigneti.

Il tempo scorreva paradossalmente più lento, come affascinato da quella incantevole bellezza. Immersa nel mio torpore vagavo con la mente nella mia vita. Ma il ricordo era delicato, quasi non volesse infastidirmi e lasciarmi così ancora per un po'. Quell'incanto durò fino a quando un altro pullman grigio metallizzato ci incontrò all'uscita di una curva e il suono inatteso e forte del suo clacson, che salutava l'autista, mi risvegliò all'improvviso.

Cercai di riordinarmi in fretta, importunata dalla luce che parve in quel momento abbagliarmi, guardandomi intorno con aria indifferente e sperando che non mi avessero considerato troppo. Nell'altra fila, di fianco a me, un uomo distinto, in giacca e cravatta, leggeva concentrato il giornale e la sua faccia assorta mi rassicurò. Solo allora, guardando al di là della sua figura, fuori dal finestrino, mi accorsi che era giunto ormai il tramonto. Preoccupata mi voltai dalla mia parte e cercai di individuare dove fossimo.

Possibile?! Avevo dormito veramente così tanto?!

Un cartello con scritto - "Casa fiorita" 500 m – mi passò davanti, facendomi balzare in piedi all'istante.

Presi lo zaino e mi incamminai goffa al centro, tra i sedili, verso l'autista che sedeva accanto alla porta d'uscita. Dai finestrini che oltrepassavo scorgevo già le sue mura rosate... Cercai allarmata il pulsante per prenotare la fermata e velocemente lo premetti.

Un suono di campanello vibrò l'aria. Una luce rossa sulla testa dell'autista si accese e questi sconcertato pigiò di scatto il freno.

Il mio peso si piegò subito in avanti per scaraventarsi di lì a poco all'indietro con forza, facendomi perdere l'equilibrio. Mi tenni forte al bracciolo di una poltrona e solo per un caso fortunato non rovinai a terra.

L'uomo che leggeva accanto a me, alzò gli occhi meravigliato folgorandomi con lo sguardo e borbottò qualcosa, per poi tornare a sistemarsi il giornale girando pagina.

Con uno stridore di freni la corriera aveva oltrepassato la fermata di fronte a "Casa Fiorita" di qualche metro e si era fermata. Le porte si accartocciarono da una parte soffiando, ed io cercando di uscire rapidamente inciampai nelle gambe degli ultimi sedili. Con fare il più possibile disinvolto scesi gli alti gradini che mi separavano da terra, toccando finalmente il suolo con le gambe tremanti.

"Ehi... Signorina!" sbraitò l'autista guardandomi scendere, "Prenoti prima la fermata la prossima volta! Ho rischiato di non fermarmi!". Aveva sul viso un'aria severa di rimprovero, che mi fece vergognare.

Mi voltai a testa bassa.

"Ci starò più attenta" gli sussurrai, come una bambina colpevole che era stata scoperta a commettere un guaio.

Col cuore ancora in gola per l'emozione corsi indietro, verso il cancello chiuso di "Casa fiorita", quindi rallentai la corsa e mi fermai respirando affannosamente. Non suonai subito il citofono: sapevo che vedendomi in quello stato avrei fatto preoccupare la signora Bianchi e non volevo.

*****

Margherita Bianchi era la proprietaria di "Casa Fiorita" da più di trent'anni. Lei e il marito Luigi si occupavano di mantenere alto il buon nome di quella che, da generazioni ormai, era una delle migliori sistemazioni per chiunque volesse riservatezza e tranquillità. La casa era aperta ai turisti da aprile fino a ottobre, ma per me avevano fatto un'eccezione favorendo le richieste di suor Laura, sua cara amica d'infanzia. E così mi ritrovavo ad essere la sola ospite della casa. Questo rendeva Margherita appagata nel suo più profondo istinto materno non avendo avuto figli suoi e metteva me un po' in imbarazzo, non avendo avuto, purtroppo, una madre accanto per quasi tutti i miei ventitré anni.

Guardai la casa in fondo al viale sterrato e alberato che si apriva al di là del cancello, cominciando a riprendere fiato. Sui miei occhi si rifletteva l'ultima luce del sole, quasi del tutto sceso dietro le colline antistanti, facendoli sembrare dorati. Due file di bassi lampioni, ancora spenti, seguivano la stradina fino in fondo. Un rosso rampicante ricopriva quasi interamente la parete esterna della facciata principale, lasciando scoperte solo la porta di ingresso e le otto finestre, quattro sotto e quattro sopra, di legno ambrato. Distinsi i tavolini artigianali di legno di castagno, al lato destro del grazioso giardino immerso ancora nei fiori che vi si trovava di fronte e pensai convinta che nel suo insieme quel luogo cominciava a comunicarmi un senso di serenità e di quiete che non ricordavo di aver mai provato.

Al momento più calma suonai il citofono accanto al cancello ed attesi.

Una voce femminile, gracchiante, risuonò prontamente nel silenzio.

"Si?..."

"Sono Elisabeth" sentii lo scatto immediato del cancello che si apriva e non potei fare a meno di ascoltare Margherita, che con un sospiro di sollevo si lasciava sfuggire un "Finalmente!".

Avanzai con calma verso la casa e Margherita aprì la porta venendomi incontro a braccia aperte. Era una donna di media statura, di bell'aspetto, vicino alla settantina. I suoi capelli bianchi, lisci, pettinati a caschetto, facevano da cornice ad un viso rotondo, su cui spiccavano due occhi azzurro intenso, come solo il cielo terso sa eguagliare. Indossava un vestito grigio e sopra un grembiule a fiori vivaci ancora cosparso di farina bianca.

Non appena mi fu di fronte mi strinse in un abbraccio caloroso, investendomi col suo dolce profumo che sapeva di rose.

"Elisabeth! Eravamo in pensiero! Abbiamo visto la corriera allontanarsi dieci minuti fa e non vedendoti arrivare temevamo l'avessi persa... Ci avevi detto che saresti arrivata alle sei..." aveva un'espressione interrogativa e nello stesso tempo seriamente preoccupata. Stavo da loro solo da quattro giorni, ma Margherita mi trattava come se mi conoscesse da sempre. Aveva per me un atteggiamento premuroso a cui non ero abituata e questo mi metteva a disagio.

Non risposi e lei, senza insistere, proseguì.

"Hai un'aria stanca cara, dammi lo zaino! Com'è andata?"

"Bene... Sì... piuttosto bene" non mi soffermai sui dettagli. Non era il caso...

La lasciai fare senza discutere e lei prendendomi sottobraccio mi accompagnò dentro.

"Sono contenta. Vedrai che andrà sempre meglio..."

L'ambiente che mi accolse pareva aver mantenuto nel tempo la sua semplice autenticità. Aveva ancora il pavimento in cotto originale, le cui piastrelle consumate talvolta traballavano, rimandando i suoni sordi dei passi. Solo una parte raccolta della casa era adoperata in quel periodo, l'altra rimaneva chiusa fino a primavera quando avrebbe cominciato ad accogliere gli ospiti. Non era granché ricca di arredo, ma risultava ugualmente molto calda ed accogliente per i grandi tappeti che la coloravano e che Margherita adorava. Un grazioso arco di mattoni rossi, sulla destra introduceva al salone più ampio di tutta "Casa Fiorita", nel quale solitamente trascorrevamo le nostre giornate. Un massiccio tavolo di legno scuro, davanti ad una delle due finestre affiancante, era già apparecchiato per la cena, illuminato dagli ultimi raggi di sole che filtravano fra le tendine crema. Di fronte, su un divano dalla stoffa a fiori, sedeva, dandoci le spalle, Luigi. Fingeva di seguire interessato un programma di politica alla televisione, appoggiata ad una grande credenza di legno scuro davanti a lui, ma in realtà era attento alla nostra conversazione. In fondo alla sala un camino con a fianco due poltrone con la stessa fantasia del divano e sull'angolo una nostalgica sedia a dondolo di un passato lontano, su cui solitava sedere a tessere Margherita, prima di andare a dormire. I suoi quadri, ricamati a mezzo punto, tappezzavano per gran parte le pareti bianche del salone, abbracciando con i loro colori caldi chiunque vi entrasse, irraggiando l'accoglienza calorosa che avrebbero saputo trovare lì e che difficilmente avrebbero dimenticato.

"Ti piace la torta di verdure, cara?" mi chiese speranzosa, "Ho pensato di cucinarne una per cena... Luigi ne va matto! Spero vada bene anche a te... Oh... ma avrai bisogno di cambiarti, che sciocca! Sali pure in camera tua a rinfrescarti prima. Si cena tra un'ora!" non avevo voglia di mangiare per la verità, ma il pensiero di Margherita intenta a cucinare per me, non mi fece trovare il coraggio di dirglielo.

"Credo che farò una doccia" dissi rassegnata e dopo aver salutato Luigi, cominciai a salire svogliata i gradini dell'antica scala di legno di fronte all'ingresso, che univa il primo con il secondo piano della casa, dove si trovavano le camere degli ospiti.

Tutte e otto le camere erano contraddistinte da nomi di fiori e accanto ad ogni porta, in bella mostra ne era appesa una miniatura. La mia era l'Anemone, la prima delle quattro stanze a destra. Mi piaceva come si presentava: semplice e spaziosa, con soltanto un letto di legno matrimoniale, un comodino per parte con una lampada, una piccola scrivania con una seggiola e un armadio con due ante a specchio. Al centro ancora un grande tappeto damascato e sul lato un piccolo bagno, come avevano tutte le camere.

Gettai lo zaino in un angolo ed appesi il giubbotto nell'armadio, assorta nei miei pensieri. Mi avvicinai alla finestra e scostai la tenda per guardare fuori, allontanandomi con la mente per qualche istante...

Il cielo più scuro, ora, era velato di un colore rosso acceso con riflessi arancioni. Il sole non si vedeva più all'orizzonte, ma si riusciva ancora a percepirne il lieve calore e il naufragare in quel mare meraviglioso si fece per me dolcemente struggente.

"Elisabeth... Pregherò per te... Il Signore non ti abbandonerà... non lo scordare mai!" quella voce insinuatasi nella mente all'improvviso, mi portava lontano da lì e mi tormentava il cuore.

"Elisabeth?" Margherita stava bussando alla porta della mia camera e mi parlava, "Ha chiamato Suor Laura pomeriggio, dice che ti ha scritto via mail, ma che non le hai ancora risposto. Sembrava preoccupata..."

Tacque aspettando un risposta alla sua immaginaria domanda.

"Elisabeth... mi hai sentito, cara?" sembrava sollecitarmi a chiamarla, ma in maniera discreta, come sapeva fare lei.

"Le risponderò subito. Grazie" sembrava soddisfatta della mia risposta e la sentii scendere la scala con passo tranquillo.

Prima di controllare la mia posta elettronica, feci comunque una doccia calda e mi asciugai i capelli. Il tutto purtroppo non durò quanto avevo sperato, nonostante mi fossi mossa lentamente. Avrei voluto rimandare quel momento il più possibile anche se sapevo di non poterlo più fare.

Suor Laura mi ricordava una parte dolorosa della mia infanzia, che faticavo ad accettare e avrei sempre desiderato dimenticare.

Indossai una tuta ed accesi il mio netbook. Avevo dieci messaggi non letti: la maggior parte erano pubblicitari e li cancellai senza aprirli, ma quattro erano di Suor Laura.

"Elisabeth, scrivimi appena arrivi a "Casa Fiorita". Voglio sapere come è andato il viaggio. Un saluto da tutti"

Suor Laura

Sospirai e passai alle e-mail dopo. Due erano state scritte lo stesso giorno a distanza di poche ore l'una dall'altra.

"Elisabeth, fammi sapere se sei arrivata. Perché non mi hai ancora scritto? Ti è successo qualcosa? Dimmelo ti prego!"

Suor Laura

Ragionai, scuotendo la testa, su come avrei fatto, se mi fosse successo qualcosa veramente, a farglielo sapere, pensando a quanto, in certe circostanze, riuscisse ad essere totalmente assurda.

"Comincio a preoccuparmi seriamente, Elisabeth!"

Suor Laura

L'ultima era di quel pomeriggio:

"Non posso più aspettare! Ho consumato il rosario a furia di pregare! Chiamo Margherita! E poi non dirmi che ti soffoco con le mie preoccupazioni..."

Suor Laura

Non mi sorpresi più di tanto per la sua ansietà, in fondo aveva anche ragione. Avrei dovuto almeno telefonarle, ma sentirla era per me una pena che non volevo. Cliccai su "Rispondi" e cercai di tranquillizzarla.

"Ti vuoi calmare? Non è successo niente. Ho solo avuto da fare e mi è passato di mente. E poi non ho molto da raccontarti e volevo scriverti qualcosa di interessante più avanti. Margherita e Luigi sono cordialissimi con me, quindi rilassati e fai un bel respiro. Ti scriverò ancora nei prossimi giorni, ma non so quando, quindi non agitarti inutilmente. Non è proprio il caso..."

Elisabeth

Cliccai su "Invia" indugiando qualche secondo, fino a quando dal piano inferiore mi arrivò la voce di Margherita che mi chiamava per la cena.

Spensi il netbook e pigramente mi avviai, chiudendomi la porta alle spalle.

Luigi era già seduto al suo posto di capotavola e Margherita attendeva che mi accomodassi accanto a lui, per servire.

Il clima a "Casa Fiorita" era sempre molto piacevole. Luigi, anche lui sulla settantina, aveva costantemente una battuta ironica per tutto. Nascosto dagli occhiali e dalla barba corta argentata, commentava serio le premure di sua moglie per me, creando amabili battibecchi con lei, al solo scopo di farmi sorridere. Aveva i capelli bianchi e due occhi verdi che si illuminavano quando mi parlava. Sentivo che anche lui era contento che fossi lì, anche se si sforzava di non darlo a vedere per pudore e da questo ero molto rasserenata.

Alla fine della cena aiutai a sparecchiare la tavola, incurante delle proteste di Margherita e senza tergiversare oltre mi ritirai in camera mia.

Era tutto così inconsueto per me: avere qualcuno che ti aspetta per cenare, qualcuno che si preoccupa per te...

Non sapevo come sentirmi, sapevo solo che mi andava di stare lì, ancora per un po'...


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